Quel maledetto lunedì..

di Flaqui
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Infermeria ***
Capitolo 3: *** In fondo Lily non aveva tutti i torti... (parte 1) ***
Capitolo 4: *** In fondo Lily non aveva tutti i torti... (parte 2) ***
Capitolo 5: *** Attenzione a ciò che desideri... ***
Capitolo 6: *** Il suono del silenzio ***
Capitolo 7: *** Disordine ***
Capitolo 8: *** Autoconservazione ***
Capitolo 9: *** Falla nel cielo... ***
Capitolo 10: *** Il venerdì di James Sirius Potter ***
Capitolo 11: *** Il sonnellino di bellezza di Lily ***
Capitolo 12: *** La ragazza nuova ***
Capitolo 13: *** Suddenly I see... ***
Capitolo 14: *** The world is not for princess, Rosie... ***
Capitolo 15: *** Le selezioni ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio ***


 

Quel maledetto lunedì

Attenzione ai desideri che esprimi, potrebbero avverarsi…

 

Prologo
Come tutto ebbe inizio..

 

Albus odiava il lunedì.
Odiava il lunedì più di ogni altra cosa, più della sfilza di ammiratori che seguivano Lily a solo quattordici anni, più delle partite di Quidditch in cui gli veniva sempre ricordata la bravura di James, più di una lezione di pozioni in cui Lumacorno si lanciava in racconti nostalgici sulle imprese del suo glorioso padre, più degli infiniti battibecchi di Rose e Scorpius.
Odiava il lunedì perché significava ricominciare, riprendere tutto da capo. Doveva riprendere a studiare, ad allenarsi, a cercare di tenere alto l’onore della sua ingombrante famiglia.
Odiava il lunedì perché aveva un sapore amaro, dopo la freschezza del sabato e la dolcezza della domenica.
Ogni lunedì era un incubo.
Ma non si sarebbe certo aspettato che quel lunedì sarebbe stato di gran lunga il peggiore della sua vita.

***


Albus non credeva nel destino. Odiava Divinazione, materia inutile quasi quanto la professoressa che la insegnava, Miss Brown.
Era una tipa eccentrica, sulla quarantina, che vestiva in modo strano, tutte gonne di pizzo o di tulle e che si legava i capelli con una bandana azzurro stinto.
Aveva per quella materia un’avversione comparabile quasi a quella per i lunedì.
Così come era grande la sua avversione per tutto ciò che la riguardasse. Destino, fato e sciocchezze simili comprese.
Purtroppo Lily non condivideva questa sua idea e amava, il lunedì mattina, prima di recarsi alla sua lezione preferita (Divinazione appunto), leggere ad alta voce tutto ciò che aveva, a suo dire, abilmente, predetto.
In quei momenti, mentre Albus la fissava declamare ad alta voce e con tono fintamente drammatico il modo in cui avrebbe sposato un milionario e sarebbe vissuta felice e contenta nel castello delle favole, ringraziava di non dover sedere accanto a lei al tavolo dei Grifondoro.
Ovviamente, anche se ad una certa distanza, la voce acuta e squillante di sua sorella lo raggiungeva e la mano prudeva insistentemente e gli chiedeva quasi come una supplica di afferrare la bacchetta e schiantarla.
Di solito però ci pensava Rose, soprattutto quando il maritino perfetto di Lily iniziava a prendere le sembianze di Scorpius.
Che sua sorella fosse innamorata di Malfoy lo sapeva tutta la scuola. Lei però faceva finta di credere che la sua cotta fosse ancora segreta e sibilava irritata se tiravi fuori l’argomento.
A Scorpius piacevano tutte, tutte, nessuna esclusa, e ci provava con tutte, tranne che con tre ragazze. E tutte e tre erano di famiglia.
Dominique Weasley. Intoccabile per Scorpius, non perché il biondino non ci avesse fatto un pensierino, ma solo perché la ragazza, sempre con il suo carattere glacialmente elegante gli aveva dato un sonoro due di picche.
Lilian Luna Potter. Lily era amata e adorata da tutti i ragazzi della scuola. Anzi, Albus era sicuro che anche la maggior parte dei suoi amici, bestioni del settimo anno, avrebbero fatto carte false per lei. Ma Malfoy, unico oggetto del suo desiderio, era, tragico scherzo del destino, l’unico immune al suo fascino.
Rose Weasley. La rossa e il biondo si odiavano con passione. Si, il loro odio era una passione, come il Quidditch o la scuola. Era una sfida continua, un litigio, un odio implacabile, in cui entrambi mettevano l’anima.
In fondo Albus era contento che Scorpius non fosse interessato alle tre donne di famiglia che apprezzava e amava di più. Anche perché, se mai si fosse avvicinato alla sorella gliel’avrebbe fatta pagare.
Si, Scorpius era il suo migliore amico ma, come diceva la regola numero 3, sottoparagrafo 1 del loro contratto di amicizia “mai innamorarti della sorella/cugina/parente del tuo migliore amico o quest’ultimo sarà autorizzato a schiantarti o fartela pagare”.
-E poi, dopo aver osservato la sesta Casa di Venere sono arrivata alla conclusione che…- Lily aveva iniziato, a quanto pare.
-Oh ma per favore!- l’esclamazione esasperata di Rose, che lasciando cadere il cucchiaio nella tazza di cereali si era portata le mani fra i capelli, fece sogghignare Scorpius.
Albus si girò a guardarlo, assonnato dalla levataccia mattutina, e lo vide scuotere la testa, mentre con un sorrisetto che poteva essere facilmente scambiato per un ghigno, si spalmava della marmellata sul toast.
Lily si alzò in piedi, irritata, raccolse la sua borsa e se la mise a tracolla. Poi a grandi passi si avvicinò al tavolo dei Serpeverde e si lasciò cadere con grazia davanti al fratello.
-Buongiorno Scorpius- esclamò, la voce piena di adorazione –Al- aggiunse poi.
Albus grugnì qualcosa che poteva passare come un buongiorno ma che poteva anche significare sparisci; Scorpius si limitò ad un cenno della testa, mentre addentava il toast. Lily per un attimo fissò il ragazzo, con fare ammaliato poi si riscosse e si girò verso Albus.
-Al, indovina che cosa ho predetto ieri?-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, roteandoli, poi giocherellando con il tovagliolo gettò fuori la frase che avrebbe dato inizio a quell’orribile giornata.
-Che ti sposavi con un ragazzo, moooolto simile a Scorpius, ma che, per l’amor di Dio! non era lui e che ti trasferivi lontano così da non scocciarmi più?-
Lily lo guardò, spiazzata, mentre lanciava un occhiata imbarazzata a Malfoy, che però non sembrava avesse ascoltato e guardava qualcosa dall’altra parte della Sala.
Poi però tornò a guardare il fratello. Albus sentì l’improvviso bisogno di correre via tanto era furiosa e assolutamente terrificante l’occhiata riservatagli. Quando lo guardava così gli ricordava tantissimo sua madre quando era incazzata.
-No, ho predetto che passerai una giornata di merda- proferì, e non c’era nulla di teatrale nella sua voce.
Poi, così come era venuta, si eclissò, mulinando i lunghi capelli rossi, sotto lo sguardo di apprezzamento di Andrew Zabini, e sculettando con stile, uscì dalla Sala Grande.
Albus tornò a fissare i suoi cereali, rimuginando.
“no, ho predetto che passerai una giornata di merda”
Albus non lo sapeva ma per la prima volta sua sorella ci aveva azzeccato in pieno.




Angolo Autrice

Ciao a tutti!
Mi chiamo Francesca e questa è la prima ff su Harry Potter che scrivo, quindi siate clementi..
So che la descrizione non è un granchè e che probabilmente (diciamo pure sicuramente) il capitolo non è dei migliori ma mi serviva a introdurre un pò i personaggi e il loro modo di essere..
Anche se il protagonista è Albus, ci saranno molti pezzi su Rose/Scorpius, su Lily (personaggio che io adoro indiscutibilmente) e su James...
So che non è una delle migliori, ma spero davvero che commentiate, perchè nulla mi deprime di più se non vedere quello 0 recensioni scritto lì..
Ringrazio davvero moltissimo alcune delle più grandi scrittrici di questo "reparto" perchè anche se non lo sanno mi hanno ispirata... Grazie mille davvero..
FRa

DEDICATO AD ALEXIEL94 CHE MI SOSTIENE SEMPRE... ci vediamo dopo per il rogo di Alice?
ahahah

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Capitolo 2
*** Infermeria ***


Importante (almeno per me) perfavore leggete  la nota sul fondo dove fra l'altro ci tenevo a ringraziare tutti..


1 - Infermeria

 
Avril Gins non aveva l’aspetto di un infermiera. Diciannove anni appena compiuti, un diploma di Medimagia in una mano e tanta buona volontà nell’altra era stata presa all’inizio dell’anno come assistente della, ormai decrepita, Madama Chips.
Benché il nuovo preside, Mr Harris avesse più e più volte suggerito all’anziana signora di prendersi “una pausa” al di fuori delle mura scolastiche, lei aveva sempre rifiutato, ribadendo che, mai, mai, nemmeno alla fine del mondo avrebbe lasciato la sua infermeria in mano ad un estraneo.
Non aveva perciò accolto molto bene l’arrivo di questa “ragazzina” che, non ostante la giovane età, sembrava cavarsela molto bene. Avril ricordava con un brivido i suoi primi giorni di lavoro, quando sentiva gli sguardi colmi di disprezzo della vecchia sulla sua schiena e la sua voce pronta a correggerla su ogni minima cosa. Piano piano però le cose andarono meglio.
Ormai conosceva quasi tutti gli studenti e ce ne erano alcuni che, forse per il fatto che passavano nei letti dell’infermeria la maggior parte del loro tempo, le erano simpatici.
Avril aveva scelto di studiare Medimagia per aiutare il prossimo, perché le piaceva la sensazione che provava ogni volta che donava se stessa agli altri.
Appena uscita dai corsi post-Hogwarts aveva però scoperto di non poter fare granché. Aveva chiesto al San Mungo se avessero bisogno di infermiere, dottori, tirocinanti ma niente. Dovunque provasse, in qualunque reparto, tutti le ripetevano che per quanto avesse conseguito degli ottimi risultati non potevano, o volevano, prendere qualcuno alle prime armi, e che doveva fare almeno un po’ di esperienza prima di essere accettata.
Avril aveva sbuffato. Come faceva a fare esperienza se nessuno le dava un opportunità? E poi come una manna del cielo, quel lavoro di assistente all’infermeria di Hogwarts.
La ragazza sorrise, e stiracchiandosi dopo la lunga giornata si gettò sulla poltrona, beccandosi un occhiata di biasimo di Madama Chips, che borbottò qualcosa di molto simile a “gioventù bruciata” o “ai miei tempi si che si lavorava”.
Avril la ignorò e afferrò la Gazzetta del Profeta che aveva recuperato in Sala Grande.
Sospirò.
L’infermeria era uno dei suoi posti preferiti perché c’era sempre quel silenzio, quella tranquillità e quella...
-Attento a dove metti i piedi Malfoy!-
-Sei tu che sembri incapace di camminare in linea retta Weasley!-
…pace.
Avril, rassegnata all’idea che quella sera non sarebbe riuscita a rilassarsi nemmeno per un secondo, si tirò su stancamente, e corse a vedere chi fosse il povero malcapitato che era incappato nell’ira dei due ragazzi.
Lo spettacolo che le si parò davanti aveva un che di pietoso e allo stesso tempo di esilarante.
Scorpius Malfoy, il cravattino tutto storto e la camicia stropicciata, sbuffava, o per meglio dire soffiava, nel vano tentativo di sollevare il ciuffo di capelli che li ricadeva sugli occhi. Rose Weasley al suo fianco, anche lei con la camicia stropicciata e i capelli aggrovigliati, fissava il biondino accanto a lei con uno sguardo omicida. A completare l’allegra scenetta c’era il giovane Potter, che i due tenevano per le braccia, svenuto, con la testa che ciondolava in avanti.
-Per l’amore del cielo Weasley, Malfoy!- sbraitò cercando di non scoppiare a ridere –Possibile che siete sempre qui?-
E in effetti come domanda era in un certo senso giustificata. I due non facevano altro che litigare e la maggior parte delle volte finivano o con il darsele di santa ragione, o con inscenare un duello sul tavolo della Sala Grande. In tutti e due i modi finivano entrambi in punizione e poi da lei per rimarginare le ferite varie subite nello scontro.
Chiunque cercasse di separarli faceva poi una fine anche peggiore perché oltre a beccarsi due incantesimi in contemporanea (o due pugni se la lotta avveniva alla babbana) risultava sempre in peggiori condizioni dei duellanti veri e propri.
-Mm.. vediamo fatemi indovinare- esclamò poi, mentre faceva lievitare Albus su un letto –Voi due stavate litigando, lui ha cercato di separarvi e si è beccato due..?-
I ragazzi si guardarono per un secondo, imbarazzati. Poi si limitarono a sussurrare un “Stupeficium”.
Avril scosse la testa.
-Povero Potter- commentò poi, si girò e prese a rovistare nella dispensa alla ricerca dei sali.
Con la coda dell’occhio vide Rose dondolarsi sui talloni, indecisa sul da farsi. Avril potè vedere il lavorio del suo cervello mentre decideva il da farsi. Da una parte voleva restare per assicurarsi che il cugino stesse bene, dall’altra non voleva restare ancora con Malfoy. Avril sorrise apertamente, reprimendo un ghigno, quando si accorse che i pensieri del biondino, invece erano ancora incentrati sui suoi capelli.
-Ehm.. io.. io vado a prendere da magiare per Al- esclamò alla fine Rose.
-No io vado a prendere da mangiare per Al- la corresse Scorpius.
Avril scosse la testa, mentre liberava il letto accanto a quello di Potter, prevedendo che ben presto avrebbe dovuto occuparsi di un nuovo ferito.
 
Stranamente quando i due tornarono erano ancora interi, anche se un po’ traballanti sotto il peso dei loro piatti stracolmi di cibo.
Rose portava un enorme torta al cioccolato in una mano e una coppa senza fondo di pasta nell’altra. Scorpius reggeva invece un tegame con un.. tacchino? intero caldo e fumante e dei dolcetti alla vaniglia.
-E comunque ho portato più roba io- commentò il biondino, continuando una discussione che, Avril ne era sicura, durava già da molto.
-Si, ma io ho portato meno roba solo perché Al è malato e non voglio farli prendere l’indigestione, quindi il tuo tacchino è davvero inappropriato- esclamò lei, mentre posava la coppa sul comodino del cugino e faceva apparire una tovaglia e delle posate.
Malfoy trasfigurò il comodino in una tavolata e forse per impressionare la rossa, fece comparire un candelabro in argento e un servizio di porcellana.
Avril non sentii con esattezza cosa avesse replicato la Weasley, ma le parve di capire un “ti ficco il tacchino in un posto dove non batte il sole”.
Ben presto li lasciò ai loro battibecchi e tornò a occuparsi di Albus che era ormai prossimo al risveglio. Quando poi il ragazzo prese ad agitarsi e a mugugnare qualcosa i due smisero di urlarsi contro e di avvicinarono al capezzale.
Potter si rigirò, inquieto.
-Al? Al mi senti? Sono Rose- esclamò la ragazza, avvicinandosi al cugino.
-E perché dovrebbe riconoscere te Weasley?-
-Perché io sono la cugina, Malfoy. Sangue del suo sangue, mentre tu sei solo il suo… animaletto di compagnia?-
Malfoy si avvicinò pericolosamente al viso della rossa e sussurrò –Io sono il suo migliore amico Weasley- poi però il suo volto si aprii in un ghigno –Non è che sei gelosa, vero?-
-E di chi? Di te? Ma fammi il piacere!-
A quel punto Albus borbottò qualcosa e prese a muoversi, battendo le palpebre pesanti e cercando di aprire gli occhi.
-Al? Al? Mi senti? Come stai?- chiese di nuovo Rose, apprensiva, ma questa volta Malfoy ebbe la sensibilità di rimanere in silenzio.
-Mmm- il ragazzo aprii finalmente gli occhi e fissò con sguardo vacuo la cugina e l’amico per un minuto buono. Poi, dopo aver provato più e più volte ad emettere qualche suono articolato, mugugnò
-Fanculo a tutti e due. Mi sento uno schifo-
La faccia dei due era irresistibile e per la prima volta in tre mesi di duro lavoro, Avril Gins scoppiò a ridere scompostamente.
 
Una volta che i due litiganti lasciarono l’infermeria, Albus, che aveva deliberatamente ignorato ogni loro tipo di approccio o i loro pallidi tentativi di ingraziarselo, scattò in piedi, lanciando uno sguardo allegro alla ragazza che lo fissava perplessa.
-Avril, mi prepareresti una tisana?- chiese, sbattendo le palpebre e assumendo un tono volutamente dolce e tenero.
-Pensavo stessi troppo male per qualsiasi cosa, Potter- ribadì lei, anche se stava già preparando l’intruglio.
Il ragazzo si lasciò cadere a peso morto sul letto e osservò con aria drammatica il soffitto.
-Tu non ne hai la minima idea-
Avril gli porse la tazza fumante e gli si sedette accanto.
-Hai voglia di raccontarmi cosa ti succede?-
 
“Come posso spiegartelo Avril? Tutto è iniziato quando mia sorella, questa mattina, mi ha predetto che avrei passato una giornata di merda. È cazzo, si è avverato”


Sono super-mega-iper-arci-stra-felice!
Sette recensioni solo per il prologo?
E io che mi aspettavo si e no una recensione!!
Siete state davvero gentilissime sopratutto visto che il mio racconto non è granchè paragonato a molte delle storie che ho letto in questa sezione...
Ora molti di voi mi vorrano morta..
Perchè questo ritardo? Perchè continuo a divagare sulla bruttissima giornata di Al?
So di essere cattiva ma questo capitolo mi serviva per introdurre anche se brevemente il personaggio di Avril che avrà un ruolo molto importante e diciamo darà il colpo di grazia alla "giornata di merda" (scusate la parola) di Al..
Grazie mille a tutte le 4 persone che l'hanno messa fra le preferite, alla ragazza che l'ha messa fra le ricordate e le 16 (dico sedici UAO!!) che l'hanno messe fra le seguite...
E sopratutto un grazie speciale a
Alexiel94 e a _Valerie_96 che mi sostengono sempre, a _Haru_chan_ per avermi fatto sorridere e tranquillizzare con la sua recensione, a Meredith993 per essermi stata accanto, a  Saomi per essere stata abbastanza coraggiosa da arrivare alla fine, a MyHeart perchè amiamo le stesse coppie e a   kesha98E perchè anche se ha gusti diversi dai miei la ff l'ha letta lo stesso..
Grazie per aver recensito ragazze..

Fra
P.S. a voi che seguite/leggete/date una sbirciatina ricordate che una piccola recensione magari toglie un pò di tempo, ma riscalda il cuore (almeno il mio!!)
 


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Capitolo 3
*** In fondo Lily non aveva tutti i torti... (parte 1) ***


2 - In fondo Lily non aveva tutti i torti.. (parte 1)



Lily si lasciò cadere nel suo posto preferito (ultima fila a destra) sospirando drammatica, nel vano tentativo di attirare l’attenzione di Mery, che presa come era dai suoi appunti, non la degnò di uno sguardo.
E se c’era una cosa che Lily odiava più di ogni altra cosa, questa era essere ignorata. Così, stiracchiandosi e facendo attenzione a colpire con il braccio la testa bionda dell’amica, sospirò di nuovo, questa volta più forte.
Mery sollevò irritata gli occhi dai fogli e la fulminò con uno sguardo assassino. Poi, dopo aver afferrato il braccio di Lily, ancora teso in aria, lo fece sbattere con forza sul banco, riprendendo infine a studiare.
A questo punto disturbare Mery era diventato l’obbiettivo preferito della rossa che, dopo aver sbuffato, sospirato, grugnito, tossito e sbattuto con forza il pugno contro il banco, decise di provare il tutto per tutto.
-Mery?- esclamò con una vocina dolce, dolce che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi essere umano.
-Che vuoi?- lo sguardo irritato di Mery, la raggiunse e Lily iniziò a pensare che forse la ragazza accanto a lei non era un vero essere umano.
-Ce l’hai ancora con me?- chiese, mentre si sforzava di far uscire qualche lacrimuccia dall’occhio e faceva sporgere il labbro inferiore in una posa da cucciolo ferito.
-Si- fu la segnaletica risposta.
Bene, si convinse Lily, abbiamo assodato che Mery non è umana e non le piacciono i cuccioli.
-Mer, non l’ho fatto a posto mi è scappato!-
-Ti è scappato? Hai praticamente urlato davanti a tutta la Sala Comune che mi piace tuo fratello!- le guance di Mery divennero paonazze mentre scattava in piedi, lasciando cadere per terra gli appunti. Lily, saggiamente, fece un passo indietro, mettendo un metro buono di distanza fra loro.
-Ma tanto lo sapevano tutti!- provò a difendersi la rossa, capendo solo dopo che quella era in assoluto la frase peggiore che potesse dire in quel momento –E poi voi due siete degli idioti! Insomma da quanto dura questa situazione?-
Quando anche gli occhi di Mery divennero rossi dalla rabbia Lily dovette ricredersi, forse questa era la cosa peggiore che potesse dire in quel momento.
Oh, andiamo Lil, è la tua migliore amica, non può mica ucciderti, no?
-Senti io.. io.. ecco…- Lily prese coraggio e cerco di formulare una frase di senso compiuto.
-TU COSA?-
O almeno credo.

***


Albus Severus Potter era al limite della sopportazione.
Ora, prima di tutto bisogna dire che lui amava la sua famiglia. Era strana, vagamente inquietante magari, forse un po’ troppo esuberante e assolutamente fuori controllo ma era confortante avere sempre qualcuno su cui contare.
Il problema?
È che quel “qualcuno” lo trovavi anche quando avresti voglia di rimanere solo a crogiolarti nel tuo mutismo/solitudine.
E molto spesso, soprattutto se quel “qualcuno” era James e soprattutto se James era accompagnato da Fred, allora voleva dire che dovevi armarti di santa pazienza e starli ad ascoltare.
-E allora l’ho trasfigurato!- il ghigno trionfante di James faceva venire i brividi. Fred accanto a lui scoppiò a ridere, dandogli una pacca sulla spalla.
Albus si chiese se solo lui avesse notato l’assurdità della situazione.
-Ma tu sei completamente uscito di testa?-
Per fortuna c’era Rose. Albus la guardò colmo di affetto per la sua cugina preferita che ora fissava James come si fissa uno Schiopodo Sparacoda particolarmente vivace che indossa un tutù rosa.
-Insomma tu hai trasfigurato un povero ragazzino di prima in una sedia solo per portarlo in infermeria e provarci con Avril?- la voce le si alzò di botto quando arrivò alla fine della frase, come se l’idea che il povero primino fosse stato sacrificato in quel barbaro modo, fosse per lei inconcepibile.
-Io non l’ho trasfigurato in una sedia- esclamò James, mentre interrompeva la risata e fissava Rose con uno sguardo serio che appariva di rado sul suo viso –Era uno sgabello in legno, per la precisione-
L’espressione perplessa di Rose era impagabile.
James e Fred scoppiarono di nuovo a ridere, ancora più sguaiatamente, se è possibile. Poi successe tutto in un lampo. Fred spintonò James che perse l’equilibrio e nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa per non cadere afferrò la prima cosa che gli capitò per le mani.
Peccato che la prima cosa che gli fosse capitato per le mani fosse stato l’arazzo rosso e oro che ricopriva la colonna davanti al dormitorio dei Grifondoro. O almeno quello che era l’arazzo della colonna davanti al dormitorio dei Grifondoro, perché James, l’aveva estirpato dalla colonna e ora aveva un grande strappo sul davanti.
 -Oh Cazzo- borbottò.
-JAMES! RAZZA DI IDIOTA!- l’urlo di Rose venne sentito probabilmente anche ad Hogsmeade, mentre ogni essere vivente presente si girava verso di loro.
James si affrettò a nascondere il pezzo di stoffa dietro di lui, mentre rivolgeva sguardi truci a chiunque stesse fissando nella loro direzione, tutti in pratica. Fred, decise di prendere in mano la situazione, e come aveva visto fare in tanti film polizieschi babbani, si girò verso il gentile pubblico.
-Non c’è niente da vedere, non c’è niente da vedere!- esclamò mentre Albus si portava una mano sulla fronte, indeciso se scappare o no.
Fred si girò verso di loro –Io li faccio sgomberare, voi riparate quella cazzo di tenda!- poi continuando con i suoi modi da poliziotto, cercò di cacciare via i passanti dalla scena del delitto.
James, Rose e Albus si guardarono disperati.
-Ma questi cosi non dovevano essere magici?- osservò Albus, mentre indicava il tessuto –Insomma potrebbe ripararsi da solo!-
-Non credo Al- esclamò Rose, scuotendo la testa.
James sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
-E ora che facciamo?- chiese, mentre osservava distrutto lo squarcio nel tessuto –Lo abbiamo strappato tutto!
-Ah-ah!- lo interruppe Albus, scuotendo la testa –Tu lo hai rotto e tu lo ripari!-
Rose annuì convinta.
-E va bene, cosa mi importa! Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!- esclamò il maggiore dei Potter, sicuro di sé.
 
-Rose, Al mi dovete aiutare!!!!- piagnucolò James, che due minuti dopo era riuscito solo ad allargare ancora di più lo strappo sul tessuto.
-Assolutamente no!- rispose Albus, incurante del dito medio che il fratello gli rivolse dopo il rifiuto.
-Rose ti prego!- a questo punto Potter n°1 aveva preso a guardare la cugina con un espressione da cane bastonato che avrebbe fatto invidia persino a Lily. –Aiutami!-
-E va bene!- cedette la rossa –Dovrei aver letto qualcosa al riguardo, come è che si chiamava quel libro..-
-Si va bene- James la afferrò il braccio –Ora andiamo in biblioteca, tu lo cerchi, poi torniamo qui e lo ripari!- e detto questo iniziò a correre trascinandosi dietro la ragazza.
-Ehi! E io?- urlò Albus prima che scomparissero dietro l’angolo.
-Tieni d’occhio l’arazzo!-
Albus scosse la testa.
Maledetto James.

***

 
Hope Springs non era una ragazza che piangeva facilmente. E con questo non intendo dire che non fosse sensibile, perché accidentaccio se lo era, solo che era sempre così dannatamente felice.
Era felice quando serviva ai tavoli del locale di sua zia, era felice quando inspirando con forza l’aria della sua città diceva con un sospiro che senza smog e gas vari Londra non sarebbe stata Londra, era felice quando, mentre leggeva con aria sognante il suo libro preferito “Storia di Hogawarts”, sentiva che ogni cosa era al suo posto.
Sua zia diceva sempre di aver scelto di chiamarla Hope, speranza, perché quando era nata, prematura di sei settimane, un piccolo fagottino così leggero e delicato, aveva visto sul suo viso un sorriso. E quel sorriso, il primo sorriso di sua figlia, le aveva dato speranza.
La madre di Hope, Monica Springs, era una persona stravagante. Evidentemente troppo per accollarsi il peso di un figlio, e così decise di lasciarla ad Addie, sua sorella maggiore, tornando alla sua vita di sempre.
E Hope in un certo senso ne era felice. Non avrebbe sopportato di averla come madre, di vivere a stretto contatto con lei, con le sue pretese e i suoi capricci che la facevano sembrare una bambina troppo cresciuta. E così si era limitata ad invertire nel suo cuore il ruolo delle due sorelle, facendo di Addie la madre protettiva e di Monica la zia stravagante.
Quanto al padre della bambina, l’unica cosa che Monica parve ricordarsi fu che aveva un accento straniero e che avevano bevuto tre-quattro bicchieri di tequila prima di andare a “parlare” nel suo appartamento. Non ne ricordava il nome e probabilmente anche sapendolo non sarebbe riuscito mai a riconoscerlo o a rintracciarlo.
Eppure, anche sapendo che il padre non era nemmeno a conoscenza della sua esistenza, Hope continuava a immaginare di trovarselo davanti, se lo immaginava come un ricco uomo d’affari in abito gessato e valigetta ventiquattrore in mano, mentre le diceva trafelato che aveva utilizzato ogni metodo di ricerca per cercarla e ora che l’aveva finalmente trovata non si sarebbero separati mai più.
Ma era solo una delle tante fantasie di una sedicenne che ora stava per avere la prima crisi isterica della sua vita.
-Su, Hope, non vediamo di sbrigarci o mi metterò a piangere!- esclamò Addie Springs, mentre già alcuni grossi lacrimoni trasbordavano, sciogliendo il mascara sulle guance.
Hope, inaspettatamente scoppiò a ridere, mentre con una manica della maglietta ripuliva i segni neri che ricoprivano il viso della zia. -Sembri un orsetto lavatore- commentò poi.
La donna la squadrò un attimo, sorpresa, poi le gettò le braccia al collo e stringendola quasi fino a strozzarla.
-Scrivimi quando puoi, anche tutti i giorni- ripetè per l’ennesima volta, mentre allontanava la figura gracile della nipote e la osservava come se non dovesse vederla per molto, molto tempo.
Cosa che in effetti stava per avvenire.
Hope aveva sempre studiato a casa. Frequentava la scuola normale, babbana, la mattina e il pomeriggio fino alle quattro, poi dopo un po’ di relax, faceva il suo turno al locale della zia, una tavola calda nei pressi di St. James Park e infine svolgeva due ore di lezioni con una anziana strega, Mrs Bones, che abitava sul suo stesso pianerottolo.
Mrs Bones era una donna deliziosa, molto dolce, ed era stata lei ad accorgersi delle prima manifestazioni di magia di Hope. Infine, quando era arrivata la famosa lettera di Hogwarts e Hope, preoccupata per Addie che gravemente ammalata non riusciva a portare avanti tutto da sola, aveva declinato il viaggio per la scuola, la vecchia si era offerta di insegnarle lei stessa la magia e i suoi prodigi.
Aveva anche una nipote, Valerie, che frequentava Hogwarts, ma che passava le vacanze dalla nonna materna. Hope la trovava molto simpatica e benché non si vedessero spesso si erano subite lanciate in una fitta corrispondenza.
Un giorno però, Hope lo ricordava ancora bene, si era sentita una grande esplosione, e poi diversi tonfi che provenivano dall’appartamento affianco. Un ritorno di fiamma aveva colpito la povera Mrs Bones, che era stata sbalzata contro la parete.
Hope si era chiusa in camera per una settimana, chiusa in cupo silenzio, ma non aveva pianto. Lei non piangeva, non piangeva mai.
Quell’anno, dunque, in mancanza della sua insegnante, Hope aveva preso, con grande sconforto di sua zia, la decisione di studiare almeno per quell’anno, ad Hogwarts.
-Hem..-
Addie si staccò dall’abbraccio e guardò colpevole l’uomo che aveva davanti.
-Noi dovremmo.. andare- continuò quest ultimo.
Addie parve ricomporsi e annui. –Si mi scusi è solo che è la prima volta che lei si allontana così tanto..-
L’uomo annuì.
-Posso capirla, signora-
-Lei ha figli?-
-Si, due. Una femmina che ormai si è diplomata e un maschio che è quanto Hope- rispose lui mentre il viso si rilassava in un sorriso felice.
-E anche lui è a Hogwarts?- chiese Hope, elettrizzata.
L’uomo la guardò sorridendo. –Si, lo troverai lì-
La ragazza sorrise, poi raccolse la tracolla rettangolare che rappresentava una Vespa, e se la mise al collo. Dopo un ultimo abbraccio alla zia, si rivolse all’uomo.
-Bene sono pronta-
-Perfetto se vuoi precedermi- l’uomo fece un gesto elegante con la mano, indicandole il camino. La ragazza annuì e fece un passo verso l’incavo nel muro. Afferrò una manciata di polvere dal contenitore in ferro e la gettò per terra, cercando di non sporcare il tappeto persiano.
-Diagon Alley- esclamò con voce sicura, prima di scomparire in un lampo di fiamme verdi smeraldine.
L’uomo fece per seguire il suo esempio ed era già nel camino quando il braccio di Addie lo afferrò per le spalle. Si girò sorpreso, osservando la donna che con le lacrime agli occhi si mordeva il labbro.
-Può tenerla d’occhio?- chiese, asciugandosi la guancia umida –Per favore professor Paciock-
-Mi chiami Neville, signora- rispose lui –E comunque, lo farò-



Piccolo Angolo Buio dell'Autrice.. (leggere tutto per favore!!)
Hola gente!
Aggiorno anche troppo presto per i miei gusti.. quindi non vi abituate.. comunque ho pensato che lunedì potrebbe essere il giorno perfetto per aggiornare (in pratica ogni lunedì posterò un nuovo capitolo) vi va bene?
Sono sempre più sorpresa per le vostre recensioni!
Insomma non pensavo di meritarne così tante (ma voi continuate pure)

Finalmente è iniziato l'orribile giornata di Al.. tranquilli per il momento non è successo nulla di così disastroso ma se fate molta attenzione potrete notare che sta per accadere il peggio..
Ma quante cose succedono in questo capitolo vero? Prima abbiamo l'occasione di conoscere due nuovi personaggi (Mery e Hope) e secondo ho finalmente inserito James.. il suo è per il momento solo un piccolo cameo.. ma andiamo siamo solo al secondo capitolo! So che la storia dell'arazzo è stupida ma ben presto capirete perchè ho deciso di inserirla..
Scusate per la piccola apparizione di Neville (insomma cosa ci fa a casa di Hope??) ma non ho resistito, presto capirete tutto.. 
Ringrazio specialmente e dedico questo capitolo a
Alexiel94  Hayley_Gin91 Saomi kesha98E MyHeart _Valerie_96  che hanno avuto la pazienza e il coraggio di recensire l'ultimo capitolo..
Ringrazio vivamente anche le 5 persone che hanno messo la storia fra le preferite, la ragazza che l'ha messa fra le ricordate e le 25 (UAO!!)
che l'hanno inserito fra le seguite..
GRAZIE MILLE!
E RICORDATE CHE UNA RECENSIONE NON FA MAI MALE!

Fra
P.S. Il personaggio di Hope e la sua situazione familiare sono state ispirate dal mio libro preferito, "Padri di Carta"

P.S. del P.S. dal prossimo capitolo inizierò a postare le foto dei personaggi, voi avete qualche suggerimento?
Grazie per avermi sopportato!
Fra

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Capitolo 4
*** In fondo Lily non aveva tutti i torti... (parte 2) ***


Capitolo più lungo del solito..
Dedicato a
_Haru_chan_Jo_94, Alexiel94MyHeart, kesha98Ebess_Black NarcissaB37 e  _Valerie_96 che hanno speso un attimo del loro tempo a recensire (cosa che invito tutte voi a fare)..
Ringrazio particolarmente anche le 7 ragazze che hanno messo la storia fra le preferite, la ragazza che l'ha messa fra le ricordate e le 29 che l'hanno inserita fra le seguite..
Grazie mille..
Fra
P.S. leggete le note a fine capitolo!!
E ricordate una recensione non fa mai male!


 

In fondo LIly non aveva tutti i torti... (parte 2)



Neville l’aveva incontrata per caso.       
Era stato spedito a Londra, tre giorni dopo l’inizio della scuola, in quanto c’erano stati problemi nell’organizzazione delle serre ed era dovuto andare personalmente a ritirare i semi e le piante che aveva richiesto per le sue lezioni. Una volta effettuato l’arduo compito di firmare l’enorme pila di documenti che gli era stata presentata dal direttore delle consegne, visto che mancava ancora qualche ora all’orario prestabilito per il suo rientro, aveva deciso di farsi un giretto.
E inevitabilmente si era perso in quelle innumerevoli e tortuose stradine babbane che rendono Londra così caotica. Alla fine si era rassegnato all’evidenza ed era entrato in un tavola calda, con l’intenzione di scaldarsi e rifocillarsi un po’, prima di smaterializzarsi di nuovo nell’ufficio del direttore delle consegne e prendere la passaporta.
Il locale si chiamava “Free Hope”. Non era molto grande, c’era qualche tavolino, apparecchiato con tovaglie blu scuro e un lungo bancone con dodici sgabelli, alti. Era completamente pieno.
La giovane cameriera che gli si era avvicinata era bassina e molto, molto magra, con lunghi capelli biondi legati in una coda alta e un sorriso contagioso sulle labbra. Quando finì di mangiare era rimasto solo lui nel locale. Al momento del conto, quando Neville si era confuso con i soldi babbani e le aveva dato due scellini al posto delle sterline, la ragazza si era chinata su di lui e aveva sussurrato –Se vuole può anche pagarmi con i galeoni, signore-
-Scusi?- aveva chiesto lui.
-Ho detto che se il signore non si trova a suo agio con i soldi babbani, può pagarmi in galeoni, li accettiamo, o meglio, li accetto, volentieri-
L’uomo l’aveva fissato perplesso, mentre il suo corpo si irrigidiva. Era una reazione fuori luogo, dopotutto, di streghe e maghi ce ne erano a bizzeffe a Londra, ma quella ragazzina sembrava davvero babbana.
-D’accordo-
Neville aveva estratto i dieci galeoni e i tre zellini e aveva pagato la giovane, che con un sorriso furbo se li era infilati nella tasca del grembiule.
-Non credo che a mia zia possano servire questi- aveva commentato poi, in risposta al suo sguardo interrogativo –E poi potrò finalmente comprarle uno di quegli avversa specchi!-
Lui aveva sorriso e aveva cercato di fare mente locale. Quella ragazza doveva avere sedici, diciassette anni. Al massimo diciotto. Era in età di Hogwarts, dunque, o al massimo ne era appena uscita. Eppure non ricordava il suo viso.
-Studi ad Hogwarts?- le aveva chiesto.
Lei aveva abbassato lo sguardo e poi aveva indicato la sedia davanti a quella di Neville, come a chiedere se poteva sedersi, davanti al cenno d’assenso riservatole, si accomodò e prese a giocherellare con l’elastico per capelli.
-No, signore, studio a casa. Ma domani andrò al castello per frequentare il sesto-
In breve si erano messi a parlare della scuola, dei compiti, delle serre, degli animali fantastici e della povera Amelia Bones. Quando poi Hope aveva scoperto che lui era un professore e che sarebbe ritornato di lì a poco a scuola, aveva supplicato di portarla con lui, visto che non era riuscita ad avere un autorizzazione per una passaporta.
Neville, davanti a tanto entusiasmo, non era riuscito a rifiutarsi, anche perché quella ragazzina gli ricordava moltissimo suo figlio. Così dopo aver parlato a lungo con Addie, zia della giovane che risultò chiamarsi Hope, quella mattina presto si era collegato via camino, ormai la passaporta era partita, a Diagon Alley, con una sedicenne entusiasta, il compito di sorvegliarla a vista, un enorme scatola con tutti i semi e le piante che era andato a ritirare e i tre enormi bauli di Hope.
 

***

 
-Ok, ho un piano- esclamò Lily, issandosi in tutti il suo metro e sessanta e fissando con determinazione Mery, che dopo la sfuriata si era calmata e ora sbatteva la testa contro il tavolo ritmicamente.
-Non ti sembra di aver già fatto abbastanza?- chiese la bionda accanto a lei in un sussurro depresso.
La ragazza la ignorò e mettendo il voluminoso manuale di incantesimi tra il tavolo e la testa dell’amica, la costrinse a girarsi e a guardarla negli occhi. Quando ebbe la sua attenzione, si abbassò, coprendo la bocca con il rotolo di pergamena su cui stava scrivendo, e assunse un aria cospiratoria che non prevedeva nulla di buono.
-Li vedi, sono lì!- esclamò, indicando il punto della biblioteca dove Rose e James stavano consultando freneticamente un libro –Ora tu vai lì, io distraggo Rose e tu gli parli, ok?-
Mery li fissò per un attimo, poi ritornò a guardare Lily, infine, tornò a sbattere la testa contro il tavolo. L’amica la osservò esasperata, poi decise di prendere la situazione in mano e afferrato il polso di Mery, la trascinò fino al tavolo dove il fratello e la cugina erano seduti.
-Ciao ragazzi!- esclamò con un tono di voce squillante, molto squillante. Troppo squillante. Mery le lanciò un occhiata di avvertimento e poi osservò preoccupata i due. Ringraziò il cielo che Rose fosse così concentrata sul libro per accorgersi del cambiamento di voce della cugina.
Non ottenendo altro che un grugnito da parte di James e un cenno con la testa da Rose, la piccola Potter si schiarii la voce, cercando di attirare l’attenzione. Infine, quando anche questo tentativo fallì miseramente, si decise a parlare chiaro.
-Rosie, devo parlare con te. Ora- detto ciò, ignorando lo sguardo disperato di Mery e le proteste di James e Rose, afferrò la cugina per il gomito e la costrinse a seguirla.
Rimasta sola con James, Mery rimase immobile per un momento, indecisa sul da farsi. Scappare o non scappare? Infilare la testa nella sabbia o nascondersi sotto il letto? Come proposte le sembrarono molto più ragionevoli del rimanere lì, impalata come un idiota, così, si apprestò ad andarsene.
-Ehi, Mery- la chiamò lui.
La ragazza si bloccò sul posto, poi facendo una sorta di piroetta aggrazziata e decisamente fuori luogo, si girò verso di lui e sorrise, cercando di apparire sicura.
-Si, James?- si compiacque di poter dire quel nome ad alta voce, senza dover dare spiegazioni, per una volta.
Mery si ritrovò a osservare il modo aggraziato con cui poggiava il mento sul palmo della mano, lo sguardo obliquo e vagamente perplesso che riservava alla pagina ingiallita.
Era così dannatamente bello. E simpatico.
Mentre la tipica marcia nuziale le invadeva la mente, lo sguardo del suo futuro sposo si alzò posandolo nel suo. Per un momento la fissò con uno sguardo intenso, come se stesse cercando di comunicarle qualcosa di segreto, profondo.
Il suo cuore si riempì di gioia. Forse lui sapeva. Sapeva cosa provava, sapeva che era innamorata di lui dalla prima volta che l’aveva visto, quando aveva tirato un gavettone pieno di succo di zucca nel bel mezzo della Sala Grande, cercando di colpire la sorellina e aveva beccato lei.
Forse ricambiava il suo sentimento, ecco perché l’aveva fermata. Per rivelarle il suo amore profondo, per confessarle che non avrebbe potuto mai amare nessun altra se non lei, per chiederle..
-Sai come si ripara un arazzo?-
 

***

 
Albus, appoggiato al muro affianco al ritratto della Signora Grassa, che stava cercando di impressionare un povero primino dall’aria terrorizzata con “il potere della sua sublime voce”, maledì se stesso, James, Rose, Fred, Lily, Mery e gli arazzi in generale.
Il pezzo di stoffa, con un enorme squarcio che, ogni volta che lo guardava sembrava allargarsi, era nascosto dietro la schiena e non si mimetizzava per niente con il colore verde e argento della sua divisa.
In un vano tentativo di apparire rilassato, come se quello fosse il posto in cui doveva essere, iniziava a parlare, con quella sua vocina acuta che gli veniva solo quando raccontava una balla, con chiunque essere vivente, che lo conoscesse o meno, si avvicinasse a lui.
Dopo aver salutato molto baldamente un giovane Corvonero che aveva tentato di superarlo e essersi informato sul suo stato di salute, su come procedessero le sue lezioni e così via, cercando di distar erre l’attenzione dal tessuto che aveva ancora in mano, si era accasciato contro il muro.
Desiderò con tutto se stesso che qualcuno, chiunque andava bene, purché fosse qualcuno di conosciuto, arrivasse lì e lo togliesse da quella scomoda situazione. Ringraziò il cielo, dunque, quando vide la testolina bionda di Mery, l’amica di Lily, dirigersi a passo di carica verso di lui.
-Ehi Mery!- la salutò allegramente, mentre l’afferrava per il braccio, bloccando il suo passo da militare –Non è che potresti farmi un favore? Dovresti tenermi questo arazzo qui..-
-MA COSA AVETE OGGI TUTTI?- lo interruppe Mery, agitando le braccia come una forsennata e iniziando a singhiozzare apertamente –Insomma vi sembro una che sa qualcosa di arazzi? Io non sono un arazzo non so come si riparano!-
Albus la guardò perplesso, così come ogni altro essere vivente nel raggio di una quindicina di chilometri, e la sua perplessità si unì ad un vago senso di colpa quando la ragazzina si portò le mani davanti al viso e piangendo corse nella Sala Comune.
Ma cosa ho detto?
-Razza di idiota!- il secondo urlo, questa volta proveniente dalla bocca spalancata di Lily, apparsagli chissà come dietro, lo fece sussultare e nel vano tentativo di estrarre la bacchetta, inciampò nella veste e cadde rovinosamente a terra.
Lily aveva il volto rosso. Dire che era arrabbiata era un eufenismo.
-Cosa hai detto a Mery? Cretino!-
Poi, dopo avergli dato una ginocchiata in un punto molto sensibile e averlo fatto esclamare qualche bestemmia, corse dietro all’amica.
Ma cosa hanno tutti oggi?
 

***

 
Dominique Weasley era quel genere di ragazza.
Non era una di quelle che, se facevi loro un torto ti schiantavano sul colpo (vedi Rose con Malfoy), o quelle che davano in escandescenze e che urlavano come delle pazze quando qualcosa andava storto (vedi Lily con tutti). No, lei non era così.
Lei era quel genere di ragazza che, se ce l’avevi contro poteva renderti la vita un inferno. Ma con stile.
All’improvviso, mentre ancora ridi della figuraccia che le hai fatto fare, della battutina sarcastica che le hai lanciato e ti chiedi perché non abbia reagito, succede il peggio. Le tue amiche non ti guardano o considerano più, il tuo ragazzo ti molla e i tuoi capelli iniziano ad assomigliare vagamente alla peluria di una puffola pigmea.
E a quel punto, mentre la tua vita precipita lentamente, e tu ti abbandoni al senso di sconforto e alla tristezza, ti si avvicina Dominique, con quel sorriso radioso, che ride con quelle che fino a qualche giorno prima erano le tue migliori amiche, oppure mentre passeggia al braccetto del tuo ex e, sempre con quel sorriso perfettamente glaciale sulle labbra ti chiede: -Ehi! E da tanto che non ti vedo in giro! Che fine hai fatto?-
Dominique sorrise perfidamente, consultando la persona cui si rivolgeva sempre in quei casi.
Lucy Weasley frequentava il quinto anno. Aveva ereditato gli occhi azzurri e l’altezza tipica dei Weasley, ma con sua grande soddisfazione, i capelli erano di un colore dorato, merito dei geni di Audrey, sua madre. A differenza della sorella Molly, piccolo genio di famiglia, che quanto ad intelligenza era seconda solo a Rose, Lucy aveva sviluppato una sua personalità che non era riconducibile a nessun gene familiare.
Era pettegola. E con questo non intendo dire che amava mettere in giro voci spropositate, ma solo che sapeva sempre tutto di tutti. non c’era persona nel castello di cui non conoscesse il nome e i segni particolari. Ogni ragazza temeva che potesse sbandierare il nome della loro cotta segreta e ogni ragazzo aveva un innato timore, seppure nascosto, che quella ragazzina dai capelli d’oro potesse rovinare la loro reputazione.
-Allora chi è la vittima della settimana?- chiese Lucy, senza alzare lo sguardo dal settimanale di gossip che sfogliava attentamente.
-Valerie Adder-
Valerie Adder era una Corvonero del sesto anno, con cui Dominique frequentava la lezione di Trasfigurazione e che si era lasciata scappare un commentino molto poco piacevole sulla coda apparsa per sbaglio sul bel fondoschiena di Dominique.
-Sesto anno, Corvonero?- Lucy aggrottò la fronte e sospirò –Allora vediamo, non è fidanzata, ma sembra che abbia una cotta per Lorcan Scamandro-
-Scamandro?- chiese Dominique interessata. Lasciò vagare lo sguardo fino a raggiungere quello del soggetto in questione e sorrise.
-Si, Scamandro- ripetè Lucy, poi in risposta allo sguardo della cugina, continuò -Lorcan Scamandro. Diciassette anni, Corvonero. È il battitore per la sua squadra. Di sicuro conosci suo fratello, Lysander-
Dominique annuì. Si, conosceva Lysander, avevano persino avuto una storia l’anno scorso. Era un tipo strano ma nel complesso piacevole, amava le feste e essere al centro dell’attenzione. Era un grande amico di James e Fred. Eppure Dominique non ricordava di averlo mai sentito parlare o averlo mai visto con il fratello. Anzi, quel fantomatico Lorcan le era sempre stato antipatico.
Insomma, non si era nemmeno degnato di presentarsi. E se c’era una cosa che Dominique odiava, quella era essere ignorata.
Lucy, notando il silenzio prolungato della cugina, alzò finalmente lo sguardo dalla rivista e esclamò.
-Non sarà facile, Domi, lo sai? Lorcan è completamente diverso dal fratello-
Un ghigno comparve sul volto della ragazza. Era perfetto, sorrise fra sé e sé. Non solo avrebbe dato una bella batosta a Valerie, ma si sarebbe anche vendicata di Lysander per non essere riuscito a trattarla bene e avrebbe aggiunto alla infinita lista delle sue innumerevoli conquiste Lorcan lo sfuggevole. Oh, come si sarebbe divertita.
-Dom?- la richiamò Lucy –A cosa stai pensando? Quel ghigno è vagamente inquietante, lo sai?-
Il sorriso malefico della francesina si allargò ancora di più. –Lucy, ti giuro che sarà un piacere, un piacere farlo innamorare!-
 

***

 
Neville Paciock non era una persona che di solito si trovava ad essere al centro dell’attenzione. Il solo pensiero di parlare in pubblico, di avere gli occhi di tutti puntati su di lui, il terrore di arrossire o di iniziare a balbettare l’avevano sempre costretto ad una vita riservata e nell’ombra. Era una caratteristica dominante della sua personalità, che si era dimostrata sin dall’infanzia e si era poi affinata nei primi anni dell’adolescenza.
E così era cresciuto, nascosto in un angolino, abbastanza vicino per seguire gli eventi che si svolgevano intorno a lui, ma comunque troppo distante per essere tirato in ballo.
Almeno fino a quando, quella primavera dei suoi quindici anni, era entrato a far parte dell’Esercito di Silente. Quando scappava dal suo dormitorio, quando osservava lo sguardo di Harry, fiero e sicuro, che spiegava quegli incantesimi che sarebbero poi riusciti a trasformarlo completamente, si sentiva per la prima volta, al posto giusto, al momento giusto.
E da quei giorni, chiuso nella Stanza delle Necessità con i suoi amici, in continua lotta con se stesso, con la parte che voleva emergere, combattere, far vedere quale fosse il suo valore, si era sentito a casa. Perché Neville Paciock, benché continuasse a rinnegare il pensiero, era nato per essere al centro dell’attenzione.
Il coraggio poi era cresciuto mano a mano, e lo aveva fatto diventare la persona che era ora. Cordiale, disponibile, gentile. Continuava ad amare il silenzio, la solitudine, o al massimo, lo stare con degli amici fidati, ma non era più quel povero bambino impaurito che al terzo anno aveva desiderato che il molliccio davanti a lui si trasformasse in Piton vestito da donna. Gli piaceva stare con la gente.
Certe volte, però rimpiangeva di non essere rimasto a casa, o alla serra. Come in quel preciso momento, mentre accompagnava un sedicenne in preda ad una crisi entusiastica per le stradine di Diagon Alley.
Hope era al settimo cielo. Aveva visitato molti luoghi prettamente magici. Una volta, con Valerie, era andata a Godric’s Hallow e nella regione dello Yorckshire, dove viveva una fitta comunità di maghi. Ma non era mai stata a Diagon Alley e quel paesaggio, così colorato, così allegro, pieno di gente, era.. magico.
Non si poteva trovare nessun altro aggettivo per descrivere ciò che stava vedendo. Maghi e streghe, tutti avvolti in lunghe tuniche nonostante il caldo, con i loro cappelli a punta e le bacchette portate in mano con leggerezza, creature di cui aveva soltanto letto, Goblin, megere, folletti, tutti passeggiavano con un sorriso sulle labbra, come se fosse la cosa più normale a questo mondo.
E per loro lo era.
Hope aveva ricoperto Neville di domande, dalle più semplici e formali (“dove posso trovare i libri per la scuola?”) a quelle più stravaganti che avevano messo davvero in difficoltà il professore (“è vero che i Goblin non sanno leggere?”, “Ma le megere possono sposarsi?”).
La cosa strana era che, alla fine, si rispondeva da sola, senza nemmeno lasciare il tempo all’uomo di provare a rispondere. Era assolutamente frustrante.
-Quella cosa è?- aveva chiesto ad un certo punto, indicando con il braccio teso il grande edificio bianco, imponente nelle sue dimensioni.
Neville, aveva sorriso, vedendo il volto entusiasta. Anche a lui, quando era andato per la prima volta a Diagon Alley, era rimasto a bocca aperta davanti alla Gringott. Quel posto, era più di una banca, era il simbolo, l’anima e l’orgoglio di Diagon Alley. Così, incoraggiato dall’espressione curiosa della ragazza, aveva aperto la bocca per risponderle.
-Quella è..-
-La Gringott, vero? La banca dei maghi!- lo aveva interrotto Hope, saltellando allegramente.
Eppure Neville non riusciva ad essere irritato con lei.
Neanche in quel momento, mentre Hope provava l’ennesima scopa da corsa sotto il suo sguardo esasperato, e il commesso li aveva abbandonati al loro destino dopo la tredicesima che sceglievano, riusciva ad arrabbiarsi.
Perché quella ragazzina era il ritratto di come avrebbe voluto essere stato lui durante l’adolescenza.
 

***

 
Albus Severus Potter camminava zoppicando lungo il corridoio che portava alla Sala Comune, bestemmiando Lily, causa del suo dolore fisico (Il calcio che la dolce sorellina gli aveva tirato faceva ancora molto, molto male) e il professore Fredner, docente di Pozioni che, con la semplice frase “Potter cosa nasconde dietro la schiena?”, si era assicurato di metterlo in punizione per tutto il mese e di togliere 50 punti a Serpeverde, che aveva contribuito il suo dolore psichico.
Stupido arazzo. Stupido James e stupido primino trasformato in sedia. Stupida Rose che scompariva per ore lasciandolo così. Stupida Mery che scoppiava a piangere istericamente e stupida Lily che tirava calci in posti molto delicati.
E stupido lui per far parte di quella famiglia di pazzi.
-Cretino!-
-Odiosa!-
-Insopportabile!-
-Saccente!-
Le voci che stavano urlando erano molto, molto familiari, e Albus si trovò a sperare ardentemente che non fosse come pensava. Che non fossero Rose e Scorpius quelli che litigavano furiosamente al centro della piccola folla che si era formata.
Quando però allungo la testa per guardare oltre la testa di un Tassorosso che rideva sguaiatamente, c’erano proprio loro.
Gli sfuggì un sospiro e iniziò a farsi largo fra la folla, spingendo delicatamente ma con decisione e beccandosi molti insulti da chi voleva godersi lo spettacolo in santa pace. Raggiunto finalmente il centro dell’assembramento, Rose aveva puntato la bacchetta contro il biondino e lui aveva la sua contro la pancia della rossa.
-Ehm.. ragazzi- esclamò, cercando di farsi notare –Insomma io vorrei..-
-ZITTO AL!- urlarono entrambi, il viso contratto in una smorfia di concentrazione, per una volta d’accordo con qualcosa.
E a quel punto Albus esplose.
-MA COSA CAZZO AVETE TUTTI OGGI?- gridò, mentre la folla ghignava soddisfatta nel vedere un altro fenomeno da baraccone all’opera, niente poco di meno che il grande Albus Potter, che stava avendo una crisi isterica –E voi due l’unica cosa su cui siete d’accordo è che io debba stare zitto? NON CI CREDO! DANNAZIONE!-
Deciso a oltrepassarli per entrare in Sala Comune, buttarsi sul suo comodo letto e affondare la testa nel suo cuscino, nel tentativo di dimenticare quell orribile giornata, urtò maldestramente i due, che, come se fosse un riflesso involontario, esclamarono due “stupeficium”.
 
-E il resto lo conosci..- commentò Albus, mentre tirava su con il naso e assaporava l’ultimo sorso della pozione calmante che Avril gli aveva preparato.
Quest ultima era stata necessaria dopo la visita all’infermeria di James, che, il viso nascosto dietro un enorme mazzo di girasoli, aveva colto al volo l’opportunità di chiedere a Avril di uscire.
Albus gli aveva tirato in testa la sua scatola di Cioccorane, cosa di cui si era subito pentito dopo, soprattutto con la fame che gli era venuta.
La ragazza annuì, convinta, poi, dopo aver assunto un aria pensierosa, accarezzò il braccio del ragazzo, gli prese la tazza vuota dalle mani, e con un sorriso gli augurò di passare una buona notte.
Albus si stiracchiò e guardò di sfuggita l’orologio da polso che Rose gli aveva regalato l’anno prima. Era tardi, le 23:23.
Lily diceva sempre che quando le due cifre dell’orario erano uguali, bisogna esprimere un desiderio, strizzare forte gli occhi e incrociare le dita di entrambe le mani, per fare in modo che il tuo sogno si realizzi.
Lui non ci aveva mai creduto, ma, in quel momento, chiuso in infermeria dopo aver passato la giornata più brutta della sua vita, l’idea che almeno uno dei suoi desideri si potesse realizzare era davvero troppo confortante per rinunciarci.
Così, come gli aveva detto sua sorella, strizzò gli occhi, incrociò le dita di entrambe le mani e espresse il suo desiderio.




Hola genteeeeee!!!
Mi avete fatto sevnire, sapete?
Otto recensioni!! Dico, otto?
MA GRAZIEEEEEEEEEE <3
Davvero grazie mille per continuare a seguirmi sempre..
Piccola precisazione: la situazione di Neville e l'incontro con Hope non mi convincevano molto, ma insomma.. io l'ho pubblicato, poi ditemi voi.. (anche se io, in fondo, me lo vedo il professor Paciock ad essere scorazzato in giro da una ragazzina... XD)
Allora, Mery è cotta di James che la ignora completamente e ci prova con Avril.
Lily è un piccolo genio del male e Dominique è una sadica ragazza-veela alla ricerca di vendetta!
E Albus ha finalmente espresso il suo desiderio! Quale sarà?
Si accettano scommesse!
Spero che il capitolo vi piaccia..
RICORDATE: UNA RECENSIONE NON UCCIDE NESSUNO!!!
FRa
P.S. ecco come mi immagino Lily...
All'inizio avevo pensato che questa foto fosse perfetta per Rose.. poi però ci ho ripensato.. e capirete in seguito..

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Capitolo 5
*** Attenzione a ciò che desideri... ***


Note e ringraziamenti alla fine del capitolo..

 

4 - Attento ai desideri che esprimi..
 

 
“Storia di Hogwarts” era uno dei pochi libri che Hope aveva letto più volte. In genere, le bastava una sola lettura per assimilare i concetti base e sarebbe stata capace di ricordarseli anche ad anni di distanza. Era inutile, dunque, secondo il suo parere, ostinarsi a rileggere cose che già sapeva.
Eppure quel libro, a detta di molti così monotono e noioso, era il più consumato che aveva. La copertina in pelle marrone, logora, su cui svettava l’imponente titolo in caratteri dorati, il tutto racchiuso da un sigillo nero. Hope ne era incantata.
Inoltre quello era stato anche il primo libro riguardante il mondo magico che aveva letto. Aveva un’importanza particolare.
Hogwarts aveva un’importanza particolare. E Hope se ne rese conto solo quando, mentre oltrepassava per la prima volta gli enormi cancelli in ferro del castello, sentii una piacevole morsa allo stomaco.
Le pareti erano di una tonalità crema, elegante ma familiare. Una grandissima scalinata portava ai piani superiori e Hope alzando lo sguardo potè notare che di rampe di scale ce ne erano parecchie, alcune, come aveva tante volte letto, si muovevano.
Lungo il corridoio principale si intervallavano arazzi dai colori accesi, file di armature, luccicanti e ordinate, e quadri. Un sacco di quadri. Che si muovevano.
Hope aveva visto un unico quadro magico in vita sua, a casa di Mrs Bones, rappresentava una anziana signora che sferruzzava accanto ad un caminetto. Di certo era un bel soggetto ma non interessante.
Invece quelli di Hogwarts, quelli si che erano magici. I protagonisti, dipinti con stili diversi fra loro, si muovevano, vociavano, alcuni urlavano persino. E poi passavano di quadro in quadro, cornice in cornice, e iniziavano a chiacchierare con il loro vicino.
Hope lasciò vagare lo sguardo lungo il corridoio che si stava mano a mano riempiendo di gente. Quella mattina, martedì 5 settembre, iniziavano le lezioni e gli studenti, chi ancora con la piega del cuscino in faccia, chi arzillo e pimpante, sciamavano verso quella che doveva essere la mensa o come il libro la definiva “Sala Grande”, per la colazione.
Neville, aveva un grande sorriso in faccia e salutava allegramente ogni ragazzo, dai bestioni del settimo anno ai piccoli nanerottoli del primo, facendo cenni con il capo, visto che aveva le mani occupate a reggere le sue scatole di semi.
Ad un certo punto andò persino a sbattere contro una colonna, intento come era a discutere con un personaggio di un quadro, provocando una risata generale fra gli alunni.
Hope notò un piccolo gruppetto fra di loro, tutti indossavano la cravatta verde e argento, che ghignava malefico. Uno di loro un biondino dall’aria strafottente, estrasse dalla veste la sua bacchetta, e con un incantesimo non verbale, fece spostare la pianta che Neville si stava chinando a raccogliere, facendo rimanere l’uomo perplesso per un attimo, a fissare il vuoto, l’operazione si ripetè più volte. Ogni volta che l’uomo si chinava a raccogliere il vaso in terracotta, questo si spostava di qualche metro.
Hope fulminò con lo sguardo il biondo, poi come se nulla fosse, si chinò con grazia e raccolse la pianta, ignorando li sguardi curiosi dei ragazzi, e la porse a Paciock.
-Grazie Hope- disse l’uomo, poi afferrata la pianta, le mise una mano sulla spalla e la guidò lungo il corridoio che portava alla grande rampa di scale.
Ben presto, Neville (“Ricordati di chiamarmi professore quando mi vedi, eh piccola?”) era scomparso nel suo ufficio e Hope, con il suo ottimo senso dell’orientamento, ma era anche dovuto in parte alle confusissime indicazioni di Paciock, si era persa. Non se ne preoccupava però.
Era ancora presto, le lezioni sarebbero iniziate fra una mezzora, ma lei, non essendo ancora stata smistata, non era obbligata a parteciparvi. Il pensiero dello smistamento che sarebbe avvenuto quella sera le regalò una dolorosa fitta allo stomaco. Chissà cosa la aspettava. In quale casa sarebbe finita?
Era preoccupata, ma, come amava ripetersi, c’erano passati tutti. Generazioni e generazioni di studenti avevano indossato quello sgualcito cappello, che li aveva aiutati a trovare la loro nuova famiglia.
Camminando assorta, non si accorse nemmeno della macchia nera che correva velocissima, tanto da sembrare sfocata, e puntava dritta, dritta su di lei. L’unica cosa che sentii fu una spiacevole botta al sedere e qualcosa di caldo che le prendeva la mano.
Spalancò gli occhi, sbattendo le palpebre più e più volte. Un ragazzo dagli scompigliatissimi capelli neri la fissava, gli occhi sgranati in un espressione buffissima che istigava un insensata voglia di abbracciarlo mista a quella di scoppiargli a ridere in faccia.
-Uh- esclamò lui, alzandosi velocemente –Scusami- detto questo, dopo essersi spazzolato la lunga veste nera, le porse la mano e la aiutò a rialzarsi.
Hope sorrise, senza volerlo, sembrava tanto un incontro da sogno. Come quelli descritti nei tanti film romantici che Addie amava vedere, con la sua scorta di fazzoletti da una parte e una grande coppa di salatini dall’altra.
Eppure, come amava ripeterle il suo cervello, le coincidenze, gli amori da film e scemenze varie esistevano solo nei film, appunto.
Hope aveva uno strano rapporto con l’amore. Sapeva di essere relativamente carina e aveva avuto anche qualche esperienza con i ragazzi. Ma l’amore, l’amore vero, quello di cui aveva tanto sentito parlare, quello non lo conosceva. E non era intenzionata a conoscerlo.
L’amore, per come la vedeva lei, portava solo dolore, tristezza. E perciò, si, continuava a vedere film romantici, continuava a leggere storie d’amore, continuava ad ascoltare le lagne senza fine di Frankie e di Terri, le sue migliori amiche, l’una con un passato di mangia uomini e che alla fine si era innamorata dell’unico ragazzo che non la voleva, e l’altra con il brutto vizio di innamorarsi di tutti i ragazzi che vedeva; però no. Non credeva nell’amore.
-Tranquillo- rispose con un sorriso, mentre fissava le mani del ragazzo che erano andate a sistemarsi nervosamente il nodo della cravatta verde e argento che portava al collo.
-Sono Albus, Albus Potter- esclamò poi lui in un attimo di spavalderia, porgendole la mano –Non ti ho mai vista qui-
Hope sorrise, mentre gli regalava una stretta sicura -Sono nuova. Mi chiamo Hope-
 

***

 
Albus fece il suo ingresso in Sala Grande correndo come un pazzo. Ignorando le varie occhiate degli altri studenti, tutte puntate sulla sua schiena, dopo aver lanciato un rapido sguardo lungo il tavolo dei Serpeverde, senza riuscire a scorgere la bionda testolina di Scorpius da nessuna parte, decise che, in fondo, quella mattina avrebbe anche potuto fare colazione con la sua asfissiante famiglia.
Peccato che nemmeno di loro ci fosse traccia. Anzi il tavolo dei Grifondoro era stranamente vuoto. Intravide Davis Jordan che si sbaciucchiava con una ragazza dai capelli rossi scuro.
Si lasciò cadere sulla panca e afferrando un croissant alla nutella, lo addentò. Lanciò uno sguardo preoccupato a Mery, che qualche metro più in là, riservava occhiate afflitte alla sua tazza di caffè. Per un momento pensò di avvicinarsi e chiederle come stesse, poi però, l’idea di essere di nuovo aggredito dalle sue urla e dalle ginocchiate di Lily lo dissuasero.
Lasciò vagare la mente, ripercorrendo lo strano incontro con la nuova ragazza, Hope. Era carina e anche molto. Ma come Scorpius gli aveva insegnato al suo quarto anno, “è inutile trovare una ragazza carina se lei non ti filerà mai”. Ed Hope ad Albus sembrava proprio una ragazza carina, ma di quelle complicate.
E la sua vita di cose complicate ne aveva già troppe. Inzuppò il suo cornetto nel latte, sgocciolando maldestramente sulla tovaglia pulita. Poi, l’improvvisa sensazione che qualcuno lo stesse fissando lo fecero girare di scatto.
Tutti gli studenti lo stavano fissando, alcune Corvonero bisbigliavano, e Albus potè distinguere chiaramente Amelia Froge, del suo anno Serpeverde che lo indicava, con un sorrisetto sulle labbra.
Albus ebbe il riflesso involontario di girarsi di nuovo, come per controllare che stessero guardando proprio lui e non qualcun altro. Poi, non vedendo nessuno, afferrò il suo cucchiaino e fissò il suo riflesso. Possibile che gli fossero spuntate delle ali sulla schiena? O magari qualcuno gli aveva lanciato un incantesimo, come quella volta in cui Roxanne gli aveva colorato i capelli di rosa?
Non c’era nulla che non andasse nel suo aspetto, in definitiva. Ma allora perché tutti continuavano a guardarlo come se non l’avessero mai visto prima in sei anni di convivenza?
Fu con sollievo che intravide le magre figure di Dominique e Lucy che, sedute al tavolo dei Corvonero, bisbigliavano qualcosa. Si alzò e andò loro incontro. Al suo passaggio una ragazzina di Tassorosso si lasciò scappare un sospiro.
Ok, la cosa era strana. Molto strana. Insomma da quando in qua le ragazzine sospiravano al suo passaggio? Insomma quello era il ruolo di James, di Scorpius! Lui era solo il vecchio Al, quello che ti aiuta con il tuo ragazzo, quello che ha fatto esplodere l’aula di pozioni.
-Ciao ragazze- esclamò salutando le cugine con la mano, poi si sedette difronte a Lucy, accanto a Dominique –Sapete perché tutti mi fissano?-
Forse come domanda non era una delle più giuste visto che anche loro lo fissavano, Lucy apparentemente sconcertata, Dominique con un sorriso seducente sulle labbra.
Lucy sembrò riprendersi alla fine e dopo aver assunto un contegno noncurante, si versò del succo di zucca nel bicchiere in argento e se lo portò alle labbra, annuendo tra sé e sé. Poi, dopo aver fatto schioccare le labbra, rispose con voce piatta e vagamente annoiata.
-Perché sei la novità del momento, no?-
Albus aggrottò la fronte, osservò a lungo il cipiglio serio di Lucy, poi lasciò ricadere lo sguardo su Dominique che gli sorrideva ancora, lisciandosi i capelli con una mano.
-La novità del momento?-
-Si, insomma, il fascino del nuovo arrivato, che nessuno conosce..- Lucy fece un segno con la mano, come a sminuire l’importanza della cosa, poi aggrottò la fronte –Io credo che sia stupido, insomma cosa se ne fregano di te?-
Ma cosa diavolo sta dicendo? Si ritrovò a pensare il ragazzo, mentre, con lo sguardo raggiungeva quello dell’altra cugina, come in una muta richiesta.
-Oh, lasciala stare!- esclamò Domi, sbattendo la ciglia e lanciando un occhiataccia all’altra –È solo arrabbiata perché da brava pettegola, non sa ancora nulla di te-
Lucy roteò gli occhi e afferrò la sua borsa rovesciandone il contenuto sul tavolo, alla ricerca di qualcosa di indefinito, probabilmente per far capire che la conversazione non aveva più nessun interesse per lei. Cosa assolutamente falsa.
-Ma noi ci conosciamo!- esclamò Albus con il tono di un povero stupido che vive in una stupida famiglia di stupidi. Insomma, ma cosa diavolo stavano blaterando? –Dom, sveglia! Ieri ti sei ubriacata per caso? Sono io, Al! Tuo cugino!-
Il ragazzo le sventolò la mano aperta davanti agli occhi, con l’unico risultato di fare diventare l’espressione della bionda molto, molto simile a quella di James davanti ad un tema di Trasfigurazione. Anzi, come l’espressione di James davanti a tutti.
James.. E fu allora che Albus capii. Era solo uno degli stupidi scherzi di James, e Dominique e Lucy erano sue complici come chiunque altro nella sala. Albus scoppiò a ridere, mentre gli occhi di tutti puntati su di lui non lo spaventavano più.
-Come fai a conoscere il mio nome? E perché stai ridendo?- gracchiò Dominique, assumendo un aria perplessa. Diavolo, è davvero brava a recitare!
-Si certo Dom, davvero divertente. Ora puoi anche smettere di fingere, però. E anche tu Lu, so che è uno stupido scherzo di James- detto questo, raccolse la sua borsa dal pavimento e ignorando le occhiate stupefatte di tutti, uscì dalla Sala Grande continuando a ridere.

I corridoi erano stranamente vuoti, troppo, e quindi non fu proprio una sorpresa trovare un assembramento di gente che rideva davanti all’ingresso della Torre di Astronomia.
Albus sospirò, sapendo benissimo chi avrebbe trovato al centro della folla, e stavolta evitando di spingere, si fece largo fra i vari studenti.
La situazione che gli si parò davanti aveva un non so che di dejavù, anzi era totalmente identica a quella che gli si era presentata il giorno prima. Questa volta però, Albus non si sarebbe intromesso.
Dalla posizione in cui si trovava riusciva a vedere solo la faccia di Scorpius, che aveva assunto il suo solito ghigno e che aveva puntato la bacchetta contro la pancia di Rose mentre quella della ragazza era affondata nella sua gola.
-Ora basta!- la voce acuta di Lily interruppe la sfida. La piccola Potter si fece largo fra la folla e spintonando poco gentilmente un Corvonero del settimo anno, irruppe fra i due.
-Ha cominciato lei!-
-Ha cominciato lui!- esclamarono insieme i due, mentre si fulminavano a vicenda.
-IO?-
-Si tu!-
-Ok, ora finitela di parlare all’unisono siete insopportabili!- esclamò Lily, poi afferrando con decisione il braccio di Rose, la guardò negli occhi, lanciandole un occhiata di avvertimento.
-E perché mai dovrebbe smettere, Potter?- la voce che proveniva da dietro di lui, fece rabbrividire Albus.
Daniel Nott, anche lui Serpeverde, frequentava il settimo anno. Albus non era quel genere di persona che aveva pregiudizi, lo stesso fatto che fosse il miglior amico di Malfoy bastava a dimostrarlo, ma Daniel era una delle poche persone per cui provava odio. Era uno di quei ragazzi, tronfi e viziati, sempre con quell’aria di superiorità, uno dei pochi che continuava a dare fede alle stronzate secondo le quali i mezzosangue e i nati babbani fossero inferiori ai purosangue come lui.
Accanto a lui c’era Ridley Rosier, Serpeverde convinta, che secondo il gentilissimo e per niente soggettivo parere di Dominique “cercava di camminare su un paio di tacchi 12 cm con la bacchetta infilata su per il culo”. E come descrizione calzava particolarmente, almeno per quanto riguardava il carattere. Di aspetto, invece, non era male. Castana, profondi occhi marroni, ne troppo alta, ne troppo magra. Ma molto stronza. E idiota, come Daniel. Così idiota da aver lanciato una maledizione ad una povera ragazzina del quarto anno perché “quella stupida mezzosangue non può avere il mio stesso fermacapelli”.
Albus odiava anche lei. Gli odiava non per il loro cognome. Ma per come il loro cognome influisse nelle loro vite, per come il loro cognome venisse sbandierato come motivo di vanto.
Rose ogni volta che li vedeva estraeva la bacchetta e la teneva in mano fino a che non sparivano. Lei li odiava anche più di Albus. Ma era un odio diverso da quello che provava per Scorpius. Lei odiava Scorpius perché era Scorpius non perché era un Malfoy. E Scorpius odiava Rose perché era Rose e non perché fosse una Weasley.
Neanche Scorpius stesso li aveva mai sopportati, benché facessero parte di quella cerchi di amici approvati da Draco Malfoy che dopo sei anni di amicizia non si era ancora rassegnato all’idea che suo figlio lo frequentasse.
-Lascia che Scorpius faccia vedere la sua superiorità alla mezzosangue della Weasley- continuò Daniel, mentre Ridley annuiva contenta.
Albus estrasse la bacchetta e con un gesto fulmineo la puntò alla gola del ragazzo. Nessuno poteva offendere Rose, nemmeno quella sottospecie di armadio vivente, il privilegio di infastidirla era riservato solo a lui e a Scorpius.
-Non osare chiamarla così!-
Daniel rimase immobile, per un momento, e fissò con curiosità Albus, come se lo vedesse per la prima volta, infine sul suo viso si aprì un sorrisetto sardonico e per niente rassicurante.
-E questo chi è Weasley?- rise poi –Un altro dei tuoi amichetti da una notte e via che vuole fare il cavaliere?- la bacchetta di Albus premette più forte sulla pelle del Serpeverde, arrossandola –Allora Weasley, è il tuo protettore?-
-Non chiamarla così- ripetè il ragazzo, in un sussurro adirato. Poi qualcuno gli toccò il braccio, e lo strattonò all’indietro, spingendolo via. Per un secondo agitò la bacchetta, pensando si trattasse di Ridley, poi, notando che era solo Rose la abbassò.
La cugina si avvicinò lentamente al viso del ragazzo, chinandosi a sussurrargli nelle orecchie –Cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di essere protetta?-
Albus fissò sconcertato la schiena della cugina. Da quando in qua affrontava con così tanta foga Nott? Ne era sempre stata terrorizzata. Eppure a vederla così, sprezzante del pericolo a puntare la bacchetta contro Daniel come se si trattasse di una semplice scaramuccia con la “testolina platinata”.. sembrava così normale. E i suoi atteggiamenti erano così naturali che, benché sapesse con certezza che non era così, avrebbe creduto di stare vedendo uno spettacolo giornaliero.
Era una sensazione strana, diversa. Ecco.
Daniel fissò Rose con sguardo indecifrabile per una manciata di secondi, poi si liberò di lei con uno strattone. –Andiamo ragazzi, lasciamo la sangue sporco e il suo protettore alle loro faccende-
Detto ciò lanciò un occhiata di disprezzo a Rose e ad Albus che addossato contro il muro seguiva la scena con stupore, poi afferrò Ridley per la vita e si girò verso Scorpius.
-Ehi Scorp tu vieni con noi?-
Albus fissò l’amico, incredulo. Malfoy lo ignorò deliberatamente, poi, dopo essersi assicurato di aver colpito Rose con la spalla, li seguì, ridendo con un ghigno sprezzante.
Albus tese la mano per bloccarlo, incapace di pronunciare qualsiasi suono. Cosa stava succedendo? Da quando in quando Scorpius frequentava quei tipi? Perché non aveva difeso Rose? Perché non l’aveva aiutato?
La folla si diradò ben presto, lasciando solo Albus, la spalla dolorante dopo che aveva sbattuto contro il muro e Rose, ancora di spalle che fissava assorta il vuoto in cui erano scomparsi Daniel, Ridley e Malfoy.
-Rose- sussurrò alla fine, mentre, con passo insicuro si avvicinava alla cugina –Rose cosa diavolo sta succedendo?-
Fece pressione con la sua mano sul braccio, facendola girare verso di lui. E ciò che vide fu quello che fra tutti gli eventi di quella orribile mattinata lo sconvolse di più.
Albus aveva sempre considerato Rose molto bella.
Certo non faceva parte di quella categoria di ragazze per cui tutti impazziscono, quelle che, mentre camminano in Sala Grande, vengono sommerse di fischi. Non era nemmeno una di quelle ragazze dalla “bellezza interiore”. Irritante, saccente, assolutamente impossibile e ambiziosa oltre ogni limite. Così lontana dalla bellezza classica di Dominique e da quella irriverente di Lily.
Rose era quella che aveva i capelli più morbidi e rossi del mondo, ma che assomigliavano vagamente alla peluria di una puffola pigmea nei giorni no. Rose era quella i cui occhi azzurri potevano portare chiunque li guardasse in paradiso, ma che potevano anche farti supplicare l’inferno. Rose era quella che parlava con l’abilità di uno scaricatore di porto quando si arrabbiava, ma che poi aveva tutte E per il suo forbito linguaggio. Rose era quella che profumava di more anche dopo un intenso allenamento di Quidditch e poi mangiava con la voracità degna dei Weasley.
Rose non era mai salita al di sopra del cinquantunesimo posto nella classifica delle più belle di Hogwarts (lista approvata da Liam Zabini) e magari era assolutamente incapace di camminare su un paio di tacchi e forse poteva anche essere piuttosto fastidiosa quando si metteva.
Ma era Rose.
E Albus l’avrebbe considerata bella anche se avesse  iniziato ad andare in giro con dei sacchi della spazzatura addosso.
Quello che però vide Albus in quel momento non aveva nulla in comune con la Rose che aveva sempre amato. I capelli, liscissimi e che in un certo senso sembravano brillare di luce propria, le ricadevano sul viso, truccato delicatamente. Le labbra, piene di lucidalabbra, erano leggermente più carnose del solito e la divisa che indossava era aderente in modo da apparire seducente ma non volgare.
Rose era sempre stata bella agli occhi di Albus. Ma quella strana Rose, quella Rose senza sorriso sulle labbra, quella Rose che lo fulminava con uno sguardo che non era il suo, era spaventosa.
Bellissima, si. Ma spaventosa.
-Perché ti sei messo in mezzo, eh?- esclamò con un tono di voce che non era il suo –Io so cavarmela benissimo da sola!-
Poi corse via lasciandolo solo.
E in quel momento Albus iniziò a pensare che in fondo non fosse uno stupido scherzo quello che sta vivendo. Neanche James era capace di simili trasformazioni. E allora perché tutto andava alla rovescia?
Perché Dominique gli rivolgeva sorrisi seducenti? Perché Lucy sembrava odiarlo all’improvviso? Perché Scorpius si era unito al gruppo di Nott? Perché Rose lo trattava così male?
Quanto vorrei non essere mai nato.
E in quel momento tutto fu chiaro. Limpido, cristallino. Come in una Tv babbana mal sintonizzata sprazzi di conversazioni e ricordi di quell’orribile giornata gli affollarono la mente, confondendolo e allo stesso tempo donandogli la risposta che tanto agognava.
 
-No, ho predetto che passerai una giornata di merda-
-Tieni d’occhio l’arazzo!-
-MA COSA AVETE OGGI TUTTI? Insomma vi sembro una che sa qualcosa di arazzi? Io non sono un arazzo non so come si riparano!-
-Cosa hai detto a Mery? Cretino!-
-ZITTO AL!-
–E voi due l’unica cosa su cui siete d’accordo è che io debba stare zitto? NON Ci CREDO! DANNAZIONE!-
-Al? Al mi senti? Sono Rose-
-Fanculo a tutti e due. Mi sento uno schifo-
-Tu non ne hai idea, Avril..-
 
E mentre tutto prendeva a girare, incessantemente, in un maldestro inseguimento, mentre la ragione si scontrava con la realtà, mentre tutto quello a cui era stato abituato crollava miseramente, nell’attimo prima che le sue gambe cedessero e che tutto diventasse buio, Albus potè solo ripetere dentro di sé quello stupido desiderio che era stato così sciocco da esprimere.

Quanto vorrei non essere me. Essere un'altra persona, senza l’intero clan Weasley- Potter alle calcagna.
Quanto vorrei non essere mai nato.
 

 
 


 
Piccolo Angolo Buio Dell’Autrice..

Capitolo dedicato a kesha98E Hayley_Gin91 _Haru_chan _Valerie_96  bess_Black  giorgio evans  Saomi  Alexiel94 MyHeart chemical_sara per aver sprecato un attimo del loro tempo a recensire..
Grazie anche alle 11 persone che l'hanno inserita fra le preferite, le 2 fra le ricordate e le 38 che l'hanno messa fra le seguite..
Grazie davvero..

 
Hola Genteeeee <3
Come ve la passate?
Puntualmente come ogni lunedì ecco un nuovo capitolo di questa stranissima storia.. nessuno aveva indovinato il desiderio di Al.. anche se ci siete andati vicini..
Allora cosa mi raccontate di bello? Io oggi ho affrontato il primo giorno di scuola (e chi se ne frega? XD) e rischio il suicidio.. se non ci fossero i miei amici non so proprio come farei ad alzarmi dal letto la mattina..
E voi? Avete iniziato la scuola o appartenete a quella categoria di culati cronici (mio fratello) che iniziano la scuola il quindici?
Allora, dopo questo mio sproloquio senza senso, passiamo alle cose importanti.. non sono sicura di questo capitolo.. anzi non mi convince per niente.
In un certo senso volevo fare in modo che Albus si rendesse conto di quanto tenga alla sua famiglia e di come la sua figura sia importante in essa. Ecco perché alcuni personaggi cambieranno completamente il loro carattere (vedi Rose e Scorpius) in quanto la loro vita senza Albus li spinge ad essere diversi… è un po’ intricato come concetto, però..
Voi cosa ne pensate?
Inoltre, come avete notato, appaiono per la prima volta i personaggi di Daniel Nott e di Ridley Rosier (il nome non è quello di Voldemort, l’avevo già scelto e poi mi sono accorta che è anche il cognome di Tom) due piccoli serpeverde che traviano Scorpius..
E Rose è bellissima!
*risolino*
Si, Scorpius?
No, scusami è che nessuno può definire bellissima la Weasley!
Che cosa stai insinuando Malfoy? Di essere più bello di me?
Rose..
Zitto Al!
Scorpius..
Zitto Al!
Ma ragazzi..
ZITTO AL!
Su, ora basta! Oppure nel prossimo capitolo scrivo che scomparite tutti e lascio il ruolo di protagonista a James!
Io sono già il protagonista!
ZITTO JAMES!!
 
Fra
P.S. se ve lo stesse chiedendo, si, il ragazzo biondo che lancia degli incantesimi alle piante di Neville è Scorpius…
Vi lascio con l’immagine di Avril..


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Capitolo 6
*** Il suono del silenzio ***


Angolo Dell'autrice

Oggi le note vengono prima di tutto perchè voglio che per ultimo leggiate il capitolo..
Allora prima di tutto questo è uno stile molto diverso da quello che ho usato fino ad ora, ma spero che possa piacervi lo stesso.. è un pochino più cupo, serio, drammatico, ecco.
Ora, prima che me ne dimentichi, penso che siano necessarie un bel pò di spiegazioni..
Al ha espresso il desiderio di non essere mai nato, ma allo stesso tempo di non essere un Potter quindi i desideri si sono avverati entrambi, facendo in modo che lui sia una sorta di altra persona pur rimanendo se stesso..
Rose e Scorpius, almeno per come l'ho sempre vista io, sono quelli più legati ad Albus, quindi è chiaro che, non esistendo lui abbiano cambiato il loro atteggiamento..
Rose, non ostante quello che può sembrare nel precedente capitolo non è una sgualdrina solo che molti aspetti del suo carattere sono cambiati.. E Malfoy.. ho sempre pansato che, non ostante si atteggi a fare il duro, sia molto volubile, quindi, non essendoci Al si sia fatto portare sulla cattiva strada..
Se avete altri dubbi non esitate a chiedere!
Un bacione enorme a  kesha98E  MyHeart Alexiel94 _Haru_chan_ Hayley_Gin91 chemical_sara _Valerie_96  che hanno speso un pò di tempo a recensire.. fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo..
E no,  bess_Black, non mi sono dimenticata di te! BUON COMPLEANNO!!!!
Fra
P.S. so che James è sparito dalla circolazione ma vi prometto che il prossimo capitolo è tutto dal suo punto di vista!
Vi lascio con l'immagine di Ridley Rosier (Maria Del Cerro *.*)

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6 – Il suono del silenzio.

 
Rose Weasley non credeva nell’amore.
Quando aveva tredici anni era un inguaribile maschiaccio, tutta Quidditch e maglie sformate. Sua madre, allora, in un tentativo disperato di inculcarle un po’ di quella femminilità che era pur sempre necessaria per sopravvivere, le aveva fatto vedere un film d’amore babbano.
Rose aveva protestato, urlato, si era dimenata. Perché avrebbe dovuto vedere quegli stupidi babbani che si dicevano paroline dolci e che le avrebbero fatto venire il diabete? Poi però il film era iniziato.
E Rose ne era rimasta incantata. La storia era molto semplice e i personaggi erano ammalianti. Le piaceva l’attore protagonista con quegli occhi così espressivi. E da quel momento Rose iniziò a sognare.
Sognava di incontrare anche lei un ragazzo così, bello come l’attore del film, con quegli occhi così dannatamente belli, verdi. E sognava che quello la baciasse a lungo, con una bella canzone romantica in sottofondo.
C’era un problema, però. E se ne rese conto dopo averlo visto la decima volta di seguito. Mentre tornava in camera sua, era passata davanti al lungo specchio che sua madre aveva posto in corridoio e lì si era bloccata.
I capelli rossi erano scompigliati, crespi e ingarbugliati, sistemati così potevano essere scambiati per paglia. Gli occhi, blu scuro, il suo punto di forza, erano brillanti come sempre, ma privi della malizia tipica del genere femminile. E le guance troppo piene erano ricoperte di lentiggini, così come il naso, troppo all’insù.
Rose era rimasta impalata davanti al suo riflesso per un bel po’, prima che Hugo, mentre correva la spintonasse e la facesse risvegliare da quella sorta di trance temporanea. Così, mentre si sedeva sul suo letto, provocando una serie di cigolii non trascurabili, aveva chiuso gli occhi.
Lei non era certo bella come la bionda della pellicola. Non poteva competere con quei capelli biondi e con quegli occhi cioccolato e sapeva che con il suo aspetto trasandato non sarebbe riuscita a conquistare mai il suo ragazzo dagli occhi verdi, chiunque egli fosse.
Perciò, il giorno dopo, quando Dominique era passata a farle una visitina, e aveva visto i capelli biondi, la figura aggrazziata e gli occhi maliziosi della cugina, aveva sentito un enorme moto di rabbia. Era corsa in giardino, dalla madre, e le aveva chiesto di andare a Diagon Alley o a Londra con lei.
Il suo problema era che nessuno le aveva mai detto, anche solo scherzando “Rose tu sei bella”, lo stesso fatto che sua madre avesse acconsentito a farle cambiare completamente il suo look, senza dirle niente, era stato l’inizio di quel cambiamento che avrebbe scombussolato la sua vita.
Perché era di quello che Rose aveva bisogno, di qualcuno, anche un parente, che le dicesse “Rose tu non hai bisogno di cambiare, tu sei perfetta così”. E chi poteva dirglielo poi? James era sempre stato il suo cugino preferito, ma non aveva la sensibilità per dire queste cose, e Lily, era troppo piccola e troppo sinceramente schietta per farlo. Dominique e sua madre erano fuori questione, troppo contente della sua voglia di apparire più femminile per dirle qualcosa.
L’unico che aveva osato proferire qualcosa al riguardo era stato suo padre che si era limitato ad un “Non pensi che dovresti farlo. Se diventi bella poi dovrò vedermela con uno stuolo di ragazzini urlanti”. Ed era di sicuro la cosa più sbagliata che avesse potuto dire. Non aveva l’intenzione di ferirla, perché benché non lo dicesse, Ron trovava la figlia bellissima, ma in un certo senso Rose l’aveva presa come un incentivo.
Insomma che cosa credevano tutti? Che non fosse capace di essere anche lei femminile, maliziosa e bellissima? Bhe, avrebbe loro dimostrato che invece si, sarebbe riuscita ad esserlo.
Così, all’inizio del suo quarto anno, dopo aver rivisto per l’ennesima volta il film che era stato l’inizio della sua rivoluzione, era salita sul treno con nove chili in meno, capelli liscissimi, occhi brillanti, divisa molto più corta e stretta e un sorriso provocante sulle labbra.
I risultati furono evidenti. Sin dal primo momento, persone che prima non l’avevano mai calcolata, le si avvicinavano e si presentavano, e Rose sentiva quasi la voglia di ridere loro in faccia. Alcuni dei suoi compagni, l’avevano persino scambiata per una nuova studentessa.
Persino Daniel Nott, suo acerrimo nemico sin dal primo anno, le si era avvicinato e si era presentato con estrema sicurezza alla “nuova ragazza” che si diceva in giro fosse una bomba. Rose questa volta era scoppiata in una risata isterica, piegandosi in due, poi aveva alzato il mento con tono di sfida e l’aveva poco gentilmente mandato a quel paese.
Daniel l’aveva riconosciuta solo in seguito e non si era presentato a lezione per i tre giorni di seguito per poi riapparire per darle della “sporca mezzosangue” come sempre.
Ma a Rose non importava, continuava la sua nuova vita, fra feste, bei ragazzi, ragazze che volevano essere di colpo le sue migliori amiche, corteggiatori ad ogni angolo. A Rose in un primo momento aveva dato fastidio. Insomma, solo perché si era rifatta il guardaroba e si era sistemata i capelli adesso era degna di essere frequentata? A questo punto preferiva quasi Malfoy che continuava a litigare con lei anche se ora era carina.
E all’improvviso quell’innato senso di rabbia che l’aveva spinta a cambiare il look, la spinse a cambiare anche l’atteggiamento. Era facile, bastava guardare Dominique. Divenne cattiva, glaciale, donando il suo cuore solo a quelle persone che le erano sempre state accanto.
In breve divenne una delle ragazze più belle della scuola, ma niente di questo sembrava scalfirla. Divenne vendicativa, chiunque le avesse fatto un torto nella sua “vita passata”, veniva prima conquistato dai suoi modi gentili e poi scaricato miseramente, davanti a tutti.
Doveva essere una cosa temporanea, poi però, la maschera che si era creata per proteggersi divenne una vera e propria parte di lei, e quello che aveva ideato per difendersi dal mondo, le si rivoltò contro.
Ben presto non era più Rose a parlare, non era più Rose che si vendicava perché era giusto, era la maschera di Rose che parlava per ferire, era la maschera di Rose che si vendicava per il gusto di farlo. E la sua maschera divenne una seconda pelle, una seconda pelle bellissima, si, ma pur sempre parte di una nuova lei che spaventava chiunque l’avesse conosciuta prima.
E il suo castello di carte, fatte di bugie, di vendette, ripicche, frecciatine, cresceva sempre di più, in attesa della folata di vento che l’avrebbe miseramente spazzato via.
 
Rose camminava con calma. Il Lago Nero era uno dei suoi posti preferiti lì ad Hogwarts, e benché non l’avesse mai rivelato a nessuno aveva sempre nutrito dentro di lei la speranza di riuscire un giorno a vedere la piovra gigante.
Le piaceva il lago perché le dava quella sensazione di tranquillità, di pace, che mancava alla sua vita. E quella sera, dopo aver litigato per l’ennesima volta con quei Serpeverde coglioni, aver fronteggiato un paio di occhi dannatamente simili a quelli di suo zio Harry e aver avuto una crisi di rabbia che l’avevano spinta a insultare brutalmente il povero Greg Corner, la pace era quella di cui aveva bisogno.
La luna argentata brillava alta nel cielo scuro, colorando l’acqua stessa d’argento e donandole quell’aria magica degna di Hogwarts. Rose non credeva ci fosse spettacolo più bello al mondo.
Camminava assorta, persa nei suoi pensieri, non si accorse perciò delle due figure incappucciate che si stagliavano, silenziose e invisibili, confuse nel buio della notte a pochi metri da lei.
Fu un attimo, il tempo di un secondo e la sua bacchetta era a terra, a qualche metro da lei, e Rose era immobile, per terra, pietrificata, gli occhi blu che bruciavano dalla rabbia. Era assolutamente scorretto attaccare qualcuno alle spalle.
E il moto di rabbia che già la pervadeva diventò una furia ceca quando scorse il sorriso sardonico di Ridley e Daniel che camminavano a braccetto con lo stesso ghigno inquietante sulla viso. Un brivido di paura le percorse la schiena, mentre la prospettiva del dolore che quei due le avrebbero procurato, già si faceva largo dentro di lei.
Erano ormai ad un metro di distanza quando Ridley, con un gesto pigro della bacchetta sciolse il Petrificus in cui l’aveva intrappolata.
Probabilmente vuole sentirmi urlare per il dolore.
Poi la ragazza scoppiò in una risatina di scherno e le si avvicinò, con quella sua camminata buffa, come se stesse allegramente saltellando. Si chinò su di lei, piano, mentre Rose strisciava impercettibilmente indietro, cercando di raggiungere la sua bacchetta.
-Ma guarda chi abbiamo qui!- esclamò Ridley con quella sua vocina strascicata, mentre Daniel, che l’aveva raggiunta in quel momento, le metteva una mano sulla spalla –La piccola Weasley! Come stai cara?-
-Io bene, ma mi preoccuperei di più della tua di salute!- buttò fuori Rose, mentre con uno scatto fulmineo afferrava la bacchetta e cercava di alzarsi in piedi. Questa volta però, fu Daniel, con i suoi soliti gesti calmi e controllati, a puntargli la sua bacchetta contro.
-Lasciami stare, Nott- sussurrò la rossa, mentre impallidiva, non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce ma quella situazione la spaventava e non poco –O finirai nei guai. Si accorgeranno che manco-
-Oh, e chi dovrebbe sentire la tua mancanza, Weasley? Chi dovrebbe sentire la mancanza della tua orribile presenza?- Daniel Nott non parlava molto, di solito ad insultare era Ridley e lui era quello che agiva, ma quando parlava, dalla sua bocca usciva veleno, veleno che ti uccideva.
Evidentemente il pensiero che fosse davvero come diceva, che nessuno si sarebbe davvero accorto della sua sparizione, che nessuno avrebbe voluto salvarla, sconvolse Rose al punto tale da farle assumere un espressione spaventata, così spaventata da spingere Nott a sussurrare –Su, Weasley, non piangere, in fondo ti sto facendo un favore-
Si allontanò, pur tenendo sempre la bacchetta puntata contro di lei, in caso decidesse di difendersi, ma Rose, ancora sconvolta dalle parole che aveva appena pronunciato, rimase immobile, incapace di fare alcunché. Fu quasi con sollievo che vide la bacchetta di Daniel muoversi verso di lei, disegnando un mezzo giro aggraziato e fendendo l’aria pesante che la circondava.
Fa che sia una cosa veloce.
Sentì Daniel pronunciare qualcosa, ma non ne capì bene le parole, troppo presa come era nel fissare la smorfia di Ridley, soddisfatta, che la guardava con disprezzo al di sopra delle sue braccia incrociate all’altezza del petto.
Poi inspiegabilmente si sollevò. Era abbastanza sicura che non si trattasse di un Levicorpus ne di un Wingaridium Leviosa, perché aveva mantenuto la sua posizione eretta, eppure eccola lì a galleggiare nell’aria. Poi, la voce secca di Nott ordinò “giù”, e lei precipitò nel vuoto. Chiuse gli occhi.
 
Rose non aveva mai avuto paura del buio. Da piccola, quando si svegliava nel bel mezzo della notte dopo un incubo particolarmente vivido, sapeva benissimo che oltre quell’oscurità che la circondava c’era la sua stanza, le sue cose, la sua vita. Rose non aveva mai avuto paura del buio. Rose aveva paura del silenzio.
Del suono del silenzio. Perché, Rose ne era convita, il silenzio aveva un suono. Era un pianto sommesso, un urlo represso, la pioggia che cadeva piano. Il silenzio era l’assenza. Come il bianco.
Era assenza di luce, di vita, di colore, di qualsiasi cosa. Il silenzio era il suono dell’odio, del rancore. Era il suono di tutto quello di cui aveva paura.
Così quando era piccola, invece di pregare sua madre di tenere una lucina accesa accanto al suo letto le chiedeva di tenere accesa la radio, o la Tv, persino il ventilatore babbano che il nonno aveva cercato di ricostruire e che faceva un fracasso tremendo quando lo si accendeva.
Tutto, pur di non essere lasciata sola in silenzio. Perché in fondo, anche se non lo sapeva, era questa la sua vera paura. Rimanere sola. Sola, senza nessuno. Sola, in silenzio.
Ed eccola lì a lottare contro le acque gelide del Lago Nero, dove Daniel e Ridley l’avevano buttata, per poi scappare quando avevano visto la male parata delle loro azioni. Ed eccola lì ad affrontare le onde impetuose che si imbattevano con forza contro di lei, in silenzio.
Ama in silenzio e un giorno ti ritroverai muto, pieno di parole che ti tormentano. Fino a che non rimarrai senza parole. Il silenzio è assenza. Come luce nell’oscurità, ci mostra ciò che non c’è. Adesso che sono solo silenzio, credo di capire perché, mi fa così paura il silenzio, il suono del silenzio.
 
Non sapeva quanto tempo fosse passato, probabilmente qualche minuto. Sapeva solo che nessuna luce la guidava verso la superficie, nessun cielo ci sarebbe mai più stato per lei. Solo un immensa mole di acqua scura.
Rose si agitò cercando di nuotare verso l’alto, con le braccia intorpidite dal freddo, senza più fiato in gola per urlare, senza riuscire a pensare ad altro se non che stava per morire. Così, per colpa di Daniel Nott e delle sue stupide idee e di Ridley Rosier con il suo stupido sorrisetto. Sta per morire per un motivo così stupido e ingiusto.
Non sentiva nemmeno più freddo, i suo tentativi sempre più deboli di raggiungere la superficie, i suoi tentativi per continuare a vivere diventavano sempre più deboli. E si sentiva così stanca, così stanca che avrebbe potuto persino lasciarsi morire.
Forse, era meglio così. Forse era quello che il destino di cui tanto parlava Lily aveva scelto per lei. Forse sarebbe dovuta morire affogata, proprio lì, senza aver trovato il suo principe dagli occhi verdi, senza aver visto la piovra gigante, senza aver detto a James che gli voleva bene, senza riuscire a salutare la sua famiglia.
Una stretta al cuore al pensiero della sua famiglia la fece agitare ancora. Doveva continuare a lottare a cercare di emergere da quelle acque silenziose, da quel muro di parole e di silenzi che troppe volte si era trovata ad affrontare. Eppure sarebbe stato così facile lasciarsi andare. lasciare che anche quella piccola riserva d’acqua che aveva conservato nella bocca uscisse fuori e che l’acqua entrasse dentro di lei. Sarebbe stato così facile mollare ora.
Così facile..
Chiuse gli occhi, poi qualcosa l’afferro, facendoglieli spalancare di nuovo. E all’improvviso si ritrova fuori, con un corpo caldo contro il suo, e la gola che le brucia così tanto da sembrare sul punto di esplodere. Sputava l’acqua dai polmoni, ne aveva ingurgitata tantissima, un vero fiume, un mare che le sgorgava dalla bocca, così piena da impedirle di respirare. E tutto ardeva e bruciava.
Il ronzio soffocato che sentiva nelle orecchie, cosa era? Aria? Se era aria allora era viva. Se era aria voleva dire che respirava. Le pareti della gola erano scorticate e bruciavano ad ogni respiro.
Ma era aria. E respirava. Ed era viva.
 
Quando aprì gli occhi e vide la figura del ragazzo accanto a sé non potè fare a meno di stupirsi. La bocca impastata e bruciante era troppo debole anche solo per respirare, figurarsi per dire qualcosa, perciò si limitò a lanciargli uno sguardo spaventato, curioso e allo stesso tempo di ringraziamento, sperando che lui comprendesse.
Ma lui non disse nulla, si limitò a rimanere lì, steso sull’erba bagnata del parco, ansante, mentre fissava il cielo scuro, badando bene di non far incontrare i loro occhi. Rose che aveva cercato di rialzarsi e l’unica cosa di cui era stata capace era appoggiarsi debolmente ai gomiti, ricadde sull’erba.
Non seppe mai quanto tempo fosse passato, perché in quel momento mentre spiegava ai suoi polmoni, che, si, respirare faceva male, ma dovevano pompare l’aria o sarebbe morta, mentre stringeva le mani in dei pugni afferrando alcuni ciuffi d’erba, in quel preciso momento, incontrò gli occhi delle persona che l’aveva salvata.
Poi un rumore indefinito di voci, urla, sussurri si avvicinò a loro. Fra queste Rose potè ben distinguere il tono di solito allegro di James che urlava il suo nome. Istintivamente sorrise. O almeno provò a farlo, ma lo sforzo era troppo e l’unica cosa che le apparve sul viso fu una smorfia di dolore.
Lui si alzò di scatto, interrompendo i suoi pensieri e poi, dopo averle lanciato un’ultima occhiata indecifrabile, corse via, nascondendosi nella boscaglia.
 
Quando James, dopo qualche minuto girò la curva sul sentiero in terra che portava al Lago, e vide Rose la trovò che rideva. Con quella risata vagamente isterica tipica di lei. Rideva perché le sembrava l’unica cosa giusta da fare. Ridere.
Rideva in faccia a quegli stronzi che la ferivano. Rideva in faccia a quella famiglia che la disprezzava in silenzio. Rideva in faccia a quella vita orribile. Rideva in faccia persino a se stessa.
Rideva con la gola secca che le bruciava, i polmoni che si sforzavano, tendendosi e ritraendosi al massimo. Rideva, soffocando i sorrisi amari contro i pugni premuti sulla bocca. Rideva mentre il riso si trasformava in pianto e le lacrime iniziavano a scendere.
Rideva mentre la tanto temuta solitudine la soffocava.
Rideva perché in sei anni che si conoscevano non aveva mai notato che gli occhi di Scorpius Malfoy erano verdi.

 
 
 

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Capitolo 7
*** Disordine ***


Dedicato a _Valerie_96  chemical_sara bess_Black  Saomi  Alexiel94  BWeasley  _Haru_chan_ Jo_94  Hayley_Gin91 che continuano a supportarmi, capitolo dopo capitolo e che sono state così pazze da recensire il mio ultimo orrore!  Un enorme grazie anche alle 16 preferite, 2 ricordate e 44 seguite!
Grazie mille, davvero, perchè è solo grazie a voi che continuo...
Davvero un enorme grazie!


 


6 - Disordine

 
L’aria fresca di settembre era come un balsamo per le ferite sulla pelle calda di Scorpius, che seduto sotto un albero con il suo solito cipiglio corrucciato, fissava il profilo magro di Ridley accanto a lui.
Daniel li avrebbe raggiunti da lì a poco, dopo averli congedati davanti alla biblioteca. Doveva svolgere una misteriosa ricerca che, a quanto Scorpius sospettava, non riguardava certo la scuola.
Ridley si mosse accanto a lui, facendo scontrare le loro braccia, mentre cercava una posizione favorevole per poter meglio osservare il lago. O forse i ragazzi del settimo anno che, sfidando le acque scure e la prospettiva di un incontro con la piovra gigante, avevo deciso di farsi una nuotatina fuori programma.
Uno di loro, un ragazzo con disordinatissimi capelli neri spintonò l’amico, dalla chioma bionda, mentre un terzo dai capelli rossi si gettava su di loro. Inutile dire che ben presto si rotolavano allegramente nell’acqua.
Ridley sospirò, di nuovo, mentre stringeva con più forza la mano sul suo lecca- lecca alla ciliegia. Scorpius la conosceva da sei anni, e non era passato giorno senza che l’avesse vista con un lecca-lecca in mano. Era una parte di lei non trascurabile, ecco.
-Scorpius- esclamò lei con quella vocina dolciastra che usava solo quando si annoiava. E questo non era mai un bene, soprattutto perché, per farsela passare poi, quella noia di cui si riteneva afflitta, creava delle situazioni disastrose in cui avrebbe coinvolto anche lui –Mi annoio-
Come volevasi dimostrare.
Il ragazzo aggrottò la fronte, mentre cercava di evitare lo sguardo della bionda, sapendo benissimo che se l’avesse fatto sarebbe stato di nuovo convinto. Ridley aveva gli occhi più inquietanti del mondo, dorati. Ma non un dorato dolce, rilassante, ma quel dorato quasi giallo, molto simile a quello di un gatto, che metteva in soggezione.
Tutto in Ridley metteva in soggezione. Dai capelli con la spessa ciocca rosa che le scendeva di lato, accanto alla frangetta irregolare, il suo tatuaggio tribale che aveva fatto di nascosto dai genitori e che ogni estate, quando partiva per le sue “vacanze familiari”, faceva sparire con un incantesimo per poi farlo riapparire appena tornati. Persino la bocca piccola, sempre socchiusa in una smorfia, intenta a soffiare il fumo di una sigaretta o a succhiare il lecca-lecca, le labbra rosse rese ancora più accese dalla macchia color ciliegia.
Ridley era inquietante, ma sapeva ottenere quello che voleva. Non era seducente, e non era una ragazza facile, benché indossasse vestiti troppo scollati e si ubriacasse spesso, ma quando era con lei Scorpius provava la stranissima sensazione di perdere il controllo della sua bocca.
All’improvviso come se la ragazza stesse succhiandogli le parole, le informazioni, invece del suo lecca-lecca, iniziava a parlarle di cose di cui non riusciva a parlare nemmeno a se stesso.
E all’improvviso il lecca-lecca appena iniziato era finito e Ridley sorrideva sardonica, mentre lui richiudeva la bocca e si dava del cretino per aver parlato di nuovo così tanto. Eppure, benché glielo tirasse fuori con l’inganno, ogni suo pensiero sembrava comprensibile alla ragazza.
Non erano amici, no. Scorpius era sempre cresciuto con l’idea che l’amicizia fosse una di quelle cose per idioti, che in fondo non contasse nulla. Amicizia, amore, a cosa servivano?
A cosa era servita l’amicizia a suo padre quando aveva dovuto scontare i lavori forzati dopo la fine della guerra? A cosa era servito l’amore quando i suoi genitori si erano separati? A cosa erano serviti l’affetto, la fedeltà e tutti i buoni propositi quando era entrato per la prima volta ad Hogwarts e chiunque avesse provato ad avvicinare lo guardava con disprezzo e lo lasciava solo?
Era questa la verità, e anche se al primo anno ci aveva sofferto come un cane, ad essere ignorato, alla fine aveva capito. E Ridley e Daniel con le loro idee sui purosangue e sui Babbani, magari non erano proprio come si sarebbe immaginato e il tempo trascorso con loro non era dei più divertenti, ma l’avevano accettato.
E se proprio avesse dovuto scegliere qualcuno da salvare in quel castello avrebbe scelto loro. Non per il loro nome, o per le loro idee, ma perché l’avevano accettato. Forse l’avevano fatto perché anche lui portava un cognome da Mangiamorte, forse perché neanche loro avevano avuto fortuna nell’inserirsi, ma qualunque fossero stati i loro motivi, l’avevano accettato.
-Scorpiussss!- ripetè di nuovo Ridley, agitandogli il braccio carico di catenine e ciondoli davanti al viso –Ci sei? Ho detto che mi annoio!-
-Ho sentito, Rid, solo che non saprei cosa fare- ribattè Malfoy, afferrando una foglia caduta dall’albero sotto cui si erano riparati ed iniziando a giocherellarci.
La ragazza sbuffò e incrociò le braccia sotto il seno, mettendo su una smorfia di delusione che, Scorpius lo sapeva, non portava niente di buono. Dai vari borbotti in cui si lanciò, i sospiri afflitti e tutto quello che escogitò pur di attrarre la sua attenzione, Scorpius capii che da li a poco sarebbe scoppiata in uno dei suoi soliti discorsi senza capo ne coda.
-Odio quella Weasley, sai?- ed ecco. Scorpius sospirò, lasciando ricadere le foglie e appoggiando la testa contro il tronco del grande faggio, prevedendo che la filippica sarebbe durata almeno fino a quando Daniel non avesse deciso di onorarli della sua illustre presenza.
-Si crede chi sa chi, mentre in realtà non è niente! Solo una sgualdrina che visto che si è rifatta le tette o che so io crede di poter dire e fare quello che vuole! E invece è solo una stupida, piccola, sudicia mezzosangue!-
Ridley scattò in piedi, stringendo convulsamente i pugni delle mani, poi dopo aver tirato un poderoso calcio al tronco dell’albero, sfiorando di poco il braccio dell’amico, estrasse la sua bacchetta dalla veste e scese correndo verso il lago.
Scorpius non la seguì. Sapeva già come sarebbe andata a finire, ora avrebbe sfogato la sua ira con la prima persona che avesse visto, per poi correre da Nott e escogitare con lui un piano su come ammazzare la Weasley.
Ma a lui non importava. Certo se riuscivano finalmente a liberare il mondo dalla terribile e asfissiante presenza della Weasley, bene, perfetto, avrebbero fatto un favore a lui e all’intera comunità. Solo che, dopo tutto quello che aveva passato, preferiva rimanere nell’ombra e limitarsi ad assistere agli eventi.
-Scorp, dove è Rid?- la voce pacata di Daniel proveniva da dietro di lui. Non si girò a guardare l’amico, limitandosi con un cenno della testa ad indicargli la ragazza che ora stava fronteggiando i ragazzi che facevano il bagno nel Lago.
Nott annuì e si lasciò cadere accanto a lui. –Spero che finisca presto. Guarda cosa ho trovato-
Questa volta il biodo alzò lo sguardo e fissò perplesso la copertina del libro che probabilmente l’amico aveva cercato in biblioteca. Aveva la copertina nera, e sul bordo inferiore della facciata principale c’erano rappresentate delle fiamme rosse, che si muovevano. Sembravano così vere che Scorpius per un momento si chiese come potesse tenerlo in mano.
-Qui c’è un piccolo incantesimo, davvero molto efficace. Chissà che alla Weasley non piaccia!- Daniel ghignò, passandosi una mano fra i capelli scompigliati.
Malfoy annuì. La Weasley aveva pubblicamente umiliato Rid e Dan e si meritava una punizione. Magari non dolorosa come quella che i due avevano progettato, ma comunque qualcosa che le insegnasse a stare al posto suo.
Ma lui, come già detto, non si sarebbe intromesso.
 

***

 
James Sirius Potter, Lysander Scamandro, Frank Paciock e Fred Weasley non erano dei bravi ragazzi. Sin da quando il fato li aveva fatti incontrare e finire in camera insieme sotto lo stemma dei Grifondoro, il periodo di pace che Hogwarts aveva vissuto dopo i Malandrini e i gemelli Weasley, era crollato miseramente.
Erano quel genere di persone che, per quanto tu possa trovarle irritanti, fastidiose, insopportabili e piene di sé, non puoi fare a meno di amare e apprezzare.
Certo, magari James si preoccupava più dei suoi capelli e della sua scopa che della scuola in sé, magari Lysander aveva fatto ubriacare Madama Chips dandole del Whisky al posto che dell’innocuo succo di zucca (guadagnandosi un bacio sulla guancia da Avril), magari Frank aveva fatto esplodere l’aula di pozioni e aveva distrutto la serra del padre e magari Fred aveva più ragazze che calzini, ma erano cose che si potevano perdonare.
Perché erano quelle persone che ti ridavano in sorriso quando eri triste, quelli che pestavano il tuo ragazzo se ti aveva tradito e insultavano la ragazza se ti aveva snobbato.
E per quanto potessero essere strani, idioti, esuberanti e assolutamente assurdi, non si poteva fare a meno di amarli.
Così quella mattina quando ogni essere vivente che fosse dentro o nei paraggi della torre Grifondoro sentii le urla di Paciock che intimava a Fred di “alzarsi o faremo tardi al primo giorno di scuola e se facciamo tardi il primo giorno di scuola vi spacco il culo”, nessuno si sorprese più di tanto. Come nessuno si sorprese di vedere Frank scendere da solo con i suoi bei libri impilati nella cartellina, seguito da James, Fred e Lysander, qualche metro più dietro in tenuta da mare con tanto di borsone da spiaggia e crema solare.
L’idea era “facciamo un bel bagno nel lago mentre Paciock sgobba” e tutto era andato per il meglio almeno finchè Ridley Rosier, si era avvicinata loro correndo con lo sguardo illuminato da delle vampate di odio e dopo una frecciatina poco piacevole di James aveva appellato i loro vestiti e i loro costumi, lasciandoli nudi in mezzo al lago.
All’inizio aveva lasciato loro gli asciugamani, poi dopo una battuta particolarmente fuori luogo di Fred “su Rosier, smettiamola, tanto lo so che vuoi vedermi nudo!” aveva fatto evanescere anche quelli.
Dopo essersi goduta un po’ lo spettacolo di loro che cercavano di coprirsi le parti basse, e la notizia che tre dei ragazzi del quartetto d’oro stavano nuotando come mamma li aveva fatti nel lago iniziava a farsi strada nel castello e orde di ragazzine urlanti aspettavano con ansia l’inizio della pausa pranzo per godersi lo spettacolo, la Rosier se ne era andata, lasciandoli immersi nella…
-Merda, merda, merda, merda!-
-Si Lys, l’avevamo capito sai!- esclamò Fred, mentre fissava preoccupato l’orologio del castello. Ancora venti minuti e il lago sarebbe diventato un formicaio.
-Tu stai zitto!- gli urlò contro James –È solo colpa tua se la Rosier non ci ha lasciato gli asciugamani!-
-Colpa mia? Sei tu che hai iniziato a sfotterla!-
-Io? La colpa ora è mia? Oh, ma certo, prendiamocela tutti con James tanto lui è solo un piccolo idiota che non capisce niente!-
-Ok, ragazzi basta- Lysander interruppe il litigio che stava per nascere e si frappose fra i due che in mancanza di bacchette stavano per darsele di santa ragione –Fred, si in effetti la battutina alla Rosier potevi evitartela e James tu non sei un piccolo idiota, sei un idiota di dimensioni gigantesche, ora però possiamo trovare una soluzione?-
I due cugini si lanciarono uno sguardo diffidente per poi lanciarne uno preoccupato all’orologio. Un quarto d’ora. Solo un quarto d’ora.
-Ok, basta io esco così!-
-MA SEI CRETINO? E se ti vedono?-
-Vuol dire che apprezzeranno il mio corpo!- James si scostò i capelli e raddrizzò la schiena, pronto ad affrontare il mondo.
-E se ti vede Harris? E se ti trovano le ragazzine del tuo fan club? E se..-
Ma James non lo stava ascoltando, troppo concentrato a mettere a fuoco la figura sottile e piccola di una ragazzina bionda che arrancava sotto il peso di un enorme zaino. Poi un sorriso felice gli si aprì sul viso mentre iniziava a sbracciarsi e a chiamare a gran voce la persona che li avrebbe salvati.
 

***

 
Mery maledisse la sua voglia di tornare alla Torre, salire in dormitorio e stendersi, solo per qualche minuto. Anche se era tecnicamente comprovato che si sentisse così stanca la mattina. Era uno studio Babbano che spiegava che in realtà l’uomo si addormenta davvero solo la mattina, alle prime luci dell’alba, in quanto, il buio e ciò che si cela dietro di esso spaventa il nostro subconscio così da impedirci di dormire davvero la notte.
Insomma, per parlarci chiaro, si era addormentata sul banco mentre Ruf spiegava la Seconda Guerra dei Goblin ed era stata svegliata da un ragazzino del primo anno che aveva lezione di Storia della Magia nell’ora successiva.
Aveva dunque raccattato di corsa i suoi libri e rischiando di inciampare in un Pix ormai troppo decrepito per volare e che si limitava a camminare adagio per il castello, insultando ogni studente cercasse di avvicinarlo, era schizzata fuori verso le serre, dove si sarebbe tenuta l’ora successiva.
O forse era meglio dire che l’ora si era tenuta alle serre visto che ormai mancava solo un quarto d’ora prima della fine delle lezioni e l’inizio della Pausa Pranzo. Così ora si limitava a camminare adagio lungo le rive del Lago Nero, riflettendo su una buona scusa da dare al professor Paciock.
Era troppo banale dire che si era addormentata e aveva sognato James Potter che la chiamava a gran voce, per confessarle che l’amava più di ogni altra cosa…
-Mery!-
… e si sposavano e avevano tre figli il primo si sarebbe chiamato James Jr in onore del padre, la seconda si sarebbe chiamata Lizzie e il terzo Logan, come il padre di lei. E sarebbero andati a vivere in un castello bellissimo…
-Mery! Mery!-
… e lui l’avrebbe rincorsa sfidando la tempesta e lottando contro il vento, portandosi le mani al cuore mentre urlava…
-MERY DANNAZIONE!-
La ragazzina girò la testa, pronta a urlare contro chiunque stesse disturbando il suo sogno ad occhi aperti. Ma ciò che vide la fece rimanere di sasso. Lysander Scamandro, Fred Weasley e James Potter si sbracciavano cercando di farsi notare, immersi fino alla vita nelle acque fredde del lago.
Si mosse come un automa, incapace di controllare il suo corpo e si portò le mani sulla bocca, mordendosi la lingua per non urlare. Poi si avvicinò con tutta calma.
-Si qualche problema?- chiese respirando a fondo e cercando di convincere i suoi muscoli facciali ad assumere una posa naturale e affidabile.
-Ehm.. ecco.. io..- James prese a balbettare assumendo un aria così tremendamente adorabile che Mary ringraziò ci fossero molti metri d’acqua scura e fredda a dividerli – ehm, noi..-
-Siamo nudi- proferì Fred, tagliando la testa al toro, e spintonando James, che lo afferrò per un braccio, cercando di non cadere.
Mery non ascoltò niente di quello che Fred le disse in seguito, rossa come un peperone, si limitava a fissare i lacci delle sue scarpe, mentre dei pensieri poco ragionevoli e adatti le sconvolgevano la mente.
-È sul mio letto- la voce di James la riscosse e alzò subito lo sguardo evitando di soffermarsi troppo sul suo mezzo busto.
-È sul tuo letto cosa, James?- ma quanto le piaceva dire il suo nome? James, James, James, James, James, James, James! James!
Lysander e Fred si scambiarono un occhiata densa di sottointesi, che però sfuggì a Mery troppo presa a fissare il ragazzo, che le stava di nuovo spiegando cosa dovesse fare. Prendere il mantello sul letto, oppure dei vestiti e portarli lì, prima dello scoccare della pausa pranzo.
Il cuore di Mery era partito per la tangenziale. In camera sua? La stavano mandando in camera sua? E le stavano dando il permesso di curiosare fra le sue cose?
Oh Godric!
-Mery mi senti?-
-Certovadosubitoavedere- detto ciò, con tutta la calma che possedeva sorrise (scoppiò in una risatina isterica) e camminò piano (prese a correre come una pazza) salutando gentilmente le persone che incontrava (travolgendo chiunque fosse sul suo cammino).
 
Mery spalancò la porta del dormitorio maschile trattenendo il fiato, mordendosi la lingua per evitare di emettere un grido non identificato. Poi, dopo essersi guardata intorno, poggiò la mano sulla maniglia della porta di James e sospirò.
Quante volte aveva immaginato di solcare quella soglia? L’unico intoppo era che di solito, nella sua immaginazione, era James a portarcela, attento a non inciampare nel suo lungo velo del vestito da sposa. Si, perché lei e James si sarebbero sposati.
-E allora io…-
Mery sbattè gli occhi, scossa, mentre la voce di quello sconosciuto di passaggio, la distoglieva dai particolari del matrimonio, e la costringeva a spalancare la porta.
La prima cosa che notò fu il disordine. Poi cadde per terra. Non sapeva bene in cosa fosse inciampata, ma non desiderava nemmeno alzarsi, troppo presa a fissare le innumerevoli foto dell’amore della sua vita sparse per la stanza.
E viste lì, dal pavimento, erano così… il suo profilo era così… lui era così…
Mery scosse la testa, mentre si ripeteva tra se e se cosa fosse venuta a fare. Trovare il mantello di James. Trovare il mantello di James. Trovare il mantello di James. Trovare il.. che poi cosa ci avrebbero fatto con un mantello? Forse era meglio se portava loro dei vestiti.
E questo pensiero non le era venuto in mente perché in quel caso avrebbe potuto toccare gli abiti del suo amore, stringerseli al petto, inspirare il suo profumo… no. No. Non era per quello, assolutamente.
Insomma non ne era mica ossessionata, no? era perfettamente in grado di controllarsi e si sarebbe persino messa alla prova, afferrando una fotografia del ragazzo (lui che scendeva dalla scopa e ammiccava) guardandola e rimettendola giù.
Perciò afferrò convinta la cornice e la fissò per un minuto buono, poi sorrise.
Bene, ora la rimetto a posto.

D’accordo, Mery, l’hai vista bene, ora rimettila a posto.

Mery so che è difficile ma lasciala.

Mery rimetti giù quella foto!

MERY!!!!

Mery smettila di ballare con una foto di James!

Mery?

Oh, al diavolo!
 

***

 
Frank Paciock era sempre stato un ragazzo ragionevole, quello con più sale in zucca dei suoi amici. Lo stesso fatto che fosse diventato Prefetto al quinto anno, e poi lo fosse rimasto fino alla fine, sfiorando di poco l’ambita carica di Caposcuola, pur avendo come migliori amici le tre persone più scansafatiche e irragionevoli della scuola, ne erano la dimostrazione.
Alcuni si chiedevano ancora, dopo anni e anni di convivenza, come facesse a essere loro amico e a partecipare ai loro scherzi, pur rimanendo ligio alle regole. Una volta, Stephanie Reynolds, una Tassorosso del sesto anno glielo aveva chiesto.
Frank aveva smesso di scrivere il suo tema di Pozioni, aveva lentamente alzato lo sguardo su di lei e l’aveva fissata per un minuto buono. Poi, quando Stephanie aveva ormai perso ogni speranza che lui le rispondesse, Paciock si era stretto nelle spalle.
-Il segreto è utilizzare le regole per ottenere quello che vuoi, piuttosto che aggirarle e rischiare di essere puniti-
Al che la ragazza aveva annuito e dopo averlo fissato per un lungo istante l’aveva invitato all’uscita di Hogsmade della settimana seguente.
Stephanie era indubbiamente carina. I capelli neri, gli occhi cangianti e un grande sorriso sulle labbra. Eppure non era bella. Il naso era schiacciato e occupava buona parte del viso e benché avesse un bel fisico, l’eccessiva magrezza faceva in modo che le sue curve non fossero molto sviluppate. Non era bellissima, dunque. Ma nemmeno Frank lo era.
Probabilmente rideva troppo, era leggermente possessiva e da quando si erano messi insieme Frank trovava, molto, molto difficile parlare con una donna che non fosse un insegnante o la povera Ginger McMillian (che aveva ereditato l’acne dalla madre Eloise e la pomposità nel linguaggio da suo padre Ernie) e molto spesso li si vedeva litigare furiosamente sul presunto pseudo-tradimento che il povero Paciock aveva commesso, eppure erano quel genere di coppia che ti aspetteresti di vedere sposata subito dopo l’uscita da Hogwarts.
Sempre che il povero Frank ci arrivasse alla fine di Hogwarts. Stephanie e i suoi amici andavano abbastanza d’accordo (Fred aveva commentato, per una volta senza sarcasmo, che era una “con gli attributi”) e si trovavano bene insieme. Ovviamente tutto il “andiamo d’accordo” si concludeva quando gli impegni di coppia si sovrapponevano a quelli fra amici. A quel punto Frank trovava ci fosse solo un opzione. Nascondersi sotto il tavolo e aspettare che l’inevitabile contesa finisse.
Dunque Frank era abituato alle persone con problemi mentali. Era abituato e pronto a tutto e in cuor suo sapeva che niente sarebbe più riuscito a stupirlo.
Eppure, quando, quella mattina, dopo la prima stancante giornata di lezione, quando l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stata buttarsi sul suo letto e morire, era entrato in camera sua e aveva trovato una quindicenne che ballava saltellando con una foto di James stretta al petto, si decise a ricredersi.





Angolo Autrice (Importante, leggere tutto *please*)

*si avvia al patibolo*
Lo so, lo so!
Sono super mega iper arci ultra in ritardissimo!!
E questo sarà anche un aggiornamento lampo perchè fra esattamente cinque minuti i miei amici passeranno a prendermi per andare insieme in spiaggia (Si! Qui nel Salento è ancora tempo di mare, sole e spiaggia!)
Ma ci sono comunque delle cose che devo chiarire prima di lasciarvi a meditare sui diversi metodi per uccidermi...
Primo. I ragazzi. Allora in un certo senso io ho sempre visto James molto più simile al nonno che al padre, quindi, il fatto che sia un cretino assolutamente adorabile mi attrae molto. Inoltre il rapporto che ha con i suoi amici ho voluto in qualche modo renderlo simile a quello che avevano i Malandrini. James è James, Lys e Fred si dividono il posto di Sirius (capirete in segutio perchè) e Frank... bhe, Frank è semplicemente Frank.
E io lo amo immensamente!
All'inizio lui non doveva esserci, poi mentre rileggo la mia storia preferita sui Malandrini, pum! Ecco questa figura di Paciock, sempre in mezzo ai guai che non va nemmeno a cercarsi... e poi Stephanie mi è venuta di conseguenza..
Voi cosa ne pensate?
Secondo. Credo di dover fare luce sulle questioni temporali perchè rileggendo i capitoli mi sono accorta che non si capisce niente. Allora, Albus esprime il desiderio di lunedì sera e sviene il martedì mattina, subito dopo colazione (Capitolo "Attenzione a ciò che desideri"). Lo scherzo che è hanno fatto a Rose avviene il martedì sera e questo qui il martedì pomeriggio e lo precede.
Insomma vi chiederete voi, ma perchè non hai pubblicato prima questo e poi quello di Rose?
Perchè sono complicata! E perchè c'è un motivo particolare che capirete solo in seguito!
Ora scappo...
Un bacione di dimensioni abnormi!
Fra

Ecco Rose:


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Capitolo 8
*** Autoconservazione ***


Piccolo Angolo Della Pubblicità

Che ne dite di fare un saltino qui?  Sai tenere un segreto? Questa è un'altra mia storia e mi farebbe davvero piacere conoscere il vostro parere su essa, ho già postato il secondo capitolo...
Grazie davvero alle ragazze che l'hanno recensita!


Angolo Autrice

*Si avvia al patibolo fra i "buuu" della folla*
Allora prima che mi uccidiate devo dire una cosa importantissima.
*Una mazza da baseball la colpisce in testa*
Ehi, ho detto di farmi parlare prima!
Lo so, lo so, sono in ritardo, sapventosamente in ritardo!
Ma ho un motivazione!
La mia ispirazione era andata a farsi un giretto per la tangenziale... se siete anche voi delle autrici forse vi sarà capitato di avere il "blocco dello scrittore" (o anche il "blocco del recensore") Insomma non è che mi mancassero idee solo che, ogni volta che cercavo di scriverle, mi uscivano degli obbrobbri schifosi.
Così dopo tre settimane di assenza ancora niente capitolo...
E poi BUM! Stavo vedendo per la centesima volta "Mamma mia!" (AMO QUEL FILM!) con delle mie amiche e mi viene in mente una delle scene di questo capitolo (quello di Al, per intenderci) e mi sono praticamnete messa a saltellare per la stanza...
E così eccolo qui, un pò statico come capitolo, ma è sempre meglio dei miei precedenti e obbrobriosi tentativi...
Spero che possa piacervi!
Fra
P.S. Il disegno che è stato inserito sotto il titolo non è assolutamente mio (l'ho trovato su Internet) ma mmi piace moltissimo così ho deciso di pubblicarlo. Se vi va, visto che ne ho trovati molti, potrei pubblicarne uno a chap, che ve ne pare?


Dedicato a  _Valerie_96  bess_Black  Alexiel94 _Haru_chan_  kesha98E  chemical_sara AnnieJ   Saomi  My Heart Haunted che hanno avuto il coraggio di recensire lo scorso capitolo, spero vi piaccia anche questo!
Un ringraziamento speciale anche ha chi ha inserito la storia fra lepreferite/seguite/ricordate!
Voi mi fate sentire amata ragazzuole!





 

7 - Autoconservazione


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Quando Albus riprese i sensi e le sue narici vennero invase dal familiare odore di alcol e disinfettante, con un retrogusto di agrodolce, capì subito anche senza dover aprire gli occhi di trovarsi in infermeria. Quello che proprio non riusciva a capire era il perché si trovasse ancora lì, e soprattutto per quale assurda ragione le voci estremamente familiari James e di Avril stessero urlando senza rispetto per la sua povera persona.
-Avril esci con me?-
-No, Potter-
-Avril esci con me?-
-Fuori di qui, Potter! Non è orario di visite!-
Possibile che urlino così tanto? Non c’è più rispetto per i poveri ammalati al giorno d’oggi!
-Ma dai Avriluccia! Tanto tutti i pazienti stanno dormendo!- continuò imperterrito suo fratello. Albus non dovette nemmeno guardare la scena per capire che ora si stava passando una mano fra i capelli.
E che Avril stava per scoppiare.
-E tu non dovresti saperlo, visto che NON è orario di visite!-
Come volevasi dimostrare.
Albus represse un ghigno, poi si decise finalmente ad aprire gli occhi. L’infermeria era deserta apparte lui, e il letto affianco, che era occupato da qualcuno, probabilmente una ragazza, a giudicare della divisa appoggiata sulla sedia accanto al comodino, che Albus non riusciva ad identificare, visto che era voltata di spalle.
Infondo alla stanza, accanto alla porta d’ingresso, c’era suo fratello, il viso corrucciato in una smorfia che doveva considerare adorabile e irresistibile ma che, a giudicare dall’espressione esasperata e vagamente omicida di Avril, non sortiva l’effetto sperato.
-Solo i pazienti possono stare qui oltre l’orario di visita- proferì la ragazza, un ghigno di soddisfazione sul viso mentre indicava a James la porta, in un tacito invito a scomparire.
Albus soffocò una risatina al vedere l’espressione del fratello mutare sopraffatto da diverse emozioni, sorpresa, rancore, comprensione, dubbio, stanchezza, speranza. Alla fine mise su un sorriso dei suoi, e senza dire una parola, si precipitò fuori dall’infermeria.
Avril sospirò stancamente, portandosi una mano alla fronte. Poi dopo essersi lanciata un’occhiata sospettosa e circo sospetta intorno, si avvicinò con passi misurati e un atteggiamento volutamente noncurante, alla piccola credenzina, aprendo l’anta sinistra. Dopo un’altra occhiata alle sue spalle, si chinò, aprendo il piccolo cassetto segreto, nascosto abilmente dietro lo sportello e estrasse una piccola fiaschetta color magenta.
Albus sapeva cosa fosse, una volta, quando si era rotto un braccio durante la partita di Quidditch contro i Corvonero, l’aveva vista scolarsi una intera di quelle bottigliette e incuriosito e divertito allo stesso tempo, quando Avril era uscita per recarsi alle serre a prendere l’essenza di dittamano, si era alzato e le aveva esaminate.
Certo in qualità di prefetto della sua Casa avrebbe dovuto denunciare a uno dei professori che l’assistente dell’infermiera aveva un credenzina piena di bottigliette di whisky incendiario che usava per “tirarsi su” durante le giornate particolarmente impegnative.
Ma ad Albus non piaceva immischiarsi negli affari degli altri. Era più dell’avviso che se ognuno nel mondo si fosse sempre fatto i fatti suoi tutto sarebbe stato più semplice.
Un rumore assordante, come qualcosa che cadeva, lo distrasse dai suoi meditabondi pensieri. Anche Avril parve riscorsi e si affrettò a nascondere la terza bottiglietta nel cassetto prima di girarsi verso la fonte del rumore e mettendo su un falso sorriso innocente sulle labbra.
Sorriso che scomparve subito quando la testa di James fece di nuovo capolino dalle porte dell’infermeria. Avril assunse un colorito intermedio fra il rosso porpora e l’arancione acceso.
-Ti ho già detto che non è orario di visite Potter!-
Sul volto di James apparve un sorriso che non prometteva nulla di buono.
-Infatti non sono qui per le visite, Avriluccia!- esclamò il ragazzo, entrando nella stanza a passi misurati –Mi sono fatto male al braccio!- continuò poi sollevando l’arto destro e agitandolo davanti all’infermiera, con veemenza –Guarda che graffio!- ululò indicando la “ferita” che consisteva in un piccolo taglietto da carta –Penso che dovrai ricoverarmi!-
-Potter sparisci dalla mia vita!-
-Ma come Avriluccia, vuoi mandare via il tuo affezionato e moribondo paziente? Non si fa così!-
-Tu non sei un mio paziente, sei solo un…-
 
Albus non aveva mai riflettuto molto sul concetto di Serpeverde.
Certo aveva una vaga consapevolezza di essere l’unico nella sua famiglia da entrambe la parti ad aver mai portato la cravatta verde-argento. E aveva anche avuto il non tanto errato presentimento di essere diverso da suo fratello e da sua sorella. In effetti si, lui sapeva di essere differente, ma non gli importava molto.
Non appena ebbe ricevuto la sua lettera da Hogwarts, quell’estate di cinque anni prima, subito dopo essere quasi svenuto dalla gioia, soffocato dagli abbracci stritolanti della madre, sotto lo sguardo orgoglioso di suo padre e con il vago sentore che James avesse sussurrato un “Cosa? Anche a scuola devo sopportarmelo?”, la prima domanda che si era fatto era stata, “In quale casa finirò?”.
Serpeverde l’aveva esclusa a priori. Nessun Potter sano di mente si sarebbe fatto smistare lì! Insomma quale sarebbe stato il prossimo passo? Diventare l’amichetto del cuore di Malfoy?
Corvonero era una casa per cervelloni e benché lui fosse una persona abbastanza intelligente non la riteneva adatta al suo modo di essere. Probabilmente sarebbe stata la casa di Rosie.
Tassorosso, a sentire i racconti entusiastici di James, era composto da persone mediamente stupide e troppo buone, o da persone che facevano finte di essere buone e poi ti colpivano alle spalle. Quindi, no, non sarebbe nemmeno voluto finire a Tassorosso.
Rimaneva solo Grifondoro, la culla dei coraggiosi di cuore, la casa che aveva protetto, ospitato e cresciuto tutta la sua famiglia da generazioni e generazioni. Era quindi ovvio che sarebbe finito lì anche lui, benché l’idea di poter davvero avere qualcosa in comune con James e i suoi amici pazzi lo spaventasse molto.
Eppure, benché fosse ovvio che quella sarebbe stata la sua Casa, lui non si sentiva davvero un perfetto grifone. Secondo “Storia di Hogwarts”, il libro di Storia della Magia che Rose aveva scannato in un sola giornata per poi riferirgli accuratamente il contenuto, la casa, fondata da Godric Grifondoro, doveva ospitare gente dal cuore coraggioso. Solo coloro che avevano un animo puro, leale, onesto, intrepido, cavalleresco, irriverente. Animi pieni di voglia di vivere, senza molta voglia di studiare. Suo padre, che aveva ascoltato la descrizione, era scoppiato a ridere, poi si era avvicinato ai due ragazzini e aveva sorriso.
-Per andare a Grifondoro, l’unico talento che devi avere, è quello per i guai- aveva detto. Poi dopo aver scompigliato i capelli del figlio e aver tirato un buffetto a Rose, si era alzato stancamente dal divano rosso ed era corso in cucina da dove provenivano delle urla disumane. (James stava supplicando Teddy di portarlo sulla sua moto)
Quella sera, l’ultima che avrebbe passato a casa sua almeno fino a Natale, si era raggomitolato nel suo lettino e aveva cominciato a riflettere. Si stringeva forte le coperte sul petto, gli occhi spalancati che fissavano il soffitto senza nessun intenzione di chiudersi.
Se per tutta l’estate aveva continuato a rimandare quel pensiero che l’aveva asfissiato, ora, che gli rimanevano solo poche ore, doveva assolutamente risolvere il problema. Lui non era un Grifondoro.
Lui non era coraggioso, non era intrepido e irriverente. A lui piaceva studiare e non aveva talento per i guai. Probabilmente, se fosse scoppiato un incendio, James si sarebbe buttato fra le fiamme, lui si sarebbe nascosto sotto il tavolo.
E questa cosa gli pesava enormemente. Perché doveva essere così diverso? Perché non poteva essere come James, come Rosie, come Lily? Perché doveva avere quell’animo così dannatamente poco Grifondoro?
Mentalmente fece una lista dei suoi pregi e dei suoi difetti. Era ambizioso, studioso, gli piaceva osservare la gente, amava il silenzio, preferiva una bella serata con qualche amico fidato ad una festa affollata, era distaccato e sapeva affrontare a sangue freddo i problemi, e sapeva anche mentire abbastanza bene, non si sarebbe buttato in un incendio e aveva istinto di autoconservazione.
Insomma dove potevano mai essergli utili queste caratteristiche? A Corvonero serviva il cervello, a Tassorosso il buon cuore, a Grifondoro il coraggio e a Serpeverde…
E fu in quel momento che lo realizzò. E quando quest’idea prese davvero forma nel suo cervello, il panico aumentò ancora di più. Ambizione, studio, distacco, silenzio, sicurezza, istinto di autoconservazione. Erano tutte le caratteristiche che avrebbe dovuto avere un buon Serperverde.
-Bene chi abbiamo qui? Un giovane Potter!- esclamò la voce allegro del cappello, che, calato fino a metà del volto, nascondeva ad Albus la vista dell’intera sala. D’altra parte però era meglio così. Non avrebbe sopportato di vedere le risate sciocche e le facce sconvolte dei suoi parenti quando quello stupido cappello l’avrebbe smistato a Serpeverde.
-Mmm…- continuò il copricapo, che, Albus lo notò con una certa preoccupazione, ci stava mettendo molto a decidere. Troppo per i suoi gusti. Insomma con gli altri bambini ci aveva messo davvero poco. O forse era solo una sua impressione che il tempo stesse rallentando sempre di più? –Non so, ragazzo mio. Qui c’è un grande potenziale, ma anche troppa pigrizia. E una preoccupante inclinazione ad eludere le regole… non so…-
Albus stava avendo una crisi di nervi. Era così difficile scegliere? Insomma, lo sapeva già, lui sarebbe diventato un Serpeverde e la sua famiglia l’avrebbe guardato per sempre con sospetto. Non che non l’avessero sempre considerato differente. Però quella sarebbe stata la prova tangibile della sua diversità. -Dai, su, smistami a Serpeverde e facciamola finita!- avrebbe voluto urlare.
-Penso che alla fine potresti essere un valido Grifondoro, tu non credi?-
Il cuore di Albus si bloccò. Lui? Un Grifondoro? Lui nella stessa casa di James e dei suoi amici? Lui nella casa dove era stata smistata tutta la sua famiglia? Lui che se fosse davvero finito lì sarebbe diventato solo il grifone senza coraggio? Il Potter riuscito male? Non all’altezza della sua casa? Lui sarebbe diventato un Grifondoro?
L’idea che questo potesse davvero avvenire lo sconvolse. Cercate di capirlo. Aveva passato così troppo tempo a colpevolizzarsi, a urlarsi contro che sarebbe diventato una serpe, che nessuno gli avrebbe più rivolto la parola che, ora, davanti all’opportunità di poter essere davvero come gli altri, di soddisfare le aspettative di tutti, era rimasto scioccato.
Sapeva che gli sarebbe bastato annuire, dire di si, o visto che il Cappello gli poteva leggere nella mente, solo pensarlo e sarebbe diventato un Grifondoro. Eppure, ora che l’ipotesi di indossare una cravatta verde argento si allontanava sempre di più, ne sentiva quasi la mancanza.
E anche un vago sentore di fastidio. Insomma chi era poi quel cappello per decidere che lui era un Grifondoro come tutti gli altri? Credeva che non sarebbe stato all’altezza di entrare a far parte della Casa di Salazar Serpeverde? Solo perché era un Potter? O perché non era James? Solo perché tutti lo vedevano come un piccolo anatroccolo senza nessuna speranza di diventare cigno?
Bhe, lui invece avrebbe dimostrato il contrario. Perché c’era un aspetto del suo carattere che Albus non aveva mai considerato. L’ambizione. Se non poteva essere il miglior Potter a Grifondoro, sarebbe stato il miglior Potter, e forse anche l’unico, di Serpeverde.
Il Cappello scoppiò a ridere nella sua testa.
–Lo immaginavo, sai?-
Albus sorrise, apertamente. In effetti non sarebbe stato così male.
-SERPEVERDE!-
-Nessun Potter sano di mente si farebbe smistare lì! Il secondo passo a quel punto sarebbe diventare bravo in pozioni e diventare migliore amico di Scorpius Malfoy- questo era quello che si era sempre ripetuto, prima di accettare la sua natura.
Ma quel martedì sera, quando si svegliò per l’ennesima volta in infermeria, disturbato dalle grida di Avril e di James, con accanto una Rose troppo diversa per essere lei, bagnata fradicia per essere “caduta nel lago”, stesa addormentata nel lettino accanto al suo, in un mondo in cui non esisteva e non era mai esistito, si ricordò che in effetti lui non era un Potter normale, era bravo in pozioni ed era il migliore amico di Scorpius Malfoy. E quando alla fine i due litiganti si accorsero della sua presenza e si girarono a guardarlo con uno sguardo indagatore, ringraziò con tutto il cuore i suoi nervi da serpe.
 

***

 
Scorpius amava le altezze.
Quando era piccolo, dopo un litigio particolarmente acceso con i suoi genitori, o molto semplicemente quando aveva voglia di stare da solo a pensare, correva nel grande giardino di Malfoy Manor e si arrampicava sui rami imponenti del grande faggio al limitare della villa.
Il grande faggio era probabilmente l’albero più enorme che avesse mai visto, era alto praticamente tre volte lui e largo sei volte la sua vita. Se a diciassette anni gli sembrava grande, a sette gli sembrava mastodontico. Ma benché le dimensioni fossero così spropositate e salire su uno dei suoi rami frondosi fosse un impresa ardua che comprendeva il terribile pericolo di farsi un volo di sette metri e anche quello meno terribile di sporcarsi i vestiti nuovi che mamma aveva scelto per lui e fatto confezionare su misura da Madama McClan, a Scorpius quell’albero dava sicurezza.
Una volta salito in cima, le gambe a cavalcioni e le mani serrate sui piccoli rametti, tutto ciò che l’aveva preoccupato, spariva. E più saliva, più si allontanava da terra, più sentiva crescere dentro di lui quella sensazione di leggerezza e di vuoto, comunemente chiamato “vertigine”, più tutto quello che si trovava al suolo diventava sempre più piccolo ai suoi occhi, più si sentiva meglio.
Probabilmente era anche per quello che gli piaceva tanto volare. Perché, mentre hai il cielo sopra di te e la terra in basso, non puoi fare altro che pensare che in effetti, sei infinitamente piccolo, e così come lo sei tu lo sono anche i tuoi problemi e le persone che ti sono vicine.
Sua madre non aveva mai apprezzato questa caratteristica che spingeva il suo amato nonché unico figlioletto a sparire per ore intere sulle cime degli alberi come un piccolo selvaggio. Non era un comportamento ben educato. Eppure sentiva che non poteva davvero biasimarlo.
Lei e suo marito avevano fatto quello che potevano per renderlo felice. Probabilmente era venuto su un po’ viziato e egocentrico ma aveva anche sviluppato un innato senso dell’ironia e un bel carattere. Benché fosse difficile che si aprisse con qualcuno lei sapeva che Scorpius non era freddo come fingeva di essere.
E sapeva che non poteva privarlo di quella piccola valvola di sfogo che era per lui salire su un albero o farsi un giro sulla scopa. Fu perciò una sua idea quella di regalargli una Firebolt il giorno del suo settimo compleanno. Nulla la fece sentire meglio che vedere suo figlio sorridere.
Scorpius ogni tanto aveva bisogno, era una sorta di dolore fisico, di scappare, di evadere dalla sua vita per un po’.
Ed era quello che stava facendo quella sera. Era uscito per la sua solita passeggiata serale, in riva al lago per l’esattezza. Gli piaceva l’atmosfera che regnava in quell’angolo del castello. E quella sera era ancora meglio del solito. Sembrava che l’acqua fosse fatta d’argento.
Ed era in quel momento che l’aveva vista. La Weasley. Stava affogando, ma non faceva nulla per evitarlo. E Scorpius si era buttato. Solo dopo, quando era tornato nella sua Sala Comune completamente zuppo e si era scagliato contro Daniel e Ridley, aveva capito una cosa.
-Ma siete cretini? E se moriva? Potevate finire in guai seri!-
-Andiamo Scorpius, da quando in qua ti importa così tanto di lei?- Ridley l’aveva fissato con aria scettica, il sopracciglio inarcato quasi fino a scomparire confondendosi con l’attaccatura dei capelli, il lecca-lecca alla ciliegia in mano.
Scorpius era rimasto zitto per un secondo, riflettendo. Che cosa avrebbe dovuto dirle? Che aveva avuto paura di vederla morire? Di veder morire qualcuno davanti ai suoi occhi? Di vedere la Weasley, sempre con quegli occhi così dannatamente brillanti, con la risposta pronta in qualsiasi momento, incapace di stare zitta, con tutta quella forza vitale che si ostinava a reprimere, stesa sul prato fredda e immobile? No, non avrebbe potuto.
-Avrebbero potuto espellervi- buttò fuori in un sibilo adirato, mentre afferrava una coperta dall’armadio e se la gettava sulle spalle, stringendosela addosso, e strofinandosi i capelli bagnati –Cosa diavolo vi è venuto in mente?-
-L’incantesimo non ha funzionato, doveva soltanto sollevarla su e giù per un po’, non scagliarla nel lago- ribattè Daniel fissando il vuoto di fronte a sé, mentre giocherellava con il suo laccio portafortuna.
Se era impossibile vedere Ridley senza il suo lecca-lecca alle ciliegie, era altrettanto impossibile trovare Daniel senza il suo laccio. Era una sorta di braccialetto nero, di una stoffa particolare, quasi indistruttibile, che il ragazzo portava sempre al polso sinistro e che se stuzzicato con le dita, prendeva a vibrare.
Scorpius guardò Ridley che sembrava quella più preoccupata fra i due. Non per la Weasley, certo, ma perché la spaventava seriamente l’ipotesi di essere espulsa. A quel punto non sarebbero bastati più i suoi occhi inquietanti e le sue labbra alla ciliegia per placare il padre -Tu credi davvero che ci espelleranno?-
-Non ci ha visti nessuno- ribattè Daniel, la voce atona.
-A parte la Weasley-
-Non dirà niente- Daniel e Ridley si girarono verso Scorpius, il primo senza nessun espressione, la seconda vagamente sorpresa. Evidentemente avevano dato per scontato che la rossa gli avrebbe denunciati fin da subito al suo zietto Capo degli Auror.
-Come fai a saperlo?-
Scorpius scosse la testa. La Weasley era la persona che odiava di più nel castello. La odiava perché aveva quei capelli troppo rossi per essere veri. La odiava perché si arrotolava i capelli con la punta delle dita con quell’aria assorta durante le lezioni. La odiava perché quel giorno, il primo anno, sul treno di Hogwarts, avrebbe tanto voluto essere suo amico, mentre lei non l’aveva nemmeno fatto parlare che era corsa via. La odiava perché era una Weasley e come tale meritava disprezzo.
Ma se c’era una cosa che aveva imparato in sei anni di convivenza era che la Wesley aveva sì quella smorfia superiore, quell’aria perennemente distratta che poi ti fregava sempre e quella vocina fastidiosa, ma era orgogliosa.
Troppo orgogliosa per andare a dire a qualcuno che era stata buttata nel lago e che era stata salvata da Malfoy.
-Lo so e basta-
 
La prima volta che Scorpius Malfoy notò Rose Weasley erano appena scesi dall’Espresso di Hogwarts e lei stava urlando. Come scoprì solo in seguito, urlare era parte integrante del suo carattere. Che lo facesse per rabbia, stanchezza, esasperazione o solo per ricordare a James che sarebbe stata anche capace di ucciderlo, volendo, la Weasley urlava sempre.
In quel momento stava gridando contro suo cugino. Il motivo della sua irritazione era facilmente riconducibile alla coda di gatto che le spuntava dal fondoschiena.
Aveva il viso paonazzo, completamente rosso, i capelli arruffati e in un disordine statico, la camicia stropicciata e gli occhi accesi da una luce assassina. Scorpius si sentì per la prima, e unica volta, vicino a Fred Weasley, che aveva un’aria giustamente terrorizzata.
Non aveva capito perché ma l’aveva trovata intollerabilmente carina. Ma allora aveva undici anni, era un Malfoy e lei era una Weasley e il pensiero era stato cacciato e seppellito con imbarazzo.
A dodici anni si era reso conto che era un disastro naturale.
A tredici anni la trovava divertente. Si divertiva con lei. Si divertiva a vederla andare in escandescenze, si divertiva a sentire le sue urla che raggiungevano decibel inaspettatamente alti, si divertiva nel loro continuo botta e risposta. Si divertiva perché nessun altra ragazza con un minimo di orgoglio e/o vanità femminile l’avrebbe rincorso per tutto il castello brandendogli contro una scopa e urlandogli che era un idiota.
A quattordici anni la situazione era cambiata radicalmente. Ovviamente il nuovo aspetto della ragazza aveva destato in lui grande stupore e ammirazione. In effetti, aveva pensato, non era poi così orribile il fatto che volesse apparire più femminile. Quello che aveva poi scoperto, essere orribile, era il fatto che come erano sparite le sue urla, rimpiazzate da toni signorili e glaciali, le sue risate vagamente assomiglianti a dei singhiozzi, rimpiazzati da semplici sorrisi di circostanza, era spariti anche i loro litigi, il loro odiarsi scherzosamente. Era stato come perdere un amico.
A quindici anni aveva realizzato che in effetti lui odiava Rose Weasley. La odiava perché aveva deciso di cambiare e di diventare come le altre, la odiava perché non riceveva più sguardi irritati e infastiditi ma freddi e distaccati, la odiava perché, in effetti, era un disastro naturale, ma a lui piaceva.
E ora, a sedici anni, si rendeva conto che in effetti lui e la Weasley non erano altro che due burattini nella mano del destino, troppo piccoli e pochi esperti per rendersi conto di come, un piccolo cambiamento, una piccola increspatura potesse rovinare il loro tutto.
Scorpius superò velocemente i due, entrò in camera sua, si spogliò, infilo il suo pigiama, si infilò nel letto e osservò il soffitto fino a che il sonno non lo accolse fra le sue dolci braccia.
 

***

 
Rose si chiuse la porta alle spalle, arrancando nel buio. Dopo anni e anni passati a scappare dal suo dormitorio per farsi la sua solita passeggiatina notturna, era diventata abbastanza brava a muoversi nell’ombra, abbastanza da fuggire dal letto dell’infermeria, almeno.
In sei anni di scuola aveva sempre evitato ogni minimo contatto con l’infermeria. Che fosse per la sua incontrollabile paura per ogni sorta di medicinale o per la sua incapacità di stare ferma al suo posto per più di una manciata di minuti, aveva sempre odiato quel luogo. Le pareti troppo bianche, i lettini rinforzati con le spranghe in ferro, le finestre sempre serrate e quell’insopportabile odore di Essenza di Dittamano e di Osseofast. Ed era per quegli stessi motivi che quella sera, mentre avrebbe dovuto essere nel comodo lettino dell’infermeria per riprendersi “dall’incidente del lago”, aveva cercato a tentoni nel buio i suoi stivaletti e, dopo aver recuperato la sua divisa, era uscita di soppiatto, con l’intenzione di tornare alla Torre.
I corridoi di Hogwarts erano deserti e illuminati a distanze regolari ed equidistanti dalla luce fioca di alcune candele fluttuanti o da fiaccole incantate appese alle pareti. Scivolava piano, in silenzio. Così come aveva imparato ad attirare l’attenzione con un semplice gesto dei capelli, sapeva anche scomparire nel nulla, se voleva.
Rose aveva sempre amato camminare nel Castello di notte. Si respirava un’aria di quiete, di pace, di serenità che non era mai riuscita a raggiungere in nessun altro luogo. Era… magico, ecco. Al pensare che proprio lì, in quei corridoi ampi avessero camminato un numero incredibile di maghi e di streghe prima di lei, e che tanti altri ci avrebbero camminato in seguito, la schiena veniva percorsa da piacevoli brividi di calore. E in quei corridoi, di notte, potevi sentire l’eco delle loro risate, degli incantesimi sussurrati a mezza voce, quel sentimento di felicità e speranza tipico di chi è giovane e vuole cambiare il mondo. O forse a Rose piaceva camminare e scoprire nuovi passaggi a scuola perché bisogna sempre conoscere la propria casa. Ed Hogwarts era casa sua. Più della Tana dove si riuniva con la sua ingombrante famiglia, più della villetta a Godric’s Hallow il posto che l’aveva vista nascere, più dell’imponente palazzo a Grimmauld Place dove passava le vacanze estive con i Potter. Hogwarts era casa sua, e su questo non c’erano dubbi.
Un rumore indistinto interruppe i suoi ragionamenti, facendola girare di scatto. Possibile che Avril l’avesse già scoperta? Insomma, cosa aveva quella ragazza al posto delle orecchie? O magari era Mr Gingt, il custode. Si guardò disperatamente intorno, cercando di individuare qualche nascondiglio dove potersi riparare. In effetti, essendo al quinto piano, avrebbe potuto benissimo prendere il passaggio per la Torre di Astronomia, ma era solo a metà corridoio e l’idea di riuscire ad arrivare fino a destinazione in pochi secondi, senza correre e senza emettere nessun suono era abbastanza remoto.
Ma doveva tentare. Perciò dopo aver estratto la sua bacchetta dallo stivale, la teneva lì da quando l’aveva quasi spezzata sedendoci sopra, e iniziò a camminare velocemente, concentrandosi sulla svolta a sinistra, distante solo pochi metri, ormai. I passi dietro di lei continuava imperterriti il loro percorso.
Si infilò nella strettoia, appiattendosi contro il muro, aspettando. Poi, finalmente, il cuore che le batteva forte contro il petto, sentii i passi allontanarsi sempre di più. Dopo alcuni istanti di assoluto silenzio, si azzardò a lanciare uno sguardo al corridoio, tornato deserto. Scese le scale più piano che poteva, anche se  i volti dei ritratti si girarono più volte incuriositi dallo scricchiolio di un asse, dal fruscio del suo pigiama.
Sgattaiolò lungo il corridoio, spinse di lato un arazzo a metà strada e imboccò una scala più stretta, una scorciatoia che l’avrebbe portata al corridoio del sesto piano. Da lì sarebbe bastato girare l’angolo e sarebbe arrivata alla Torre dei Grifondoro. Intanto rifletteva.
Aveva fatto bene a non dire come erano andate davvero le cose giù al lago? E soprattutto le avevano creduto? Era una brava attrice, ma lo era fino a quel punto? Sapeva per certo che Lily aveva dei sospetti. Benché cercasse di non darlo a vedere, sua cugina era una delle persone più intelligenti che Rose avesse mai conosciuto. E mentre la fissava con quello sguardo color cioccolato che aveva ereditato dalla madre, Rose aveva sentito dentro di sé, come se la glielo avessero sussurrato all’orecchio, la voce della ragazzina che diceva:“A me non me la fai, Rosie”.
Era a metà scala, senza pensare altro che all’incidente, quando sprofondò dritta nell’infido scalino che Frank dimenticava sempre di saltare. Annaspò, cercando disperatamente di mantenere un minimo di equilibrio, non riuscendoci fra l’altro. Riprendendo il controllo dei suoi nervi decise di verificare la situazione e di cercare una soluzione. Era sprofondata per circa venti centimetri nel gradino, abbastanza in alto per risultare visibile, ma troppo in basso per riuscire a liberarsi da sola. Si lanciò un occhiata disperata intorno. E se nessuno l’avesse trovata? Se fosse stata costretta a passare la notte lì?
-Serve aiuto?-
Rose sussultò, lasciandosi scappare dalle mani sudate la bacchetta che rotolò scompostamente lungo la scalinata. Si maledisse mentalmente, mentre, il cuore che batteva ancora forte per lo spavento, alzava lo sguardo verso la fonte della richiesta.
Era il ragazzo con gli occhi verdi, quello nuovo. Si sentii stranamente felice di vederlo, e questo non fece altro che farla irrigidire ancora di più. Il suo istinto di autoconservazione si attivò, facendole lanciare al ragazzo un occhiata sospettosa. Quest ultimo non parve prendersela troppo e dopo aver inclinato la testa indicando il suo corpo ancora incastrato, la afferrò da sotto le ascelle, dandole uno strattone.
Una volta libera da quella insolita prigione, Rose si allontanò, scendendo velocemente i gradini che la separavano dalla sua bacchetta. Era sempre meglio averla a portata di mano. dopo averla riposta al sicuro, si spolverò con fare noncurante la gonna impolverata e rialzò lo sguardo.
Il ragazzo la stava fissando. Ma non era quello a farla preoccupare. Rose era abituata ad avere gli occhi di tutti puntati costantemente sulla sua schiena. Era una conseguenza dell’essere cambiata. E l’aveva accettata, anche se con riluttanza. No, non era quello il problema.
Il problema era che quel ragazzo dagli occhi verdi, non le stava fissando la schiena, il sedere, le gambe, il seno o qualsiasi altra parte del suo corpo, no, lui la stava guardando negli occhi.




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Capitolo 9
*** Falla nel cielo... ***


Piccolo Spazietto Della (Povera) Autrice

Sono un abominevole mostro, lo so già!
Oltre ad aver accumulato un ritardo di quasi un mese non mi sono fatta sentire nè con messaggi, nè con recensioni!
Ma dovete per forza perdonarmi! Ieri è stato il mio compleanno!
Ok, non è una scusa molto valida ma dovete perdonarmi lo stesso!
Questo, anche se non sembra, è uno dei capitoli chiave della storia, anche se è molto statico e privo di azione!
Comunque tranquille il prossimo capitolo, che è quasi pronto, non vi farò aspettare molto, davvero, sarà pieno d'azione e finalmente le cose inizieranno a smuoversi!
Sperando che non vogliate uccidermi e che mi lasciate un piccolo commentino...
Fra




A Noemi
é grazie a te e al tuo sostegno
che finalmente sono riuscita a scrivere questo capitolo!
Sei importante, ragazza, sul serio!
Fra




8 – Falla nel cielo


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Opera della bravissima Burdge Bug (l'ho trovata su DeviantART) per me è perfetta per rappresentare Stephanie e Frank!

 
Lilian Luna Potter era una ragazza gentile, dolce, graziosa, adorabile, anche se molto sciocca.
E le stava bene.
Lily, come sei carina! Lily come sei dolce! Lily come sei graziosa! Lily che sciocchina che sei!
Così le dicevano.
Ma non ne avevano idea. Non avevano la più pallida idea di ciò che si nascondesse dietro quella maschera così sapientemente costruita, dietro quel visino così “carino”.
Quindi credo che mi tocchi ricominciare il discorso.
Tutti credevano che Lilian Luna Potter fosse una ragazza gentile, dolce, graziosa, adorabile ma molto sciocca.
Lilian, in realtà, sapeva.
Lilian era intelligente, e anche molto.
Semplicemente fingeva di essere stupida per attrarre a sé la gente. Aveva da tempo imparato che era molto più semplice convivere con una persona carina ma un po’ sciocca, che con una persona troppo intelligente.
La sua tattica era utile con tutti, poi. Con i professori, che erano abituati a non aspettarsi più di tanto da lei, con gli amici, che la consideravano una delle persone più allegre, gioviali e divertenti, persino con la sua famiglia, dove la piccola principessa Lily era trattata con i guanti.
Per non parlare dei ragazzi. Essi venivano attratti dalle sue dolci moine, dagli sguardi obliqui e dai suoi sorrisetti maliziosi, dalle sue grazie seppur non palesemente evidenti e dalla sua voce carezzevole.
Lily non era bellissima. Era bassina, troppo per i suoi gusti, i capelli non rientravano nemmeno nel Rosso - Weasley, sfumando in una colorazione più chiara, quasi sull’arancione, che le rendeva assurdamente difficile trovare un colore che le donasse, e il suo naso era troppo all’insù. In fondo ce ne erano tante di ragazze più belle e facoltose di lei, nel castello. Ma Lily aveva quel non so che, quella magia che la rendeva unica e insostituibile.
In effetti l’unica persona che non subiva il suo fascino era Rose. Sin dall’infanzia la cugina era l’unica che non fosse mai riuscita a sottomettere, probabilmente il suo carattere vagamente mascolino e la sua inspiegabilmente forte voglia di libertà l’avevano portata a non essere così incline a farsi mettere i piedi in testa, eppure, Lily ne era convinta, Rose le voleva bene.
Semplicemente non si faceva trarre in inganno dai suoi modi gentili. Con lei non riusciva a mentire e molto spesso in suo presenza la maschera della sciocchina cadeva e faceva posto alla vera, intelligente, talentuosa e intuitiva, Lilian Luna Potter.
Ma erano davvero poche le volte in cui accadeva. Per lo più continuava la sua vita nel suo mondo di cristallo, pieno di ragazzi carini, uscite con gli amici, allegria e spensieratezza. In quella piccola bolla così inespugnabile e impossibile da afferrare all’apparenza ma che presto sarebbe scoppiata con un piccolo, ma significativo, PUF.
 

***

 
Avril scosse la testa, palesando apertamente il suo disappunto. Possibile che in quella scuola ci fossero solo dei pazzi?
Prima c’era stata Rose Weasley che era caduta nel lago. Così. Camminava assorta senza guardare dove metteva i piedi, era inciampata in un sassolino ed era caduta nel lago. Punto. Avril le credeva, nessuno sarebbe stato capace di mentire con tanta convinzione o bravura, ma la sua idea della ragazza, che aveva sempre ritenuto la più intelligente della famiglia, era calato a picco.
Dopo arrivava Potter con quel suo ghigno da psicopatico che le agitava in faccia il suo braccio terribilmente ferito da un foglio di carta che assumeva arie da malato terminale e le chiedeva con cipiglio terrorizzato –Riuscirò a sopravvivere? Potrò ancora giocare a Quidditch vero?-.
E ovviamente, svegliata dall’aspro litigio che era conseguito da tale circostanza, era intervenuta anche Madama Chips, che fino ad un minuto prima sonnecchiava sulla scrivania.
E poi ecco apparire un nuovo studente, che, come le aveva spiegato un imbarazzato vicepreside Paciock, non risultava, per qualche assurda ragione sull’elenco degli iscritti.
Nuovo studente che era svenuto in merito a qualche shock post traumatico, di cui si dovevano ancora definire le cause, e che, dopo essere scoppiato a ridere da solo, aveva assunto una faccia da poker invalicabile non appena avevano provato a rivolgergli la parola.
-Come ti chiami?- aveva chiesto Avril, contenta di potersi dedicare ad un essere vivente che non fosse Potter che scalpita ancora alle sue spalle, impaziente.
Il ragazzo aveva assottigliato ancora di più lo sguardo, aveva fissato attentamente tutti i presenti, anche Rose Weasley, addormentata sotto le coperte. Poi aveva, sorprendentemente preso a sbadigliare, aveva chiuso gli occhi e si era riaddormentato, così, senza dire nulla.
Era quindi piuttosto comprensibile che, dopo tutto quello che era successo in quella lunghissima giornata i nervi di Avril fossero aggrovigliati quasi come i suoi lunghi capelli. Neanche un goccino di Whisky preso dalla sua piccola scorta, regalo di suo fratello maggiore, Michael, era riuscita ad aiutarla.
Perciò, per evitare di complicare ancora di più la sua salute mentale e anche quella lavorativa, a dirla tutta, quando vide arrivare verso di sé il preside Harris e uno sconosciuto, cercò disperatamente di nascondersi dietro una grande pianta (serviva un po’ di dittamano delle serre per la pozione aggiusta – ossa).
È inutile dire che, ovviamente, Harris si accorse di lei e prese chiamarla a gran voce, salutandola allegramente. Anche il professor Paciock, che la stava aiutando a tagliare alcuni rametti, alzò il capo.
Harris fece un enorme sorriso che gli coprì completamente il viso e fece cenno allo sconosciuto di avvicinarsi. Quest’ ultimo avanzò, mostrandosi alla fioca luce delle candele (era tardi ormai, a quell’ora la cena in Sala Grande doveva essersi conclusa ) e sorrisa anche lui, impacciatamente.
Era piuttosto giovane, capelli scuri, occhi marroni, le guance rasate con cura. I tratti del viso sottili, quasi spigolosi. Sembrava che ogni estremità del suo corpo finisse in un angolo. Era alto, molto più di lei, almeno e aveva delle mani enormi.
-Bene, Nicholas. Questo è il professor Paciock, di Erbologia- esclamò vivacemente Harris, continuando a sorridere con un espressione entusiastica e un po’ inquietante, sotto un certo aspetto. Quando il giovane annuì convinto, il sorriso di Harris si allargò ancora di più –Neville, questo è Nicholas Haley, il nostro uomo-
–Oh, ma certo- annuì Paciock porgendogli la mano, compiaciuto.
Avril fece qualche passo indietro, cercando di defilarsi mentre i tre conversavano amabilmente. Ovviamente il suo proposito non andò a buon fine perché, con una mossa non molto aggrazziata, andò a sbattere contro il tavolo in legno scuro al centro della stanza.
-Oh, giusto!- esclamò il preside, battendosi una mano sulla fronte –Questa bella ragazza qui è Avril, l’assistente di Madama Chips!-
Avril sorrise, porgendo la mano al giovane che gliela strinse, sorridendo appena. Avril notò con un pizzico di disappunto che non sembrava molto entusiasta di fare la sua conoscenza. Così, dopo averlo introdotto nella sua lista nera, sorrise anche lei, glacialmente e sfilò la mano dalla sua presa, infilandola nella tasca del camice.
Harris intento stava declamando a gran voce le innumerevoli qualità di quello che, a quanto aveva capito la giovane infermiera, era il nuovo Professore per l’innovativo corso di Preparazione Post Hogwarts.
-E il nostro Nicholas, oltre a ottenere a pieni voti i M.A.G.O. proprio qui, in questa scuola, è in contatto con alcuni dei più importanti autori, pozionisti e alchimisti del periodo!- Harris batté una mano sulla spalla di Haley, con forza, facendolo quasi cadere in avanti.
Avril ridacchiò sotto i baffi.
-Per non parlare poi della sua ultima scoperta! L’ottavo uso del sangue di drago! E i suoi innumerevoli articoli su alcuni delle più importanti testate giornalistiche!-
Aveva una faccia antipatica visto così da vicino. Davvero Avril non potè che stupirsi di averlo ritenuto così interessante, all’inizio. Insomma era solo uno di quei piccoli secchioni che non sembrano buoni a nulla se non a starsene tutto il giorno dietro una cattedra a gridare e assegnare interi volumi. Un perdente.
-Molto probabilmente è il più giovane e intelligente persona dotata di autorità qui ad Hogwarts!- concluse il preside.
-Uh, certo, un pallone gonfiato e un nerd- pensò Avril.
All’improvviso tutti parvero trovare interessante la parete dietro Avril perché si girarono a guardarla, con attenzione. Il sorriso sul viso di Harris era ancora lì, al suo posto, congelato. Il professor Paciock era impallidito di botto, la bocca spalancata. Nicholas invece aveva un espressione strana, divertita e incredula allo stesso tempo. La ragazza si girò, come a voler controllare che cosa stessero guardando così intensamente, ma lì dietro non c’era nulla.
-Cosa avete tutti da guardare?-
-Uh, ehm, Avril, ecco…-
-Oh Santissimo Piripillo! L’ho detto ad alta voce?-
 

***

 
Rose scosse la testa, camminando velocemente lungo il corridoio vagamente illuminato dalla luce delle candele. Più che sentirne il rumore avvertiva la presenza del ragazzo con gli occhi verdi dietro di lei, camminava silenzioso, rimanendo nell’ombra, seguendola a breve distanza. Le dava fastidio.
Perché la stava seguendo? Insomma, che la stesse seguendo era ovvio. Perché mai un ragazzo, nuovo per di più, avrebbe dovuto girovagare da solo nel cuore della notte rischiando di perdersi fra l’innumerevole numero di corridoi e di scalinate?
-Ti serve qualcosa?- esclamò, poi, stanca di quella presa in giro. Perché era così che si sentiva. Presa in giro. Si portò la mano destra sul fianco, sollevando il sopracciglio fino a farlo quasi del tutto scomparire dietro l’attaccatura dei capelli, in una posa che avrebbe dovuto metterlo a disagio. Ma lui rimase tranquillo, l’ombra di un sorriso sulle labbra, le mani affondate nei pantaloni della divisa.
Rose notò che era senza cravatta e mantello. Probabilmente doveva ancora essere Smistato. Sperando che non finisse nella sua stessa casa, fece un rapido cenno con il capo, quasi a volerlo incoraggiare a prendere parola.
-Sto semplicemente facendo un giretto- disse, stringendosi nelle spalle –Ma potrei farti la stessa domanda. A te serve qualcosa?-
La risposta era irriverente ma era stata pronunciata con voce dolce e carezzevole che le ricordava tanto quella di sua madre, quando era ancora una bambina, irrequieta e monella, e lei la rimproverava. –Mi farai morire, Rosie- le diceva con un sorriso –Tu e quella benedetta scopa!-
Rose affilò lo sguardo, come succedeva sempre quando i ricordi tornavano a tormentarla. Scosse la testa, facendo dondolare i suoi orecchini e spostandosi i capelli da un lato. Le piaceva essere carina quando stava per demolire emotivamente una persona.
-Niente che tu possa offrirmi- esclamò –Sul serio, novellino, non sono interessata-
Il ragazzo aggrottò la fronte, sconcertato. Rimase per un attimo immobile, come se cercasse di comprendere qualcosa di estremamente importante. Poi, la fronte si allisciò, schiarendosi. E, inspiegabilmente, sorrise, di nuovo.
-Ha un bel sorriso- si ritrovò a pensare Rose. Ed era vero. Quando quel ragazzo sorrideva sembrava che fosse esploso un piccolo sole. Era uno di quei sorrisi che, anche solo guardandoli, ti fanno sentire meglio.
-Ma che hai capito?- chiese, incredulo –Io non voglio provarci con te, Rose!-
La ragazza corrucciò il viso. Come faceva a conoscere il suo nome? E soprattutto, dopo tutto quello che aveva fatto, sia quella mattina, con Daniel e Ridley, sia pochi minuti prima, tirandola fuori da quello scalino, se non aveva intenzione di corteggiarla o ottenere qualcosa da lei, che cosa diavol ci faceva ancora lì? Perché le parlava se, a suo dire, non aveva un secondo fine?
-E cosa vuoi da me, allora?- chiese, dura.
-Essere tuo amico- rispose l’altro, senza scomporsi, facendo un altro dei suoi disarmanti sorrisi. Ma questa volta non era un sorriso ironico o divertito, era uno di quei sorrisi che si riservano alle persone a cui vuoi più bene, quel genere di sorriso che si può rivolgere ad un amico caro o a una persona speciale. Quel genere di sorriso che si fa ad una persona di cui ti importa veramente.
Forse fu questo, forse la stanchezza, forse le troppe emozioni che aveva vissuto in un’unica giornata, forse fu solo quella strana sensazione di insicurezza che provava in quel momento, fatto sta che balbettò a farle balbettare un incredulo –Davvero?-
Il ragazzo sorrise, ancora. Sembrava incapace di fare altro, quasi come se il sorriso fosse incorporato sul suo volto. Annuì, con decisione e allungò il braccio come a volerla toccare.
Voleva essere suo amico?
Quel ragazzo dagli strani occhi verdi e i capelli più scompigliati che avesse mai visto, quel ragazzo nuovo che le ricordava tremendamente qualcuno, che quando sorrideva sembrava illuminare l’intero corridoio, quel ragazzo che le aveva strappato una risposta quasi gentile, quel ragazzo per cui provava un insensato affetto, come se fosse suo fratello, voleva essere suo amico?
 
Rose Weasley era sempre stata molto selettiva nello scegliersi gli amici. La verità era che non ne aveva affatto. Per lei, cresciuta ascoltando le grandi gesta dei suoi genitori, amici prima ancora di essere amanti e di suo zio, che, grazie alla fedeltà e all’amicizia, appunto, era riuscito a fare quello che aveva fatto, l’amicizia vera era un qualcosa di troppo in alto per essere raggiunto da tutti.
Rose non voleva una persona qualunque al suo fianco. Voleva una persona che la capisse e che si facesse capire, una persona con cui poter parlare di tutto, dal cantante del momento alla filosofia. Voleva un persona per cui valesse la pena sacrificare la propria vita.
Forse era un ideale troppo ingenuo e utopistico, forse era davvero impossibile trovare una persona del genere in quel mondo di doppiogiochisti e infidi avvoltoi eppure Rose conservava ancora quel sogno.
E forse un giorno l’avrebbe trovata, quella persona. Quella persona che sarebbe stata capace di leggere nelle righe, di ascoltare la sua voce anche quando a predominare c’era il silenzio, che l’avrebbe presa per mano e accompagnata fuori, dove brillava il sole. Quella persona che avrebbe visto la sua vera essenza, così lontana dalla maschera che continuava a portare. Quella persona che avrebbe letto nei suoi occhi la continua richiesta d’aiuto che lanciava a tutti e che avrebbe spostato sulle sue spalle, almeno in parte, il peso del pregiudizio, delle bugie, delle cattiverie, del destino e di tutto ciò che gravava su di lei, cercando di sconfiggerla.
Forse Rose avrebbe dovuto cercare queste qualità in un persona di cui innamorarsi. Ma l’amore, Rose no l’aveva provato eppure se lo sentiva, doveva essere diverso dall’amicizia. Perché l’amicizia può diventare amore, ma l’amore non può tornare ad essere amicizia. Perché si può sopravvivere senza fidanzato, ma non si può sopravvivere senza amici.
La persona che ami ti completa, è il tuo opposto, è l’altra parte del tuo essere. L’amico, invece, fa parte della tua metà, legato da un sottile ma indistruttibile filo conduttore.
Era un argomento importante che aveva sempre affrontato con grande serietà e partecipazione, soprattutto dopo tutte le delusioni che aveva ricevuto e che aveva inziato ad evitare dopo il suo grande cambiamento. L’idea che un ragazzo che a malapena conosceva potesse dunque avere la presunzione di essere adatto ad essere suo amico, e, soprattutto che lei gli avesse mostrato, anche solo per un attimo, un minimo cenno di debolezza, la infastidiva.
Perciò costrinse il suo viso in un espressione fredda e spinse le sue labbra verso l’alto, in una smorfia ironica e derisoria insieme e assottigliò lo sguardo –Tu vuoi essere mio amico, novellino?- chiese di nuovo, fissando la fronte del ragazzo, ancora incapace di reggere il suo sguardo.
Il ragazzo rimase in silenzio, in attesa.
Rose Weasley sorrise, amara.
-Torna in infermeria, carino-
Si girò, facendo mulinare i lunghi capelli rossi e, dopo avergli lanciato un occhiata indecifrabile, sparì lungo lo stretto corridoio che portava alla Torre dei Grifondoro.
 

***

 
Albus si era sempre ritenuto una persona realista. Probabilmente molti l’avrebbero definito pessimista o rompipluffe, come faceva suo fratello James, per esempio, ma la verità era che Albus non amava prendersi in giro. Sapeva quali erano le sue possibilità, i suoi limiti e le regole non scritte che doveva rispettare per continuare a vivere una serena esistenza senza subire disgrazie adolescenziali.
“La verità è soggettiva” diceva un filosofo babbano “Io posso guardare in uno specchio e vedere una cosa. Tu puoi guardare e vederne un’altra. Questo non significa però che una delle due situazioni sia errata”.
Albus ci aveva riflettuto a lungo su questo argomento. Sapeva che nulla era eterno e che la verità poteva essere definita tale fino ad un certo punto. Ma c’erano comunque delle cose che riteneva certe, dei pilastri nella sua esistenza, colonne che non sarebbero mai crollate.
Il primo pilastro era la sua famiglia. La sua rumorosa, asfissiante e esuberante famiglia che, per quanto a volte potesse pesare, gli sarebbe rimasta affianco, anche solo per criticare e impicciarsi.. Il secondo pilastro era che, per quanto odiosi, fastidiosi e assolutamente irritanti potessero essere, Rose e Scorpius sarebbero rimasti i suoi migliori amici.
Poi c’erano altre cose che, con molta probabilità, non sarebbero cambiate. I suoi due migliori amici avrebbero continuato ad odiarsi fino all’eternità, James sarebbe rimasto un cretino fino alla fine dei suoi tempi, Pozioni sarebbe sempre stata la materia in cui riusciva peggio, preferiva le brune alle bionde, e così via.
E infine c’erano quelle cose che erano destinate a cambiare. Come la ragazza del momento di Fred, che sarebbe stata presto rimpiazzata con un nuovo “esemplare”, o la sua predilezione per le Cioccorane che presto sarebbero state sostituite dai Pallini Acidi o dalle Api Frizzole.
Albus aveva catalogato tutto ciò che sapeva, in un ordine maniacale, aggiornando di tanto in tanto le nuove informazioni che gli venivano somministrate.
Sua madre aveva scosso la testa, quando l’estate scorsa, in un breve lampo di pazzia, complice una succulenta torta al cioccolato, una giornata di pioggia in cui era impossibile fare altro che starsene chiusi in casa e la sua richiesta lacrimevole di “passare un po’ di tempo con il mio piccolo Al!”, aveva accennato all’argomento.
-Bada a te- aveva detto, scuotendo la testa –Un giorno troverai una falla nel cielo e tutto l’universo cadrà giù. E allora si, che saremo tutti nei guai-
-Vuol dire che la aspetterò con ansia, questa falla nel cielo- aveva risposto lui, stringendosi nelle spalle, sorpreso dal tono serio della madre che aveva continuato a fissarlo a lungo di sottecchi.
Albus ci aveva pensato spesso, a quella tanto temuta falla nel cielo. Poi però era ritornato a scuola per il suo sesto anno e in breve il vortice di impegni, amici, la caccia al materiale scolastico e alla nuova divisa, i pantaloni di quella dell’anno prima, erano così corti da far intravedere metà caviglia, e tutti i preparativi frenetici che ne erano conseguiti, lo avevano distratto.
Ed ora si ritrovava lì, fermo impalato davanti all’ingresso della Torre Grifondoro, mentre osservava la schiena di una Rose che non era più la sua Rose correre velocemente via. Via da lui.
E allora lo realizzò veramente. Se fino a quel momento la storia del desiderio che si era magicamente avverato gli era sembrata assurda, lontana dalla verità, e quelle poche ore in una nuova realtà erano passate come un sogno, assurdo e orribile, ora finalmente se ne rendeva conto.
Albus Severus Potter, membro della grande famiglia Weasley-Potter, migliore amico di Scorpius Malfoy e Rose Weasley, che si sarebbero odiati per sempre, fratello di quell’idiota di James, peggiore studente della sua classe di Pozioni, con una spiccata preferenza per le ragazze brune rispetto alle bionde, cugino di Fred che cambiava ragazza ogni giorno, amante delle Cioccorane, a meno che non ci fossero a disposizione le Api Frizzole o i Pallini Acidi, non esisteva più.
E ora l’universo stava cadendo giù. Proprio sopra di lui. E non poteva fare niente, se non continuare a guardare fisso verso l’alto, alla ricerca di quella piccola, ma significativa, falla nel cielo.

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Capitolo 10
*** Il venerdì di James Sirius Potter ***


ANGOLO DEL MOSTRO ABOMINEVOLE
Ciao a tutte!
Lo so, lo so!
Vi avevo promesso un capitolo in tempi per lo meno decenti, ma, mi dispiace, credo che l'essere in ritardo i qualsiasi cosa faccia sia parte del mio essere! Il capitolo è abbasatanza diverso da quelli precedentementi pubblicati, non che abbia perso la mia solita vena di drammaticità ma solo perchè... James è James!
Non può essere serio o drammatico!
Comunque piccolo avvertimento l'idea non è tutta farina del mio sacco l'ho presa da un'altra ff, davvero bellissima, di cui purtroppo non ricordo il nome ma che ha Scorpius come protagonista... Io ho preso l'idea di base e l'ho modificata adosso a Jamie e ai suoi amici!
IMPORTANTEEEEEEE
Poi, so benissimo di mancare da molto, di non aver risposto alle recensioni e di non aver recensito le storie... probabilmente vi ho deluso profondamente e questo mi rammarica enormemente!
Non voglio che pensiate che non me ne importi niente, perchè non è così!
Voi siete le persone che mi fanno andare avanti, che mi date entusiasmo e energia!
Senza di voi, senza le vostre recensioni e senza le vostre storia tutto cambierebbe completamente!
E non preoccupatevi, ora che il problema che mi ha tenuta separata dal pc per così tanto è risolto mi metterò subito in pari a leggere/recensire!
Spero che il capitolo possa piacervi!
Fra
P.S. BUON NATALEEEEEE (come sono andate le feste?)
P.S. del P.S. per quanto riguarda il capitolo, non affrettate i giudizi! Non è mai come sembra!



DEDICATO ALLE NOVE MERAVIGLIOSE ANIME PIE CHE HANNO RECENSITO,
ALLE 24 PREFERITE,
ALLE 7 RICORDATE E ALLE 63 SEGUITE....
GRAZIEEEEEEEEEEEE <3



9 - Il venerdì di James Sirius Potter


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James adorava i venerdì.
Ma, poi, chi non adora i venerdì?
La consapevolezza di stare affrontando l’ultimo giorno prima del week-end, l’attesa trepidante che le lezioni si concludano con un sonoro scampanellio della campana, l’inizio di due giorni di libertà che potevano essere usati per avvantaggiarsi con i compiti, per rimanersene al calduccio nella propria Sala Comune, in piena calma e tranquillità…
Ok, no.
Tutto sbagliato.
Ricominciamo.
James adorava i venerdì. Ma, poi, chi non adora i venerdì?
Il venerdì precedeva due giorno di cazzeggio assoluto (e a chi non piace cazzeggiare?). Il suo primo compleanno era caduto di Venerdì, il Venerdì i Grifondoro avevano l’allenamento di Quidditch, il Venerdì aveva Divinazione, materia inutile e stupida che gli garantiva un tranquillo sonnellino e la possibilità di sparare balle di dimensioni epiche, mentre la Brown, invece di insegnare si metteva lo smalto.
I venerdì, poi, andavano sempre alla grande, per James. Il venerdì si svegliava presto, preso dalla smania di affrontare una nuova meravigliosa giornata, il venerdì si chiudeva per delle ore in bagno a cantare a squarciagola canzoni babbane che aveva sentito dalla vecchia radio del nonno. Il venerdì, non appena finivano le lezioni mattutine, poteva andare da Avril e chiederle di uscire.
I venerdì di James andavano sempre alla grande.
Quel venerdì qualcosa andò storto.
 

***

 
Quel venerdì mattina, come tutte li altri venerdì, James si svegliò presto. Erano all’incirca le sei, un ora antidiluviana che, nella restante parte della settimana, era considerata dallo stesso precedente alle luci delle alba e assolutamente improponibile.
Fatto sta che, evitando con un agilità tipica di chi è abituato a compiere una stessa, identica, sequenza di gesti, una delle pantofole pelose che Fred gli aveva lanciato, si rinchiuse in bagno, saltellando.
I venerdì lo mettevano di buon umore, lo caricava la prospettiva di non dover concludere assolutamente niente per tutta la giornata.
Frank si rigirò inquieto, socchiudendo appena, appena gli occhi, la fronte contratta in una smorfia di disappunto e di disperazione. Ormai, dopo anni e anni di convivenza si era rassegnato alla vecchia tiritera del venerdì mattina presto.
-Qualcuno ha idea di che ora siano?- chiese Lysander, la voce tremolante per il sonno e gli occhi cerchiati di nero. Evidentemente la festa nella Stanza delle Necessità, la sera prima, non aveva donato al suo sonnellino di bellezza le sue solite proprietà magiche.
Un rumore indistinto fece capire a Frank, anzi percepire visto che, alle sei del mattino, non si capisce proprio un bel niente, che Fred aveva avuto le palle di guardare il piccolo orologio arancione sul suo comodino.
-LE SEI E CINQUE? POTTERRRRRRRRRRRRR!-
Lysander mugugnò qualcosa e si schiaffò un cuscino in faccia, troppo stanco anche solo per pensare di arrabbiarsi, Fred, al contrario, si era gettato sulla porta del bagno, urlando e picchiando il muro e il legno con forza.
-APRI QUESTA PORTA DANNAZZIONE!!! ORA GIURO CHE TI AMMAZZO!-
Frank, dopo aver lanciato un ultima occhiata alla stanza e aver notato che, con suo grande disappunto che Ethan, compagno di stanza e amico, era ancora nel mondo dei sogni, decise che, in fondo, non gli importava molto se qualcuno moriva.
“Tik Tok, on the clock                                                                                                                                                     But the party don’t stop!                                                                                                                                              Uoooouoo!”
-ALMENO NON CANTARE!-
Il ragazzo sospirò.
Buon Venerdì, Frank.
 
Da quando, al terzo anno, la passione per i Venerdì di James aveva raggiunto livelli insostenibili, i ragazzi si erano finalmente decisi a cercare una soluzione. Non potevano semplicemente ignorarlo.
Bhe, si, ci avevano provato ad ignorarlo. Ma ignorare un ragazzino in crisi entusiastica che salta sul tuo letto, cantando e urlando a squarciagola, non era certo facile. Così erano giunti ad un accordo. Una volta a testa, avevano persino stabilito dei turni, uno dei ragazzi del dormitorio avrebbe dovuto accompagnare giù James, assicurandogli che li altri li avrebbero subito raggiunti e allettandolo con la prospettiva di una bella riserva di dolci. In quel modo, James si sarebbe calmato per un po’ e, chi rimaneva in camera avrebbe potuto continuare a dormire.
Quella mattina, neanche a dirsi, toccava a Frank.
La Sala Grande era praticamente vuota, come si suppone avrebbe dovuto essere alle sei e trentacinque minuti, tranne qualche valida eccezione. Quale Julie Anderson, una timida Grifondoro del settimo anno. Poi c’erano Henry Adams, quarto anno, di Corvonero, Robin Green e Terri Collins, quinto e settimo anno di Tassorosso e Derek Orwell sesto anno, di Serpeverde. E infine qualche primino sperso e spaurito che fissava con gli occhi gonfi di sonno la propria colazione.
James si catapultò al tavolo dei Grifondoro, lasciandosi cadere con entusiasmo sulla panca e, afferrato il braccio di Julie, le urlò nell’orecchio, sorridendo a trentadue denti –JULIEEE! È VENERDì!!-
Julie arrossì di riflesso, le guance imporporate di un bel rosso acceso, limitandosi a sorridere. Julie era estremamente timida. Il primo anno, ricordava benissimo Frank, non riusciva nemmeno a rivolgere la parola a qualcuno, studente o insegnante che fosse, senza iniziare a balbettare. Era una brava ragazza, sempre pronta a darti una mano, probabilmente un po’ troppo paurosa, ma cordiale e gentile.
-Si, James, l’avevamo capito- asserì Frank, afferrando un croissant alla crema e addentandolo con una smorfia. Se non altro l’alzarsi presto aveva anche un vantaggio. I croissant alla crema, i suoi preferiti, quando scendevano a fare colazione di solito, verso le otto all’incirca, erano sempre terminati.
James sorrise come se non fosse capace di fare altro.
 
Lysander, Fred e Ethan li raggiunsero un’ora e mezza dopo. James aveva passato il tempo a lanciare incantesimi contro chiunque entrasse dal grande portone, ricevendosi occhiate di rimprovero, di compassione, di rabbia e di adorazione. Frank, in quanto prefetto, avrebbe dovuto fermarlo, o almeno cercare di farlo, ma lo sforzo (e il sonno) era troppo.
Lysander si lasciò cadere accanto a James, portandosi le mani fra i capelli, visibilmente distrutto. Doveva davvero aver esagerato con l’alcool la sera prima.
-Caffè, ora. James se continui ancora con questa storia del venerdì giuro che un giorno di questi ti uccido- si limitò a grugnire Ethan, tendendo la mano verso la caraffa e regalando un sorriso dolce a Julie che gliela stava passando. Lei arrossì ancora di più, abbassando lo sguardo. Si giravano attorno da mesi ma non erano ancora riusciti a concludere niente.
-Ethan, sei una seccatura!- piagnucolò James, osservandolo con fare scocciato. Lo odiava il venerdì. Li odiava tutti perché a suo dire con il loro atteggiamento da “Ho appena perso il campionato di Gobbaglie” gli rovinavano l’entusiasmo -Perché non riuscite a capire quanto sia meraviglioso il venerdì?-
–State un po’ zitti!- Lysander gemette, massaggiandosi le tempie con le dita affusolate –Le feste durante la settimana dovrebbero essere proibite!-
-Teoricamente lo sono- osservò una voce femminile alle sue spalle. Sul volto di Frank si aprì un enorme sorriso ebete mentre persino il ricordo dell’alzataccia mattutina svaniva rimpiazzato da pensieri molto più piacevoli e rilassanti.
James saltellò fino alla ragazza e la stritolò in uno dei suoi abbracci da piovra gigante, ignorando i diversi epiteti che lei li rivolse e urlandole contento che, come ormai tutta la Sala aveva capito, il venerdì era davvero un bellissimo giorno.
Stephanie, dopo essersi liberata di Potter con uno strattone, lasciò la borsa sulla panca, sedendosi accanto a Frank e scoccandogli un bacio sulle labbra. Poi, con un grugnito protese una mano verso Fred che, con un altro grugnito, le porse un muffin al cioccolato. La ragazza faceva sempre colazione con loro da quando lei e Frank stavano insieme. In un momento di totale sincerità (James le aveva dato del Fire-Whisky) gli aveva confidato che, anche prima, osservandoli da lontano, aveva sempre voluto, nonostante l’assoluta avversione che aveva provato per loro fino all’anno prima, partecipare.
Lysander le lanciò un occhiataccia, poi, piagnucolando, nascose la testa fra le braccia.
Jake Ross, un borioso Grifondoro del loro anno, passò loro accanto facendo un sorriso malizioso a Stephanie e a Julie, un cenno a Fred e Lysander e ignorando completamente Frank e James. Jake era il battitore dei Grifondoro, ottimo studente e molto attraente. Sarebbe potuto essere loro amico se non fosse stato così vanesio, pieno di sé e troppo sicuro delle sue capacità.
Stephanie scosse la testa, facendo dondolare i suoi orecchini. Il suo sguardo rimase per un attimo fermo su qualcosa di indistinto, poi, dopo un aggrottata della fronte, alzò un sopracciglio e si girò verso di loro.
-Chi è quello che parla con Rose, Fred?- chiese, alla fine, interrompendo una lunga riflessione del ragazzo che, stava descrivendo con dovizia di particolari come avrebbe brillato agli allenamenti che si sarebbero tenuti nel pomeriggio.
Fred aggrottò la fronte, focalizzando il punto dove, qualche posto più in là, un ragazzo dagli scompigliati capelli scuri, stava cercando di interloquire con la cugina. Rose, una smorfia impassibile sul viso, si limitava a fare finta che non esistesse.
-Non ne ho idea- sospirò lui. –Probabilmente è uno degli stupidi leccapiedi che si trascina in giro.-
-Io non l’ho mai visto in giro, a dirla tutta- si inserì Frank, che aveva sentito lo scambio di battute fra i due.
-Strano- annuì Stephanie mentre si imburrava un pezzo di pane tostato –E comunque Rosie non è interessata a lui, a quanto vedo-
Fred si strinse nelle spalle abbassando lo sguardo. –E a chi è interessata ormai?- lo sentii sussurrare, prima di rivolgersi verso James che aveva affatturato un primino, trasfigurando il suo naso in un rubinetto. Un rubinetto che perdeva.
Stephanie rimase in silenzio, consapevole per una volta, di aver toccato un tasto dolente. Osservò nuovamente il misterioso ragazzo e poi, con la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte, riprese a parlare con Frank.
 
La giornata di James proseguì senza intoppi.
Durante l’ora di Divinazione, mentre la Brown si dava la seconda passata di smalto, aveva brevettato con successo la sua scorta di Pasticche Vomitose su un povero Greg Corner che, dopo aver rimesso abbondantemente sulle scarpe di Licia Carrols, era stramazzato al suolo agonizzante.
La professoressa, neanche a dirlo, non se ne era nemmeno accorta. Durante la seconda ora di lezione, invece, la sclerotica, si era legata la sua inseparabile bandana azzurro stinto fra i capelli biondo cenere e, le mani aperte e in mostra, in modo che lo smalto potesse asciugarsi più in fretta, aveva preso la sua copia di Guida alla Divinazione e, con la sua solita aria di sufficienza, aveva iniziato a sparare le sue boiate.
Dopo la fine della “lezione”, James, che aveva deciso di lasciare Artimanzia in seguito al disastroso G.U.F.O. che aveva conseguito, aveva due ore libere che passò in cortile con Fred a sperimentare le nuove finte con la sua scopa che avrebbe potuto attuare nelle prossime partite.
Poi il pranzo, neanche a farlo apposta, c’era il suo piatto preferito, polpettone con patate arrosto e torta sacher, dove aveva passato il suo tempo con i ragazzi, a osservare le grazie palesemente mostrate di Fiona Quincey, una Tassorosso del quinto anno per cui, aveva scoperto quel giorno, Stephanie provava un avversione senza confini.
-Che cosa stai guardando, Frank?- aveva chiesto, il sopracciglio che si inarcava pericolosamente, mentre squadrava il suo ragazzo.
-Ehm… il riflesso del sole che si infrange in modo delizioso fra i tuoi capelli?- aveva provato ad addolcirla lui, deglutendo nervosamente.
-Siamo al chiuso Frank, non c’è il sole-
E infine, nel pomeriggio, dopo aver scoperto che Fredner era ammalato e che, quindi, avrebbe potuto evitarsi ben due ore nei sotterranei a inalare odori molesti e preoccupanti, e aver concordato con Erica Dump di “studiare” quella sera stessa, James aveva deciso che quello era, in assoluto, il miglior Venerdì di sempre.
 
La Sala Comune dei Grifondoro era particolarmente piena, quella sera. I primini, sorridevano contenti, sorpresi di essere sopravvissuti alla prima settimana di scuola. Anche i più grandi, ancora più sorpresi di essere arrivati al week-end, sopratutto visto l’enorme quantità di compiti che erano stati loro assegnati, sorridevano contenti. Regnava una pace e una gaia contentezza, un’aria gioiosa e soddisfatta.
James, Fred e Lysander, spaparanzati sui divanetti di fronte al fuoco, commentavano beati, o almeno gli ultimi due lo facevano, James saltellava e urlacchiava, sugli avvenimenti che avevano caratterizzato la loro giornata.
-Quindi stasera ti vedi con la Dump?- chiese Fred, un sorriso malizioso sul viso e l’aria di chi la sa lunga sulla faccia.
Il sorriso di James si fece, se possibile, ancora più grande –Carina, no? È molto simpatica-
-E ha anche molte altre qualità nascoste- commentò il cugino, stringendosi nelle spalle e ignorando le occhiate sorprese e incredule di James.
Il ritratto si aprì, rivelando le figure di Frank e Stephanie, rossi in volto e con i capelli scompigliati. Il primo rimase impalato davanti a loro, una mano dietro la testa, la seconda, invece, si gettò a peso morto sul divano, nascondendo la testa sotto un cuscino.
-Voglio morire!-
-Cosa è successo?- chiese Lysander, curioso, mentre le strappava il cuscino dalla faccia.
-Vi hanno sgamato?- chiese ironico Fred, riferendosi con un sorriso leggero alle imboscate dei due che di solito si nascondevano in qualche angolino remoto del castello a “dibattere sulla politica estera”. Poi, una volta ricevuto un cenno affermativo da parte dell’amico e una smorfia di disappunto da lei, scoppiò a ridere –E chi? Fredner? Harris? La Brown?-
-Mio padre- fu la cupa risposta di Frank che si lasciò cadere per terra, la schiena rivolta al piacevole calore del fuoco.
I ragazzi scoppiarono a ridere immaginando la situazione. Fred quasi cadde dal divano, mentre si figurava la faccia perplessa e imbarazzata del professor Paciock che sorprendeva suo figlio e la sua ragazza a pomiciare allegramente, magari nascosti dietro una delle sue adorate piante.
Nell’ilarità generale, neanche Stephanie e Frank (che, non ci trovavano proprio niente da ridere) si accorsero della ragazza bionda che, nascosta dietro l’arazzo della Sala Comune aveva fatto un cenno d’intesa nella direzione di James per poi uscire dal buco del ritratto.
Il ragazzo, schiarendosi la gola con la vocina un po’ stridula che li veniva sempre quando raccontava una balla, proclamò di dover andare all’appuntamento con Erica e dopo aver risposto con un sorriso ai vari auguri che gli vennero rivolti uscì anche lui dal ritratto.
 
Una volta fuori la vide.
Era ferma, appoggiata al muro con grazia, la fronte corrucciata e la testa piena di pensieri che non gli era dato di conoscere.
James sorrise, ma lei scrollò il capo, facendo ricadere i capelli biondi sulla fronte. Si mordicchiò il labbro, poi, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, si affrettò a percorrere il lungo corridoio. James seguì il rumore ritmico delle sue ballerine lungo la scuola, senza nemmeno accorgersi del tempo che passava, dei ritratti che li fissavano curiosi.
E all’improvviso lei si fermò.
Erano davanti al bagno dei prefetti al quarto piano. Si girò verso di lui, mordendosi il labbro, nervosa, in un atteggiamento non da lei.
-James, io… devo dirti una cosa importante…- sussurrò, gli occhi bassi e le mani che si intrecciavano e si scioglievano, in un gioco di nervosismo e imbarazzo –Soprattutto dopo… quello… quello che è successo, ecco-
Ma James sapeva già cosa doveva dirgli. Che ci aveva pensato. Che aveva pensato a quello che era successo quella sera, alla Tana, quell’estate. Che ci aveva pensato a lungo, riflettendo su tutto quello che lui le aveva detto. Che aveva deciso che andava bene. Che per lei andava bene.
Che lui le andava bene.
-James io…-
James sorrise, incoraggiante.
 
Dominique Weasley alzò i suoi magnifici occhi azzurri su James e lui dovette mordersi l’interno guancia per costringersi a non distogliere lo sguardo. Guardare Dominique era come guardare il sole, come guardare un incendio che divampava. Un incendio che lo distruggeva dentro. Un incendio che gli faceva paura, un incendio che non sapeva come spegnere e che, in fondo, non era nemmeno tanto sicuro di voler placare.
 
I venerdì di James andavano sempre alla grande.
Cosa successe quel giorno non lo seppe mai. Forse fu il fatto che quel giorno era Venerdì 13, forse la sua fortuna quel giorno si era davvero bendata gli occhi.
Forse doveva semplicemente andare così.
James non lo seppe mai.
Però sapeva che i suoi venerdì andavano sempre bene. Non aveva mai vissuto un venerdì brutto in tutta la sua vita. Mai era stato scontento, di venerdì. Tutti i venerdì erano perfetti.
-Io… io sto con Jake Ross, James-
Tranne quello.







THIS IS JAMES:

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Capitolo 11
*** Il sonnellino di bellezza di Lily ***


Questo capitolo è molto importante per me e spero che possiate apprezzarlo, probabilmente vi sembrerà un capitolo assolutamente normale ma il personaggio di Lily è probabilmente il più difficile con cui abbia mai "lavorato".
Dedicato alla mia meravigliosa
Mei_Linn! Tu ci hai provato con Rose, io lo faccio con Lily (E MARY E JAMIEEEE!)
Dedicato a Iv (BurningIce) BUON COMPLEANNO DOLCEZZA!!!!! (anche se mooolto in ritardo!)
E poi alle meravigliose persone che non si stancano mai di recensirimi e che mi fanno sempre sentire a casa!
Ringraziamento particolare a  Rosie_96  _Valerie_96  BWeasley  chemical_sara  Mei_Linn bess_Black  BurningIce  !
Un enorme GRAZIE alla nuova arrivata
Mich che spero davvero di risentire!

 P.S. per le note vere e proprie andate sotto ma c'è un piccolo avvertimento che devo fare la parte di Hope, è inutile che mi guardate così scendete e leggete!, è ispirata a una storia della mia autrice preferita "Storie di code"
 


 

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Se ti porti dietro il mondo, porta dietro anche me.
(Negramaro)

-Lily svegliati!-
Lily spalancò di colpo gli occhi trovandosi a fissare con un non tanto palesato odio la massa di capelli biondi di Mary, sua compagna di stanza e amica da un interminabile lasso di tempo.
-Amica. Lei è tua amica- Dovette ripetersi per evitare di lanciarle sul momento uno Schiantesimo.
Poi, dopo un mugolio indistinto, si costrinse ad afferrare le lenzuola azzurre che si faceva sempre spedire da casa, quelle della scuola, a suo dire, non erano abbastanza comode.
-Avrei preferito essere svegliata dalla radio.. non l’avevamo impostata per le sette e mezza…?- mormorò tirandosi a sedere e notando con estrema irritazione che le altre tre ragazze che condividevano con loro la stanza erano ancora addormentate. Il che era piuttosto strano visto che, come si premurava di chiarire ogni mattina, Jenny deteneva il record di presenze e di orari.
Allora perché non è già sveglia? Si chiese confusamente, mentre osservava con cipiglio truce Mary che si stava imbacuccando con la sciarpa rosso-oro.
-Ma oggi è sabato!- urlò alla fine, l’irritazione profonda che le saliva nel petto e le mani che prudevano, implorandola di picchiare l’amica.
Una volta averle rovesciato contro una sequela di insulti e di affermazioni poco lusinghiere, si lasciò cadere sul materasso, e chiuse gli occhi, passandosi le dita affusolate sulla fronte liscia.
-Potrei ucciderti per aver interrotto il mio sonno di bellezza!- articolò alla fine.
-Hai quattordici anni, Lils… non credi sia un po’ prestino per questa roba? Insomma, la fa mia madre!- replicò l’altra mentre scartava il maglione verde e si appoggiava sul petto quello grigio tortora.
Lily scosse la testa.
Nessuno capisce il mio bisogno di essere meravigliosa.
Con questa triste scoperta e il sonno che iniziava a diradarsi nella sua mente piuttosto annebbiata, decise di compiere l’immane sacrificio e scostò le coperte di dosso. Poi, dopo aver stiracchiato le dita delle mani, con un lungo sospiro, balzò in piedi e spalancò la finestra della stanza, salutando con un dolce sorriso l’alba.
E i giocatori di Quidditch che veleggiavano veloci attorno agli anelli del Campo del quale si aveva un’ottima visuale da quel lato della torre.
-Ora puoi dirmi perchè ti agiti tanto?- chiese, il sopracciglio sollevato fino a scomparire nell’attaccatura dei capelli e una finta smorfia altezzosa, una delle sue preferite, sul viso.
-Oggi ci sono i provini per il Quidditch!- esclamò Mary, lasciando cadere la sua camicetta rossa e prendendole le mani –Non sei eccitata?-
-Estremamente. Ora, se non ti dispiace, torno a dormire e sognare i giocatori del Tornados, tu puoi pure tenerti Jamie e i suoi amichetti-
-LILY!- Mary arrossì furiosamente, un po’ per l’imbarazzo, insomma parlare con la tua migliore amica di quanto ti piaccia suo fratello non è una situazione facile, un po’ per la rabbia e l’oltraggio che la rossa le stava dimostrando. –Lo sai che sento molto la competizione!-
-Io penso che tu senta solo Jamie!-
-LILY!-
-Mers, credimi, ti voglio bene, ma se non mi lasci dormire potrei iniziare ad urlare- le spiegò piccata, poi, notando che l’espressione sognante dell’altra non era ancora scomparsa dal suo viso, prese a parlarle con estrema lentezza –I provini per il Quidditch saranno dopo pranzo, quelli lì fuori sono i ragazzi di Corvonero, okay? Non credi sia un po’ prestino per essere così eccitata?-
-Disse quella che si fa i sonni di bellezza come mia madre!- sottolineò l’altra, lo sguardo ridotto ad una fessura –Ora noi scendiamo a colazione, ci sediamo vicino ai ragazzi della squadra e socializziamo!-
-Ma li conosciamo già tutti!-
-Non è vero! Io sono cambiata questa estate! Sono diventata grande, adulta! Loro conoscevano la vecchia me!-
-Vuoi fare un sonnellino di bellezza, anche tu? Ringiovanisce che è una meraviglia!-
-LILY!-
Lily scosse la testa, mentre si infilava in bagno.
In effetti non sarebbe stato male ampliare la sua vita sociale a nuovi orizzonti. Lily era una osservatrice, in effetti. Prendeva tutto e tutti in considerazione, osservava ogni minimo dettaglio e comprendeva sin da subito l’importanza di una situazione, di un gesto, di una parola.
Che poi lo dimostrasse, questo suo interesse verso il prossimo, era tutta un’altra storia. Ma, in assoluto, la cosa che più le piaceva era sguazzare in mezzo alle situazioni ad alta tensione emotiva. Più le persone attorno a lei si stressavano, urlandosi contro, piangendo e scannandosi, più lei si divertiva.
Ma non era questo il punto, in effetti.
Aveva quasi quindici anni e aveva assolutamente intenzione, quell’anno, di non farsi scappare nessuna situazione altamente emotiva o sommovimento scolastico lì ad Hogwarts.
L’anno prima erano successe moltissime cose importanti.
Rose e Liam Zabini si erano messi insieme e poi mollati per la bellezza di cinque giorni. Tomas Ross si era ubriacato alla festa di Jazmin Holley e aveva dichiarato davanti all’intera Sala Grande di amare con tutto il cuore il Professor Paciock. E lei?
Lei dove era mentre tutto questo avveniva, mentre i pettegolezzi di cui tanto amava parlare erano in corso.
A fare la studentessa tredicenne. Orrore, orrore, orrore!
Ma quest’anno le cose sarebbero cambiate, si ripeteva mentre esaminava il suo riflesso allo specchio e constatava con estrema soddisfazione che non aveva le occhiaie.
In effetti avrebbe dovuto ringraziare Mary per averla svegliata presto. Dopotutto era risaputo che gli sportivi si svegliavano presto per allenarsi senza dover essere disturbati.
Devo davvero ringraziarla.
Lanciò uno sguardo oltre la porta del bagno giusto in tempo per vedere la testa di Mary infilarsi nel suo baule. Un attimo e uno schianto dopo sentii una lunga serie di imprecazioni babbane.
Forse non era proprio il momento giusto, no.
-Lily datti una mossa, su!-
Lily ebbe la mezza idea di soffiarsi un bacio, perché ehi, non era da tutte avere un viso riposato dopo una notte passata a rigirarsi nel letto, alla ricerca di un sonno che non sarebbe mai riuscita ad ottenere.
Forse era troppo eccessivo.
Si fece quindi un occhiolino.
 
 
Quando scese, perfettamente ordinata e con un trucco strategicamente leggero, si accorse con delusione che la Sala Grande era praticamente vuota, tranne per qualche piccola ma valida eccezione.
Sua cugina Rose, immersa nella lettura di una rivista scandalistica firmata Rita Skeeter, sua madre le aveva severamente proibito di leggere gli articoli di quella “donna scarlatta” e ciò aveva solo fatto in modo che la figlia, curiosa come era, si abbonasse al suo giornale; Lorcan Scamandro, al tavolo dei Corvonero, che fissava cupamente la sua tazza di caffè con la sua solita espressione annoiata, come se fosse annoiato da tutto il mondo, in effetti, credeva Lily e Jenna Heap, una Tassorosso del suo anno che le rivolse un cenno di saluto prima di tornare a ingozzarsi con il suo croissant.
Gli altri erano primini che si erano svegliati troppo presto, studenti del settimo anno che studiavano anche di prima mattina, (io non studierò mai la mattina presto, M.A.G.O. o non M.A.G.O.!) e altri patetici personaggi non degni di nota.
-Io non vedo nessun giocatore di Quidditch iper-muscoloso qui, Mary!- esclamò mentre si lasciava cadere con grazia sulla panca dei Grifondoro, facendo ben attenzione che i capelli le ricadessero ordinati sulle spalle, casomai qualche bel ragazzo la cui sveglia era suonata immensamente prima si trovasse a passare di lì e la notasse.
Anzi, disse a se stessa, leviamo pure il congiuntivo, l’avrebbe notata.
Se ci fosse stato qualcuno almeno.
-Aspetta un po’, no?- esclamò Mary che per dare il benvenuto alla “nuova sé” aveva indossato una fascia verde che creava un gradevole contrasto con i suoi capelli biondi –Arriveranno, ne sono sicura. Magari la nostra bellissima squadra è a fare una corsetta mattutina e tra poco tornerà qui, si siederà vicino a noi e allora io e lui inizieremo a parlare e lui dirà…-
-Mary, prendi fiato, okey? Primo James non è più il capitano della squadra, sono passati i tempi in cui i giocatori si svegliavano all’alba per “cogliere di sorpresa l’avversario”! A quest’ora saranno tutti ancora a letto!-
Forse non era stata una buona idea, dopotutto.
In effetti iniziare la sua svolta sociale con l’alzarsi presto la mattina, fare colazione con gli sfigati e tenere a bada questa schizzofrenica non è una buona situazione per avvicinare un ragazzo e diventare l’anima della scuola.
Ho fatto bene a non ringraziarla.
Uno scalpiccio animato fece prevedere alle due che qualcuno stava entrando nella sala e entrambe alzarono la testa. Una con uno sguardo ancora vagamente sognante, l’altra con gli occhi spalancati come sapeva fare lei, per far risaltare le iridi castane.
Dal sospiro affranto di Mary, Lily dedusse che non si trattasse di James come sperava e, da come i suoi occhi tornarono alla loro normalità, ancora un po’ chiusi per via del sonno, dedusse che non si trattava nemmeno dell’intera squadro dei Tornados in boxer, come sperava lei.
Era una ragazza, invece. Biondina, magrissima e piuttosto bassa. Non molto interessante a dirla tutta. Corse velocemente verso il tavolo dei Corvonero, trascinandosi dietro una borsa enorme e stracarica di libri, quasi dovesse andare a lezione, e si lasciò cadere a qualche metro da Scamandro, lanciandogli un’occhiata lusinghiera.
In effetti Lorcan anche se era un misantropo era davvero un gran pezzo di…
-Lily!- Mary le si arpionò al braccio, richiamando veementemente la sua attenzione –Sono qui! Sono qui!!!!! Non sono assolutamente meravigliosi?-
Lily scosse la testa e accolse con una smorfia altezzosa suo fratello e suo cugino che si lasciarono cadere accanto a loro. Distolse lo sguardo, facendolo correre lungo la Sala.
La ragazza bionda aveva rovesciato del succo di zucca sulla camicia bianca di Scamandro e stava borbottando qualcosa di incomprensibile. Sorrise, sardonica.
Quello sarebbe stato un grande anno, se lo sentiva.
E tutti si sarebbero ricordati della grande, meravigliosa e assolutamente fantastica, Lilian Luna Potter.
 

***

 
Un vecchio proverbio babbano dice che “il mattino ha l’oro in bocca”. O che “il buon giorno si vede dal mattino”. Insomma, per non tediare il lettore basterà dire che Hope aveva sempre saputo che, dal mattino, si possono capire molte cose.
Ci sono giornate e giornate. Alcune che iniziano benissimo, il sole splende, i suoi raggi caldi ti svegliano dolcemente, gli uccellini cantano e tutto sembra perfetto. Allora ti stiracchi, sorridi dolcemente, godendoti ancora per qualche secondo il tepore del tuo caldo lettuccio.
Poi ci sono quelle giornate che, già dal risveglio, ti fanno capire che non riuscirai ad arrivare fino a sera senza subire un collasso nervoso o una visitina in infermeria. Magari, ti alzi in ritardo per la lezione delle otto, il bagno è occupato dalla tua compagna, e tu ti ritrovi a saltellare con un solo calzino infilato per la stanza, uccidendoti psicologicamente e fisicamente e andando a sbattere contro ogni spigolo presente nella camera.
E infine ci sono “quelle” giornate. Sono sadiche, nel loro genere. Ti svegli con i raggi del sole, e sorridi, sentendo gli uccellini cantare, godendo della dolcezza del tuo letto. Poi, all’improvviso, tutto degenera. Scendi in Sala Grande correndo perché ti sei ricordata di avere una lezione a prima ora. Nel tentativo di darti una mossa rovesci il tuo succo di zucca sul ragazzo più carino della scuola e l’unica cosa che riesci a proferire sono dei balbettii senza senso. E, poi, ovviamente, appena arrivi in aula, stranamente vuota, ti ricordi che è sabato e che, invece di creare tanti disastri, avresti potuto continuare a sognare un principe azzurro che non arriverà.
Sono quelle giornate subdole, sadiche e infide, ti confondono, ti prendono in giro, garantendoti che andrà tutto per il meglio, che proprio quel giorno, proprio in quel momento tutto sarà perfetto. E non appena tu abbassi un po’ la guardia ecco che te la ficcano lì.
E oggi, quel Venerdì mattina, era proprio una di quelle giornate. Una di quelle che iniziano con un “C’era una volta…” ma che non si concludono con nessun “E vissero felici e contenti”.
 
Come Hope imparò nella sua prima settimana lì ad Hogwarts, le persone, così come i professori e le lezioni, seguivano tutte un vero e proprio schema, un sistema vecchio di generazioni che difficilmente sarebbe andato distrutto.
La principale distinzione fra gli studenti era la Casa di appartenenza. C’era la Casa dei Grifondoro, culla di ragazzi coraggiosi, esuberanti, leali, anche se a volte spacconi e irritanti. La Casa di Serpeverde che ospitava gente, ambiziosa, astuta e anche se nel suo piccolo e con determinate eccezioni, fedele, nonostante l’eccessiva facilità nel vendicarsi e nel ghiacciare il prossimo. La Casa di Tassorosso, che, nel trascorrere dei secoli aveva sempre ospitato persone buone come il pane, e questo, aveva portato ad una descrizione piuttosto inetta. E infine la Casa di Corvonero intelligenti, studiosi, creativi anche se piuttosto chiusi come mentalità ed atteggiamento.
Ovviamente c’erano persone e persone. E non poteva certo dire di essersi stupita di aver trovato gente fredda e timida nei Grifondoro, gentile e allegra nei Serpeverde, reattiva e sadica nei Tassorosso e stupida nei Corvonero.
Un’altra cosa che bisognava comprendere della fitta scacchiera quale era Hogwarts, era che, ogni scacco, dal pedone più insignificante, all’alfiere più imponente, al re maestoso e imperioso, aveva una propria funzione. Era come un circolo vizioso. Tutto si muoveva in funzione di tutto. Una persona era popolare perché gli altri lo ritenevano tale. E una persona era considerata intelligente non solo per la sua attinenza allo studio, ma anche per la sua prontezza e la sua abilità. Le persone timide lo erano perché non riuscivano ad aprirsi, quelle estroverse lo erano perché avevano trovato le persone giuste.
-Un posto si giudica dalle persone che ci trovi- diceva sempre sua zia –Puoi anche andare a vivere nel luogo più derelitto e dimenticato da Dio, ma se ci troverai gente che ti piace, ti sembrerà meraviglioso-
Hogwarts ospitava migliaia di studenti, ne aveva ospitati un numero altrettanto esorbitante e altrettanti ne avrebbe ospitati in futuro. E Hope si sarebbe ritenuta fortunata se avesse trovato anche solo una persona, fra le tante, con cui sentirsi a proprio agio.
Finora aveva conosciuto solo poche persone. Valerie che, dopo i primi minuti di entusiasmo, era scomparsa con la sua, di migliore amica. Le sue compagne di dormitorio che l’avevano squadrata dalla testa ai piedi, e poi, dopo averle sorriso, erano tornate alle loro faccende. Poi qualche altro studente, alcuni delle altre Case e altri che aveva visto in Sala Comune. Con alcuni scambiava qualche parola, ogni tanto. Ma non poteva certo considerarli amici.
E non poteva nemmeno biasimarli. Dopotutto loro si conoscevano da tanto, avevano passato tutta la loro adolescenza insieme, avevano condiviso gioie e dolori, lacrime e risate. E cosa era lei, in fondo, se non “la nuova arrivata”? Non poteva pretendere che tutte le porte le si spalancassero e le concedessero di passare.
Sapeva bene che, perché questo avvenisse avrebbe dovuto lavorarci su. A volte nella vita bisogna sapersi imporre. Come quella volta, il nono giorno alla scuola media di Fullmhan, una ragazzina con una lunga treccia e degli enormi occhi verdi, era salita in piedi su una delle panche della mensa e aveva urlato “Ehi, io sono Frankie e sono nuova! C’è qualcuno qui che vuole essere mio amico?”.
Magari avrebbe potuto fare così anche lei. Urlare all’intera Sala Grande il suo nome e il suo disperato bisogno di stringere amicizia con qualcuno. Infondo a Frankie alla fine era andata bene. Era la sua migliore amica, dopotutto. Certo, il vago sentore che i professori non l’avrebbero presa bene se si fosse messa ad urlare nel bel mezzo delle lezioni o della cena l’aveva fatta desistere.
Magari avrebbe potuto fare le selezioni per entrare nella squadra di Quidditch. Certo, prima doveva imparare a volare, ma non poteva certo essere così difficile, giusto? E magari sarebbe entrata nel programma Tutor, in modo da conoscere qualche altre studente.
Le cose sarebbero migliorate, con il tempo. Avrebbe trovato una soluzione, escogitato un piano. Dopotutto, lei era una Corvonero, e nonostante alcune valide eccezioni, i Corvonero non erano mica stupidi.
 




ANGOLO DELL'AUTRICE

Visto che questa volta ho aggiornato in tempi più o meno decenti?
Innanzitutto volevo dirti che oggi mi sono seduta davanti al mio amatissimo computer e sto rispondendo a tutte le vostre meravigliose recensioni quindi non spaventatevi se trovate nella posta trentamile e-mail da parte mia, ho molti arretrati!S
Secondo so che vi chiedo molto ma vorrei proprio sapere che cosa ne pensate di Lily...
Per me è un personaggio davvero difficile da trattare! Innanzitutto sono una Rose/Scorpius quindi ho sempre disprezzato la cugina cattiva/ rivale... almeno fino a che non ho letto "Ad Umbram Lunem" della meravigliosa Dira_Real e mi sono innamorata della sua Lily... In effetti quella qui descritta è proprio ispirata a lei...
Lily è intelligente, molto. Si sente bella, è bella e sa di essere bella. Sa di piacere ai ragazzi e sfrutta tutto ciò a suo vantaggio... E come se stesse giocando a nascondino con il mondo, a drila tutta... Aspetta solo la persona giusta con cui venire fuori e mostrare la vera se stessa....
Comunque lei (Cintia Diker) è Lily, so che vi avevo già proposto Danielle ma poi ho visto lei e mi sono innamorata!
Non la trovate perfetta?

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Un bacione!
Fra
P.S. Qualcuno sa come si modificano le foto? Insomma che programma posso usare per scriverci sopra, per esempio? Sono un impedita in queste cose, lo so!

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Capitolo 12
*** La ragazza nuova ***


Note dell'autrice

Questa volta non potete proprio lamentarvi!
Ho postato il capitolo con una velocità inaudita, sopratutto per i miei standard!
Allora, alzi la mano chi era preoccupata/o (non so se ci sono dei ragazzi fra i letttori) per il piccolo Al?
Nessuno si è preoccupato per lui e per le serie e orribili disavventure che stanno per capitargli?
*Albus alza la mano*
Eccetto, lui, dico!?
Comunque, che lo vogliate o no, il capitolo è Albus-centrico!
E dal prossimo ci sarà il GRANDE RITORNO! Rosie-Scorpius e Mary!
Spero davvero che il capitolo vi possa piacere!
Un bacione enorme!
Fra
P.S. la ragazza nella foto sotto, la meravigliosa Kate Todd è la mia Hope! Non la trovate adatta? Insomma è carina ma nulla di troppo evidente! Insomma lei, dopotutto, è semplicemente una normale sedicenne, non la volevo rendere troppo Mary Sue... vorrei sapere che ne pensate, però!
P.S. del P.S. Per la scena in classe ho preso ispirazione da uno dei miei libri preferiti "La sedicesima luna"! Di nuovo ciao!


Dedicato alle mie prime 100 recensioni.
Perchè siete arrivate fino a qui, anche se non so come.
Perchè mi seguite, anche se non so come.
Perchè, anche se non so come, sono lieta di aver incontrato persone come voi!


Ringraziamento speciale a  Mei_Linn , Mich Rosie_96 Saomi edvige forever BWeasley bess_Black che, nonostante tutto continuano a recensirmi e un particolare BENVENUTO a  avalonne piccolafra_ e a  Nihalooney, le nuove arrivate!
Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo!



Capitolo X

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Tutti vogliono il vostro bene. Non lasciatevelo prendere.
- S. J. Lec.

 
La prima settimana in quella nuova realtà si era finalmente conclusa e, Albus, rinchiuso nella cabina doccia del suo nuovo, anche se teoricamente era quello in cui aveva passato sei anni, bagno, aveva compreso ben tre cose molto importante.
Prima di tutto il desiderio si era avverato solo in parte, facendo in modo che la sua nascita non fosse registrata, in effetti, come se non fosse mai avvenuta, ecco, ma che, in un certo senso, lui potesse ancora solcare con il suo passo spedito il solido terreno.
Era vivo. Esisteva. Era lui, se si guardava allo specchio si riconosceva, nulla nel suo riflesso era cambiato, grandi occhi verdi, il viso sempre troppo pallido, i capelli scuri sparati in tutte le direzioni, eppure, nessuno sembrava avere la più pallida idea di chi fosse ne averlo mai visto.
Era ironico, in un certo senso.
Il figlio dell’uomo più famoso del Mondo Magico ridotto all’ombra di se stesso, privo di fama, di amici litigiosi e di parenti asfissianti. L’aveva sempre desiderato, si, ma, a questo punto, avrebbe dato tutto per poter tornare indietro.
La seconda cosa che aveva capito era che, per quanto tentasse e ritentasse, non riusciva a svegliarsi. Perché quello doveva essere un sogno… giusto?
Per tutta la settimana, ogni volta che l’orologio segnava un orario dalle due cifre uguali, provava ad esprimere il desiderio che tutto tornasse come prima. Ma così come la situazione non funzionò alle sei e sei, non funzionò nemmeno alle undici e undici o alle tre e tre.
La terza cosa era che, per quanto la cosa lo distruggesse e lo demotivasse enormemente, doveva reagire. Non poteva permettersi di lasciarsi andare alla deriva, non faceva parte del suo carattere, non avrebbe permesso agli eventi di prendere il sopravvento, doveva, se proprio non riusciva a tornare alla propria realtà, cercare di convivere in quella in cui era stato catapultato con nervi saldi e una risposta pronta ad ogni eventuale domanda.
E di domande ce ne erano state, e anche parecchie.
Prima di tutti il preside Harris, con il suo solito sorriso bonario in volto, che, con fare mortificato e sospettoso allo stesso tempo, gli aveva comunicato che, per qualche assurda ragione, la sua lettera di ammissione, i suoi curricula e i suoi dati, erano scomparsi nel nulla, senza lasciare traccia.
-è come se tu non esistessi, ragazzo mio!- aveva riso, compiacendosi della sua battuta, gli occhi che gli brillavano, allegri. Albus aveva deglutito e si era costretto a sorridere anche lui.
Alla fine dopo una lunga seduta in cui aveva dovuto dare tutti i dati che servivano a spiegare la sua presenza lì ed aver assunto l’identità di Albus Porter (il “Severus” aveva preferito tralasciarlo, a tutto c’è un limite, e lui non era mai stato così felice di portesene finalmente liberare) era stato smistato insieme ad altri cinque studenti, due del terzo anno, una del quinto e la ragazza bionda che aveva fatto cadere appena pochi giorni prima, Hope, al sesto anno, come lui.
Dopo che la sua appartenenza alla Casa di Serpeverde era stata riconfermata, era finalmente arrivato il momento del faccia a faccia con quelli che, per tantissimo tempo, erano stati i suoi amici.
Era stato particolarmente difficile, rivederli.
Tomas, Micheal, Liam, Jason. Casey, Lia, Sheryl, Nathalie, Kylie.
Scorpius.
Era difficile sentire i loro sguardi puntati sulla schiena, vederli ridere e scherzare, commentare con sarcasmo le vicende che erano state parte della sua vita, della sua normalità fino a qualche giorno prima, senza poter intervenire, girarsi verso di loro, fare uno dei suoi grandi sorrisi e dire “Ehi, chi vuole andare a prendere in giro la squadra di Gobbaglie?”.
Era stato reinserito nel suo vecchio dormitorio, con i suoi vecchi compagni di stanza. Erano gentili con lui. probabilmente si chiedevano da dove provenisse quell’irrazionale senso di dejavù, di familiarità che provavano quando, mentre Liam chiuso in bagno cantava a squarciagola, tutti si mettevano a lanciare cuscini contro la porta. Albus lo sapeva, che ricordavano qualcosa però.
Casey Jefferson gliel’aveva detto.
-Non so cosa c’è… è come se ti avessi già visto da qualche parte. Come se ti conoscessi da sempre…-
Con Scorpius, invece, la situazione era diversa. Lui era diverso, i ragazzi erano diversi, la situazione era diversa. Anche in camera, dove si risvegliava fra i ragazzi quel vecchio cameratismo che li aveva legati saldamente prima, lui era distante, come se non fosse davvero lì.
Era come se si trovasse lì per caso, come quando viaggi in treno e incontri una persona che sta nel tuo stesso scompartimento. Ti dimostri gentile e la sopporti fino a destinazione, sicuro che tanto, non vi vedrete mai più.
Albus l’aveva chiesto a Tomas, l’unico, fra i suoi vecchi amici con cui aveva re instaurato un vero e proprio rapporto, se non altro di simpatia reciproca. Micheal e Liam, invece, erano ancora restii a dargli troppa confidenza.
-Ma cosa ha Malfoy?- aveva chiesto, usando il cognome e cercando di non apparire troppo disperato e preoccupato –Ci avete litigato? Perché sta sempre da solo?-
Tomas si era stretto nelle spalle.
-Bho, quello ci porta tutti sul cazzo, secondo me. Io al primo anno ci avevo provato, a farmelo amico, sai? Però lui niente, se ne sta sempre con quel coglione di Nott e con la Rosier… Beh, su di lei non ho nulla da dire, certo… ma Nott è inquietante, dude*. Davvero! Hai visto che sguardo?-
Albus aveva annuito seguendo con gli occhi il profilo magro e pallido di Scorpius che camminava assorto lungo il corridoio.
Ovviamente aveva provato a parlarci.
Ma niente.
Cortesia e freddezza, distacco e disinteresse, tutte belle cose e ottimi sentimenti presi dal manuale del perfetto Serpeverde. Scorpius era sempre stato bravo, in queste cose.
Ma, quello che ovviamente amava ricordarsi, era che anche lui era un Serpeverde. Un Potter Serperverde.
E ciò significa che, se voleva una cosa, in un modo o nell’altro, l’avrebbe ottenuta.
Tomas si era rivelato molto utile anche per avere maggiori informazioni sulla sua famiglia, o almeno su quella che prima era la sua famiglia. Con la testa che gli scoppiava aveva seguito con difficoltà il discorso del compagno, ricco di “dude”, di risate e di pacche cameratesche.
Tomas era fatto così, tanto.
Se ne fregava di quello che pensava la gente. Ovviamente, però, gli interessava sapere cosa facevano in giro. Lo chiamava “tenersi informato” e soprattutto “pararsi il culo da eventuali incidenti diplomatici”.
Comunque, alla fine, aveva appreso del brusco cambiamento di Rose, di come la situazione di Scorpius fosse peggiorata dal quarto anno in poi, di come a James fosse stata tolta la carica di Capitano della Squadra di Quidditch in seguito alla rissa con Jordan, di Tassorosso, di come Dominique avesse dichiarato apertamente guerra a Valerie Adder (era consolante sapere che quelle due si odiavano comunque), di come Liam e Rose si fossero frequentati per la bellezza di sette giorni, di come Lily avesse ricevuto una valanga di fiori a San Valentino, di come Roxanne, secondo gli informatori dell’amico, avesse rischiato seriamente l’espulsione il semestre precedente e del traffico di erbapippa che Fred organizzava clandestinamente.
-Ehi, se ne vuoi un po’, però, non andare da quello strozzino di Weasley, posso farti un ottimo prezzo- aveva aggiunto con gli occhi che lo brillavano di una strana luce.
Albus aveva annuito, incapace di fare altrimenti. Come era possibile che tutto questo fosse successo in sua assenza? Cosa poteva essere cambiato di così importante da sconvolgere la vita di tutti?
Non poteva essere stato lui, vero?
Cosa poteva centrare lui con il cambiamento delle persone che amava?
Tomas era anche lui uno dei suoi migliori amici eppure non sembrava essere cambiato di una virgola…
 
Lasciò vagare lo sguardo per la Sala Grande, cercando di ignorare la morsa stretta nello stomaco quando con lo sguardo incontrò la capigliatura bionda, quasi bianca, in effetti, di Scorpius, seduto a qualche posto di distanza, da solo.
Aveva provato a sedersi vicino a lui ma, Tomas lo aveva in pratica costretto a sedersi vicino a lui, iniziando a lamentarsi con la sua solita parlantina veloce.
-Damn boy!- aveva esclamato, il solito sorriso vagamente inquietante in viso e gli occhi neri che gli brillavano –Stanotte non ho dormito proprio… ero con le gemelle Ollir, sai quelle di Corvonero con due…-
Al che Albus l’aveva interrotto con un cenno del capo e si era seduto nel banco accanto a lui, anche solo per farlo tacere. Nemmeno lui aveva dormito quella notte, anzi era da un’intera settimana che non lo faceva, e di certo non per motivo relativamente piacevoli quali spassarsela con delle gemelle “con due...”
E dire che, fino a quel momento, Albus si era sempre svegliato di buon umore. In effetti svegliarsi nel suo dormitorio era una delle cose che lo rallegravano di più.
 
Allora, prima di tutto bisognava chiarire che, oggettivamente parlando, i dormitori di Serpeverde, soprattutto quelli dei ragazzi, non erano un luogo ameno dove risvegliarsi. Niente finestre con bellissime viste panoramiche, niente raggi del sole che ti accarezzano il viso dolcemente e niente uccellini cinguettanti, solo venti metri di terra e metà Lago Nero sopra la testa.
E poi faceva freddo. Sempre. E le coperte di lana cupo non bastavano mai per ripararsi nelle lunghe e fredde notti d’inverno. Soprattutto non a riparare lui che aveva la brutta abitudine di dormire a pancia all’aria. La prima settimana aveva passato quasi ogni notte nel lettino dell’infermeria, per il mal di stomaco. Poi, alla fine, l’esperienza e le risate isteriche dei suoi compagni nel trovarlo ogni mattino con la pancia scoperta, gli avevano suggerito una soluzione. Scorpius la chiamava “barricata di coperte” o “fortezza di cuscini”.
Insomma il freddo era una delle caratteristiche principali dei sotterranei. Jason aveva da tempo iniziato a vendere ai primini degli accendini babbani, decantandoli come “Magici attrezzi (Non Babbani, eh?)” capaci di dare fuoco all’intera Sala Comune. L’ultima volta un ragazzino piuttosto maldestro aveva bruciato i capelli di una sua compagna.
Comunque stava di fatto che la camera era sempre gelida. E neanche particolarmente accogliente. Il pavimento era in pietra, le pareti di un legno scuro, quasi color carbone. Era un atmosfera cupa, in un certo senso, non era il massimo svegliarcisi tutti i giorni, eppure, Albus l’aveva notato solo dopo molte lamentele, quel posto aveva un suo fascino, un’aria misteriosa che gli attribuiva un suo particolare perché.
E poi c’era silenzio.
Albus si svegliava ogni mattina, quando era a casa durante l’estate, con le urla di sua madre che cercava di buttare James giù dal letto e le sue proteste attutite, con le disperate esclamazioni di Lily che si cimentava nell’altrettanta disperata missione di “trovare qualcosa di decente da mettere” e con l’inconfondibile rumore di qualcuno che cadeva (suo padre aveva il brutto vizio di dimenticare gli occhiali in cucina e, quando la mattina si svegliava, praticamente cieco, sbatteva ad ogni angolo).
Un delirio, insomma. Ma lì, in quel luogo che a tutti poteva apparire triste e insulso, Albus si sentiva felice come non mai. A casa.
E quando, la mattina, scendeva a fare colazione con un sorrise ebete sulla faccia e gli chiedevano come mai fosse sempre così di buon umore, lui si limitava a rispondere che quella mattina, così come tutte le altre, si era svegliato bene.
Ovviamente le cose erano cambiate, e questo avrebbe dovuto accettarlo.
 
Qualche minuto dopo Albus era sulla porta dell’Aula di Storia Della Magia. Non era ancora arrivato nessuno, a dispetto di tutte le bestemmie che aveva lanciato contro Merlino e Morgana per il disperato ritardo in cui lui e Tomas si trovavano.
Una rapida occhiata nell’aula fece loro presagire che non erano completamente soli.
La ragazza nuova, che anche l’anno seguente sarebbe rimasta per tutti la ragazza nuova, era lì, in piedi, accanto alla cattedra di Ruf. -Hanno fatto confusione con il mio orario- stava spiegando al vecchio fantasma che non sembrava invece ascoltare molto di ciò che la studentessa stava dicendo –Mi avevano assegnato cinque ore di Divinazione, oggi, ma, in questo modo, non avrei potuto seguire le sue lezioni-
Sembrava esasperata. Albus si chiese confusamente quale persona sana di mente avrebbe rinunciato a cinque ore con la Brown a rigirarsi i pollici per seguire una noiosissima lezione di storia, con Ruf per di più.
Anche Tomas, che sembrava uscito dalla sua catalessi momentanea, drizzò il capo e dopo aver lanciato una lunga occhiata alla ragazza, scosse il capo, frustrato.
-Damn, boy!- esclamò lasciandosi cadere al suo solito posto, in ultima fila e dietro la colonna –Quella si che è strana. Che spreco, però. È davvero sexy-
Albus si strinse nelle spalle accomodandosi vicino all’amico.
Dopo i disastrosi esami del G.U.F.O., l’anno prima, la maggior parte degli studenti aveva lasciato Storia Della Magia per riversarsi su lezioni più importanti e meno soporifere. Lo stesso Albus era riuscito a passare solo grazie al provvidenziale aiuto di Rose e alla sua memoria fotografica che gli erano valsi una immeritatissima A. ovviamente se fosse stato per lui, avrebbe comunque abbandonato il corso, come d’altro canto aveva fatto Scorpius che, pur avendo ricevuto la sua buona O, aveva mollato per il Quidditch.
-Mia madre mi  ha scritto che se mollo Ruffino mi trancia, ma io un altro anno con quel Casper-idiota non me lo faccio!-
Ma Rose aveva tanto insistito e alla fine l’aveva convito a partecipare alle lezioni facendo leva anche sul fatto che, persino quel cretino di Wate la segue!, ovviamente ignara che l’unico motivo per cui Tomas partecipava a quel corso era la speranza di rimorchiare qualche timida e carina studentessa che non era ancora riuscito ad accalappiare, e, soprattutto, dormire.
-Come mi concilia il sonno Ruf, nessuno! Damn boy, nemmeno con la Brown riesco a dormire così bene!- aveva ghignato quando, perplesso, Albus gli aveva chiesto perché si fosse iscritto anche quel anno.
Intanto Ruf, con il suo solito tono di voce monocorde e soporifero si era rivolto alla ragazza, squadrandola da cima a fondo. –Bene, siediti dove vuoi- aveva suggerito, arricciando il naso, poi le aveva indicato il libro “Storia della Magia” che era poggiato sulla cattedra. Quest ultimo sembrava non essere aperto da molto tempo, se non da sempre.
La ragazza nuova alzò gli occhi e gli fece roteare, incontrando per un attimo lo sguardo di Albus che si affrettò a prestare la sua attenzione sul preoccupante ronfare che proveniva da Tomas.
Quando capì che l’amico si era semplicemente addormentato e potè, dopo aver controllato che nessuno si fosse accorto di tanto interesse per la nuova, riportare lo sguardo sulla cattedra, vide che la bionda aveva  tirato fuori dalla sua sacca un volume uguale a quello posato sulla cattedra. Era vecchio e consumato, come se fosse stato aperto e letto più volte. -È uno dei miei libri preferiti- spiegò stringendosi nelle spalle e arrossendo appena.
La porta si spalancò facendo entrare il resto della classe che, dopo aver alternato lunghe occhiate fra Albus e Hope, i due elementi nuovi della situazione, e aver deciso che era lei quella più strana, al momento, presero il loro posto.
La ragazza nuova si sedette in un posto vuoto in prima fila, nella Terra di Nessuno, davanti alla cattedra di Ruf. Mossa sbagliata, si ritrovò a pensare Albus con una certa partecipazione, tutti sapevano che Ruf non ci vedeva un accidente e non sentiva un accidente. Bastava evitare di sedersi in prima fila e lui non ti avrebbe mai visto e non ti avrebbe interrogato, tantomeno.
Quella mattina, a quanto prevedeva, Hope avrebbe dovuto rispondere per l’intera classe.
Albus la osservò per un minuto buono, di sottecchi.
Probabilmente quella situazione non si sarebbe mai verificata se non avesse espresso il suo stupido desiderio. Se non l’avesse fatto, a quel punto, sarebbe stato al campo con Scorpius ad allenarsi. Se non l’avesse fatto, in quel momento, nel posto accanto a lui ci sarebbe stata Rosie, con la sua mania di prendere appunti su ogni minima cosa. Se non l’avesse fatto la sua vita si sarebbe svolta come sempre e lui si sarebbe rintanato nella sua tanto amata normalità.
Ma l’aveva fatto, aveva espresso quel desiderio che gli aveva cambiato la vita e avrebbe dovuto accettarne le conseguenze che ne derivavano.
E una di queste era essere interessato alla nuova ragazza che, nella sua vita precedente, non avrebbe nemmeno considerato.

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Capitolo 13
*** Suddenly I see... ***


Note dell'autrice

A questo giro non possiamo proprio lamentarci, eh!
Io ho aggioranto in tempi quasi umani, e voi mi avete lasciato 11 (11!!!!! *.*) recensioni!
Mi sembra un buon compromesso!
Allora prima di lasciarvi con il capitolo in cui avremo i GRANDI RITORNI della pazza sclerotica (Mary), del nerd pallone gonfiato e della assistente ubriacona (Nicholas e Avril), della Teen Drama Queen e del suo fido valletto (Lily e Hugo) e dei due stupidi per cui non trovo nemmeno degli aggettivi calzanti (Rose e Scorpius), sento il bisogno di dirvi grazie.
Grazie, perchè se sono arrivata fino a qui è solo grazie a voi.
Grazie perchè i vostri commenti mi fanno sorridere e mi danno la forza di andare avanti.
Grazie perchè mi state aiutando a uscire da un brutto periodo.
GRAZIE!!
Fra




Capitolo XII

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Guardarti e non poterti toccare mi ferisce
(Grey’s Anatomy)

 
Mary non era stupida.
Ma non sapeva come fosse iniziata, quella storia.
In effetti, per quanto avesse voluto dire al mondo intero che il suo era stato un amore a prima vista, non era stato affatto così. Lei non si era innamorata di James la prima volta che l’aveva visto. Certo aveva subito provato per lui un grande sentimento di affetto, ma non era sicura che tutto fosse iniziato da quel preciso momento.
La prima volta che aveva visto James Sirius Potter era una povera e spaurita bambinetta di undici anni che, tremando come una foglia per il freddo, si era vista recapitare un gavettone pieno di succo di zucca in piena faccia. La ragazzina seduta vicino a lei sulla panca di Grifondoro, erano appena stati smistati, si era messa ad urlare e il suo amico, uno con un enorme massa di capelli rossi per cui Mary provava un enorme irritazione (per evitare di cadere nel Lago, mentre scendeva dalla barca, si era aggrappato al suo braccio, facendo così in modo che fosse lei quella a farsi un bagnetto fuori programma), era scoppiato a ridere.
Un ragazzo più grande, doveva fare il terzo o il quarto, aveva stimato Mary, con dei disordinatissimi capelli neri che non sembravano mai aver visto un pettine in vita loro, fece la sua comparsa seguito da altri tre ragazzi.
Lei aveva rivolto loro uno sguardo agghiacciante, ottenendo da tutti reazioni diverse. Due di loro, il biondo e il rosso, erano scoppiati in una risata ululante, mentre la ragazzina, Lily, strillava loro di smetterla. L’altro, un ragazzo dall’espressione dolce, le aveva chiesto scusa, porgendole un fazzoletto per asciugarsi la faccia.
Mary l’aveva accettato e, dopo  essersi più meno ricomposta, aveva alzato lo sguardo verso il vero artefice del disastro, il ragazzo dai capelli neri che, a quanto aveva capito dalle urla disumane di Lily, si chiamava James.
Il ragazzo, evidentemente suo fratello, si era girato verso la sorella e le aveva rivolto un occhiata complice.
-Ma stai zitta, piccola Banshee, volevamo prendere Ross ma abbiamo sbagliato mira- aveva spiegato, gesticolando.
Poi, si era girato verso di lei e aveva sorriso.
Ha un sorriso bellissimo, si era ritrovata a pensare mentre, improvvisamente, anche lei iniziava a sorridere e il rancore e la rabbia sparivano, sostituite da la strana impressione di trovarsi su una nuvola.
 
Mary non era stupida.
Sapeva che non aveva molte possibilità di riuscita, con James. Sapeva che, oggettivamente parlando, per quanto potesse ritenersi carina, e il suo ego non faceva altro che ripeterlo, come un mantra, c’erano molte altre ragazze più belle e affascinanti di lei.
Ma con il fascino puoi cavartela per un quarto d’ora. Poi è meglio che tu sappia fare qualcosa(1).
E lei sapeva fare tante cose.
Sapeva giocare discretamente a Quidditch e, se quell’anno Lily non l’avesse convinta, o meglio costretta, a iscriversi al coro della scuola avrebbe provato a partecipare alle selezioni. Avrebbe potuto opporsi ma, pur di non rischiare una figura imbarazzante se non l’avessero presa in squadra, aveva accontentato l’amica.
E poi le piaceva cantare.
Ecco, un’altra cosa che sapeva fare, cantare.
Non che James lo sapesse o fosse minimamente interessato alle strane canzoni che il professor Vitius, che, dopo tanti anni ancora gestiva i giovani artisti della scuola, si ostinava a fare loro cantare. Non ne andava matta anche lei.
Preferiva le canzone babbane.
E non solo perché le trovava molto più adatte per descrivere i sentimenti e le emozioni che provava.
Ora più che mai, soprattutto.
Soprattutto alla luce della esaltante e preoccupante rivelazione a cui era arrivata alla fine dello scorso semestre.
Ritornando al discorso iniziale, Mary non era stupida.
Sapeva benissimo che, agli occhi di tutti, la sua non era altro che una ardente e fantasiosa cotta adolescenziale per il principe azzurro che si sarebbe conclusa quando avrebbe trovato un soggetto più bello e meritevole.
E, oggettivamente parlando, lo era davvero.
Come ogni ragazzina infatuata si limitava ad osservare il suo “bello” da lontano, a scrivere pagine e pagine su di lui e sulla sua bellezza sul suo diario segreto con i cuoricini, a ridacchiare, ad arrossire, a nascondersi dietro le colonne quando lo vedeva passare e a non riuscire a spiaccicare parole quando se lo trovava davanti.
Eppure, lo sentiva, era qualcosa di diverso.
Anche le altre ragazze avevano le loro cotte e le loro infatuazioni. Anche le altre passavano il loro tempo ad arrossire, balbettare e pedinare i loro ragazzi.
Ragazzi, però.
C’era varietà.
Non era sempre lo stesso ragazzo, loro cambiavano i soggetti delle loro attenzioni, lei no.
E questo fu, di per sé, il primo indizio.
 
Mary non era stupida.
Un giorno, probabilmente, mentre scendeva a fare colazione, oppure, magari, mentre stava facendo i compiti o, poteva essere, mentre si lavava i denti, aveva all’improvviso realizzato che le piaceva James.
In effetti per essere una che professava di amarlo con tutto il suo cuore da ben due anni, e aver avuto una inclinazione piuttosto pronunciata nei suoi confronti anche negli altri due anni precedenti, non era un vessillo di precisione.
Il punto era che lei non lo sapeva, maledizione!
Non sapeva quando aveva iniziato a vedere James con occhi diversi, a considerarlo qualcosa di più che semplicemente il fratello più grande e simpatico della sua migliore amica, non sapeva quando aveva iniziato a valutarlo come il possibile principe azzurro delle sue remote fantasie.
Non lo sapeva.
Sapeva solo che, piano, piano, la sua presenza era diventata parte integrante dei suoi giorni, la sua voce le era sembrata sempre più armoniosa e vederlo con un’altra, anche solo in una conversazione amichevole, le aveva iniziato a darle il sangue nel cervello.
C’era arrivata.
Piano, piano.
Un giorno si era alzata e, all’improvviso, aveva visto.
L’aveva visto.
E aveva capito che non era una semplice cotta adolescenziale, che per lei non era mai stato solo arrossire, scrivere sul diario con i cuoricini, pedinarlo e tutto il resto.
Ma non era questo il momento di perdersi in ricordi e consolanti parole, si ripetè, mentre, i capelli raccolti in una coda alta e il trucco strategico di Lily sulle guance, si avviava “casualmente” lungo il corridoio del terzo piano, dove si stava per concludere la lezione di Trasfigurazione dei ragazzi del settimo anno.
 
Mary non era stupida.
Ma innamorata si.
E, dopotutto, siamo tutti folli in amore(2).

***

 
Hugo non era mai stato bravo a capire le donne.
Prima di tutto perché, secondo il parere della madre, sembrava aver ereditato dal padre il fattore “sensibilità di un cucchiaino”, secondo perché, davvero, non gli interessava poi tanto il genere femminile.
Trovava davvero assurde quelle loro infantili prese di posizione, quei loro comportamenti da principesse e le loro urla isteriche se qualcosa non andava per il verso giusto.
Perché avrebbe dovuto sbattere il capo contro la parete e dannarsi l’anima come molti suoi compagni per una stupida ragazza che non si sarebbe accontentata nemmeno se si fosse messo a strisciare in sua presenza? Lo trovava inconcepibile.
Ci voleva coraggio e una buona dose di pazienza per entrare in quel mondo oscuro e profondo che era il cuore, e gli altri organi vitali, di una donna.
Ma, se non altro, era bravo a capire Lily.
Ma lei era speciale. In molti sensi e, purtroppo, non tutti positivi.
Se non altro sapeva sempre quando le giravano.
Non era sesto senso o intuizione. Non era una persona molto perspicace e non era istintivo. Non credeva nelle balle per cui invece la cugina andava matta, destini, fati e incontri, stelle e pianti. Non era così sprovveduto benché tendesse a giustificare ogni problema della cugina come una sorta di isterismo dovuto alle sue “cose”.
Che poi, come gli aveva fatto gentilmente notare Lily, non è che le sue “cose” arrivassero quindici volte al mese.
Ma questi erano dettagli inutili e imbarazzanti.
Lo capiva e basta, però.
Quella mattina, relativamente tranquilla, a dirla tutta, stava aspettando sprofondato nella sua poltroncina rossa della Sala Comune che la cugina si degnasse di mostrarsi. Lui e Lily si erano promessi di appoggiarsi e sostenersi sempre a vicenda ma, in conclusione, era sempre lei che lo comandava a bacchetta. In fondo però, gli andava bene, perché lei non era una ragazza qualunque, era Lily e poteva permettersi di bacchettarlo quanto voleva.
Comunque, era lì, in attesa e, ancora prima di vederla scendere dalle scale aveva capito che qualcosa non andava, che fosse di cattivo umore. Lo potè costatare da diversi indizi.
Il primo era che, Mary Orwell, la migliore amica di Lily nonché, a suo parere, la ragazza più carina del loro anno, gli aveva assicurato che Lily sarebbe scesa subito.
E Lily non scendeva mai subito. Era una ritardataria cronica e non solo per i suoi problemi con gli orologi ma anche perché riteneva fosse importante il “farsi attendere e desiderare”.
Il secondo indizio gli venne evinto da una domanda che si pose perplesso –Mary è già qui. Se è già pronta, perché non è scesa con lei? Non vorrà mica stare sola?-
E Lily odiava stare sola, era più forte di lei. Da piccola se lo sarebbe trascinato pur in bagno se sua madre non l’avesse ritenuto sconveniente.
Il terzo indizio fu che, quando la vide, notò che aveva i capelli ricci.
E Lily odiava i suoi capelli ricci. Diceva che, se non se li piastrava,  avrebbe potuto confondersi con la massa dei Weasley. Così, ogni mattina, se li stirava con cura, rendendogli lisci e setosi.
Il quarto e più preoccupante indizio erano gli occhi. Prima di tutto erano contornati da profondi cerchi neri, occhiaie che nemmeno il correttore era riuscito a coprire del tutto. E poi brillavano, e non in senso positivo. Erano, anzi, illuminati da una luce assassina.
Hugo espirò appena, cercando di non irritarla con la sua sola presenza –Ehi…?- tentò, alla fine,
-Un corno- replicò lei –Andiamo su, siamo in ritardo-
-Cioè, alla fine, siamo in anticipo. Rispetto al solito, dico- provò mentre seguiva il suo passo marziale lungo il corridoio.
-Pazienza- fu la lapidaria affermazione della cugina che, con un movimento fluido gli mollò la sua borsa. Hugo ringraziò mentalmente il fatto che Lily ci portasse dentro solo una pochette con il trucco e un quadernetto che le serviva per darsi un’aria da intellettuale, al contrario di sua sorella che viaggiava con mezza biblioteca sulle spalle.
-Ehm… Lils?-
Era normale che avesse così paura?
-Cosa vuoi?-
-Niente!-
Fanculo, fa davvero paura!
 

***

 
Ogni giorno Nicholas si svegliava alla stessa ora.
Senza scherzi, davvero.
Alle sei e venti precise i suoi piedi scavalcavano l’ostacolo delle coperte, e, a tentoni, cercavano le pantofole pelose sotto il letto.
In soli sette minuti era già in bagno, a cantare sotto la doccia fredda. Poi altri cinque minuti per asciugarsi con cura, facendo uscire dell’aria calda dalla bacchetta.
Alle sei e trentadue spaccate un gufo partito da Londra, picchiettava spazientito alla finestra del suo appartamentino, vicino alla Torre dei Corvonero, per intenderci, e gli consegnava la sua “Gazzetta del Profeta”.
Nicholas scacciava via spazientito il gufo, non avevano mai avuto grandi rapporti visto che, complice la sua enorme fobia per ogni tipo di pennuto e la peculiarità di quello specifico esemplare a beccargli le dita, una volta avevano quasi tentato di uccidersi a vicenda, e osservava la prima pagina.
Che gli interessasse o meno, convito come era che qualsiasi storia e opinione, anche la più assurda, dovesse essere presa in considerazione, leggeva tutto il giornale, impiegandoci quattordici minuti precisi.
Poi passava alla sua preparazione e compiva, come una sorta di rituale, con calma e tranquillità, tutti quei gesti abitudinari che aveva ormai da tempo, incorporato nella sua routine.
Camicia a righe, maglioncino, giacca, pantaloni, calzini e scarpe. Di solito, a questo punto, avrebbe dovuto provvedere a riordinare i fogli per le sue lezioni e inserirli con ordine maniacale nella sua cartellina, ma le sue lezioni sarebbero iniziate solo da lì a Sabato, quindi, almeno per il momento, poteva concedersi una pausa prima di scendere a fare colazione.
Altri quattordici minuti, quindi, che impiegava per camminare adagio lungo i corridoi della sua vecchia scuola, gustandosi l’idea di essere, in qualche modo, tornato a casa.
Alle sette spaccate spalancava le porte della Sala Grande e prendeva posto al tavolo dei professori, sotto lo sguardo curioso degli studenti dal primo al sesto anno e quello furioso delle settimo che, dopo aver scoperto che, essendo obbligati a frequentare il suo corso, avrebbero dovuto fare lezione anche di Sabato, tutti i Sabato, per precisare, non erano poi così amichevoli nei suoi confronti.
Alle sette e tre minuti esatti, comunque, dopo aver salutato allegramente i suoi colleghi si lasciva cadere vicino ad un ansimante e scomposta Avril Gins, assistente dell’infermiera, e cercava di trovare qualcosa che andasse bene in lei.
 
La sveglia magica di Avril era impostata per le sei. Ma, essendo quest’ultima di tipo babbano, (quelle magiche non smettono di fare rumore finchè non ti alzi davvero e, poi, devi anche inseguirle per tutta la casa, colpirle quando finalmente riesci a prendere e aspettare una buona manciata di minuti finchè non finiscono di suonare) era facilmente distruttibile.
Così la scaraventava giù dal comodino con un gesto preciso e imprecava per il dolore assurdo al mignolo che si era in tal modo procurata.
E quindi, verso le sei e quaranta, Avril si ritrovava a saltellare per la sua stanza, molto piccola e ingombra di roba, giusto per precisare, in canotta e un solo calzino addosso.
Appena entrava nella doccia si perdeva in riflessioni filosofiche ispiratele dall’acqua calda e, solo all’ultimo minuto, quando aveva finito di assemblare il suo progetto per la conquista del mondo, decideva di insaponarsi.
Si asciugava i capelli con un distratto gesto della bacchetta, rimpiangendo di non aver più tempo per allisciarli, li legava in una coda sommaria e cercava di appiattire i ciuffi ribelli.
Infilava sbuffando la sua divisa, una gonna lunga fin sotto i piedi che la faceva inciampare ad ogni passo, un grembiule bianco latte e una stupida crestina che le era valsa una innumerevole quantità di battutine da parte di suo fratello, e si lanciava alla ricerca dello zainetto blu.
Dopo aver imprecato contro Merlino, Morgana, Nimue e qualsiasi altro personaggio della Storia della Magia che le venisse in mente al momento, si gettava sotto il letto e lo tirava fuori. Poi, apriva con una sola mano il cassetto dell’armadio e tirava fuori i jeans e la maglietta (che avrebbe indossato al posto della divisa non appena Madama Chips si fosse addormentata sulla scrivania) e gli ficcava con malagrazia dentro.
Lanciava un’occhiata disperata all’orologio che la fissava minaccioso dal comodino, il tempo di un’ultima esclamazione colorita, afferrava il giornale che il gufo le aveva lasciato qualche minuto prima alla finestra, e si scapicollava fuori dalla porta.
Correva per i successivi cinque minuti attraversando come un fulmine l’intera scuola, infine, dopo lo scatto finale, si lasciava cadere al suo posto al tavolo degli insegnati, vicino ad un perfettamente composto professor Nicholas Haley, e cercava di trovare qualcosa che non andasse in lui.
 
Lo yogurt babbano era stata una delle piccole innovazioni che erano state inserite e supportate nel menù e nell’andamento della scuola.
Il nuovo preside, Mr Harris, era un Nato Babbano e, nonostante la sua candidatura fosse stata a lungo considerata inopportuna, stava facendo un buon lavoro, cercando di inserire nella vita di tutti i giorni dei piccoli maghi, delle invenzioni e delle situazioni tipiche babbane.
-A piccoli passi, a piccoli passi. Magari non possono comprendere l’utilità della tecnologia ma tutti amano lo yogurt!- aveva riso gioviale.
Il fatto che ci tenesse a integrare la cultura di due mondi così diversi aveva fatto in modo che sorgessero diverse proteste da parte delle principali famiglie purosangue che avevano minacciato di trasferire i loro figli in altre scuole più conservatrici, ma aveva anche ottenuto molti consensi.
Il mondo magico non era ancora pronto per aprirsi completamente ai babbani, ad apprezzare e utilizzare i loro oggetti, le loro scoperte, ma non avrebbe certo avuto nulla da dire di fronte ad una piccola coppetta di yogurt alla fragola.
Comunque, Avril ne andava matta.
Sua madre, quando era piccola e tornava da scuola, le chiedeva come era andata e le dava una coppetta di yogurt alla fragola. E quel sapore dolce le faceva sciogliere la lingua e, improvvisamente, lei si trovava a parlare liberamente dei suoi problemi, con sua madre che sorrideva, furba.
Così quella mattina, come ogni mercoledì mattina, Avril, gli occhi ancora socchiusi dal sonno, allungava la mano oltre il professor Paciock e afferrava il suo barattolino di yogurt.
Lo fece anche quella mattina.
Ma la sua mano, invece di afferrare il contenitore, tastò il vuoto del tavolo.
Gli occhi si spalancarono, enormi, saettando lungo la tavola.
Che gli elfi si fossero dimenticati di portarli?
Che qualcuno dei professori l’avesse preso?
Possibile che il suo yogurt fosse scomparso?
Lanciò uno sguardo lungo la tavolata e potè distinguere benissimo il professor Paciock, a pochi metri da lei, armeggiare con il suo barattolino giallo. Lui lo prendeva sempre all’ananas.
Certo, prima aveva dovuto spiegargli come aprire la pellicola senza cercarsi l’occhio con un coltello, però…
Comunque se il professor Paciock lo stava mangiando voleva dire che gli elfi non se ne erano dimenticati. E poi, essendo loro due gli unici a prenderlo, nessuno poteva averlo rubato.
E allora dove il mio?
Sospirò affranta, poggiando il viso sul palmo della mano e chiudendo gli occhi.
Dove è il mio yogurt?
Dove. È. Il. Mio. Yogurt.
Io voglio il mio yogurt!
-Toutto appousto, Avrìl?- la voce del professor Gerard, un uomo francese sulla quarantina che insegnava Artimazia, le fece alzare il viso, distraendola dai suoi oscuri pensieri.
Sarebbe troppo patetico chiedergli se ha visto il mio yogurt?
-Sto bene, Mr Gerard- asserì, convinta.
Nel farlo si girò verso la sua destra, dove, si sedeva il nuovo noiosissimo e sfigatissimo membro del corpo docente, Haley.
Ora dimmi che razza di materia è la sua?
Preparazione Post Hogwarts?
Ma fammi il piacere!
E poi sarà di Sabato mattina!
Un suicidio!
Oh quanto vorrei vederlo alle prese con Potter e i suoi amichetti!
Per un attimo provò compassione per il povero uomo che le sedeva accanto. Poi, però, lo sguardo le cadde su quello che teneva in mano.
Sulla coppetta di yogurt alla fragola che teneva in mano.
Vaffanculo bastardo!

***

 
Scorpius odiava Rose Weasley, ma di questo abbiamo già abbondantemente parlato in precedenza.
Uno dei tanti motivi però, che probabilmente ho dimenticato di inserire nella stesura delle tante valide motivazioni che la rendevano ai suoi occhi tanto insopportabile, era che, qualsiasi cosa facessero, lei era sempre un passo avanti a lui.
E non si trattava solo di barbose questioni scolastiche o di stupide rivalità fra Case o di altri paragoni figurativi.
No, Rose Weasley camminava davvero sempre un passo davanti a lui. Aveva iniziato a farlo al quarto anno, dopo la “svolta” e aveva continuato a farlo nei due anni successivi.
Scorpius si chiedeva spesso se trovava così divertente torturarlo. Non che avesse mai dimostrato di soffrirne, ma era comunque piuttosto stancante e doloroso dover fare la ronda notturna con, come unica compagnia, la schiena della Weasley.
Come in quel momento.
-Potresti anche rallentare, sai? Non c’è nessuno a quest’ora, è ancora troppo presto. Dovremmo aspettare mezzanotte per le coppiette- commentò, rivolgendosi ai suoi lunghi capelli rossi, che, ondeggiando, sembravano brillare ancora più del solito alla fioca luce delle torce.
La Weasley lo ignorò, come sempre, e continuò a camminare spedita, a pochi passi di distanza da lui. Probabilmente non l’avrebbe degnato di una risposta nemmeno questa volta.
Continuava a mantenere lo sguardo su di lei, non intenzionato, comunque, ad aumentare l’andatura dei suoi passi, non per affiancarla, almeno. Era abituato a vedere solo la sua schiena e, se spostava lo sguardo più in basso, non gli dispiaceva nemmeno tanto.
La cosa che gli dava più fastidio era quella, però.
L’indifferenza.
Se gli avesse urlato contro, se lo avesse picchiato con la scopa, schiantato, minacciato di morte, anche solo guardato, allora si sarebbe sentito vivo. Vivo.
Ma lei lo ignorava e rimaneva a distanza.
Scorpius, in Aritmanzia, aveva studiato i numeri primi. Gli avevano sempre fatto un po’ pena, quei poveretti. Sempre soli, abbandonati al proprio destino.
Ma, poi, c’erano anche i numeri primi gemelli. Erano quei due numeri primi che si trovavano così vicini, separati solo da un altro numero, così vicini, da non potersi toccare.
E lui e Rose erano così.
Due numeri primi che avevano passato la loro vita in piena solitudine, soffrendo e facendo soffrire, ignorando e essendo ignorati, vivendo e facendo vivere.
E poi, all’improvviso, si erano visti.
Da lontano, con sospetto, cauti e preoccupati, con troppo istinto di autoconservazione per provare anche solamente ad avvicinarsi. E, comunque, incapaci di farlo.
Così vicini e così lontani che, anche il solo pensare di potersi toccare, faceva male, tanto male.
 
A Scorpius non era mai andata molto a genio l’idea di innamorasi di qualcuno, come un povero idiota.
I suoi compagni di stanza parlavano sempre delle ragazze con cui uscivano. O, meglio, parlavano fra loro delle ragazze con cui uscivano, e lui, nascosto dietro lo spesso baldacchino del suo letto, con in mano il libro di pozioni, fingeva di studiare e gli ascoltava.
Tomas passava da una ragazza all’altra, Jason stava con Casey da due settimane, Liam non ne voleva proprio sapere.
Tutti, però, erano stati concordi che, semmai si fossero innamorati, non si sarebbero mai, mai, comportati da idioti.
Scorpius, alla fine, li aveva visti tutti cadere.
Tomas aveva passato l’estate fra le donne della sua famiglia, le sue innumerevoli sorelle, tutte le sue zie e cugine, e sua madre, mentre suo padre se la spassava con la sua compagna, e se ne era tornato con i nervi a pezzi e spezzoni di frasi come “L’amore è il sentimento più puro e meraviglioso che esista al mondo” e roba simile…
Jason aveva chiesto a Casey di mettersi ufficialmente con lui e ora lei stava già preparando il vestito per il loro eventuale matrimonio.
L’unico che continuava a mantenere una parvenza di decenza in pubblico era Liam. Ma era risaputo che avesse un debole per una certa ragazza di Corvonero di cui non intendeva rivelare il nome.
E Scorpius scuoteva la testa, nascosto dietro le tende e rideva divertito. Anche se non c’era proprio nulla da ridere, almeno viste le sue condizioni.
Anche lui, prima, aveva sempre detto che non si sarebbe comportato da idiota, con l’amore.
Lui non sarebbe mai diventato come uno di quei rammolliti che perdevano completamente il senno, che blateravano della loro ragazza dicendo frasi come “Non è bellissima, ma ha una grande personalità” e cose del genere.
Non avrebbe esaltato le sue qualità fino al ridicolo, non ci sarebbe caduto come un cretino.
Lui aveva un cervello, dopotutto.
Peccato si fosse poi reso conto che, purtroppo, il cervello, lì c’entrava davvero poco.
Perché quando l’aveva vista, quando aveva capito che si, ci era caduto come cretino, che sarebbe stato anche lui uno di quei rammolliti, il suo cervello se ne era partito per la tangenziale.
Perché era un cretino.
E lei anche.
 
-Sei una frigida, Weasley-
-E tu un coglione, Malfoy-
-Uh, la mamma sa che dici queste brutte parole?-
-E la tua sa che sei ancora in giro alle dieci? Dovresti essere già a letto, non credi?-
 
Scorpius non sapeva se quello che provava per Rose Weasley fosse amore, odio, indifferenza, paura, rabbia, rancore, gentilezza, attrazione fisica o spirituale.
Sapeva solo che, per quanto loro non fossero i soliti fidanzatini tradizionali, quelli che si tengono per la mano, che si siedono vicini e passano tutto il tempo attaccati, lui si sentiva come qualunque altro cretino innamorato.
 
 
 
 
 
(1) “Con il fascino potete cavarvela per un quarto d’ora. Poi è meglio che sappiate fare qualcosa.”(H. J. Brown) È una vera perla di saggezza, non trovate?
(2)“Siamo tutti folli in amore” frase rubata dal bellissimo film “Orgoglio e Pregiudizio”, che, a mio parere, era quasi all’altezza del libro.

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Capitolo 14
*** The world is not for princess, Rosie... ***


Abbassate le armi, vengo in pace!
Si, lo so, ora vi state chiedendo: "Ma chi è questa? La conosco? Ho mai avuto rapporti con lei? Ah, ma si, quella che scrive tutte quelle stupidaggini e poi sparisce per mesi senza aggiornare o recensire!"
Ebbene si, ragazze, sono proprio io.
Dirvi che mi dispiace per il ritardo con cui aggiorno sembrerà scontato ed idiota, ma non posso farne a meno! La scuola è davvero un osso duro in questo periodo e sono sommersa di compiti ed interrogazioni, per non parlare poi di altri vari problemi personali con cui non voglio tediarvi...
Spero comunque che riuscirete davvero a perdonarmi perchè non è esattamente un periodo facile per me e ormai scrivere è l'unica valvola di sfogo che sembra essermi rimasta...
So che non ho recensito parecchie storie ma intendo farmi perdonare, davvero!
Sono testarda, lo sapete, alla fine, se si tratta di rompere, ci sono sempre!
Scusate, scusate, scusate!
Per farmi perdonare ho aggiornato con un capitolo bello lungo!

IMPORTANTE
Ragazze mie, finalmente ci siamo!
Dal prossimo capitolo, bhe anche da questo, a dire il vero, la storia inizia a farsi interessante e le cose inziano a complicarsi (o a sbloccarsi, dipende da come la vedete)...
Innanzitutto si scoprirà quale è il problema di Lily e perchè Hugo ha così tanta paura di lei e poi, finalmente, una scossa davvero importante alla trama!
Spero che possa piacervi, davvero
Fra

Dedicato alle meravigliose 10 ragazze che hanno recensito lo scroso capitolo,
alle 2 che mi hanno dato un parere su degli altri capitoli,
alle 31 preferite
alle 12 ricordate
e alle 74 seguite.
Grazie perchè siete l'unica ragione per cui continuo a scrivere!


Capitolo XIII


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Le ragazze, mentre aspettano il principe azzurro, si fanno tutto il reame…
(Anonimo)

 
Le aveva sempre odiate le principesse, lei.
Loro con i capelli perfetti, sempre al loro posto, con quei lunghi abiti dai colori pastello che assumevano spesso delle tonalità improbabili, con le loro scarpette di cristallo che non si frantumavano e non le facevano inciampare.
Loro e la loro vita dannatamente perfetta, con i loro principi azzurri e i loro magici castelli incantati.
Dominique, invece, le adorava.
-Sei davvero strana Rosie- le diceva quando, mentre zia Audrey raccontava loro per l’ennesima volta la storia di quella bellissima fanciulla caduta in un sonno magico che aspettava il bacio del vero amore, la vedeva roteare gli occhi, seccata –Come fanno a non piacerti le principesse?- ripeteva, gli occhioni azzurri spalancati e i riccioli biondi che le incorniciavano il volto.
-Io da grande sarò una di loro- proferiva alla fine, tirando su con il naso e poi sorrideva.
Rose aveva sempre pensato che Dominique avesse il sorriso più bello del mondo. Come un lumus maxima estremamente forte. E poi aveva davvero l’aspetto di una principessa, per non parlare del carattere, assolutamente adatto a farla vivere a corte con una schiera di paggi e cavalieri senza macchia e senza paura.
-Non fanno nulla di che- rispondeva lei.
E infondo era vero.
Cosa facevano poi quelle leggiadre fanciulle se non sedersi buone, buone e aspettare pazientemente che un giorno arrivasse a salvarle un ricchissimo e bellissimo principe?
Lei era sempre stata una persona reattiva e indipendente, non avrebbe certo sopportato di essere aiutata da qualcuno. Probabilmente non era un pensiero molto romantico, anzi era in assoluto uno dei peggiori che la tua testolina anormale possa aver mai concepito, come le disse una volta sua cugina, ma lei, se proprio avrebbe dovuto ricoprire un personaggio nella favola, avrebbe scelto di essere il principe.
Un po’ di azione, andiamo!
E poi, nella sua famiglia, ce ne erano tante di principesse! Victorie che con la sua storia con Teddy si era conquistata il ruolo di “principessa madre”, coronando il sogno d’amore di tutte le sue cugine più piccole. Dominique con il suo viso sottile e le efelidi che le punteggiavano deliziosamente il viso. Lily con la sua mania di essere servita e riverita. Lucy e Molly che disegnavano abiti da sogno sui documenti di zio Percy, facendolo diventare paonazzo e urlare come un matto, gridando al sabotaggio. Persino Roxanne, anticonvenzionale e con i piedi per terra come era, aveva speso qualche pomeriggio della sua infanzia a pensare al principe azzurro.
E, a quel punto, Rose se l’era sempre chiesto, cosa aveva lei di sbagliato? Perché anche il suo mondo non era pieno di unicorni ed arcobaleni? Perché avrebbe preferito rimanere zitella a vita rischiando di battere il primato di zia Muriel piuttosto che cadere addormentata per cento anni in attesa di un principe che non sarebbe, forse, nemmeno arrivato?
E voci affollavano la sua mente, quasi a confermare che lei, di normale, non aveva proprio niente. Spezzoni di conversazioni, affermazioni convinte, sussurri, constatazioni che da piccola le avevano reso la vita un inferno.
-Prima o poi il mio principe azzurro arriverà-
-Sei davvero strana Rosie-
-Vorrei vivere in una favola…-
-Sei davvero strana Rosie-
-Come fanno a non piacerti le principesse?
-Sei davvero strana Rosie-
-Io da grande sarò una principessa…-
-Sei davvero strana Rosie-
-Ti piace il mio vestito da principessa, Rosie?-
-Sei davvero strana Rosie-
Era tanto male quello che le capitava?
In cuor suo sperava di no.
-Ma il mondo non è fatto per le principesse, bambina- le aveva detto una volta sua madre quando l’aveva vista con gli occhi rossi e le guance infossate, i pugni chiusi che stringevano l’aria, come a voler trattenere almeno lei, visto che con le lacrime non ci era riuscita.
E Rose, a distanza di molti anni, l’aveva compreso.
Il mondo non era davvero fatto per le principesse.
Il mondo era fatto per quelle come lei, che quando volevano qualcosa si alzavano e andavano a prenderla, che mettevano l’anima in quello che facevano, che avevano grandi sogni e grandi aspettative. Che non se la sarebbero presa se il mondo si sarebbe rivelato bastardo e che erano abituate alle batoste e alle derisioni.
Il mondo era fatto per quelle come lei che continuavano a vivere nella loro ipocrisia alla disperata ricerca di qualcosa che le facesse sentire bene.
Il mondo non è fatto per le principesse.
 
La biblioteca di Hogwarts, nonostante i precedenti della madre, non era il suo posto preferito. Ma, per lo meno, era silenziosa, intima. In effetti, si ritrovò a pensare, l’aveva sempre considerato un posto sacro.
L’essenza della magia.
L’odore dei libri e della carta, il grattare leggero della penna sulle pergamene, il sussurro degli studenti che non possono parlare ad alta voce. Aveva il suo fascino per lei che era nata e cresciuta con una famiglia numerosa e ridanciana.
Ma nulla poteva battere il paesaggio che si intravedeva dalla Torre dei Corvonero. Quello era di sicuro il posto più suggestivo di Hogwarts, secondo lei.
Trattenendo un sospiro stanco si chinò a raccogliere la sua sacca, facendo ben attenzione che Eric Freeman, di Serpeverde, notasse come le stava bene la camicetta scollata, quel giorno. Una volta che l’ebbe afferrata, ed ebbe fatto l’occhiolino a Eric, fece per metterla sulla sedia accanto alla sua. Nessuno si sedeva accanto a lei.
Non che i ragazzi non ci avessero provato, ma, quando studiava, come tutti sapevano, era particolarmente irascibile, forse per via della sua necessità si silenzio e di calma. E nessuno avrebbe rischiato di sedersi accanto a lei ed infastidirla anche solo con il proprio respiro quando era irascibile.
-Ciao Rosie!-
-Non chiamarmi Rosie, idiota-
Ovviamente tranne quel maniaco di Serpeverde che le stava dando il tormento da quando aveva messo piede a scuola. E che aveva il brutto vizio di chiamarla Rosie.
Nessuno la chiamava Rosie. Non più almeno.
-Vedo che siamo particolarmente socievoli, oggi, eh?- sorrise lui, lasciandosi cadere accanto a lei.
Rose non si scompose e continuò ad ignorarlo.
In verità non sapeva esattamente come liberarsene, di quell’impiastro. Innanzitutto la seguiva ovunque. La aspettava per fare colazione, la accompagnava in classe e quando avevano lezione insieme si sedeva vicino a lei. La maggior parte delle volte, poi, si portava dietro quell’idiota di Tomas Wate che non faceva altro che fissarle il fondoschiena.
Aveva sperato che, ignorandolo, avrebbe rinunciato. Che sarebbe bastato non dare peso alle sue assurde pretese, essere suo amico, ma andiamo!, e lui si sarebbe stancato.
Aveva aspettato una settimana.
E lui aveva iniziato a parlarle di quanto fosse orribile Artimazia e su quanto fosse odioso Gerard.
Aveva aspettato due settimane.
E lui aveva iniziato a cercare di ottenere delle risposte da parte sua, finendo, delle volte, persino per ottenerle.
Aveva aspettato tre settimane.
E lui aveva iniziato a chiamarla Rosie.
Ottobre era ormai alle porte e la sua pazienza al limite.
Aveva inoltre scoperto che trattarlo male non serviva a nulla, i suoi insulti sembravano scivolargli addosso.
Cercando di ignorare il suo allegro discorso su quanto il professor Gerard fosse un infido traditore, nonché personificazione del male, cercò di concentrarsi sul suo libro di Storia della Magia.
Erano le cinque passate, fra un oretta la Cena sarebbe stata servita in Sala Grande e le lezioni si erano concluse da un pezzo, nessuno andava in Biblioteca a quell’ora.
Solo Eric Freeman che era stato messo in punizione e doveva ordinare l’intero scaffale dei libri sulla Medimagia, lei, che non aveva trovato altra soluzione che seppellirsi lì per nascondersi dalla palesate avances di un Tassorosso particolarmente asfissiante e l’impiastro, Rose aveva preso a soprannominare così Albus nella sua testa, che, da bravo maniaco, non solo le si era seduto accanto ma l’aveva pure chiamata Rosie.
Un rumore di passi affrettati la fece, per l’ennesima volta, distogliere lo sguardo dalla lettura.
-Non ci credo!- esclamò la voce di una ragazza –Non pensavo arrivasse a tanto-
Drizzò le orecchie, in ascolto, magari avesse scoperto qualche pettegolezzo importante che le sarebbe potuto essere utile.
-Bhe, sai, fosse qualunque altro, non ci avrei creduto. Ma si tratta di lei, quindi… insomma l’hai vista come si è conciata alla festa di Olly, lo scorso semestre e come va in giro per la scuola!- rispose un’altra vocetta particolarmente acuta.
Albus, davanti a lei, aveva finito la sua filippica contro Gerard e ne stava iniziando un’altra contro la professoressa Piper, di Antiche Rune.
-Ma ne sei sicura, Shelly? Con un professore? Ma che puttana!- continuò la prima voce
–Bhe, ti dico questo. Pensaci, da quando ha iniziato a mettere le camicette scollate i suoi voti in Pozioni sono saliti alle stelle!- si infervorò Shelly. Seguì un piccolo strascichio di sedia segno che qualcuno di stava alzando.
Rose si agitò al suo posto.
Qualcuno se la faceva con il professore di Pozioni?
Okey, i gusti erano gusti e c’erano gente che, in attesa del principe azzurro si faceva tutto il reame, però… insomma Fredner era davvero rivoltante!
-Sai non me lo sarei aspettato da lei, però!- esclamò di nuovo la prima voce questa volta così piano che Rose dovette sforzarsi per sentirla –Sembrava una così brava ragazza, prima!-
-Prima, infatti!- Shelly probabilmente si era seduta perché Rose potè udire con estrema precisione un piccolo tonfo. –Ora, però, e te lo posso dire con sicurezza, è cambiata. Quella Rose Weasley è proprio una puttana-
Si accorse di aver chiuso gli occhi solo quando gli spalancò sentendo le mani fredde di Albus sulle sue. Provò a ordinare alla sue, di mani, di sciogliere la morsa in cui si erano chiuse, ma non rispondevano ai comandi, difettose.
Io sono difettosa.
Albus la stava guardando e, per la prima volta da quando l’aveva visto, non sorrideva. La fissava intensamente e Rose provò l’innegabile voglia di gettarsi fra le sue braccia e piangere, come faceva da piccola con sua madre, quando ancora tutto poteva essere risolto con un sorriso o una carezza, quando ancora piangeva per cose essenziali come una brutta caduta o una litigata particolarmente accesa.
Ma, ormai, non si trattava più di quello.
Non era caduta, eppure era ancora sul fondo. Non aveva litigato con nessuno ma gli sguardi dei suoi cugini, di suo fratello, di quelle stronze, di tutti, erano più evidenti di qualsiasi altra cosa.
Guerra fredda. Ah, i Babbani si che sanno dare i nomi alle cose. Perché mi sento così fredda, ora.
Albus strinse con più forza le sue mani, come a volerle trasmettere un po’ di calore, di forza, di vita.
-Lasciale perdere, Rosie. Che vadano a farsi fottere!- esclamò lui, afferrandola per un braccio e cercando di attirarla a sé, probabilmente per abbracciarla.
Ma Rose si divincolò, con forza.
Non voleva che Albus l’abbracciasse perché, per quanto potesse essere asfissiante e idiota, un impiastro a tutti gli effetti, era così… candido.
Il principe azzurro delle favole, quello che l’avrebbe portata in groppa al suo cavallo, ma che non l’avrebbe condotta nel suo bellissimo castello ma in una giungla infestata di pericoli, di cui non si sarebbe innamorata, ma che l’avrebbe aiutata a sconfiggere i cattivi.
Pulito, limpido, senza complicazione.
E, lei, invece, si sentiva così dannatamente sporca, stupida e meschina, troppo complicata e assurda, troppo odiosamente se stessa per uno come lui, per anche solo pensare di potergli stare accanto.
-Come, non lo sapevi?- Rose sorrise a quello che una volta, anche se non lo sapeva, era stato il suo migliore amico –L’ho già fatto io!-
Poi, prima di dargli il tempo anche solo di articolare una parola, si liberò dalla sua presa e si incamminò velocemente lungo il corridoio, infilandosi nel primo bagno che trovò e chiudendosi dentro, con l’affanno che si mischiava ai suoi singhiozzi stanchi e stremati.
Aprì la porta che dava su uno dei gabinetti e ci si precipitò dentro. Si inginocchiò accanto il water e vomitò.
Il mondo non è fatto per le principesse, Rosie.
 

***

 
Dannazione!
Hope lanciò uno sguardo perplesso e vagamente preoccupato al cielo, troppo scuro e grigio per i suoi gusti, poi, un’altra, ancora più preoccupata e terrorizzata al manico di scopa che teneva ancora in mano.
Quando, a undici anni, le avevano rivelato la sua vera natura e la signorina Bones le aveva regalato un libro sugli sport magici, Hope, venendo per la prima volta a contatto con il Quidditch, l’aveva trovato carino.
Facile, una cosa semplice e innocua.
Un piccolo giretto del campo con una scopa alla ricerca di una piccola pallina dorata.
-Quanto vuoi che sia difficile?- si era chiesta, stringendosi nelle spalle.
-Molto- era in grado di rispondere ora. –Davvero molto difficile-
E così, alla veneranda età di sedici anni, Hope, con un rossore evidente sulle guancie, si era avvicinata all’insegnante di volo, tale Anthony Goldestain, e gli aveva chiesto se poteva partecipare anche lei, o meglio assistere, alle lezioni che avrebbe dato agli studenti del primo anno.
L’uomo, per quanto sorpreso, aveva annuito e le aveva detto di presentarsi alla lezione che si sarebbe tenuta la mattina dopo, di giovedì. Hope, dopo averlo ringraziato, si era congedata ed era tornata al suo tavolo, vicino ai suoi compagni.
Alla fine, un po’ perché non poteva aspettare la fine dell’anno per attaccare bottone con qualcuno, aveva provato a scambiare qualche parola con una delle sue compagne di dormitorio, tale Emily Snow, una ragazza dai lunghi capelli scuri sempre raccolti in una treccia.
Benché non fosse proprio il massimo della compagnia e le sue conversazioni, a cui Hope si limitava ad annuire senza davvero seguirla, vertessero solo su quanto fosse carino Lorcan Scamandro, e qui lei stessa non ci trovava niente da ridire, su come le lezioni fossero tutte così pesanti e su come, a suo dire, la scuola fosse pullulata da “bambinette che credono di essere delle dive”, e qui lanciava uno sguardo penetrante a una bella ragazza dai capelli rossi che, come venne a sapere in seguito, aveva il nome di Rose Weasley, almeno si era fatta un’amica.
-Cosa stai facendo?- chiese appunto Emily, apparendole alle spalle in una strana e controproducente imitazione di un gufo che si dondola sulla spalla del padrone –Di chi è quella?-
Hope sospirò mentre continuava a camminare, il manico di scopa in mano e la determinata disperazione che la accompagnavano a prendere parte ad una lezione di undicenni sbruffoni.
-Vado alla lezione di volo, te l’avevo detto, no?- chiese con tono neutro e impassibile. Sapeva che avrebbe dovuto essere gentile con Emily, non solo perché si era presa la briga di essere sua amica, o almeno di provarci, (anche se aveva il vago sospetto che lo fosse semplicemente perché aveva già rotto le scatole a tutte le altre) ma a volte le saliva quel tono indifferente senza neanche riuscire a fermarsi.
-Vero, vero. Ma quando finisci?- rispose l’altra, mentre, passando nel cortile pavimentato della scuola lanciava un’occhiata veloce e valutativa. Dal modo in cui ritornò subito a fissarla, Hope ebbe la certezza che non c’era nessuno di più interessante di lei in circolazione.
-Ehm… non ne ho idea… dovrebbe durare un oretta buona. O almeno io ci rimarrò per un’ora perché dopo ho Storia della Magia e…-
-Io non so come fai a seguire quella roba, tesoro!- la interruppe Emily, scostandosi una lunga ciocca di capelli dalla fronte. Chiamava tutti “tesoro”, “ciccio”, “bellezza”… probabilmente per risultare più simpatica anche se, Hope aveva questo sospetto da un po’, forse lo faceva solo perché non si ricordava tutti i nomi delle persone con cui parlava, a differenza di quelli di cui sparlava.
-È interessante- la blandii lei, ponendo fine alla conversazione, poi, dondolandosi sui talloni, avvistò finalmente un solido gruppetto di ragazzini del primo e la salutò velocemente, lasciandola in piedi nel bel mezzo del cortile alla ricerca di nuove persone da chiamare con vomitevoli soprannomi.
 
-Io odio i bambini!- si ritrovò convulsamente a pensare, un’ora dopo –Odio quei piccoli cosini, le loro stupide scopette e odio volare!-
Non solo quei mocciosi erano riusciti a far sollevare la scopa prima di lei, che al terzo tentativo, frustrata, le aveva urlato “Su” con tanta veemenza da ricevere il manico in faccia, ma si permettevano persino di riderle dietro.
-Queste nuove generazioni!- sbuffò fra sé e sé –Non hanno più rispetto! Quando avevo io undici anni non mi sarei mai messa a ridere di qualcuno di sedici! Per quanto assolutamente incapace sia con la scopa!-
Dopo il quinto tentativo, comunque, era riuscita a salire sulla scopa, e, dopo averla fatta sollevare di appena tre centimetri era scoppiata in un urletto di gioia e soddisfazione, con l’unico risultato di ricadere di nuovo per terra.
Una bambinetto dai capelli biondi l’aveva indicata, ridendo come un pazzo, e si era messo a gesticolare, evidentemente cercando di imitarla.
Hope si era alzata con tutta la dignità che le era rimasta, si era tolta i rimasugli di fango che le erano rimasti sui jeans, almeno non aveva dovuto indossare il mantello, ulteriore intralcio per la sua incolumità e per quella di chi le stava accanto, e gli aveva scoccato un’occhiataccia.
Quello, però, invece di smetterla, aveva preso a ridere, se è possibile, ancora più forte, seguito da tutti i suoi amichetti.
Una delle bambine, capelli neri e occhi scuri, gli aveva messo una mano sulla spalla.
-Lou, no- aveva detto, osservandolo con uno sguardo scettico. Hope le era stata grata, grazie al cielo qualcuno con un po’ di cervello e di educazione!
-Non faceva affatto così! Era più qualcosa del genere!- aveva continuato poi la piccola, prendendo a contorcersi come se avesse preso una scossa elettrica, e correggendo all’amico l’imitazione.
Hope si era morsa il labbro per evitare di urlare.
Fortunatamente, in quel momento, era ritornato Goldestain che aveva accompagnato uno dei ragazzi che, come lei, erano caduti, in infermeria, e la lezione era ripresa, concludendosi, come stabilito, un’ora dopo.
Almeno per i bambini, certo.
Lei, invece, sotto lo sguardo scettico e vagamente disperato del professore era rimasta un’altra mezzoretta buona giù al campo, a ritentare per l’ennesima volta di non rovinare sul terreno bagnato da piccolissime gocce di pioggia.
Alla fine Goldestain se ne era andato con una scusa lasciandola lì, da sola, a insultare pesantemente Merlino, Morgana e i loro slip, e le piccolissime gocce di pioggia si era trasformate in una vera e propria tempesta.
Stupido tempo inglese.
 

***

 
Quando Albus arrivò al limitare del cortile di Hogwarts, era fradicio di pioggia. La tempesta si preparava da una settimana.
Le nuvole erano nerissime, e, siccome stava per iniziare la stagione delle tormente, un vento gelido imperversava, togliendoli il respiro.
Dovette spalancare gli occhi e accendere la bacchetta, per evitare di inciampare nei suoi piedi. Non si vedeva ad un metro di distanza. Non era certamente la giornata ideale per andarsene in giro per la Foresta a pensare, si ritrovò a rimproverarsi mentalmente, ma non importava.
Perché doveva farlo. Doveva capire cosa gli stava succedendo, cosa stesse succedendo a Rose, a Scorpius, a James, a Lily, a chiunque altro essere vivente in quella dannatissima scuola. E quale miglior modo per farlo se non girovagare come un’anima in pena per la boscaglia vicino ai cancelli della scuola, stendersi sull’erba bagnata e umida e osservare il cielo farsi sempre più cupo?
Un lampo tagliò il cielo scuro e lui, come gli aveva insegnato suo padre quando era piccolo, contò –uno, due, tre. Esplose il tuono. Albus affrettò il passo: la tempesta era vicina.
La pioggia picchiava sulle sue spalle come un martello pneumatico e i suoi piedi correvano veloci, scivolando impotenti fra le pozzanghere. Il respiro affannoso e irregolare, i vestiti bagnati che gli aderivano addosso come una seconda pelle. Aveva il suo fascino certo.
Un lampo stracciò il cielo, di nuovo. Contò. Uno, due.
La tempesta era sempre più vicina, riusciva a sentirla, avanti a lui, quasi gli stesse fuggendo dalle mani, come tutto quello che aveva avuto prima del desiderio. Tutto gli stava sfuggendo ultimamente.
Un altro lampo. Uno.
Il tuono rimbombò su di lui, facendolo tremare violentemente e la pioggia, non lacrime, gli scendeva sulle guancie. Stava correndo, adesso.
E, finalmente, lo realizzò. Non era lui che inseguiva la tempesta, era la tempesta che stava inseguendo lui. faceva persino fatica a tenere una linea retta, si limitava a correre, gli occhi bassi puntati sulle sue scarpe da ginnastica bianche, quasi a tenere il ritmo del suo avanzare.
Non si vedeva niente, ma, per un attimo, Albus fu sicuro di aver visto qualcosa, due piccoli fari luminosi nella nebbia, forse gli occhi di qualche animale coraggioso avventuratosi fuori dalla Foresta.
Si bloccò appena in tempo, scivolando sul terriccio bagnato, e intanto notò che lei, era una ragazza, non un animale, era ferma, la mano tesa in avanti e gli occhi chiusi, in attesa di un impatto che non sarebbe arrivato.
Nessuno dei due disse una parola mentre Albus si rialzava, tenendo i pugni serrati e gli occhi spalancati al massimo per distinguere meglio la sua piccola figura. Se non avesse riconosciuto il suo cipiglio sicuro e i suoi lunghi capelli biondi, avrebbe creduto che si trattasse di una ragazzina più piccola, ma, invece, era quella Hope, quella strana del corso di Storia della Magia. Quella che lui, ancora più strano a dire in vero, aveva amabilmente investito al loro primo incontro.
Evidentemente non riuscivano davvero ad incontrarsi in altro modo, quasi fosse un segno di quel destino che, già troppe volte, aveva mostrato compiacimento a prendersi gioco di lui.
Questa volta, però, a differenza della prima, Hope non si dimostrò così indulgente a perdonare il loro scontro, anzi, con un cipiglio scuro e gli occhi che le brillavano di una luce assassina e indisponente, rialzò il capo e corrucciò il labbro.
-Cosa stavi cercando di fare? Di ammazzarmi di nuovo?-
Lui boccheggiò, incapace di dire una sola parola, per una volta senza preoccuparsi di rialzare il guscio di protezione che si era così abilmente costruito. Era troppo sorpreso.
Lei, comunque, non aspettò una risposte e si chinò ad afferrare la sua scopa da Quidditch, rovinata sul terreno bagnato. Gli voltò le spalle e si incamminò lungo il sentiero bagnato. Albus aggrottò la fronte, non era così che si era immaginato il continuo della situazione.
-Sei tu che sei spuntata dal nulla!-
Lei agitò con fare teatrale il braccio, quasi a scacciare via il pensiero molesto che le avevano appena proposto. –Stavo cercando aiuto genio!- ribattè, mentre armeggiava con le maniche del suo golfino, cercando inutilmente di allungarlo e coprirsi anche le mani –Mi stavo allenando al campo ma ha iniziato a piovere e sono corsa via…- corrucciò il labbro, mordendoselo con foga –Non so bene dove sono, a dire la verità…-
Albus dovette trattenere una risatina, non tanto per la situazione, visto che il parco intorno a Hogwarts era davvero infinito e con una buona dose di sfortuna saresti pure potuto finire nel bel mezzo della Foresta Proibita, ma per la sua espressione vagamente isterica.
Lei sembrò accorgersene perché incrociò le braccia al petto –Bastava che ti fermassi, sai? Non c’era bisogno di investirmi! Ma, a questo punto, preferisco rimanere qui!-
Albus sospirò, seguendo i suoi passi veloci e infuriati. L’aveva classificata come una ragazza timida, posata e gentile. In verità non era mai stato bravo a capire le persone.
La pioggia continuava a scendere, ma sembrava essersi per lo meno calmata, limitandosi ad uno scroscio continuo e monotono, privo di folate di vento taglienti e brividi incontrollati. Hope aveva lanciato un’occhiata infastidita alle sue spalle, come a controllare se lui fosse ancora lì, terrorizzata, nel profondo, di rimanere di nuovo sola in quel posto verde e cupo.
-Ti do un consiglio, però- Albus, masochista come era, parlò con un tono piuttosto irriverente, ma, davanti al cipiglio molto simile a quello di nonna Molly che la ragazza assunse, addolcì il tono –La prossima volta, non allontanarti troppo dal cortile, qui è un labirinto…-
Lei non rispose, facendo per girare verso il sentiero a destra. Albus l’afferrò per il braccio, trattenendola. Poi, come a interpretare il suo sguardo furioso, evidentemente non amava molto essere toccata quando era arrabbiata, le indicò la direzione opposta –Il castello è di là… da quella parte si arriva alla foresta-
Evidentemente stava attuando la tattica del silenzio perché Hope non rispose di nuovo, aggiustandosi la scopa sulla spalla, e si limitò a girare su sé stessa e a seguire il cammino indicatole.
Quando, però, inciampò su un tronco d’albero particolarmente scivoloso, Albus decise di porre fine alla situazione imbarazzante e propose.
-Andiamo, seguimi, ti accompagno io-
-No, grazie- aveva davvero parlato? Albus sorrise compiaciuto –Preferisco aspettare il prossimo ragazzo che cercherà di uccidermi-
-Non ci sarà nessun altro ragazzo. Potrebbero passare ore prima che smetta di piovere e da qui non passa mai nessuno-
-Me la caverò-
Miseriaccia, non se l’era mica immaginata così permalosa! E dire che i suoi modi, il suo tono di voce e le sue piccole dimensioni sembravano fargli intravedere una ragazzina timida e docile!
-Non posso lasciarti andare in giro con questo tempo!- quasi fosse stato evocato dalle sue parole un tuono particolarmente forte scoppiò nel cielo.
Hope tentennò, poi, senza aggiungere altro, annuì.
 
Non parlarono molto, durante il ritorno al castello.
Hope faceva respiri veloci e tremava violentemente, tanto che Albus fu tentato un paio di volte di afferrarla per le spalle, solo per farla smettere.
Ma, avendo avuto un assaggio del carattere esplosivo della ragazza, si limitava a fissarla di sottecchi.
Era uno strazio, sinceramente e oggettivamente parlando.
Aveva i capelli di un biondo chiaro, appena più scuri di quelli di Scorpius, liscissimi. Ma forse lo erano per la pioggia che li rendeva più scuri e pesanti.
Era bassa, poi. Molto bassa. Persino Lily, più piccola di due anni, era più alta di lei. Gli arrivava a mala pena al petto, ma, come si ritrovò a pensare, forse era dovuto al fatto che i suoi piedi stessero sprofondando per diversi centimetri nella terra bagnata e molle.
Il viso era tondo. Non paffuto, non ovale. Tondo. Le guance non erano piene ma, se sorrideva, Albus l’aveva vista sorridere imbarazzata qualche giorno prima a lezione, sembravano molto più grandi e rotonde.
Oggettivamente parlando, dunque, non era bellissima, ma gli occhi… quelli si che erano belli. Non erano verdi, né azzurri, nè marroni, né neri. Non li sapeva definire. Probabilmente erano cangianti perché, ora, che l’aveva vicino, sembravano molto diversi dai fari luminosi che aveva intravisto prima di fermarsi davanti a lei.
-Mi s-stai fissando- esclamò lei, la voce che tremava per il freddo, le braccia strette al petto.
Albus distolse subito lo sguardo, cercando di concentrarsi sulla strada. Ma più si sforzava più gli sembrava che tutto sparisse nella pioggia, negli alberi ricoperti di muschio, nelle guglie acuminate del castello che si iniziavano a intravedere ad una certa distanza.
Arrivati ai margini del cortile pavimentato si affrettarono a rifugiarsi nel corridoio coperto, asciutto e caldo. Istintivamente Hope sorrise, e lasciò cadere la sua scopa sul pavimento, incurante della pozza d’acqua che si era formata.
-Senti…- Albus cercò di modulare bene la voce, senza farla tremare per il freddo e per il fatto che aveva i suoi occhi strani addosso –Mi dispiace, per prima…-
-No- Hope lo interruppe –Scusami tu. Ero nervosa per conto mio e ma la sono presa con te… di solito non sono così… irriverente, ecco-
Camminarono in silenzio, fino a che Hope non gli fece presente che la sua lezione di Storia Della Magia sarebbe iniziata a breve, se non lo era già, e che avrebbe fatto meglio ad avviarsi. Albus sorrise, con uno di quei disarmanti sorrisi che sapeva fare lui e le fece un segno di saluto con il capo.
Quando però vide la sua schiena allontanarsi sempre di più lungo il corridoio, la camicia bagnata che aderiva alla sua schiena come una seconda pelle e una vecchia scopa da Quidditch che strisciava con poca grazia sul pavimento, sentì una strana sensazione agitarsi nel petto.
-È completamente sordo!-
-Cosa?- Hope fece un mezzo giro su sé stessa, i capelli bagnati che le frustavano la schiena e gli occhi spalancati dalla confusione.
-Ruf- Albus deglutì, dandosi dell’idiota e affrettandosi poi a spiegare,  - È completamente sordo, sai. E anche mezzo cieco. Se non ti metti davanti a lui, non ti farà parlare-
Lei sorrise, per la prima volta.
-Sai come è. Forse mi piace. Parlare, dico-

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Capitolo 15
*** Le selezioni ***


ANGOLO AUTRICE (IMPORTANTISSIMO, LEGGETE TUTTO VI PREGO)

Visto che sono riuscita ad aggiornare in tempi più o meno decenti?
Non vi dico in tempi rapidi perchè non mi sento in grado di dirlo, insomma sono passate comunque due settimane, tipo, ma almeno, rispetto al mio record di mese l'aggiornamento è ancora valutabile come passabile, no?
Comunque, innanzitutto grazie perchè esistono ancora persone che mi recensiscono e non mancano mai di donarmi il loro appoggio...
Cii terrei perticolarmente che poteste dirmi cosa ne pensate di questo capitolo perchè, per il momento, è uno dei più importanti, impegnativi e assolutamente assurdi che abbia mai scritto... capirete sin da subito che tratta argomenti completamente diversi da quelli trattati in precedenza... In verità non so nemmeno come sia uscito.. Ho iniziato a scrivere ed è venuto fuori!
Bisogna precisare che è deliberatamente e spudoratamente ispirato alla meravigliosa storia di "Ab umbra lunem" di Dira_Real, probabilmente una delle migliori storie che io abbbia mai letto e che riesce a farmi emozionare moltissimo per la sua originalità, veridicità e scintillante perfezione! Grazie Dira perchè senza di te non esisterebbe la MIA Lily, non esisterebbero tante piccole sfumature e io sarei rimasta a scrivere di Mary Sue perfette e splendide...
Nelle vostre recensioni ho letto molto spesso che vi piace Mary perchè è un personaggio vero, perchè riuscite ad immedesimarvi in lei, così come in Al, o in Lily... questa è forse una delle cose più belle che io possa aver mai sentito. Come autrice, per me, è il massimo sapere di essere riuscita anche se di poco ad ottenere una storia vera e libera da inutili fronzoli...
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e scusate per le note chilometriche!
Certe cose vanno dette!
Fra

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Lily non era mai stata quel genere di ragazza che amava alzarsi presto. La sua testa era occupato da un gigantesco e vago “perché?” quando si sedette a tavola per colazione, i capelli perfettamente ordinati e la pelle del viso resa liscia dall’applicazione di crema giornaliera. La verità era che non era riuscita a chiudere occhio, quella notte, con tutte quelle sensazioni che la scombussolavano dentro, come non avevano mai fatto prima.
Ma sono solo sensazioni, giusto?
Si, peccato che tu ci vivi di sensazioni...
In ogni modo, anche se era Sabato e questo significava che, finalmente, quella terribile seconda settimana di scuola stava per finire, l’unica cosa che voleva fare era tornarsene nel suo dormitorio, gettarsi sul suo comodo letto e farsi uno dei suoi lunghissimi sonnellini di bellezza.
Hugo, accanto a lei, non era messo meglio e la sua testa stava ciondolando pericolosamente sulla tazza dei cereali.
Mary, invece, era sparita. Probabilmente a prepararsi.
Alla fine, i Provini per la squadra di Quidditch, erano stati rimandati a quel pomeriggio, nonostante le proteste dei Grifondoro che avevano vivamente fatto notare come le altre squadre fossero già state formate e questa mancanza di prontezza potesse destabilizzare il loro record di vittorie.
Prima c’era stato il problema del campo che era stato affittato per l’intera settimana dai ragazzi della Squadra di Gobbaglie per i loro allenamenti mattutini. I pomeriggi della settimana precedente erano stati riservati alle selezioni delle altre case e, alla fine, l’unico momento libero per i provini della sua squadra era stato quello stesso pomeriggio.
In ogni modo, Mary, che aveva avuto la insana idea di provarci anche lei, a fare le selezioni, era dispersa da qualche parte alla ricerca del coraggio e, perché no, del talento che le sarebbero serviti per affrontare tale prova.
Lily aveva scosso la testa.
Non che Mary non fosse brava, certo. In effetti, però, Lily non ne capiva molto di Quidditch e il suo esprimersi con espressioni del tipo “il tizio che colpisce la palla rossa e grossa con una mazza”, soprattutto visto come tutta la sua famiglia idolatrasse quello sport non l’aveva aiutata a prendere particolarmente coscienza di quanto fosse importante per la scuola quello stupido Campionato.
Molly, seduta davanti a lei, allungò la mano per afferrare la brocca di succo di zucca, mentre masticava placida una fetta di pane imburrata. Era di ottimo umore e, ovviamente c’era un motivo. Un motivo riconducibile alla spilla di Caposcuola appuntata sulla sua divisa perfettamente sistemata all’altezza del petto. Mentre, quando aveva ricevuto la sua spilla da prefetto si era lagnata per giorni delle responsabilità di cui non si sentiva degno, questa volta, quando le era stata recapitata la spilla, si era limitata a sorridere.
O, forse, conoscendone la natura ambiziosa, era probabile che fingesse di non importarsene per evitare che lo zio Percy le facesse una seconda volta una predica sull’onore ricevuto.
Lily aggrottò la fronte, al ricordo. Quel fatidico giorno aveva fatto l’incommensurabile errore di andare a fare visita a Lucy e si era dovuta sorbire anche lei le cinque ore di discorso.
Ad un certo punto, allo scoccare della quarta ora, Molly aveva un’aria così vacua che faceva suggerire avesse semplicemente staccato il cervello.
-Io non capisco perché dobbiamo alzarci presto se i provini sono questo pomeriggio!- il mugolio di protesta di Frank la distolse da tali cupi pensieri –Non ho nemmeno lezione prima delle dieci!-
Lanciò un occhiata veloce al ragazzo che aveva un’aria giustamente disperata e si stava massaggiando le tempie e intervallava occhiate stanche a Fred e James, seduti accanto a lui, a sguardi speranzosi al tavolo dei Tassorosso, probabilmente alla ricerca di Stephanie.
-Perché sei circondato da idioti, ecco perché!- esclamò, con forza. Non sapeva bene perché aveva reagito così, evidentemente non era proprio il caso, soprattutto visto che tutti la stavano fissando. Ma sentiva l’inesorabilmente grande voglia di prendersela con qualcuno e sfogare quel grande senso di fastidio che la attanagliava.
Per evitare gli sguardi perplessi di Molly, cercò di concentrarsi sul suo caffè.
Odiava il the.
Probabilmente questo l’avrebbe resa strana agli occhi di un qualsiasi inglese ma lo trovava davvero disgustoso, troppo dolce e zuccherato. E aveva anche un colore strano.
Non mi è mai piaciuto il giallognolo.
-No, è perché siete un secchione e una ragazzina!- grugnì Fred, con molta sorpresa di Lily che si ritrovò a chiedersi perché non avesse ribattuto James, che invece si limitava a guardare con una strana espressione concentrata – Quando io però sarò un giocatore professionista e multimiliardario vedrete! Ovviamente però fate pure… se preferite il cervello ai muscoli…-
-E tu dove pensi di finire visto che non hai né l’uno, né gli altri?- ribattè lei a muso duro, ricevendo un sorriso da Frank che le diede il cinque e una smorfia da parte del cugino che non trovò nulla di particolarmente intelligente da dire.
Lily sorrise appena, poi, come una candela accesa sottoposta alle intemperie, il sorriso andò scemando e nascose una piccola smorfia dietro un tovagliolo. Nessuno sembrò accorgersene, tranne Hugo che le lanciò un’occhiata in tralice a cui si affrettò a rispondere con un cenno sbrigativo del capo.
Hugo non sembrò molto convinto e continuò a fissarla di sottecchi. La ragazza si maledisse per aver fatto trasparire così tanto del suo stato d’animo, anche se si trattava di Hugo che la capiva senza nemmeno guardarla e ringraziò mentalmente l’amico Tassorosso del cugino di cui non ricordava mai il nome che era arrivato a distrarlo.
Quando però un altro paio di occhi si posarono sulla sua fronte, quelli di James, per la precisione, si costrinse a rimettere il suo sorriso di circostanza sulle labbra e a salutare con tono fintamente allegro tutti i presenti.
–Molly, Frank, non diventate più intelligenti di quanto già siete, Freddie, Jamie, Hugie non diventate più stupidi di quanto già siete, anche se so che sarà difficile e… ehm…- rimase un attimo in imbarazzante silenzio davanti all’amico di Hugo di cui non ricordava il nome che la stava fissando con grande aspettativa.
-Tony. Tony Moriarti- le venne in aiuto lui, il labbro che tremava, evidentemente dispiaciuto.
Uhm, Tassorosso. Davvero senza spiana dorsale.
-Ehm, giusto Tony… tu.. non cambiare, okey?- sorrise abbagliante, cercando di distogliere l’attenzione dalla sua svista.
Ovviamente lui parve subito dimenticarsene perché annuì con aria sognante, come se gli avesse appena confessato di amarlo.
Lily sorrise di nuovo e guadagnò velocemente l’uscita, il cuore che le martellava nel petto, cercando di ignorare la presenza di un certo Corvonero che era causa del suo nervosismo da un bel po’ di giorni.
Dormitorio, ora. Non me ne frega niente se a quest ora ci sono un scacco di ragazzi carini. Ho bisogno di dormire.
E di non vedere più nessun Corvonero fino alla fine dell’anno.
 
Mary era piuttosto preoccupata.
Conosceva Lily da quando avevano undici anni. Il che, considerando che ormai di anni ne erano passati quattro, era davvero un lasso di tempo piuttosto elevato. In ogni modo, comunque, poteva ritenersi una delle poche persone con cui Lily mostrava, mai del tutto, certo, ma almeno in parte, il suo vero carattere, la vera sé stessa.
Mary si era sempre sentita onorata, per questo.
In ogni modo, quando era tornata dalla Sala Grande, dove Hugo stava consolando un povero Tassorosso di cui si scordava sempre il nome, aveva trovato Lily nascosta sotto il guanciale, completamente vestita e truccata.
Non era normale. Inoltre, tre giorni prima, quando Lily era tornata dal suo ripasso in biblioteca in vista del compito di Trasfigurazione, lei aveva capito subito che c’era qualcosa che le frullava nella mente.
Era molto simile a James, sotto certi aspetti.
Avevano entrambi, per esempio, una forte inclinazione ad infrangere le regole, ma, se quando James progettava qualcosa se ne accorgevano tutti, quando era la piccola Lilian ad avere in mente qualcosa nessuno sembrava rendersene conto e il pensiero del suo lieve cambiamento di atteggiamento veniva collegato solo in seguito, quando lo scherzo o l’impresa era stata conclusa.
In ogni modo, lei, ormai, aveva sviluppato un certo sesto senso nel comprendere quando questo stava per avvenire.
Il principale campanello di allarme era che, quando qualcosa le frullava nella mente, non parlava molto ma si limitava ad ascoltare, anche più di quanto non facesse normalmente.
Per esempio, quando martedì sera era tornata nel Dormitorio, era riuscita a raccontarle tutta la sua giornata, persino come avesse cercato di abbordare suo fratello senza che la interrompesse nemmeno una volta.
-Noi scendiamo a fare un giretto nel parco, voi venite?- chiese Jane, saltellando con un piede infilato nello stivaletto e l’altro ancora nudo. Erin le fissò dalla porta con la sua aria perennemente scocciata, controllandosi le unghie smaltate.
-Arriviamo subito!- Lily fece un sorriso troppo smagliante, di quelli che rivolgeva solo ai ragazzi carini e non alle sue scorbutiche compagne di dormitorio di prima mattina.
Si, stava architettando qualcosa.
Lily aspettò che la porta della stanza si richiudesse e con fare fintamente ingenuo prese a giocherellare con il bordo della sua coperta, sbattendo le ciglia.
-Lily-
Mary aveva paura quando faceva quell’espressione.
Aveva sentito molto parlare del nonno di Lily, uno dei più casinisti combina guai della storia di Hogwarts. Bhe, quel tizio e James non erano nulla, nulla al confronto, se paragonati alla spaventosa espressione fintamente innocente di Lily che prevedeva solo una cosa: guai, guai grossi.
-Cosa, c’è?- Lily si rialzò, dandole le spalle con una finta naturalezza che, se non l’avesse conosciuta come le sue tasche, non avrebbe mai distinto.
Sarebbe capace di far saltare in aria il Tower Bridge, se volesse, e nessuno se ne accorgerebbe. Potrebbe persino intrufolarsi nello spogliatoio dei Tornados, farsi una foto con l’intera squadra in boxer e tornarsene a scuola come se nulla fosse.
Se Lily vuole una cosa, la ottiene.
Come era quella cosa che dice mia madre?
Ah, si. L’acqua cheta distrugge i ponti.
-Ti senti bene?-
Lily spalancò gli occhi, evitandone lo sguardo.
Mary corrucciò la fronte, perplessa. Di solito, quando stava per fare una cazzata, e ne era sicura, i sintomi erano quelli, aveva il brutto vizio di guardarti negli occhi, spalancandoli al massimo con quel suo faccino angelico, come se non avesse nulla da nascondere.
Dopotutto, come si suol dire, se devi nascondere una cosa a qualcuna, mettigliela sotto il naso e non la noterà.
-Certo che si, perché non dovrei?-
Perché non mi stai guardando negli occhi.
Sembrava quasi che non volesse farsi vedere, che avesse paura di non poter reggere il suo sguardo. Ma allora perché quando Jane le aveva invitate a scendere l’aveva trattenuta di nascosto per il braccio, pregandola silenziosamente di rimanere con lei, come se avesse voluto finalmente metterla da parte al suo segreto.
Così non va… è come se… se si… vergognasse.
Ma Lils non si vergogna mai.
Insomma, non si è mai…
Mary spalancò gli occhi, di botto.
Perché si, una volta Lily si era davvero vergognata. Con tanto di orecchie e guance rosse alla Weasley e balbettii alla Potter.
Ma avevano solo dodici anni, all’epoca e lui era un prefetto di Serpeverde davvero troppo carino.
-Ma cosa dici! Certo che siete proprio paranoici!-
-Paranoici?-
Allora anche qualcun altro aveva notato il suo strano comportamento. Probabilmente Hugo, visto che, da bravo ragazzo quale era negli ultimi giorni aveva cercato di essere il più invisibile e meno fastidioso possibile.
-Io devo andare!- esclamò precipitosamente Lily. Mary, troppo scioccata anche solo per provare a fermarla, rimase in silenzio a fissare il rosso scuro con cui erano dipinte le pareti, alla disperata ricerca di un senso a quella storia.
Il rumore della porta del corridoio che sbatteva la fece risvegliare da quella trance temporanea e, con un sospiro stanco, si sedette sul letto ancora sfatto.
Lily era strana.
Nascondeva qualcosa? Si.
Stava per fare una cazzata? Probabilmente.
Avrebbe dovuto seguirla e accertarsi che non facesse saltare in aria niente e nessuno? Magari evitando pure un attentato alla squadra dei Tornados? Si, avrebbe dovuto.
La cosa migliore da fare sarebbe stato aspettare che si calmasse e estorcerle con l’inganno il problema, vero? Oggettivamente parlando, si.
Lei avrebbe dovuto allenarsi per i provini per non fare una brutta figura davanti all’amore della sua vita, non è così? Ding-Ding! Risposta esatta.
Lanciò un’occhiata disperata alla sua scopa, l’ultimo modello della Nimbus che le era stata regalata per il suo compleanno, quell’estate.
Poi ne lanciò una ancora più disperata alla porta chiusa dove Lily era scomparsa appena pochi secondi prima.
Sospirò, di nuovo e pesantemente.
Doveva trovare Lily.
Subito.
 
Lily sbuffò sonoramente.
Si sentiva braccata, ecco.
Non che qualcuno la stesse davvero inseguendo, certo.
Ma era come avere alle calcagna una muta di cani feroci sempre pronti a sbranare ogni piccolo attimo di leggerezza.
Ok, oggettivamente parlando sapeva che non era così.
E sapeva che, se proprio bisognava parlare di comportamenti strani, lei sarebbe dovuta rimanere in silenzio e in un angolino.
Cattiva bambina!
Certo, nonostante la tempra morale di cui era dotata -perché si, aveva anche lei una tempra morale e si, sapeva che cosa fosse- riconosceva di aver avuto un atteggiamento piuttosto altalenante nell’ultimo periodo.
Aveva evitato di parlare con Mary di quella cosa e si sentiva davvero a disagio. Perché, per un solo attimo, quando quella mattina le aveva chiesto quale era il problema, aveva avuto l’immenso terrore di rivelarle un qualsiasi dettaglio.
Poco importava che poi, di quella storia, ci fosse davvero poco da dire. Si era sentita fottutamente a disagio.
E dire che, tutto, era iniziato per un semplice ripasso in vista del compito di Trasfigurazione, che si sarebbe tenuto il lunedì seguente. Imprecando contro la professoressa Zinker si era seduta ad uno dei tavolini della biblioteca, facendo ben attenzione a lasciare la sedia accanto alla propria libera, nel caso qualche aitante studente più grande, attratto dalla sua superiore bellezza, o, più facilmente, impietosito dalla sua totale incapacità in quella materia, avesse deciso di sedersi lì con lei.
Ma la biblioteca era completamente vuota e lei, il viso corrucciato dallo sforzo, non aveva avuto altre alternative se non mettersi sotto e studiare. Dopo aver letto da cima a fondo il capitolo tre e aver realizzato sconfitta che bisognava davvero leggere i primi e due che le erano stati assegnati per le vacanze e che aveva allegramente ignorato, aveva fatto vagare lo sguardo per lo stanzone.
Non sapeva proprio cosa ci trovavano gli altri in quel posto. Era freddo, incorporeo, privo di quella sensazione che aveva sempre attribuito alla magia. Non faceva per lei, ecco.
La finestra, poi, era davvero troppo in alto e troppo stretta, era soffocante. Forse sono claustrofobica.
L’anno prima, quando James, che aveva appena passato il suo esame di Materializzazione, aveva voluto farle vedere quanto era bravo e aveva deciso di portarla al luna-park, aveva sbagliato qualcosa e si erano ritrovati in una cella di un carcere babbano.
Bhe, quella stupida biblioteca le ricordava proprio quel posto.
Mi sento in trappola.
Ok, forse è un pochino esagerato, ma odio essere limitata.
Comunque, mentre era persa nel riflettere su quanto orribile fosse quel posto, si era accorta di non essere completamente sola. Seduto al tavolo di fronte al suo c’era un ragazzo. Lily non riusciva a distinguere bene la figura visto che era tutto piegato su una pergamena, ma potè distinguere dal colore del cravattino, che era un Corvonero. In ogni modo stava scrivendo febbrilmente, come se ne dipendesse tutta la sua vita.
Dovrei farlo anche io, forse.
Anche perché se vado male al compito mamma metterà fine alla mia, di vita…
Lanciò un’occhiata alla pergamena.
Copierò da Mary.
Giunta a questa brillante conclusione avrebbe potuto benissimo affrettarsi all’uscita, magari andare in Sala Comune, visto che ci sarebbe voluta una mezzora buona prima della cena, e avrebbe persino potuto farsi una passeggiatina giù al Lago con Hugo.
Ma era troppo stanca, troppo per alzarsi e compiere quei pochi metri che la separavano dalla porta. Perciò, con l’intenzione di rimandare al giorno seguente i suoi propositi di conquista del mondo, rimase lì, ferma, gli occhi puntati sulla testa chinata del ragazzo Corvonero.
Aveva i capelli scurissimi. Erano neri, di un nero vagamente inquietante. Lily non riusciva a vederlo in faccia ma, dalle mani, notando il colorito pallido e chiaro, evinse che non facevano certo un bel contrasto con la pelle.
Aveva delle belle mani, però. Erano lunghe e stranamente curate per essere quelle di un ragazzo e stringevano la piuma delicatamente, ma con decisione.
Non era nemmeno troppo muscoloso, a dirla tutta. Anzi era piuttosto magro, ma, se il suo istinto non si sbagliava, -e lo faceva davvero di rado- doveva essere piuttosto alto.
Circa quanto James, se non qualche centimetro di più.
Era ancora persa nella contemplazione dei polsini della sua camicia bianca, ripiegati con cura, quando lui, all’improvviso, smise di scrivere e drizzò il capo.
Poi, lui l’aveva guardata.
Lily scosse la testa, cercando di ricacciare il ricordo e tutto ciò che portava con sé in un angolino della sua mente e cercò di concentrarsi sul sentierino di ghiaia. Cercando di non perdere l’equilibrio e di non inciampare, cosa piuttosto facile visto che indossava i suoi stivaletti di pelle di drago con il tacco, prese un grosso respiro.
Non aveva fatto niente, lui non aveva fatto niente, alla fine. Eppure si sentiva parecchio scombussolata ed irritata.
Perché non aveva fatto niente?
Perché non riusciva nemmeno ad accennare questa storia a Mary?
Non era poi così difficile, da dire.
Non era niente, da dire.
Ehi, Mary, ho conosciuto un tizio in biblioteca. O, meglio, ho spiato un tizio nemmeno carino che non mi si è filato per niente.
E mi sento una cogliona perché mi da fastidio.
E la cosa che mi fa sentire ancora più cogliona è che non so nemmeno perché mi da fastidio.
E sto parlando da sola.
Di nuovo.
Si prese la testa fra le mani, sconsolata.
Aveva bisogno di un attimo di tranquillità, di smettere di pensare anche solo per un secondo, di poter tornare ad essere la finta Lily, quella spensierata e allegra che non si preoccupa se un tizio, nemmeno carino, poi, non l’ha considerata.
Aveva bisogno di Hugo.
 
Respirare.
Inspirare e espirare.
Era tutto lì in fondo.
Hugo se ne stava seduto sulla panchina al limitare del campo da Quidditch e fissava con insistenza la schiena di Ethan Green, capitano della squadra di Grifondoro, la casacca con i colori della Casa che svolazzava leggermente mossa da una brezza lieve.
Il cielo era così limpido e terso che sembrava essere stato dipinto con degli acquarelli e, in lontananza, si potevano già intravedere i colori rosati del tramonto.
Hugo dovette prendere un altro respiro profondo, perché, miseriaccia!, non poteva davvero essere così agitato per un semplice provino, ma lo era. Perché, per la prima volta, entrava in gioco.
Lui, in prima persona, scendeva in campo. Per dimostrare che lui meritava di essere acclamato, per il suo talento, perché sarebbe diventato il miglior Battitore della scuola oppure, al contrario, sarebbe finito per essere solo uno di quegli imbarazzanti soggetti che cercano di cambiare il sistema e rimangono fottuti.
La sua divisa gli sembrava una lucente armatura e la sua mazza da Battitore una spada.
Mi sento un fottuto cavaliere, cazzo!
E potrebbero anche non prendermi!
Ethan fischiò e i ragazzi che avevano provato per il ruolo di Portiere scesero di quota atterrando. Non riuscì nemmeno a ridere dell’espressione terrorizzata di un bambinetto del secondo anno che, evidentemente credendo di riuscire a passare le selezioni, aveva provato ad ambire il ruolo.
I Cacciatori scesero in campo e fra loro Hugo potè distinguere con facilità la sagoma arruffata e vagamente curva di James che stava tirando una pacca sulla schiena del suo amico. Era strano che non stesse saltellando per il Campo.
Era venerdì, dopo tutto.
Ma forse il pensiero di non essere più capitano della squadra, certo vederlo picchiare a sangue Roger Jordan era stato fottutamente divino ma gli era valso il ruolo di leader, aveva contribuito a quell’espressione mogia.
-Hmpf!- Lily si lasciò cadere accanto a lui, scalciando la sua borsa e facendogli un breve segno con il capo, che interpretò come un “Ciao Hugo, sono contenta di vederti. Guarda, non avere paura, sono sicura che andrai benissimo!”. Ma era Lily, non avrebbe mai detto nulla del genere.
-Te la stai facendo sotto, vero?-
Ecco, quella era più una cosa da Lily.
Eppure, lo sapeva, lei lo capiva. Capiva come era sentirsi sempre sotto pressione, sempre paragonato a qualcun altro, sempre considerati in modo diverso. Era snervante.
Sin da piccoli era sempre stato così. Sempre visti in funzione delle parentele, e questo non portava di certo a fidarsi delle persone in generale. Forse era quello il motivo che l’avevo spinto a partecipare alle selezioni, in effetti.
Dimostrare che c’era del vero.
-Hugh, lo sai vero?- Lily non lo stava guardando, ma non lo faceva mai quando diceva qualcosa di particolarmente importante o che le stava a cuore. Le dava fastidio essere osservata, letta, quando metteva a nudo le sue intenzioni o i suoi desideri –Può finire di merda, ma può finire anche alla grande-
Hugo annuì. Quella era la sua battaglia, e non si trattava solo di ottenere quel dannatissimo posto nella squadra, ma di ottenere quello stradannatissimo posto nel mondo, nel suo mondo. E doveva combatterla da solo. Per far vedere a tutti che si poteva andare oltre alle apparenze, oltre al passato e al cognome.
Era questo quello che voleva dire a Lily. Ma non lo disse, perché anche lei lo sapeva, perché era la sua stramaledettissima migliore amica e se non si capivano loro due, allora nessuno avrebbe mai potuto capire un cavolo.
-Mica da niente, eh?- si limitò però a sussurrare.
-I BATTITORI QUI!- Ethan prese ad urlare, agitando la scopa come se fosse stata un razzo segnalatore –I BATTITOR… POTTER SCENDI DA QUEGLI ANELLI, SUBITO! WEASLEY TOGLITI QUELLE DUE PLUFFE DA SOTTO LA MAGLIA, ORA! DOVE SONO I MIEI BATTITORI?!-
-Forse è meglio che vado…-
-In bocca al Dissennatore!- esclamò lei, perdendo la sua smorfia riflessiva e sostituendola con il suo solito sorriso smagliante.
-Crepa. Tu e il Dissennatore, Lils-
 
Poi lui la guardò. Anzi, le piantò gli occhi sul viso, e, per la prima volta Lily sentì qualcosa stringerle forte lo stomaco, come una morsa ferrea che le impediva di respirare normalmente.
Erano gli occhi, si.
Erano quelli che la facevano sentire così strana. Erano troppo neri. Un nero senza sfumature, piacevole quanto lo può essere l’oblio, ma allo stesso tempo, così travolgenti, così colmi di un qualcosa che non riusciva a comprendere. Assomigliavano molto a quella tonalità di… niente, ecco. Come quando, mentre cerchi di addormentarti, chiudi gli occhi e cerchi di abituarti al buio sotto le tue palpebre.
Non era esattamente certa che fosse una sensazione gradevole. Di certo non era sgradevole. Ma, era… strana.
Lui non ricambiò il sorriso che si era premurato di fargli, anzi, distolse lo sguardo e continuò a leggere il suo libro.
Se fosse stata nel pieno delle sue facoltà mentali, Lily l’avrebbe mandato a quel paese.
Stupido secchione, come pensi di poter resistere alla magnifica me?
Ma, in quel momento, gli occhi che lottavano per rimanere aperti, la luce del tramonto che si intravedeva dalla finestra e dava alla stanza una sfumatura di luce quasi idilliaca, le sue mani affusolate che sfioravano il dorso del libro… era una sensazione… diversa.
Diversa da cosa, poi?
 

***

 
Harry Potter non era sempre stato un tipo mattiniero.
Ai tempi della scuola neanche la prospettiva di un mago oscuro alle sue calcagna, di un’interrogazione con Piton in pozioni, di una passeggiata al Lago con Ginny, della partita decisiva con Serpeverde a Quidditch, sarebbe riuscito a scollarlo dal suo lettuccio caldo.
Ma, ormai, i tempi della scuola, delle passeggiate, del Quidditch e di Voldemort stesso erano passati. E lui aveva imparato a svegliarsi presto quando gli si presentava un caso particolarmente difficile o complicato. Come quello a cui lui e la sua squadra stavano lavorando in quel momento.
Derek Dellev, promettente pozionista di origini americane, trasferitosi in Inghilterra due anni prima, era stato ritrovato morto nel suo appartamento nella Londra babbana. Il corpo era stato rinvenuto solo due giorni dopo, il lunedì pomeriggio, dal capo del settore del Ministero dove il giovane lavorava, che, in assenza di sue notizie, era andato a fare un controllo.
La morte, avevano però definito gli Indicibili, allertati sul momento, era avvenuta parecchie ore prima, probabilmente il sabato pomeriggio tardi, o la sera dello stesso giorno. L’ipotesi era stata poi accreditata dai Medimaghi che avevano esaminato il cadavere.
Le indagini erano iniziate il giorno dopo. Harry e la sua squadra avevano interrogato amici e vicini, ma niente. Il suo coinquilino, un certo Zane Torry, un ragazzo di colore con dei rasta lunghi fino al fondoschiena, era, al momento dell’omicidio, in vacanza con la sua ragazza. I vicini, di sabato sera, stavano dando una festa e, neanche volendo, avrebbero potuto accorgersi di niente.
Timbrò il suo cartellino e entrò a grandi passi nell’enorme stanzone, sgombro e silenzioso. Percorse velocemente il lungo corridoio che portava al suo studio. Sorrise a Effie, la sua giovane segretaria, l’unica presente in quell’area del Ministero. Lei ricambiò con un sorriso incerto e timido, quasi come se si stesse scusando di qualcosa. Effie dava sempre questa espressione.
Era timida per natura e totalmente in soggezione con la sua fama di eroe del mondo magico e suo capo. Se non altro era efficiente e discreta, lavorava che era una meraviglia e aveva l’illuminante pregio di apparire sempre al momento giusto.
Aprì la porta del suo studio e si lasciò cadere sulla sua poltrona in pelle. Si tolse gli occhiali e si massaggiò la sella del naso, e ciò, di per sé, non era mai un buon segno.
Afferrò l’ingombrante documento che Effie gli aveva lasciato sulla scrivania e prese ad esaminarlo con cura. Una volta che ebbe compreso che si trattava delle foto che aveva richiesto a Quincy dell’Ufficio Misteri, il giorno prima.
Le foto che venivano usate per queste situazioni erano magiche, ma, a differenza di quelle utilizzate normalmente, non si muovevano. Con una piccola pressione delle dita, però, era possibile ingrandirle ed avere una visione ottica migliore delle ferite.
Qualcuno bussò alla porta e, dopo un suo assenso la testa di Effie comparse, un’espressione dispiaciuta in volto.
-Mi dispiace disturbarla, signore- commentò, mentre faceva dondolare i suoi orecchini –Ma c’è qui una donna che vuole vederla. Dice di non avere un appuntamento, ma che deve parlarle urgentemente-
Harry corrugò la fronte, perplesso.
–È straniera. Ha insistito per accomodarsi in sala d’aspetto e non credo che se ne andrà molto presto- Effie, quasi a comprendere la sua incertezza gli venne incontro, aggiungendo con un altro sorrisino di scuse incerto –Se vuole le dico di ritor…-
-No, no. Falla entrare, sentiamo cosa vuole- esclamò, interrompendola, mentre già un idea sull’identità della sconosciuta gli si faceva largo nella mente.
Derek Dellev era americano e, per quanto vivesse e lavorasse in Inghilterra da molto tempo, gli americani volevano avere tutto sotto controllo. Soprattutto visto l’importanza e l’intelligenza del giovane defunto che, in America, era famoso per le sue innumerevoli scoperte nel campo della Medimagia e dell’Alchimia. Evidentemente la donna se, come aveva evinto Effie, era davvero una straniera, e, americana, allora sarebbe di sicuro stata un agente di collocamento statunitense.
Soffocò un sospiro seccato.
Odiava essere limitato nelle sue azioni. E quella americana avrebbe voluto di sicuro seguire le sue indagini con il proprio metodo. Con l’intenzione di sbrigare velocemente la situazione, magari assegnandole tutti i fascicoli e le informazioni che voleva, in modo da tenerla impegnata per un po’, si infilò di nuovo gli occhiali.
Il caso era più complicato del previsto, i suoi nervi erano tesi e, dunque, quando sentì la porta del suo ufficio aprirsi nuovamente, non si premurò nemmeno di stamparsi in faccia il suo solito sorriso cordiale che usava nelle occasioni importanti.
La donna che entrò era senza dubbio americana. Lo si evinceva dalla pelle troppo abbronzata, dai capelli di un castano troppo sgargiante e dagli occhi troppo truccati per appartenere a una qualsiasi donna inglese. Era abbastanza giovane, doveva avere una trentina d’anni, se non di meno. Harry non se ne stupì troppo.
In America si dava molto importanza ai giovani che, non dovendo subire le angherie di una burocrazia magica troppo conservatrice come quella inglese, potevano sin da subito rivestire posizioni importanti.
-Kate Toddeson- si presentò –Sono l’agente referente americano che dovrà seguire il caso Dellev. Ho preferito essere ricevuta subito. La sua segretaria sembrava essere spaventata a morte dalla mia presenza e non credo avrebbe gradito che mi fossi intrattenuta troppo-
Harry che, già di cattivo umore di per sé, odiava i convenevoli e i giri di parole, fu grato della sua schiettezza.
-Harry Potter, prego si accomodi- le fece cenno con la mano, indicandole la sedia davanti alla sua scrivania. Lei si lasciò cadere con insolita grazia che gli ricordava molto la fluidità di Fleur. A differenza della cognata francese, l’americana, aveva un no so che nel modo in cui lo fissava. Era sempre stato abituato ad avere gli occhi di tutti puntati sulla schiena, ma quella volta era diversa.
Lo stava analizzando, pesando.
Un sorrisino gli sorse sul volto, prima che riuscisse a controllarlo.
Un punto a lei.
Chi perdeva tempo a capire se c’era qualcosa oltre la leggenda del Prescelto, per Harry meritava immediatamente credito.(*)
-Bene- esclamò, per rompere il sottile silenzio carico di attesa che si era creato –Prima volta in Inghilterra?-
-A dire il vero no. Sono venuta più volte con la mia famiglia, da piccola-
-Ah, bene- ripetè Harry, chiudendosi di nuovo in un imbarazzante silenzio. Stava appunto pensando di intraprendere una conversazione di puro stile inglese su quanto fosse volubile il tempo quella mattina quando lei si schiarì la voce.
-So bene che avrebbe preferito che io non ci fossi- esordì, mettendo subito le carte in tavola, determinata.
-Per la verità…- replicò, cercando di non apparire scortese. Certo, poteva non essere così terribile come se l’era immaginata ma, dopotutto, poteva essere comunque d’intralcio nella sua investigazione o vantare strane pretese.
-Amo la verità- lo interruppe lei –Perciò mi sembra giusto chiarire sin da subito la mia posizione. Mi hanno detto che lei è un uomo che va diritto al punto. Voi inglesi sapete andare avanti, questo bisogna ammetterlo-
-Si, sappiamo arrangiarci bene- annuì tranquillamente –Mi ascolti signorina Toddeson…-
-Kate- lo corresse –Non facciamo di questi convenevoli. Li considero un irragionevole perdita di tempo-
-Vale lo stesso per me- sorrise –Non sono abituato ad essere limitato o frenato quando indago. Voglio seguire l’indagine per bene, prendere il colpevole e arrestarlo nel minor tempo possibile-
Kate lo soppesò, di nuovo. Poi si appoggiò contro la testata della schiena, assumendo una posa indubbiamente rilassata. Evidentemente, si ritrovò a pensare Harry, aveva concluso il suo esame. Lo aveva ritenuto idoneo.
Ma non è finito il tuo, di esame, Kate.
-Esattamente quello che vogliamo anche noi, signor Potter-
-Quello che non capisco, Kate, è come mai il vostro governo ha preso così a cuore la morte di Dellev. Certo era un giovane talentuoso e americano, ma, per quanto l’amore per i propri connazionali sia sviluppato in voi statunitensi, non ho capito perché intervenire di persona sulle indagini-
-Il signor Dellev era una personalità importante del nostro paese- si limitò a stringersi nelle spalle la ragazza. Per un attimo sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma, poi, riprese a giocherellare con uno degli innumerevoli braccialetti che portava al polso.
Evidentemente, per quanto potesse apparirle idoneo e potesse esserle simpatico, il senso di segretezza tipico del suo governo e la sua personalità che, da quanto aveva potuto osservare, era fedele e determinata, non le permettevano di rivelargli di più.
Americani. Loro e i loro segreti, i loro esperimenti e le loro idee anticonformiste.
Sono da apprezzare.
-Harry, mi creda- la donna si sporse sulla scrivania –Mi creda, se c’è una cosa che voglio fare prima di morire è chiudere questa cazzo di storia una volta per tutte- Il tono era duro, nulla a che vedere con quello vagamente sarcastico che aveva usato in precedenza.
-Questo mi porta a pensare che sia stata una sua particolare richiesta di essere assegnata come referente nella missione- asserì, tranquillo, ripromettendosi di indagare sulle cause che potevano aver determinato un simile comportamento.
-E se anche fosse così? Se fosse una mia iniziativa? Se avessi ottenuto questo posto solo per i miei fini secondari? Le causerebbe qualche problema?-
Gli occhi marroni sembravano di metallo, tanto si erano induriti. Harry pensò che fosse tremendamente inquietante e che non avrebbe voluto battersi con lei per nulla al mondo.
-Dipende. Non avrò obbiezioni finchè terrà la bacchetta apposto, non prenderà iniziative senza il mio consenso e non limiterà le mie azioni. Non mi interessa se è venuta qui perché voleva farsi un viaggetto o se il suo governo l’ha mandata a rompermi le balle. Ma deve essere una promessa-
Kate rimase in silenzio, senza dire nulla.
Harry si ritrovò a pensare che gli ricordava molto Lily. Aveva lo stesso modo di squadrare una persona mentre pensava. Guardare qualcuno mentre rifletteva la tranquillizzava.
-Si fida se le dico che ho intenzione di mantenerla?- chiese.
-Apprezzo la sua sincerità. Dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, Kate. Quindi si-
Harry le porse la mano e lei esitò un attimo prima di stringerla. Poi, però, dopo averla fissata un secondo buono, alzò lo sguardo verso di lui e fece un sorrisino ironico.
-In Inghilterra siete sempre così formali- sorrise, per la prima volta da quando era entrata nella stanza. Quel gesto la fece apparire, finalmente, una ragazza della sua età. Quando sorrideva, notò Harry, sembrava davvero una ragazza di ventisette anni –Noi americani siamo molto più spicci-
Detto questo gli mostrò la mano chiusa a pugno.
-Deve battere il pugno- spiegò davanti alla sua reazione sbigottita.
Harry sorrise e strinse anche lui la sua mano in un pugno, facendolo scontrare contro quello della ragazza.
Americani. Saprebbero spezzare la tensione e rompere il ghiaccio in  una qualsiasi situazione.
Sono d’apprezzare.




Allora, rieccomi di nuovo qui!
Una persona in particolare mi chiede sempre che volti hanno i miei personaggi (Si, Mich, sto parlando di te!) E allora, visto che nella mia mente c'è un dibattito interiore di quelli seri, ragazze mie, chiedo umilmente aiuto!
Sono in crisi per trovare il volto di Scorpius!
Ho qui due baldi giovani che hanno ricevuto la mia piena approvazione ma sono tutti e due così asjdgciy *.* che non riesco a decidermi!
Prima di tutto va detto che, Scorpius, almeno per come la mia testolina perversa l'ha immaginato, non è bellissimo, ma ha carisma, fascino, quel certo non so che... per lui non voglio una bellezza angelica, perchè, citando la mia idola (Dira_Real) "I Malfoy non sono angeli, nemmeno caduti", ma qualcosa che ti catturi, un bel ghigno da sbruffone ma neanche troppi dolce... un ragazzo non bellissimo ma a cui saltereste addosso comunque!
Quindi, a voi la scelta!
Chi preferite?
Il primo è parecchio gettonato, me ne rendo conto! Sono pochissime le storie in cui non è lui il giovane Malfoy, ovviamente parlo di Alex Pettyfer.


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Il secondo candidato è quello che mi convince di più (si, sono schifosamente parziale, ma voglio comunque un parere di qualcuno al di sopra della mia assoluta fissazione per lui) è Toby Hemingway.. non so quanti di voi potrebbero conoscerlo, ma questo ragazzo, se mai, alla fine non dovesse essere Scorpius, sarebbe comunque il prestavolto di qualcun altro nella storia, è troppo bello per non usarlo! Notate sopratutto il ghigno alla Malfoy, eh?

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Bhe, detto questo mettetevi all'opera e votate il vostro Scorpius!
Fra

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