Prince of Persia - the Keeper of Time

di Flaminia_Kennedy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Raid on Alamut ***
Capitolo 2: *** Sands of Time ***
Capitolo 3: *** At the 99th floor ***



Capitolo 1
*** Raid on Alamut ***






Lo chiamavano Leone Rosso, per il coraggio che dimostrava in battaglia e per la criniera di fulvi capelli indomiti.
Principe di un regno in continua espansione, non possedeva sangue nobile come si poteva pensare: quand'era fanciullo, un orfano sporco e disadattato, era stato notato dal Re Ansem in persona per la sua grande bontà d'animo e per l'indomito cuore che gli batteva nel petto. Da quel giorno, il ragazzo era stato preso e cresciuto nella lussuosa corte del Re di Persia, diventandone il figlio adottivo, amato più d'ogni altra cosa.
Il suo nome, un tempo urlato con rabbia per una pagnotta rubata, ora veniva esultato per le strade, spesso al ritorno da battaglie vittoriose, trionfanti.

    Onore a te Axel, Principe di Persia!

Quelle erano le urla di gioia che lo acclamavano, quando passava sul suo destriero attraverso le strade della capitale, per tornare al palazzo dov'era cresciuto e dove aveva imparato a leggere e a scrivere, diventando più erudito di quanto non avrebbe mai pensato in realtà.
Il padre putativo l'aveva eletto a Capitano delle Guardie quando aveva raggiunto la maggior'età e quando la sua abilità con la spada batteva la velocità con cui la sua lingua parlava «Figlio, quest'oggi dovrai accompagnare tuo zio Xemnas verso una nuova conquista che ci porterà nuove ricchezze e nuova popolazione: una città pacifica chiamata Alamut. Non penso avrete dei problemi, te e le tue Guardie» aveva detto il padre posando una mano sulla spalla forte del figlio "Ho intenzione di far visita allo Sceicco Asmar e ad Alamut penso che troverò graziosi doni da portargli. La politica è un continuo scambio di regali, lo sai bene".
Il principe aveva sorriso "siete un ottimo politico padre, allora, fare doni è la vostra specialità" disse Axel e il Re si lasciò andare a uno sbuffo divertito "siccome sarà la tua prima e vera conquista, ti lascerò decidere cosa tenere come trofeo di guerra. Non è da tutti far soccombere una città, per quanto indifesa sia".
Risate generali "ma padre! Devo ancora partire!" aveva risposto il principe e Ansem gli aveva fatto un piccolo occhiolino "dettagli, figlio, dettagli. Ora preparati, tuo zio aspetta solo te e i tuoi uomini, per partire. Avrete un quarto del mio esercito come supporto, in ogni caso" e detto ciò il Re aveva salutato calorosamente Axel prima di ritirarsi nelle sue stanze per fare il lavoro che ogni buon Re deve fare.
Il principe, da parte sua, aveva sfregato insieme le mani mentre usciva dal palazzo e si dirigeva verso il cortile esterno, dove i suoi uomini spesso e volentieri solevano allenarsi "sembrate più soddisfatto del solito, maestà! Che successe, vostro padre ha promesso a tutti noi delle donne con cui divertirci?" aveva ridacchiato Xaldin, il suo secondo in comando.
Axel lo guardò e quando si avvicinò all'uomo, gli agganciò il collo con il braccio per farlo avvicinare e parlargli di nascosto: parecchie guardie erano lì apposta per ascoltarli, curiosi com'erano "ancora meglio amico mio, ancora meglio. Abbiamo una nuova missione, conquistare una città....una città intera, puoi immaginare?" gli aveva detto il principe.
Xaldin rimase in silenzio ad ascoltare, poi ridendo gli aveva dato una pacca in mezzo al petto, così forte da fargli svuotare i polmoni "certo che posso. Nuove donne in arrivo!" aveva detto in risposta facendo girare i verdissimi occhi del suo Principe, poi si era voltato verso le guardie "coraggio, gruppo di cialtroni! Preparatevi a partire e a fare il volere del nostro Re!" aveva esclamato il burbero secondo di Axel.
Nel cortile entrò anche Xemnas, avvolto in fluttuanti vesti scure e pregiate, ricamate d'oro "oh, buongiorno nipote! Vostro padre vi ha informato della nostra piccola gita di piacere?" chiese e Axel rise, camminando assieme allo zio verso le stalle reali, dove il suo sauro preferito si cibava del miglior fieno di Persia "certo zio, sono pronto e la mia spada è affilata" disse.

I preparativi furono lesti e il contingente persiano si mosse nel primo pomeriggio verso la loro meta, le sabbie del deserto spostate e rapite dal vento, muovendosi in turbini che ferivano gli occhi di chi non era accorto abbastanza da distogliere lo sguardo.
C'impiegarono tutto il giorno e parte della fredda notte prima di scorgere, oltre un'alta duna sbiancata dalla luna, le luci tremolanti di Alamut, addormentata e calma.
Le mura che circondavano la città erano alte, ma non rappresentavano un vero e proprio ostacolo, per gli uomini di Axel "zio raccontatemi, perchè proprio una città indifesa come Alamut? Deve contenere tesori veramente inestimabili, per catturare l'occhio bellico di mio padre" aveva chiesto il principe, mentre si erano accampati appena sotto la sommità della duna per evitare che i loro fuochi venissero notati.
Xemnas prese un legnetto e rimestò le braci del loro fuoco, appena fuori la tenda "vedete, nipote carissimo, vostro padre ha scelto Alamut non solo per i suoi tesori, ma anche per la posizione strategica in cui è stata costruita. Il Re avrebbe una difesa più ampia contro gl'imperi dell'ovest, controllando anche Alamut.
Da sempre è stata indipendente, che io ricordi, quindi vostro padre è così interessato" raccontò Xemnas, mentre il rosso osservava le braci e poi su, seguendo il fumo fino a guardare le stelle brillare nella notte tersa che era quella.
Axel sospirò, inspirando gli odori rinvigorenti del deserto, sentendosi riempire di serenità: quella era una notte meravigliosa, sebbene di lì a poco una rappresaglia avrebbe stracciato i silenzi della notte come veli di seta "è bella la nostra vita, zio" disse lui e sentì Xemnas ridacchiare "certo nipote" aveva risposto.
Per il principe non c'era nulla di meglio che sentire la battaglia solleticargli la pelle come la brezza stava facendo in quel momento, assaporare quei momenti di calma, prima che il caos, il sangue e lo stridere delle lame lo rendesse completamente schiavo, come un serpente incantato dal flauto del suo padrone.
"E' ora" disse all'improvviso Xaldin, giungendo nei pressi della tenda regale.
Le luci delle sparute guardie di ronda sui torrioni si erano spente, segno che in quel momento la città aveva abbassato le poche difese che possedeva.
Axel si alzò in piedi agile e nervoso, poi raggiunse la cima della duna controllando verso il basso: come un'isola, una piccola foresta di palme respingeva la sabbia, rendendo Alamut ancora più preziosa di prima "andiamo" disse ai suoi uomini, scavalcando la cresta di sabbia e scivolando agilmente verso il basso.
Giunse silenzioso come un gatto fino alla base delle mura e tastando appena i roccioni si voltò indietro, facendo un cenno con la mano.
Dal buio della foresta arrivarono tre lance a velocità straordinaria, che si conficcarono diramente nelle fessure del muraglione formando una scala.
Era stato lui stesso a ingegnare quel metodo e addestrando i suoi uomini al lancio con la balestra, era riuscito nel suo intento: s'arrampicò agile e una volta sul camminatoio si guardò attorno.
Nessuna guardia in vista. Erano fortunati "forza Xaldin! Dobbiamo aprire i cancelli principali!" disse Axel protendendosi per dare una mano a salire all'uomo, che era meno agile di lui nello scalare "la fai facile tu, magrolino come sei...si vede che sei cresciuto in strada" sbuffò quello, mettendosi le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
Axel ridacchiò, poi si diresse dall'altra parte del camminatoio e guardò verso il basso "nessuno in vista, fa con calma, io mi prendo onore e gloria!" disse lui, facendo un salto verso il basso e atterrando abile prima sul tettuccio in legno di una stalla, poi sul selciato a parecchi metri dalla leva che avrebbe fatto alzare le grate del cancello principale.
Il silenzio era pressante, il principe poteva contare i battiti del proprio cuore, da quanto le sue orecchie fossero vigili a captare i suoni attorno a lui "onore e gloria, puah" aveva sentito borbottare Xaldin, sorrise alla frase e poi si mosse, calibrando i passi e raggiungendo velocemente la leva, sfiorandola con una mano "che i giochi inizino" sussurrò, iniziando a spingere sulla leva, facendo girare così la ruota.
La catena della cancellata iniziò ad avvolgersi attorno a quella sorta di gigantesca carrucola, tendendosi con forti tintinnii e sollevando il cancello "Axel abbiamo visite!" la voce di Xaldin dalla cima delle mura non era per nulla gioiosa, seguita poi dal raschiare di spade che si scontravano e urla di uomini che cadevano dal muraglione "resisti amico, tra poco arriveranno i rinforzi!" aveva risposto Axel con un grido. Doveva solo finire di alzare i cancelli e poi sarebbe potuto correre a prendersi la sua bella dose di malmenate assieme alle guardie speciali del Re di Persia...se solo non avesse notato il soldato che lo stava raggiungendo di corsa con un grido.
Agile il principe lo scartò e quello cozzò contro le leve della carrucola "scusa, me lo tieni un attimo?" chiese Axel, per poi dargli un pugno in mezzo agli occhi scoperti della guardia per farla svenire proprio sotto la leva, bloccando il meccanismo "Xaldin! Dai il segnale, io mi addentro in città!" disse ridacchiando il rosso mentre estraeva la spada e iniziava a danzare con altri soldati, ferendoli per poterli superare.
Come preferiva fare, Axel si trovò qualche appiglio per poter proseguire la sua corsa lungo i tetti, sentendo in lontananza le urla dell'esercito persiano che si abbatteva dalla duna sulla città come un'onda contro lo scoglio, uno tsunami di potenza immane, la potenza della Persia.
Il suo sguardo venne catturato dalla torre più alta del palazzo al centro della città, quello dove probabilmente il Governatore comandava il proprio popolo, dove una luce calda e folgorante proveniva dalle ultime finestre.
Il volto del principe venne percorso da un ghigno felino: che fosse il riflesso dell'oro, colpito dalla luce di molteplici torce? Già Axel s'immaginava un'immensa stanza del tesoro, cumuli d'oro come fossero le dune del deserto, pietre preziose grosse come pugni e poi ancora sete preziose, gioielli raffinati.
Gli venne l'aquolina in bocca e saltando giù da un basso tetto si ritrovò in un vicoletto proprio sul retro del palazzo.
Le guardie erano tutte verso il cancello a tentare di fermare l'assalto dell'esercito, quindi non ebbe problemi a rompere la serratura della porta con un possente calcio ben piazzato e iniziare a correre su per le scale, attraversando corridoi perlopiù deserti e raggiungendo la porta da dove veniva quel luccichio "FERMO!" venne un urlo alla sua sinistra.
Un'alabarda venne calata dove qualche secondo prima aveva la mano, a pochi centimetri di distanza dal pomo della porta e Axel venne obbligato a fare un salto indietro per evitare di rimaner ferito dall'attacco "Non fare un singolo passo, Persiano!" aveva aggiunto la stessa voce.
Il principe allargò gli occhi, nell'osservare il ragazzino che gli si parava di fronte.
La prima cosa che l'aveva ammaliato erano stati gli occhi: due occhi così non li aveva mai visti, erano azzurri come il cielo d'estate, colmi d'ira e di paura, due gemme incastonate in un visino che ancora doveva maturare, coperte a tratti dai capelli biondo grano.
Era conciato in modo strano, gli occhi erano stati contornati di nero mentre pittura dorata era stata utilizzata sul suo volto per creare motivi arabeschi sulla sua fronte e ad una più attenta occhiata anche le mani erano state dipinte in quella maniera, quasi riprendessero le cuciture dorate del vestito candido che indossava.
Il petto era lasciato un po' scoperto fino a metà, mentre indossava un giubbino con le maniche lunghe e larghe, e una fascia color della terra gli cingeva la vita tenendo i pantaloni bianchi su.
Sembrava portare vestiti di qualche taglia più grande del dovuto, comunque, come se quegli abiti non fossero stati fatti per lui "calma, calma" disse Axel tirando su le mani come in segno di resa, sebbene avesse notato il tremore delle mani che reggevano l'alabarda "perchè avete attaccato la nostra città!" esclamò il ragazzino, il suo fiato era corto e Axel pensò giusto in quel momento di reagire, scartando velocemente di lato per catturare con una mano sola i polsi del ragazzino e stringerglieli così forte che il biondo fu costretto a mollare la presa sulla spada, con un gemito di dolore "ah, perfetto!" venne la voce di Xemnas dal fondo del corridoio "la stanza del tesoro. Hai parecchio fiuto nipote" aveva detto ancora, con un sorriso beffardo e senza troppe storie mettendo la mano sul pomo per aprire la porta.
Axel diede un'occhiata dentro rimanendo incantato, proprio mentre il ragazzino si dimenava e cercava disperatamente di raggiungere la porta ormai spalancata "No! Non ti avvicinare!!" aveva urlato ancora, perdendo però la rabbia con cui prima aveva parlato, sostituita ora dalla paura e dall'angoscia.
La stanza era rotonda, con le pareti coperte di veli candidi e non possedeva però le montagne d'oro che il principe aveva immaginato: a creare quella luce dorata e baluginosa era una clessidra, alta due uomini e con la sabbia che scorreva sia in un verso sia nell'altro, in un eterno movimento "guarda nipote, quale prezioso tesoro sei riuscito a farci avere!" disse Xemnas a braccia aperte di fronte alla clessidra luminosa.
Il ragazzino s'era imbizzarrito e tirava la presa di Axel, volendo ritornare nella stanza per cacciare gl'intrusi "e vedo che ti sei trovato uno schiavetto pieno di spirito" aggiunse ancora Xemnas, girandosi e raggiungendo il ragazzo "zio, che cos'è quell'oggetto? E' strabiliante" aveva chiesto Axel, senza riuscire a togliere gli occhi dalla sabbia dorata e luccicante.
Lo zio prese il volto del biondo tra le dita e lo fece guardare nella sua direzione "niente che possa interessarti..." aveva risposto, mentre guardava i simboli sul ragazzino.
Esatto, era quello che stava cercando...doveva solo trovare la chiave "se trovi qualche altro oggetto vieni pure a riferirmelo. Oramai la città è in nostro possesso, stiamo racimolando il possibile da portare a palazzo per la visita dello Sceicco" continuò a parlare Xemnas senza smettere di osservare il ragazzino.
Probabilmente l'aveva lui, l'oggetto che gl'interessava "portalo ai piani inferiori, finirà insieme agli altri. Gli schiavi e i servi vengono sempre..." non riuscì a concludere la frase che il biondo ragazzo gli sputò in faccia, rabbioso come un serpente.
Axel ridacchiò malizioso a quel gesto, ma il fratello e consigliere del Re non parve altrettanto compiaciuto "pittosto la morte!" aveva sibilato il ragazzino, venendo poi colpito da uno schiaffo così forte che lo strappò dalle mani del principe.
Axel non pensò che lo zio potesse essere così manesco con un ragazzino "forza principe, portatelo con gli altri..." rimbeccò nuovamente Xemnas, prima di chiudersi in quella stanza.
Il biondo rimase a terra, una mano a proteggere la parte offesa del volto e gli occhi brillanti di lacrime di rabbia e di disperazione, che fecero dispiacere il Leone Rosso di Persia "forza, ti aiuto" disse piano dopo qualche secondo, avvicinadosi al ragazzino.
Quello si alzò di scatto, come oltraggiato da quelle parole, e lo osservò con i pugni chiusi e la guancia arrossata "aiutarmi...sei una rovina per il mondo!" aveva urlato, mentre nuovamente le mani del principe si serravano sulle sue braccia.



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Angolo dell'Autrice

Eccomi a voi, popolo lettore! :D
Era un po' che non mi facevo sentire, brutto calo nella scrittura, perdonatemi v.v
Sto iniziando questa fic perchè...amo Dastan >3< e Jake Gyllenhaal, così voglio unire il mio attore preferito con il mio personaggio preferito, ditemi che ne pensate! XD
Ah, si, la pic in cima alla storia con tanto di Super Macho Axel l'ho fatta io per intero xD

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Capitolo 2
*** Sands of Time ***






La carovana di soldati aveva fatto ritorno, con ben poche perdite e parecchi cavalli ricolmi d’oro.
Un carro per il trasporto di bestiame da macello era stato invece riservato per il trasporto dei prigionieri, perlopiù donne da usare come serve e uomini giovani, che sarebbero presto diventati nuova forza lavoro per la capitale e per lo Sceicco.
Anche io ero stato stipato in quel carro ed ero il più agitato di tutti: stringevo con forza le mani attorno alle assi di legno e allungavo il collo, cercando di vedere attraverso di esse dove fosse finita la Clessidra.
Sapevo ch’era stata presa assieme agli altri -ben pochi veramente- inestimabili tesori di Alamut, ma non riuscivo a vedere la carovana fino alla sua coda. Il mio cuore batteva così forte in petto da spezzarmi le costole, la Clessidra non doveva essere aperta “ancora un po’ e avrai il collo più lungo di quello del mio cavallo” venne una voce da fuori e i miei occhi si posarono sul volto spaccone del Principe.
L’osservai con rabbia, come se avessi potuto ucciderlo con lo sguardo: era stato lui l’artefice della mia disgrazia “tu non sai che cos’avete fatto!” esclamai subito, facendo tremare le sbarre di legno mentre mi buttavo su di esse, sul lato più lungo del carro.
Qualche scheggia si piantò nella carne dei miei palmi, ma non ci feci caso, ero troppo impegnato a maledire quel Principe viziato e guerrafondaio che aveva ridacchiato al mio grido d’ira “certo che lo so, abbiamo raccolto un bel po’ di materie prime…il regno non si costruisce da solo” aveva risposto Axel con un ghignetto soddisfatto sulle labbra, per poi dare una tallonata nei fianchi del suo cavallo per accelerare il passo e raggiungere la testa della carovana.
Lo guardai andare via, lasciandomi cadere ad occhi chiusi sulle mie ginocchia, in un impeto d’impotenza, assecondando il dondolare del carro finchè non fu fermato di fronte a un palazzo, il cui lusso faceva impallidire cento volte quello di Alamut.
Alzai gli occhi, aprendo la bocca dallo stupore mentre guardavo i giardini fioriti a gradoni tutt’attorno alla reggia, l’acqua che stillava limpida dalle fontane mi fece render conto di quanto arida fosse la mia lingua “su forza, scendete!” disse una voce dal retro del carro, ch‘era stato aperto.
L’uomo era ancor più possente del Principe di quel regno, i capelli lunghi e scuri come la notte erano raggruppati in una coda alta, suddivisa in altrettante ciocche. I suoi occhi mettevano paura con un solo sguardo “anche tu ragazzino, muoviti!” disse, quando esitai a scendere dal carro.
Venni spintonato assieme ad altri miei compaesani fin dentro il palazzo, camminando su tappeti raffinatamente elaborati, tendaggi della miglior seta e infine la Sala da Giorno, una stanza grande quanto una cattedrale, con il soffitto a cupola con finestre intarsiate e dipinte, con foglie d’oro che ricoprivano i particolari più raffinati.
La stanza era stretta da una lunga serie di colonne in candido e purissimo marmo e a terra, i tappeti ricoprivano quasi tutto il pavimento anch’esso di marmo più pregiato.
Venimmo raggruppati da una parte, accerchiati da una manica di guardie statuarie e silenziose.
Sentii il cuore venirmi meno però quando vidi qualcosa coperto di velluto violetto, alto due uomini e circondata da un alone di mistero: sicuramente era la Clessidra del Tempo “Maestà! Che piacere vedervi!” disse un uomo panciuto e dai capelli un po’ spettinati, vestito con un enorme turbante adornato di una gemma preziosa grossa quando un pugno, c’era entrato dopo di loro.
Il Re, dal volto buono nonostante le sue azioni bellicose, aveva abbracciato come un amico l’uomo paffuto e con un ampio gesto della mano gli aveva indicato la stanza “mio caro Sceicco, ho parecchi doni qui, per ringraziarti della tua visita” aveva detto il regnante.
Inghiottii a vuoto, sentendo la frenesia e la paura stringermi la gola fino a soffocarmi “schiavi e serve per rinfoltire la tua reggia e qualcosa che va ben aldilà dei tuoi più sordidi desideri” aveva continuato il Re.
In quel momento entrò quello spaccone del Principe, che pareva esser appena tornato da una passeggiata invece che da una battaglia, fresco e riposato come sembrava.
Il telo venne rimosso da sopra l’oggetto da un paio di mani abbronzate e la Clessidra sfolgorò in tutto il suo pericoloso splendore, le sabbie dorate brillavano ancora, ma il ciclo ininterrotto pareva esser stato scombussolato dal viaggio.
Sfortunatamente, la Clessidra era stata persino capovolta, in modo da mostrare l’elaborato disegno sul vetro, simile ad una serratura “che cos’è, carissimo amico mio?” chiese lo Sceicco, completamente rapito dalla luce e dal movimento della sabbia.
Anche il Re pareva interessato a sapere che cosa fosse, così fu il consigliere il primo a spiegare cosa fosse quell’oggetto tanto importante “la Clessidra del Tempo, avrete sentito parlare di essa in alcune leggende” disse “il nostro buon Re ha deciso di donarvela come segno di pace e amicizia, affinché perduri e superi i limiti mortali del tempo” i salamelecchi si protrassero ancora per qualche minuto, con lo Sceicco che non spostava gli occhi dalla sabbia luccicante.
Io invece temevo per quello che sarebbe potuto succedere: ad Alamut, ovviamente, custodivamo anche la chiave per la Clessidra, un Custode più anziano e abile di me era stato posto alla sua guardia.
Un brillio diverso però mi fece voltare la testa dallo spettacolo baluginante della sabbia che si muoveva vorticosa oltre il vetro pulito della Clessidra: erano gli occhi verdi del Principe, che oltre a guardarsi pigramente attorno sembrava fermare le sue iridi su di me molto più spesso del necessario.
Cos’aveva da guardarmi a quel modo? Lo avrei ucciso, se solo non mi avessero passato prima a fil di spada “e lì che cos’avete, fratello?” sentii il Re parlare al consigliere.
Quella frase staccò gli occhi insistenti del Principe dalla mia persona, fortunatamente, per poi farli ricadere nelle mani dello zio “in effetti è particolare, l’oggetto che tenete in mano” disse il Principe.
L’oggetto tanto conteso era ciò che più temevo, la chiave che poteva aprire il sigillo della Clessidra: all’apparenza simile a uno spunzone dorato, era lungo due palmi, di cui uno completamente occupato dall’elsa in cristallo elaborato, anch’esso ripieno della stessa sabbia che riluceva nella Clessidra “sapete zio? Non ho ancora scelto il mio trofeo di guerra…e quello pare un ninnolo molto grazioso, magari da regalare alla mia prima consorte” continuò il rosso, mentre si avvicinava ancora al consigliere.
Quello pareva tutto tranne che propenso a consegnargli la Chiave “orsù Xemnas, volete negare a vostro nipote il suo primo trofeo? Ricordate bene quando nostro padre ci lasciò scegliere il nostro primo premio” aveva detto il Re in soccorso del figlio e allora quello sorrise al fratello e porse la mano per consegnare l’oggetto “scommetto però che non sapete nemmeno cosa possa fare, vero nipote?” disse.
Feci un passo avanti, sapendo quello che stava per succedere, ma la lama di una guardia si poggiò fredda sul mio petto semi-scoperto per evitare di farmi muovere oltre “quella è la Chiave che apre la Clessidra…ditemi Sceicco” disse poi Xemnas, guardando l’uomo panciuto che stava osservando il vetro pulito e intoccato del suo nuovo regalo “vi andrebbe di toccare con mano le Sabbie del Tempo?”.
All’ospite non sembrò manco vero e il Re di Persia fece cenno al figlio di proseguire con la dimostrazione “no…” mi scappò dalle labbra, mentre vedevo il braccio del Principe alzarsi verso le intarsiature d’oro dove la Chiave avrebbe subito trovato il suo posto “No! NON LO FARE!!” esclamai ancora, cercando di correre via dal gruppo di schiavi tenuti sott’occhio.
Il filo di una sciabola mi ferì lievemente quando sgattaiolai via, ringraziando le mie ridotte dimensioni, e mentre correvo attraverso la stanza che sembrava essersi d’un tratto ingigantita, la mano di Xemnas era arrivata a velocizzare le azioni del nipote, affondando con un sol colpo la punta della chiave nel cristallo trapassandola come burro.
Una luce abbagliante s’accese dentro la Clessidra, la sabbia prese a roteare più velocemente e un’onda d’urto venne scagliata tutt’attorno, facendomi finire gambe all’aria come quasi tutti i presenti “FERMATI!” urlai ancora, mentre slittavo sul marmo nell’alzarmi di nuovo “NON ANDARE OLTE!” ma il consigliere si voltò a guardare la stanza con un sorriso insano sul volto “posso fare anche da me adesso” disse spingendo da parte il Principe, confuso da quella situazione a lui veramente estranea.
Probabilmente non aveva mai sentito parlare della Clessidra del Tempo, tantomeno della leggenda che l’avvolgeva.
Mi gettai addosso all’uomo, allungandomi per afferrare la Chiave e strappargliela di mano “fila via, marmocchio!” mi spintonò giù dai tre scalini di marmo che portavano alla piccola piattaforma dov’era stata posta la Clessidra, come ad esser venerata, e mentre io tenevo ben stretta la Chiave tra le dita, vidi il cristallo della Clessidra venarsi e la sabbia uscì d’un botto, partendo in direzione dei presenti.
L’aria si fece cartavetro da respirare, così mi coprii la bocca con una delle lunghe maniche del mio vestito “ora vedremo chi sarà Re!” disse Xemnas, rivolto al fratello.
Il Re di Persia, lo Sceicco, le guardie e gli schiavi stavano urlando dal dolore che la sabbia faceva provare loro, bruciandone la carne viva fino all’osso e possedendo i loro corpi, scorrendo al posto del sangue “dammi la Chiave” disse Xemnas, mentre un’altra ondata di sabbia minacciava di raggiungermi “dammela, su…forse ti salverai” continuò allungando la mano.
Pareva immune alla sabbia, non seppi spiegarmi il perché “DAMMELA!” “NO!” il mio grido fu attutito dal rombo del soffitto che stava crollando e non potei vedere più niente, perché il pavimento sotto le mie gambe e le mie mani cedette di schianto, facendomi cadere di botto nel buio di un’altra camera sottostante.
Altre pietre e massi di marmo seguirono quello su cui ero caduto io e il buio si tramutò in incoscienza.
Persi i sensi sentendo nelle orecchie la risata malvagia del consigliere e il suono frusciante della sabbia come nugoli di cavallette voraci.

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Capitolo 3
*** At the 99th floor ***






Aprii gli occhi quando sentii una voce lontana.
Era attutita dai molti massi che miracolosamente mi erano caduti attorno creando una strettoia dov’ero riuscito a sopravvivere, ma potevo chiaramente sentire qualcuno parlottare tra sé e sé “maledetto Xemnas! Padre…non sono riuscito a proteggervi. Spero che qualcuno nel castello sia stato risparmiato” sentii dire.
Stringendo a me la Chiave, nascondendola poi nella fascia che avevo in vita, strisciai nel cunicolo finchè non raggiunsi un enorme frammento di marmo che mi bloccava l’uscita “Sono qui! Aiuto!” esclamai, battendo un pugno sulla lastra.
Era difficile respirare a causa dello spazio ristretto e sentii un dolore sordo venire dalla schiena, dove avevo picchiato nella caduta.
Chissà che livido enorme stava nascendo “sei umano?” chiese la voce dall’altra parte e i miei occhi rotearono “no sono un mostro…certo che sono umano! Chiunque tu sia, aiutami ad uscire! Non respiro!” tentai di urlare più forte possibile, gonfiando il petto e occupando praticamente tutto il posto disponibile in mezzo a quelle macerie “sta indietro, d’accordo?” la voce si era spostata da un lato e qualche secondo dopo sentii la roccia sopra di me vibrare appena per i passi di qualcuno.
Della polvere mi scese negli occhi, ma mi costrinsi a guardare la pietra venir spostata molto lentamente dal principio, poi superata una certa angolazione cadde da sola assecondando la gravità con un tonfo che mi fece tremare il cuore “ecco!” riconobbi la voce, ora che l’aria passava liberamente in mezzo alle rocce e una volta strisciato fuori incontrai a poca distanza dal mio viso un paio di verdissimi occhi luccicanti d’intelligenza “cosa?!” mi misi in piedi barcollante “con tutte le persone che potevano sopravvivere…proprio tu!” esclamai additandolo con rabbia.
E la mia ira crebbe, quando nacque un sorrisetto malizioso sulle labbra del Principe “potrei dire la stessa cosa ragazzino” mi rispose furbetto “allora…che cos’è stato tutto quel trambusto? Che cos’ha fatto la sabbia?” mi chiese, trasformando abilmente il suo sguardo sornione in una stilettata, come se fosse stata colpa mia.
Incrociai le braccia sul petto “non hai mai sentito parlare della Clessidra del Tempo? Sabbie del Tempo?” dissi ironicamente “Hai liberato le Sabbie del Tempo, ora siamo tutti maledetti a meno che io non metta a posto il caos che hai creato!” aggiunsi, mascherando con l’acidità la paura che mi aveva ghermito il cuore.
Si, non c’era altra soluzione se non quella. Fortunatamente avevo nuovamente la Chiave, che mi promisi di proteggere fino alla morte “E io avrei liberato il caos? E’ stato Xemnas a ficcare quel coso” m’indicò la vita, dove spuntava l’elsa di cristallo della Chiave “in quell’affare” indicò allora il soffitto buio, bloccato dalla piramide di rocce che aveva rischiato di schiacciarmi come un insetto.
Sbuffai, prendendomi la fronte con una mano, chiudendo gli occhi.
Pensa, pensa…cosa devo fare? Ricordati gl’insegnamenti…
Il Principe fece un passo avanti “e come aggiusteresti tutto, ragazzino?” mi chiese e lo guardai “sicuramente non rimanendo qui…e non mi chiamo ragazzino. Sono Roxas” gli dissi.
Lui sorrise, strano vedere un sorriso in circostanze simili, e mi batté una mano sulla spalla mentre mi passava accanto “piacere di fare la tua conoscenza, Roxas, sebbene conoscerti in questa situazione sia…particolare” mi aveva detto “su, andiamo, voglio controllare se qualcuno nel castello sia sopravvissuto”.
Quella frase mi accese qualcosa nella testa: sapevo come rimediare, solo che mi mancavano le abilità per farlo “io preferirei uscire di qui il più in fretta possibile…e non pensare che ti chiamerò Principe o Altezza Serenissima” dissi scocciato.
Non ricevetti un nome, solo una risatina leggera e sbruffona che mi fece venir voglia di alzare una mano e tirare con quanta forza avessi quei capelli rossi e strambi verso il pavimento “bene allora, Roxas” disse calcando per bene il mio nome “se uscire dal castello è il primo passo per rimediare, ecco l’uscita” indicò il balcone oltre la finestra alla mia sinistra.
Spalancai gli occhi per la paura e per lo shock ricevuto: in effetti era quella l’unica uscita dalla stanza, altrimenti bloccata dalle macerie cadute poco prima…l’unico problema era che ci trovavamo quasi in cima all’altissimo maniero e io ero dannatamente poco attratto da simili altezze.
Quello sciagurato del Principe invece era saltato sul parapetto del balcone e mettendosi con le gambe a cavalcioni mi aveva lanciato un sorriso malizioso “che fai, non vieni? E’ stata una tua idea, dopotutto” mi aveva chiesto.
Scossi forte la testa “non mi arrampico come una scimmia, io” risposi acidamente, sentendo la paura rammollirmi le gambe alla sola idea di affacciarmi da quel balcone “piuttosto resto qui a marcire”.
Sapevo che era una minaccia vana, ma non riuscivo nemmeno a immaginarmi fare un’azione così…poco consona “d’accordo allora, tanti saluti” disse scavalcando il parapetto e sparendo oltre di esso.
Dannazione, non mi stava lasciando veramente lì, vero?!
Corsi verso il parapetto per chiamarlo -in un qualche modo-, ma spuntò appena poggiai le mani sul corrimano in pietra “scherzetto” mi disse sornione, appeso alle colonne in pietra che formavano il parapetto, come se non gli costasse nessuna fatica, poi una sua mano mi afferrò per i vestiti e mi tirò in avanti, obbligandomi a scavalcare la balconata e posare i piedi su uno stretto cornicione che faceva il giro del palazzo.
Urlai, non potei farne a meno, e mi tenni al muro come meglio potei dato che era liscio e senza grandi imperfezioni “Cadremo!!” esclamai ancora con gli occhi serrati per la paura, ma la risposta del rosso fu una lieve risata alla mia destra “il trucco è non guardare giù, memorizzalo” disse lui tranquillo come se stesse per camminare su un largo viale.
Una folata di vento mi artigliò i vestiti laceri e sporchi, gonfiandoli per scoprirmi appena il petto, come se avesse voluto buttarmi giù dal mio infinitamente piccolo rifugio “la fai facile!” urlai di nuovo, cercando di guardare nella sua direzione, vedendolo iniziare a camminare agile lungo il cornicione, il petto contro il muro e la testa voltata a guardare dove metteva i piedi.
Procedeva un po’ a granchio, ma per quanto ridicolo sembrasse, mi pareva sempre migliore di quello che avrei potuto fare io, ovvero un bel niente.
Non fece nemmeno una smorfia quando saltò un pezzo di cornicione crollato, per poi calarsi verso quello sottostante.
Chiusi gli occhi e mi girai lentamente per assumere la stessa posizione del rosso, riuscendo a respirare solo quando fui praticamente abbracciato al muro.
Sentivo il cuore battermi così tanto nel petto che pensavo sarebbe esploso da un momento all’altro “su gattino arruffato! Scendi!” sentii gridare il Principe sotto di me.
La curiosità vinse qualche secondo sulla mia paura e gettai un’occhiata verso il basso: c’era un’altra terrazza sotto di me, dove il giovane uomo stava in piedi a guardarmi, ma i miei occhi proseguirono oltre, vedendo il terreno maledettamente lontano e gli alberi che mi erano parsi enormi ora erano grandi come il mio pollice.
In quell’attimo un brivido mi percorse la schiena: avevo guardato giù! Dannazione, avevo guardato giù!
Mi agitai così tanto che un piede scivolò oltre il cornicione e dopo qualche secondo in cui il mio corpo sembrava quasi aver raggiunto di nuovo l’equilibrio, sentii il vento metter mano e l’ennesima volata mi sbilanciò all’indietro, staccandomi definitivamente dal muro.
Caddi all’indietro, sentendo l’aria tapparmi le orecchie e mentre aprivo la bocca senza riuscire a gridare, pensavo che sarei morto, anche se fossi atterrato sulla balconata sottostante: ero troppo lontano, mi sarei spiaccicato sul marmo come un moscerino schiacciato da una pantofola.
Pensavo già di morire con la vergogna di non esser stato un buon guardiano, ma inaspettatamente all’impatto non colpii la roccia preziosa del balcone, né tantomeno quello elaborato del corrimano, come mi aspettavo anche di fare.
Mi accorsi di essere ancora vivo quando sentii una voce nelle orecchie dire “Preso, micio!” con tranquilla allegria.
Aprii gli occhi che avevo chiuso nel terrore di cadere e mi ritrovai a fissare i suoi occhi verdissimi che altrettanto fissavano i miei “pensavo che i gattini sapessero arrampicarsi” mi sfotté mentre il suo sorriso, da sincero e bellissimo si trasformava in un ghigno malizioso.
Mi aveva preso, ero caduto letteralmente nelle sue braccia e assunsi in volto il colore del più violento dei tramonti, quando notai che mi stava tenendo ancora sollevato, con un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena.
Il mio cervello sembrò improvvisamente liberarsi dalla morsa del panico per incominciare a ingranare e mi dimenai come una furia “lasciami, depravato senza cervello!!” urlai, riuscendo miracolosamente a toccare il marmo della balconata coi piedi, il volto ancora più arrossato e caldo.
Oh, che vergogna!
La sua risata accentuò se possibile l’imbarazzo che provavo “me ne devi una, micetto, ti ho salvato la coda” disse con un sorriso furbetto, poi indicò l’unica porta che dava sulla balconata “quella se non sbaglio è la strada per la mensa delle guardie.
Siamo quasi al piano terra micio…” “SMETTILA DI CHIAMARMI COSI’!!”.
Avevo perso la pazienza, avevo gridato con le fiamme negli occhi dandogli un pugno molto poco efficace nel suo fianco.
Sbuffai come un toro alla sua ennesima risata “…hai fatto proprio un bel volo”.
Impallidii a quella frase “usciamo di qui…” mormorai prendendomi gli occhi con una mano mentre il Principe mi scombussolava i capelli con un colpo di mano “sissignore!” aveva detto.

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