My scary savior
Rosario
Le
tenebre striscianti l’avvolgevano come un anaconda di ombre. Giorno e notte non
esistevano più in quella angusta stanza umida e fredda. Il sole e la luna si
alternavano in cielo, ma non c’erano finestre per vedere la loro cavalcata
celeste.
Tremava come una foglia al vento. Il freddo era
opprimente e le ghiacciava le ossa. Temeva che se avesse compiuto anche il
semplice gesto di sollevare la mano, l’ulna si sarebbe frantumata come il più
fragile dei cristalli. Immobile attendeva che qualcosa accadesse… o che non
accadesse.
In quel pozzo oscuro e ignoto, Sayu
non sapeva cosa aspettarsi. Se restava ferma, allora niente di male le sarebbe
accaduto, ma se avesse provato a muoversi, avrebbe dato segno della sua presenza
e quella fiera spaventosa che si nascondeva nel buio l’avrebbe vista e
attaccata.
Poi una luce. Inizialmente era solo un puntino
luminoso e lontano, indefinito ma brillante, estremamente piccolo ma
perfettamente visibile su quel manto nero che le si parava dinanzi come la
pesante tenda di un grande sipario pronto ad aprirsi per dare inizio ad uno
spettacolo.
La ragazza notò che quel punto lucente, piccolo
quanto un granello di sabbia, si andava lentamente ingrandendo, delineandosi
sempre più in una forma precisa. Una forma che ormai per Sayu
era diventata sinonimo di terrore: una croce.
Quando riconobbe l’oggetto, la ragazza emise un urlo
acuto. Il grido dissolse la luce emanata dal crocifisso come se avesse spento
una candela: gli ultimi barlumi luminosi si inerpicarono sulla parete di
tenebre sottoforma di fumo, per poi svanire inghiottito dal nulla.
Era di nuovo precipitata in quel baratro oscuro
come se fosse caduta nella tana di un qualche misterioso animale sotterraneo.
Non seppe mai cosa l’avrebbe attesa una volta arrivata sul fondo, perché due mani
amorevoli cominciarono a scuoterla dolcemente, ma con decisione e una voce
rassicurante invocò il suo nome più volte, finché non aprì gli occhi,
incrociando lo sguardo preoccupato di sua madre.
“È tutto a posto, Sayu. Sei
a casa. Sei qui con me. È stato solo un altro incubo!”
La rincuorante realtà riuscì a insinuarsi nella
mente sconvolta di Sayu con fatica, come un filo di
lana troppo spesso per riuscire a passare attraverso la cruna di un ago. Il
cuore le martellava in petto così forte da ovattare ogni altro suono intorno a
lei. Quando le braccia di sua madre la strinsero, trasmettendole quel calore
materno che solo Sachiko avrebbe potuto infonderle,
allora gli ultimi residui del gelido sogno si sciolsero come ghiaccio al sole,
colando lungo le guance di Sayu sottoforma di calde
lacrime.
“Non ce la faccio più! Quando finirà? Quando?”
Sachiko
non contava più le volte in cui di notte aveva sentito Sayu
urlare durante quei tre mesi. Tutte le sere, quando si coricavano nelle rispettive
camere, la donna si addormentava con la costante paura di udire la figlia
gridare nel sonno. Ogni volta sempre la stessa voce straziata, sempre lo stesso
pianto, sempre le stesse domande, ma mai alcuna risposta. La condusse con sé
nella propria camera, facendola distendere sul lato del letto che un tempo veniva
occupato da suo marito. Anche Sachiko avrebbe voluto
sfogare il proprio dolore, ma come madre non le era concesso. Doveva essere
forte per sua figlia e inghiottire quelle lacrime che minacciavano di rigarle
il viso ogni volta che l’assenza dell’uomo che aveva amato diventava
insopportabile.
Perché tutto questo era accaduto a loro? Perché?
Minako
non era mai stata la personificazione della puntualità. L’appuntamento era per
le 17:30 e Sayu l’attendeva da già venti minuti
abbondanti, anzi, per la precisione, da ventitre minuti. Paradossalmente
avevano scelto come luogo per l’incontro proprio un negozio di orologi, quasi
una beffa del caso che mostrasse a Sayu ogni minuto
perso nell’attesa dell’amica. Con sempre maggior frequenza si voltava verso la
vetrina per controllare l’ora. Nell’attesa, si soffermò ad ammirare un modello
di orologio da polso color rosa antico che le piacque tanto, ma il
cartellino del prezzo posto accanto l’ammoniva di non innamorarsene troppo, in
quanto troppo costoso per le sue esigue finanze.
Sbuffando irritata, rivolse la propria attenzione
alla strada e ai passanti, adocchiando di tanto in tanto qualche ragazzo carino
che le camminava dinanzi. Un paio di volte il suo sguardo interessato era stato anche
ricambiato. Purtroppo non era mai stata una ragazza molto audace con il sesso
opposto, nonostante avesse avuto conferma di essere piuttosto
piacente in più di un'occasione. Quando si accorgeva di essere notata da un ragazzo, distoglieva lo
sguardo senza riuscire a nascondere il velo di imbarazzo che le colorava le
guance all’istante: il calore che avvertiva sul viso le faceva capire di essere
arrossita senza necessità di guardarsi allo specchio.
Il cellulare nella borsetta suonò, annunciando un
sms di Minako.
-Scusa x il ritardo. Arrivo subitixximo!
Il pullman è rimasto blokkato dal traffiko.
Baci baci-
Sayu
sospirò avvilita e ripose il cellulare nella borsetta senza rispondere. Minako era una ragazza abbastanza intelligente, ma Sayu ancora non
capiva perché quando scriveva gli sms o chattava su internet usava quel
linguaggio da bimbaminkia. Avrebbe voluto dirle più volte di non scrivere in modo tanto sgrammaticato, ma
per educazione si era sempre trattenuta dal farlo.
Riportò la propria attenzione alla strada. Sul
semaforo davanti a lei scattò il rosso e un ragazzo in moto, vestito con un
completo nero da motociclista e con un casco integrale in testa, le si fermò
proprio di fronte.
Quel genere di ragazzi avevano sempre esercitato un
certo fascino su di lei grazie al senso di ribellione che trasmettevano
soltanto nel vederli cavalcare delle moto grosse e rumorose, in pieno stile belli
e dannati dei film americani d’altri tempi.
Sayu
si incantò nell’osservare sfacciatamente il fisico asciutto del giovane
motociclista, con i suoi pantaloni aderenti che gli fasciano le gambe e il
fondoschiena. Essendo leggermente chinato in avanti, il giubbetto di pelle era sollevato quel tanto che bastava per scoprire la zona lombare della schiena.
Poche volte Sayu usava il termine sexy per definire
un ragazzo, ma davanti a quel motociclista non le sovvenne nessun’altra parola
che potesse calzare meglio. Dal casco erano evase alcune ciocche bionde, che spiccavano
nettamente sull’abbigliamento nero come un ricamo di fili dorati su di un
tessuto scuro, e ciò non fece altro che aumentare il fascino del giovane
straniero.
L’incanto tuttavia si frantumò quando lo vide
voltare la testa verso di lei, forse essendosi reso conto di avere un paio
d’occhi puntati addosso. Più imbarazzata che mai per la sua spudoratezza, Sayu restò un paio di secondi pietrificata sul posto,
quando il suo sguardo fu catturato da un oggetto che pendeva al collo del
ragazzo.
Vide chiaramente un rosario oscillare come un
pendolo all’altezza del petto e la croce dorata all’estremità, brillante alla
luce del sole pomeridiano, le gelò il sangue nelle vene e le provocò un senso
di vertigine che minacciava di farla rovinare per terra. Sbarrò gli occhi
terrorizzati verso quell’oggetto innocuo, simbolo universale del cristianesimo a
cui i fedeli attribuivano ogni significato buono e sacro di questo mondo; ma
per Sayu la croce, e in particolare quel rosario, era il segno di
riconoscimento del suo rapitore.
Lui era lì, a pochi metri da lei. Era forse tornato
per rapirla di nuovo?
Spaventata, quasi si trovasse dinanzi all’animale
più letale del pianeta, Sayu iniziò a indietreggiare
lentamente, temendo che il motociclista le piombasse addosso come un rapace su
di un coniglio.
La luce verde smeraldo del semaforo si accese, ma lo
straniero, notando l’atteggiamento della ragazza, rimase fermo a guardarla
attraverso il vetro oscurato del casco. Il suono dei clacson degli automobilisti
in coda dietro la moto distrasse il ragazzo che alzò la testa per vedere il
semaforo. Quando riabbassò gli occhi
verso il punto in cui si trovava la ragazza, questa era già sparita. Gli bastò lanciare
uno sguardo dietro di sé per vederla correre a perdifiato sul marciapiede nella
direzione opposta al suo senso di marcia.
Spronato dai clacson prima e poi dagli incitamenti
poco garbati delle persone dietro di lui, il giovane partì con una brusca
accelerata e, con una manovra non consentita su quella strada, si immise nella
corsia opposta con il preciso intento di seguire la giovane sconosciuta.
Mai
come in quel momento Sayu fu tanto felice di
rientrare a casa. La porta d’ingresso era diventata il suo personale salvagente
nell’oceano della paura in cui stava annaspando per evitare di affondare. Si
fermò sulla soglia per rovistare nella borsetta e prendere le chiavi, ma la foga
e il tremore delle mani le impediva di trovarle. Suonò frenetica il campanello
nella speranza che sua madre le aprisse quanto prima. Nell’attesa, fece un
secondo tentativo nella borsetta e finalmente sentì tra le dita il freddo
metallo del mazzo di chiavi e il loro rassicurante tintinnio.
La tentazione di girare la testa per vedere se il
suo rapitore l’avesse inseguita era forte, ma al contempo temeva di incrociare
lo sguardo con il vetro nero del casco del motociclista e di precipitare, come
nei suoi incubi, in quel pozzo di oscurità marcescente.
Fu sua madre a risolvere quel dilemma per lei,
aprendole la porta. Quando vide la figlia tutta trafelata, con i capelli
spettinati per la corsa, il fiato grosso e gli occhi spiritati, sentì lo stomaco
compresso in una tenaglia di angoscia.
Sayu
aveva avuto un altro attacco di panico, pensò. Non ne capitava più uno da
almeno un mese e, anche se questo non era un tempo sufficiente per dichiarare
la ragazza completamente guarita, Sachiko aveva già
intimamente festeggiato il ritorno alla normalità di Sayu.
Solo gli incubi erano rimasti a tormentarla ancora, ma per quelli ci voleva
molto più tempo, poiché essi attaccavano di notte, quando le barriere psichiche
della figlia erano fragili come mura di castelli di carta.
“Mamma!” Sayu si lanciò
tra le braccia della madre, cercando di trarre quanto più conforto e calore dal
suo corpo. Avvertì la differenza di velocità con cui i loro cuori battevano: il
suo era veloce come un cavallo al galoppo, quello della mamma era più lento e
cadenzato.
Sachiko
chiuse la porta prima di afferrare Sayu per le spalle
e guardarla negli occhi, con la vana speranza di essersi sbagliata e di non
aver scorto nelle sue pupille quel cieco terrore che dal giorno del rapimento
l’accompagnava come una tetra dama di compagnia.
“Sayu, cosa è…”
“L’ho visto! L’ho visto, mamma! L’ho visto! Lui…
lui… era lì, lì, proprio davanti a me… È tornato per prendermi. Lo so! Lo so!
Vuole portami via!” farneticava la ragazza, senza riuscire a comporre un solo
periodo di senso compiuto.
“Calmati” disse la madre con tono fermo. “Spiegami
bene. Chi hai visto?”
“Lui, mamma, lui. Il mio rapitore! Aveva il rosario,
quel rosario, capisci? L’ho riconosciuto e lui mi ha guardata.” Mentre parlava,
Sayu gesticolava con le mani, accompagnando le sue
parole con l’indiavolata gestualità del corpo.
Sachiko
sospirò, sconsolata. “Sayu. Ne hai parlato con il
dottor Myabe, ti ricordi? Hai visto solo un uomo con
un rosario al collo. La tua paura, non ricordi? Hai solo avuto un nuovo attacco,
come le prime settimane.”
“No, no, no, no, no! Era lui ti dico, lui! L’avrei
riconosciuto tra mille!”
“Va bene, va bene!” l’assecondò la madre,
stringendola ancora una volta. La condusse in soggiorno, accomodandosi entrambe
sul divano ancora strette. Sayu non aveva smesso di
tremare un solo secondo da quando aveva varcato la soglia di casa. Sachiko si sentiva impotente come i primi tempi.
“Tesoro, che ne dici se andiamo dal dottore questo
pomeriggio? Lui ti ha aiutata tanto e…”
“No!” urlò la ragazza in modo isterico. “Lui
potrebbe essere lì fuori! Se esco di casa mi porterà via. Non posso uscire, non
posso.” Scoppiò a piangere sul petto della madre senza freno alcuno, come un
fiume libero di proseguire il proprio naturale corso dopo aver distrutto una
diga. “Chiamalo! Chiama il dottor Myabe e fallo
venire qui” riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. “Io non posso uscire.
Non posso uscire. Non posso… uscire. Non posso.”
Il
dottor Myabe ascoltò il racconto di Sayu prendendo di tanto in tanto qualche appunto sul suo
quaderno. La ragazza non aveva mai visto lo psicologo senza quell’oggetto in
mano, quasi fosse una naturale appendice del suo corpo. Durante tutto il tempo,
la ragazza non aveva mai smesso di tremare, come se una corrente ghiacciata le
solleticasse la nuca costantemente.
“Sayu” esordì lo psicologo con un tono
fermo, venato di rimprovero, “tu hai solo creduto di vedere lo stesso rosario
che portava al collo il tuo rapitore. L’uomo sulla moto probabilmente ne
portava uno e tu ti sei lasciata suggestionare dalla tua paura, trasformando il
suo rosario con la tua fantasia fino a fargli assumere il medesimo aspetto di
quello del tuo sequestratore. Ne abbiamo già parlato. Ricordi le sedute di
ipnosi? Si chiama staurofobia, paura delle croci.”
“Non ero suggestionata dalla mia paura, era lui le
dico. Deve credermi!” Neanche la voce incrinata dalle lacrime di Sayu riuscì a smuovere le convinzioni del dottore, troppo forte
della sua laurea e dei suoi anni di studi per credere alle parole di una
giovane impaurita come un pulcino.
“Hai fatto gli esercizi che ti avevo detto?” chiese
come un maestro che parli ad un’allieva pigra.
“Sì.” Sayu aveva riempito
pagine e pagine di quaderni con disegni di croci. I primi tentativi erano stati
una tortura, la semplice vista di quel simbolo le faceva tremare la mano e il
risultato erano degli scarabocchii dalle linee distorte. A poco a poco il tratto
divenne sempre più deciso e il disegno più complesso, tanto che riusciva tranquillamente
a riportare su carta la figura di un rosario più elaborato, ma dopo ciò che
era successo quel pomeriggio, Sayu dubitava che
sarebbe riuscita persino a prendere in mano una matita con fermezza.
Il dottor Myabe sosteneva
che una paura, specie una come quella di Sayu che era
stata indotta da un forte trauma, poteva essere superata solo affrontandola a
testa alta.
“Allora voglio che questa sera tu esca e…”
“No, non ce la faccio!”
“Sayu, devi! So che è una
terapia insolita, ma è anche vero che il tuo caso è molto particolare e fin’ora
mi sembra che abbiamo avuto ottimi risultati. Non lasciare che un singolo
incidente rovini tutto il percorso fatto.”
La ragazza annuì, anche se in cuor suo non era molto
convinta. Sapeva che non poteva vincere contro il suo psicologo e, per quanto
fosse sicura di ciò che aveva visto, fu costretta a chinare la testa e deporre
le armi.
Rimase immobile come una statua con gli occhi fissi
sulle ginocchia mentre il dottore prendeva il soprabito e la ventiquattrore,
salutava sua madre e usciva di casa.
Sachiko
le si avvicinò con evidente preoccupazione. Gli occhi di sua figlia erano
vitrei, come se la sua coscienza avesse spiccato il volo verso un cielo che lei
non poteva raggiungere in alcun modo.
“Mi lavo la faccia ed esco” disse Sayu con un tono monocorde più simile ad un androide che ad un essere
umano. Meccanicamente si alzò e andò in bagno. Neanche l’acqua ghiacciata che
le sferzò il viso riuscì a lavarla di quel senso di impotenza e disagio che le
si erano incollati addosso.
Si infilò il giubbetto viola, prese la borsa e
imboccò la porta senza salutare sua madre che versava in un evidente stato di
agitazione e angoscia.
Quando Sayu svoltò l’angolo
di casa, camminando meccanicamente seguendo un percorso ormai imparato a
memoria, non si accorse della presenza di un ragazzo dai capelli biondi,
nascosto dietro un muro, in attesa che lei uscisse.
Note dell’autrice
Premetto
che questa sarà una fanfic molto ma molto breve. Inizialmente
doveva essere di soli 2 capitoli poi mi sono resa conto che per mantenere una
lunghezza costante doveva aggiungerne un altro, per evitare di rendere il
secondo molto più lungo del primo. Per cui è una minilong di soli 3 capitoli.
E’
una storia senza molte pretese, nel senso che non mi aspetto certo orde e orde
di lettrici visto che il rating è poco interessante e la coppia ancora meno, ma
la MelloxSayu mi ha sempre stuzzicato la fantasia e
volevo rendere loro un piccolo omaggio, sperando di trovare qualche altra fan
che come me li apprezzi.
Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.
Questa
storia partecipa alla challenge: Diamo
visibilità a chi non ne ha.