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Autore: redseapearl    06/02/2012    12 recensioni
Vide chiaramente un rosario oscillare come un pendolo all’altezza del petto e la croce dorata all’estremità, brillante alla luce del sole pomeridiano, le gelò il sangue nelle vene e le provocò un senso di vertigine che minacciava di farla rovinare per terra. Sbarrò gli occhi terrorizzati verso quell’oggetto innocuo simbolo universale del cristianesimo a cui i fedeli attribuivano ogni significato buono e sacro di questo mondo; ma per Sayu la croce e in particolare quel rosario era il segno di riconoscimento del suo rapitore.
Lui era lì, a pochi metri da lei. Era forse tornato per rapirla di nuovo?
{Mello x Sayu}
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mello, Sayu Yagami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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My scary savior

 

Rosario

 

 

 

 

Le tenebre striscianti l’avvolgevano come un anaconda di ombre. Giorno e notte non esistevano più in quella angusta stanza umida e fredda. Il sole e la luna si alternavano in cielo, ma non c’erano finestre per vedere la loro cavalcata celeste.

Tremava come una foglia al vento. Il freddo era opprimente e le ghiacciava le ossa. Temeva che se avesse compiuto anche il semplice gesto di sollevare la mano, l’ulna si sarebbe frantumata come il più fragile dei cristalli. Immobile attendeva che qualcosa accadesse… o che non accadesse.

In quel pozzo oscuro e ignoto, Sayu non sapeva cosa aspettarsi. Se restava ferma, allora niente di male le sarebbe accaduto, ma se avesse provato a muoversi, avrebbe dato segno della sua presenza e quella fiera spaventosa che si nascondeva nel buio l’avrebbe vista e attaccata.

Poi una luce. Inizialmente era solo un puntino luminoso e lontano, indefinito ma brillante, estremamente piccolo ma perfettamente visibile su quel manto nero che le si parava dinanzi come la pesante tenda di un grande sipario pronto ad aprirsi per dare inizio ad uno spettacolo.

La ragazza notò che quel punto lucente, piccolo quanto un granello di sabbia, si andava lentamente ingrandendo, delineandosi sempre più in una forma precisa. Una forma che ormai per Sayu era diventata sinonimo di terrore: una croce.

Quando riconobbe l’oggetto, la ragazza emise un urlo acuto. Il grido dissolse la luce emanata dal crocifisso come se avesse spento una candela: gli ultimi barlumi luminosi si inerpicarono sulla parete di tenebre sottoforma di fumo, per poi svanire inghiottito dal nulla.

Era di nuovo precipitata in quel baratro oscuro come se fosse caduta nella tana di un qualche misterioso animale sotterraneo. Non seppe mai cosa l’avrebbe attesa una volta arrivata sul fondo, perché due mani amorevoli cominciarono a scuoterla dolcemente, ma con decisione e una voce rassicurante invocò il suo nome più volte, finché non aprì gli occhi, incrociando lo sguardo preoccupato di sua madre.

“È tutto a posto, Sayu. Sei a casa. Sei qui con me. È stato solo un altro incubo!”

La rincuorante realtà riuscì a insinuarsi nella mente sconvolta di Sayu con fatica, come un filo di lana troppo spesso per riuscire a passare attraverso la cruna di un ago. Il cuore le martellava in petto così forte da ovattare ogni altro suono intorno a lei. Quando le braccia di sua madre la strinsero, trasmettendole quel calore materno che solo Sachiko avrebbe potuto infonderle, allora gli ultimi residui del gelido sogno si sciolsero come ghiaccio al sole, colando lungo le guance di Sayu sottoforma di calde lacrime.

“Non ce la faccio più! Quando finirà? Quando?”

Sachiko non contava più le volte in cui di notte aveva sentito Sayu urlare durante quei tre mesi. Tutte le sere, quando si coricavano nelle rispettive camere, la donna si addormentava con la costante paura di udire la figlia gridare nel sonno. Ogni volta sempre la stessa voce straziata, sempre lo stesso pianto, sempre le stesse domande, ma mai alcuna risposta. La condusse con sé nella propria camera, facendola distendere sul lato del letto che un tempo veniva occupato da suo marito. Anche Sachiko avrebbe voluto sfogare il proprio dolore, ma come madre non le era concesso. Doveva essere forte per sua figlia e inghiottire quelle lacrime che minacciavano di rigarle il viso ogni volta che l’assenza dell’uomo che aveva amato diventava insopportabile.

Perché tutto questo era accaduto a loro? Perché?

 

 

Minako non era mai stata la personificazione della puntualità. L’appuntamento era per le 17:30 e Sayu l’attendeva da già venti minuti abbondanti, anzi, per la precisione, da ventitre minuti. Paradossalmente avevano scelto come luogo per l’incontro proprio un negozio di orologi, quasi una beffa del caso che mostrasse a Sayu ogni minuto perso nell’attesa dell’amica. Con sempre maggior frequenza si voltava verso la vetrina per controllare l’ora. Nell’attesa, si soffermò ad ammirare un modello di orologio da polso color rosa antico che le piacque tanto, ma il cartellino del prezzo posto accanto l’ammoniva di non innamorarsene troppo, in quanto troppo costoso per le sue esigue finanze.

Sbuffando irritata, rivolse la propria attenzione alla strada e ai passanti, adocchiando di tanto in tanto qualche ragazzo carino che le camminava dinanzi. Un paio di volte il suo sguardo interessato era stato anche ricambiato. Purtroppo non era mai stata una ragazza molto audace con il sesso opposto, nonostante avesse avuto conferma di essere piuttosto piacente in più di un'occasione. Quando si accorgeva di essere notata da un ragazzo, distoglieva lo sguardo senza riuscire a nascondere il velo di imbarazzo che le colorava le guance all’istante: il calore che avvertiva sul viso le faceva capire di essere arrossita senza necessità di guardarsi allo specchio.

Il cellulare nella borsetta suonò, annunciando un sms di Minako.

-Scusa x il ritardo. Arrivo subitixximo! Il pullman è rimasto blokkato dal traffiko. Baci baci-

Sayu sospirò avvilita e ripose il cellulare nella borsetta senza rispondere. Minako era una ragazza abbastanza intelligente, ma Sayu ancora non capiva perché quando scriveva gli sms o chattava su internet usava quel linguaggio da bimbaminkia. Avrebbe voluto dirle più volte di non scrivere in modo tanto sgrammaticato, ma per educazione si era sempre trattenuta dal farlo.

Riportò la propria attenzione alla strada. Sul semaforo davanti a lei scattò il rosso e un ragazzo in moto, vestito con un completo nero da motociclista e con un casco integrale in testa, le si fermò proprio di fronte.

Quel genere di ragazzi avevano sempre esercitato un certo fascino su di lei grazie al senso di ribellione che trasmettevano soltanto nel vederli cavalcare delle moto grosse e rumorose, in pieno stile belli e dannati dei film americani d’altri tempi.

Sayu si incantò nell’osservare sfacciatamente il fisico asciutto del giovane motociclista, con i suoi pantaloni aderenti che gli fasciano le gambe e il fondoschiena. Essendo leggermente chinato in avanti, il giubbetto di pelle era sollevato quel tanto che bastava per scoprire la zona lombare della schiena. Poche volte Sayu usava il termine sexy per definire un ragazzo, ma davanti a quel motociclista non le sovvenne nessun’altra parola che potesse calzare meglio. Dal casco erano evase alcune ciocche bionde, che spiccavano nettamente sull’abbigliamento nero come un ricamo di fili dorati su di un tessuto scuro, e ciò non fece altro che aumentare il fascino del giovane straniero.

L’incanto tuttavia si frantumò quando lo vide voltare la testa verso di lei, forse essendosi reso conto di avere un paio d’occhi puntati addosso. Più imbarazzata che mai per la sua spudoratezza, Sayu restò un paio di secondi pietrificata sul posto, quando il suo sguardo fu catturato da un oggetto che pendeva al collo del ragazzo.

Vide chiaramente un rosario oscillare come un pendolo all’altezza del petto e la croce dorata all’estremità, brillante alla luce del sole pomeridiano, le gelò il sangue nelle vene e le provocò un senso di vertigine che minacciava di farla rovinare per terra. Sbarrò gli occhi terrorizzati verso quell’oggetto innocuo, simbolo universale del cristianesimo a cui i fedeli attribuivano ogni significato buono e sacro di questo mondo; ma per Sayu la croce, e in particolare quel rosario, era il segno di riconoscimento del suo rapitore.

Lui era lì, a pochi metri da lei. Era forse tornato per rapirla di nuovo?

Spaventata, quasi si trovasse dinanzi all’animale più letale del pianeta, Sayu iniziò a indietreggiare lentamente, temendo che il motociclista le piombasse addosso come un rapace su di un coniglio.

La luce verde smeraldo del semaforo si accese, ma lo straniero, notando l’atteggiamento della ragazza, rimase fermo a guardarla attraverso il vetro oscurato del casco. Il suono dei clacson degli automobilisti in coda dietro la moto distrasse il ragazzo che alzò la testa per vedere il semaforo. Quando  riabbassò gli occhi verso il punto in cui si trovava la ragazza, questa era già sparita. Gli bastò lanciare uno sguardo dietro di sé per vederla correre a perdifiato sul marciapiede nella direzione opposta al suo senso di marcia.

Spronato dai clacson prima e poi dagli incitamenti poco garbati delle persone dietro di lui, il giovane partì con una brusca accelerata e, con una manovra non consentita su quella strada, si immise nella corsia opposta con il preciso intento di seguire la giovane sconosciuta.

 

 

Mai come in quel momento Sayu fu tanto felice di rientrare a casa. La porta d’ingresso era diventata il suo personale salvagente nell’oceano della paura in cui stava annaspando per evitare di affondare. Si fermò sulla soglia per rovistare nella borsetta e prendere le chiavi, ma la foga e il tremore delle mani le impediva di trovarle. Suonò frenetica il campanello nella speranza che sua madre le aprisse quanto prima. Nell’attesa, fece un secondo tentativo nella borsetta e finalmente sentì tra le dita il freddo metallo del mazzo di chiavi e il loro rassicurante tintinnio.

La tentazione di girare la testa per vedere se il suo rapitore l’avesse inseguita era forte, ma al contempo temeva di incrociare lo sguardo con il vetro nero del casco del motociclista e di precipitare, come nei suoi incubi, in quel pozzo di oscurità marcescente.

Fu sua madre a risolvere quel dilemma per lei, aprendole la porta. Quando vide la figlia tutta trafelata, con i capelli spettinati per la corsa, il fiato grosso e gli occhi spiritati, sentì lo stomaco compresso in una tenaglia di angoscia.

Sayu aveva avuto un altro attacco di panico, pensò. Non ne capitava più uno da almeno un mese e, anche se questo non era un tempo sufficiente per dichiarare la ragazza completamente guarita, Sachiko aveva già intimamente festeggiato il ritorno alla normalità di Sayu. Solo gli incubi erano rimasti a tormentarla ancora, ma per quelli ci voleva molto più tempo, poiché essi attaccavano di notte, quando le barriere psichiche della figlia erano fragili come mura di castelli di carta.

“Mamma!” Sayu si lanciò tra le braccia della madre, cercando di trarre quanto più conforto e calore dal suo corpo. Avvertì la differenza di velocità con cui i loro cuori battevano: il suo era veloce come un cavallo al galoppo, quello della mamma era più lento e cadenzato.

Sachiko chiuse la porta prima di afferrare Sayu per le spalle e guardarla negli occhi, con la vana speranza di essersi sbagliata e di non aver scorto nelle sue pupille quel cieco terrore che dal giorno del rapimento l’accompagnava come una tetra dama di compagnia.

Sayu, cosa è…”

“L’ho visto! L’ho visto, mamma! L’ho visto! Lui… lui… era lì, lì, proprio davanti a me… È tornato per prendermi. Lo so! Lo so! Vuole portami via!” farneticava la ragazza, senza riuscire a comporre un solo periodo di senso compiuto.

“Calmati” disse la madre con tono fermo. “Spiegami bene. Chi hai visto?”

“Lui, mamma, lui. Il mio rapitore! Aveva il rosario, quel rosario, capisci? L’ho riconosciuto e lui mi ha guardata.” Mentre parlava, Sayu gesticolava con le mani, accompagnando le sue parole con l’indiavolata gestualità del corpo.

Sachiko sospirò, sconsolata. “Sayu. Ne hai parlato con il dottor Myabe, ti ricordi? Hai visto solo un uomo con un rosario al collo. La tua paura, non ricordi? Hai solo avuto un nuovo attacco, come le prime settimane.”

“No, no, no, no, no! Era lui ti dico, lui! L’avrei riconosciuto tra mille!”

“Va bene, va bene!” l’assecondò la madre, stringendola ancora una volta. La condusse in soggiorno, accomodandosi entrambe sul divano ancora strette. Sayu non aveva smesso di tremare un solo secondo da quando aveva varcato la soglia di casa. Sachiko si sentiva impotente come i primi tempi.

“Tesoro, che ne dici se andiamo dal dottore questo pomeriggio? Lui ti ha aiutata tanto e…”

“No!” urlò la ragazza in modo isterico. “Lui potrebbe essere lì fuori! Se esco di casa mi porterà via. Non posso uscire, non posso.” Scoppiò a piangere sul petto della madre senza freno alcuno, come un fiume libero di proseguire il proprio naturale corso dopo aver distrutto una diga. “Chiamalo! Chiama il dottor Myabe e fallo venire qui” riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. “Io non posso uscire. Non posso uscire. Non posso… uscire. Non posso.”

 

 

Il dottor Myabe ascoltò il racconto di Sayu prendendo di tanto in tanto qualche appunto sul suo quaderno. La ragazza non aveva mai visto lo psicologo senza quell’oggetto in mano, quasi fosse una naturale appendice del suo corpo. Durante tutto il tempo, la ragazza non aveva mai smesso di tremare, come se una corrente ghiacciata le solleticasse la nuca costantemente.

Sayu” esordì lo psicologo con un tono fermo, venato di rimprovero, “tu hai solo creduto di vedere lo stesso rosario che portava al collo il tuo rapitore. L’uomo sulla moto probabilmente ne portava uno e tu ti sei lasciata suggestionare dalla tua paura, trasformando il suo rosario con la tua fantasia fino a fargli assumere il medesimo aspetto di quello del tuo sequestratore. Ne abbiamo già parlato. Ricordi le sedute di ipnosi? Si chiama staurofobia, paura delle croci.”

“Non ero suggestionata dalla mia paura, era lui le dico. Deve credermi!” Neanche la voce incrinata dalle lacrime di Sayu riuscì a smuovere le convinzioni del dottore, troppo forte della sua laurea e dei suoi anni di studi per credere alle parole di una giovane impaurita come un pulcino.

“Hai fatto gli esercizi che ti avevo detto?” chiese come un maestro che parli ad un’allieva pigra.

“Sì.” Sayu aveva riempito pagine e pagine di quaderni con disegni di croci. I primi tentativi erano stati una tortura, la semplice vista di quel simbolo le faceva tremare la mano e il risultato erano degli scarabocchii dalle linee distorte. A poco a poco il tratto divenne sempre più deciso e il disegno più complesso, tanto che riusciva tranquillamente a riportare su carta la figura di un rosario più elaborato, ma dopo ciò che era successo quel pomeriggio, Sayu dubitava che sarebbe riuscita persino a prendere in mano una matita con fermezza.

Il dottor Myabe sosteneva che una paura, specie una come quella di Sayu che era stata indotta da un forte trauma, poteva essere superata solo affrontandola a testa alta.

“Allora voglio che questa sera tu esca e…”

“No, non ce la faccio!”

Sayu, devi! So che è una terapia insolita, ma è anche vero che il tuo caso è molto particolare e fin’ora mi sembra che abbiamo avuto ottimi risultati. Non lasciare che un singolo incidente rovini tutto il percorso fatto.”

La ragazza annuì, anche se in cuor suo non era molto convinta. Sapeva che non poteva vincere contro il suo psicologo e, per quanto fosse sicura di ciò che aveva visto, fu costretta a chinare la testa e deporre le armi.

Rimase immobile come una statua con gli occhi fissi sulle ginocchia mentre il dottore prendeva il soprabito e la ventiquattrore, salutava sua madre e usciva di casa.

Sachiko le si avvicinò con evidente preoccupazione. Gli occhi di sua figlia erano vitrei, come se la sua coscienza avesse spiccato il volo verso un cielo che lei non poteva raggiungere in alcun modo.

“Mi lavo la faccia ed esco” disse Sayu con un tono monocorde più simile ad un androide che ad un essere umano. Meccanicamente si alzò e andò in bagno. Neanche l’acqua ghiacciata che le sferzò il viso riuscì a lavarla di quel senso di impotenza e disagio che le si erano incollati addosso.

Si infilò il giubbetto viola, prese la borsa e imboccò la porta senza salutare sua madre che versava in un evidente stato di agitazione e angoscia.

Quando Sayu svoltò l’angolo di casa, camminando meccanicamente seguendo un percorso ormai imparato a memoria, non si accorse della presenza di un ragazzo dai capelli biondi, nascosto dietro un muro, in attesa che lei uscisse.

 

 

 

 

Note dell’autrice

Premetto che questa sarà una fanfic molto ma molto breve. Inizialmente doveva essere di soli 2 capitoli poi mi sono resa conto che per mantenere una lunghezza costante doveva aggiungerne un altro, per evitare di rendere il secondo molto più lungo del primo. Per cui è una minilong di soli 3 capitoli.

E’ una storia senza molte pretese, nel senso che non mi aspetto certo orde e orde di lettrici visto che il rating è poco interessante e la coppia ancora meno, ma la MelloxSayu mi ha sempre stuzzicato la fantasia e volevo rendere loro un piccolo omaggio, sperando di trovare qualche altra fan che come me li apprezzi.

 




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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Questa storia partecipa alla challenge: Diamo visibilità a chi non ne ha.

   
 
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