O' Professore.

di Anima97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Liceo Artistico. ***
Capitolo 2: *** Vecchie conoscenze. ***
Capitolo 3: *** La piccola Freud. ***
Capitolo 4: *** Help! ***
Capitolo 5: *** La gabbia dell'omertà. ***
Capitolo 6: *** Non si smette mai di farsi domande. ***



Capitolo 1
*** Liceo Artistico. ***


Liceo Artistico
 
 
15 Settembre 1991
 
Ecco il mio futuro: 
Un giardinetto pieno d’erbacce e grandi alberi che circondano un convento mal ridotto, con le finestre rotte e i muri che sembrano non avere più un colore definito, per via dei murales.
Dei ragazzi, di cui non conosco i nomi e fino a poco fa l’esistenza.
Alcuni sono veramente bizzarri, ma so già che andrò d’accordo con loro.
Già il fatto che vogliono imparare qualcosa sull’arte gli fa onore.
Esco fuori dalla Panda e prendo dal bagagliaio la borsa.
Mi fermo un attimo ad osservare la scritta enorme davanti a me.
LICEO ARTISTICO.
La A di “Artistico” sta per cadere… -Mh- faccio una smorfia.
I ragazzi adesso mi fissano curiosi, soprattutto quelli più piccoli, magari del primo anno.
Cerco di ignorarli, è normale questo comportamento.
Sono nuovo.
Sono diverso.
Il modo di vestire abbastanza semplice e la folta barba potrebbero far pensare che non sia un “prof”.
Mi avvio verso la porta, sentendomi ancora tutti quei giovani sguardi addosso.
Pesanti… ed esperti nell’osservare, spero.
Suono il campanello e mi stringo un po’ nel cappotto.
Fa un po’ freddo oggi, strano, settembre è appena iniziato.
Un uomo molto alto, col viso lungo ma diviso da un largo e simpatico sorriso mi apre.
-Benvenuto, professore-
Sembra simpatico, gli sorrido ed entro.
Il primo giorno di scuola è cominciato anche per me.
 
Entro in presidenza e un forte odore di qualche strano profumo mi investe.
Vorrei starnutire, ma evito, credo che davanti a quella donna minuta non sia educato.
La preside. 
Com’è che si chiamava? Non ricordo, pazienza.
-Buongiorno-
La sua voce l’ho sempre detestata.
Non è acuta, ma ricorda un folletto.
Un folletto con una massa povera ed informe di peli di colore rosso finto sulla testa.
-Buongiorno-
-Segga, professor Vino-
–Preferisco rimanere in piedi se non le dispiace-
-Si figuri- a questo punto si alza anche lei.
Non che ci sia molta differenza da seduta ad alzata.
Per quanto è bassa potrei dire che è veramente un folletto.
Capelli rosso finto… Folletto…
Mmm,  potrei chiamarla Rossetto.
Solo adesso noto quanti chili di marrone ha sulle labbra sottili.
Ma non pesa tutto quel grasso?
Mi porge un foglio, svegliandomi dai miei stupidi pensieri.
Sei un professore, Francesco, vedi di comportarti decentemente.
-Queste sono le ore scolastiche che deve fare ehmm, sa già che deve cambiare classe a ogni.. cambio…-
Quale arguto dizionario!
-..Infatti qui sotto ci sono i numeri delle aule in cui deve lavorare. 
Le sue prime tre ore le farà con la quinta B- 
Prendo in mano il foglio e lo metto nella mia tracolla, senza degnarlo di uno sguardo.
La preside sembra sorpresa dal mio comportamento.
Cos’è, vuoi che te lo metta in una teca di vetro?
-Prima di congedarci devo darle un consiglio- 
Si avvicina, come se sta per dirmi un segreto.
Mi abbasso leggermente, non si sa mai.
-Non si fidi di nessun ragazzo, dico, nessun alunno in questa scuola, capito?-
Faccio una smorfia e annuisco.
Penso si sia notato il fatto che questa donna non mi piace.
Non è un’Artista, un’Insegnante… allora che ci fa qui?
In questa scuola di incompresi?
Molti credono quei ragazzi degli inaffidabili.
Ma per me son solo alunni.
Anzi, sono più che alunni, sono persone che anziché seguire i consigli dei professori ed andare a qualche liceo Scientifico o Classico, seguono le loro passioni e vengono qui, in un posto che potrebbe crollare da un momento all’altro, combattendo ogni pregiudizio o paura.
Ed ecco il loro ringraziamento: indifferenza da parte di una donna che, si, non sarà tutto sto’ genio ma riveste una carica importante… purtroppo.
Mi massaggio un attimo la tempia.
Perché oggi non riesco a frenare i miei pensieri?
Faccio per andarmene, ma mi volto e le dico 
–Lei non si fidi di me, preside- l’ultima parola la dico sputando –Buongiorno-
Cammino lungo il corridoio a passo lento.
Il rumore assordante della campanella mi penetra nelle orecchie inaspettatamente.
Mi appoggio al muro del corridoio e sorrido all’uomo di prima, che mi fissa.
-Come le sembra la preside?-
-E’ una preside- sospiro.
Accenna a un sorriso e si avvicina, tendendo la mano –Mi chiamo Mimmo-
Stringo forte la mano –Francesco, piacere di conoscerla-
-Diamoci del lei, per carità!- ridacchia un po’ –Sa, nessuno da del lei a un bidello-
Mi sta già simpatico questo Mimmo.
Aspetto un po’ ma non sento ancora nessuno per i corridoi –I ragazzi non entrano?-
-Aspettano sempre un po’ prima di entrare-
-Chissà perché..-
-Lei non l’ha mai fatto?- mi guarda accigliato e con sguardo di sfida.
Sorrido –Io non entravo proprio-
Ridacchia, sta per parlare ma delle urla lo interrompono.
-Questo è Lorusso che fa casino, come al solito!-
Si avvicina alla folla di ragazzi che viene verso di noi e comincia a battere cinque e fare battute.
Sorrido e mi stacco dal muro, mettendomi le mani in tasca.
Davvero simpatico!
 
Da dentro l’aula sento provenire del chiacchiericcio.
Sto per entrare, ma si sente un urlo –O’ PROFESSO’!- accompagnato da rumori di sedie più forti.
Mi vien da ridere!
Era la vedetta di classe che avvisava gli altri del mio arrivo, una volta c’ero io al suo posto.
Ritorno serio ed entro in classe.
L’odore di sigarette è molto forte.
-Buongiorno- devo essere superiore…
Ma chi voglio prendere in giro!
Non ricevo risposta.
I ragazzi non si alzano nemmeno.
Penso dovrò farci l’abitudine.
Poggio la tracolla sulla piccola cattedra mal ridotta e mi guardo intorno.
Le pareti della classe sono adornate da firme e disegni.
I muri sono un po’ decadenti, come tutto il resto della scuola, e le luci attaccate con lo choc.
Non ci sono banchi, solo cavalletti e sedie… almeno quelli!
Vago per la stanza fissando uno per uno tutti gli studenti.
Un ragazzo mi attira particolarmente:
Ha i capelli rasati dal lato destro, quelli rimanenti verdi, un dilatatore e vestiti trasandati.
Mi avvicino e gli porgo la mano –Io-professore. Tu-zulù?-
Delle risate si levano nella classe, anche il ragazzo ride.
Sembra un folletto, questa scuola è popolata da folletti!
Stringe forte la mano –Felice Furioso- dice, con una cadenza dialettale fortissima.
-Nome originale!- ridacchio.
Fa spallette e continua a sorridere.
Almeno ha il senso dell’umorismo, deve essere stato preso in giro molte volte.
Poverino!
Ritorno alla cattedra e appoggio le mani sul legno.
E’ il momento delle presentazioni.
-Mi chiamo Vino Francesco, sono il vostro nuovo professore di Discipline Pittoriche e bla bla bla- 
Sbuffo e gli studenti mi guardano molto perplessi.
Alzo le mani –Sentite, lasciamo stare tutte le presentazioni! Ci conosceremo durante l’anno! Ok?-
Nessuna risposta.
-Fate sempre così oppure ho una chance di poter sentire le vostre voci?-
Una ragazza prende parola -Vedrà prof, alla fine dell’anno non ne potrà più di sentirle!- 
Altre risate –Come ti chiami?-
Sorride -Natretta- sembra un… un panda?
-Il cognome serve a farvi appartenere ad una famiglia, è come un’etichetta, ma a me non interessa.
E’ il nome che vi distingue dagli altri… quindi è quello che voglio sapere!-
Sorride ancora di più –Francesca! Mi piace come ragiona prof!-
La ragazza seduta affianco a lei annuisce.
-Grazie, a me piace il tuo nome!- sorrido.
Mi avvicino alla lavagna e comincio a scrivere –Oggi… Disegno libero!-
Mi volto di nuovo verso di loro e faccio fatica a non ridere.
Sono sconvolti, o cosa?!
Francesca mi guarda accigliata.
Quella seduta affianco sorride e comincia a prendere qualcosa dallo zaino.
Felice ha già la testa nel foglio.
Un altro ragazzo bisbiglia qualcosa all’amico che scuote la testa sconsolato.
Il resto rimane in silenzio e fermo.
Penso che hanno bisogno di un imput… -Fate quel che vi pare! Andate di fantasia!-
Più che ottima questa traccia!
Infatti funziona: velocemente prendono foglio, matite, colori e cominciano a  lavorare.
E a chiacchierare.
Sarà un bell’anno!
 
Non mi piace sedermi alla cattedra, sono troppo distante dai ragazzi.
Mi sento grande, potente, ma non è piacevole.
Non mi piace dominare.
Se devo insegnare, non lo voglio fare intimidendo… la gente è libera di apprendere.
Soprattutto se si tratta di arte.
Più ci penso, più mi vien voglia di andarmi a sedere ad un cavalletto e disegnare…
Come una volta, a scuola.
Osservo uno ad uno i miei nuovi alunni… In che posizione disegnano, con che espressione.
C’ero io al loro posto, pochi anni fa.
Sorrido al pensiero che questi ragazzi li vedrò tutti i giorni, ogni mattina, o quasi. 
Ogni tanto si alzano e si dirigono al cavalletto di qualche compagno.
Senza chiedermi il permesso.
Va bene.
Noto che un ragazzo si avvicina all’angolo, dove c’è un cavalletto abbandonato.
Poi si avvicina un altro… E un altro.
Forse si stanno facendo una sigaretta.
Mi alzo e mi avvicino –Che state facendo?-
Si crea un varco ai miei lati –Niente prof!- mi risponde qualcuno.
Noto che il cavalletto tanto interessante per i ragazzi non è vuoto.
-Buongiorno!- esclamo sorpreso.
E’ piccola rispetto a tutti i suoi compagni.
E’ abbastanza alta, magra, il viso è quello di una bambina, circondato da tantissimi capelli ricci e neri.
Gli occhi, scuri, puntati sempre verso il foglio su cui disegna.
Ha un’enorme maglia grigia e una sciarpa tipica dei missionari comboniani al collo.
Sulla maglia noto la scritta “Rubber Soul”.
Le piacciono i Beatles?
Sorrido.
Strano, non mi ha ancora risposto.
Continua a disegnare, ma con mano tremante.
-Come mai ti sei nascosta qui dietro?-
Penso di non avere un tono severo o che altro… però lei mi risponde secca.
–Perché non c’erano altri posti.-
Una sua compagna obbietta –Ma veramente io ti ho tenuta il posto qui!-
La ragazza la guarda malissimo.
Sorrido. Questi ragazzi sono spassosi!
-Fa niente, fa niente!-
La ragazza torna a lavorare al suo disegno.
Guardo i compagni intorno –Beh? Ancora qui? A lavorare su!-
-Ma prooof! Abbiamo ancora due ore!-
Li zittisco con un gesto della mano e se ne vanno.
Mi avvicino alla ragazza per osservare il disegno.
Il suo respiro sembra affannarsi.
Ma… sta tremando?
-Ti senti bene?-
Non mi risponde.
Fissa davanti a se, con un’espressione sconvolta.
-Che hai?-
-Guarda il disegno e vattene!-
Sgrano gli occhi.
Un po’ di nervoso mi sale nel petto.
Sa benissimo anche lei che non può parlarmi così.
Sono un professore.
La prendo per la spalla e la costringo a guardarmi –Come, scusa?-
Mi sento in colpa.
Per averla toccata.
Per averla disturbata!
Mi guarda, ora, come se fossi uno zombie.
Il viso è pallido, cadaverico.
La bocca tesa in una smorfia di… dolore?
Il naso arricciato, le guancie rigate da lacrime.
Gli occhi freddi.
Un brivido mi percorre dalla schiena fino al braccio, posato ancora sulla sua spalla.
Lo tolgo immediatamente –Sc-scusa-
I suoi compagni accorrono ad aiutarla, a consolarla.
Io non posso far altro che tornare al luogo che tanto odio: la cattedra.

 
Mondo Nutopiano:
Aridaje!
Una versione rivisitata de "O' Professore".
Per chi è nuovo:
Si, è una storia che è già stata pubblicata in passato ma in versione ehm...
Merdosa.
Spero vi piaccia *O*
Per le mie amatissime, purissime, buonissime recensitrici:
Vi ringrazio. Di tutto, per le vecchie recensioni.
Sono una stronzona, lo so (è il mio soprannome a scuola).
Voi che vi disturbate per recensire e io che PUFF elimino tutto.
Odiatemi.
Ma miraccomando recensite AHAH ._.
Spero vi piaccia questa nuova versione! Grazie *3*

Peace & Love.
MelinAnima :3

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Capitolo 2
*** Vecchie conoscenze. ***


Vecchie conoscenze


Il lavoro del professore è uno di quei lavori che ti consuma.
Ti stanca, perché devi essere attento, perfetto.
Non devi sbagliare, mai.
Sia di mattina che di pomeriggio.
Devi tenere un comportamento superiore.
Devi essere l’esempio per tutti: alunni e genitori.
Sei sempre in competizione con gli altri professori.
Perché devi essere tu il migliore, o il peggiore.
Ecco, io non mi ritrovo in quella categoria.
Amo il mio nuovo lavoro.
Al contrario del professor Locantore. Quanti anni avrà? 50? 60?
Mistero.
So solo che insegna matematica.
Insegnare si fa per dire, poi!
Non lo sa fare, almeno ha cercato di spiegarmi qualcosa…
Ma non ho capito nemmeno cosa!
Magari sono io che sono stupido, non sono mai stato pratico in matematica.
Eppure erano calcoli semplici! Almeno da come parlava speditamente… erano calcoli semplici.
Ma allora perché non li ho capiti?
Ok, non diventiamo paranoici.
Respiro e rispondo alla domanda del professore.
-Certo, ho capito- che bravo che sono!
Sorride –Perfetto-
Sorrido anch’io.
Che bravo attore, semmai.
-Viene adesso?-
-Dove?-
-Dalla preside! C’è l’incontro con i professori e i rappresentanti, come ogni anno!-
E che ne so io? Sono nuovo!
-Ehm, si certo, vengo, datemi solo un attimo-
Mi avvio verso la sala professori.
Devo sistemare i disegni dei ragazzi della quinta B.
Certo però, quella ragazza (di cui non so il nome, devo ancora controllare) non la capisco.
Perché ha reagito così?
Non penso di essere stato violento, l’ho semplicemente toccata.
Ah, che mal di testa.
Basta pensarci.
Entro nella sala e apro il mio armadietto.
Adesso ho un armadietto tutto mio.
Brividi! 
Prendo i disegni e li sistemo sul tavolo, li osservo uno ad uno.
Voglio solo dare un’occhiata veloce: sono interessanti.
Alcuni sono strisce di fumetti, anche satirici, altri composizioni astratte.
Davvero interessanti, i ragazzi hanno umorismo e fantasia!
Perfetto.
E questo?
Prendo il disegno tra le mani e lo avvicino ai miei occhi.
E’ macabro.
E’ molto scuro, triste.
Ci sono tanti visi che urlano, in una smorfia di dolore.
Sembrano fantasmi per quanto sono bianchi.
Ma non sono questi gli elementi più terribili.
Al centro, il busto di una ragazza svestita, circondata da una spina che le taglia la pelle.
Il viso non le si vede, indossa una maschera mostruosa e deforme.
E non ha i capelli.
I colori utilizzati sono il nero e il rosso.
Il nero, colore di sfondo, sembra fatto con pastelli, molto calcato.
Come se l’artista fosse arrabbiato.
Il rosso, al contrario, ha un tratto leggero e molto insicuro.
Giro il foglio per leggere il nome di chi ha potuto creare un disegno tanto macabro quanto profondo.
Pamela, così è firmato.
Prendo immediatamente il registro e cerco il nome di questa “Pamela”.
Ma non c’è.
E’ un nome d’arte, dannazione!
Sbatto una mano contro il tavolo.
Scommetto che si tratta di quella ragazza!
-Professor Vino?- 
Una voce dolce e acuta interrompe i miei pensieri.
Mi volto e mi trovo davanti un nano grassoccio.
Luigi, il segretario addetto alle fotocopie –Che c’è?-
-La preside la vuole in presidenza, sa, la riunione con i professori..-
-Si, ho capito-
Parlo senza espressione.
Mi volto di nuovo verso il tavolo, dove poco prima ho poggiato quel terribile disegno.
Dò un ultimo sguardo e lo metto di nuovo nel cassetto.
-Quel disegno è forse firmato “Pamela”, professore?- mi chiede Luigi.
Annuisco.
Di tutta risposta, il segretario scuote la testa sconsolato e se ne va.
Forse lui sa qualcosa in più su quella ragazza!
-Aspetti!- metto a posto i disegni e chiudo il cassetto.
Corro fuori dall’aula, ma l’uomo è sparito.
Dannazione.
 
Entro in stanza e il solito profumo (o puzza, dipende dai punti di vista) attraversa le narici con violenza.
Tossisco un po’, più per l’odore che per attirare l’attenzione.
Seduta alla scrivania c’è la preside, di cui non ricordo ancora il nome.
Intorno molti professori e ragazzi che ancora non conosco, tranne Locantore.
Mi avvicino e la preside saluta.
-Come ogni anno volevo cominciare con una riunione straordinaria, per informarvi delle novità e ricordarvi le regole della scuola. Come potete vedere, quest’anno c’è un nuovo…- 
Fa una pausa e mi guarda.
Sembra che faccia fatica a dire quella parola.
Dai, ce la puoi fare, non sono così tremendo! –Professore-
Bisogna festeggiare!
Altra pausa.
-…Se vuole può presentarsi-
Annuisco e parlo –Mi chiamo Vino Francesco, sono professore di discipline pittoriche.
Vengo dalla Puglia, precisamente da Taranto- Non so che altro dire.
I presenti mi guardano curiosi e impazienti, o anche mezzi addormentati.
Beh, ho detto nome, materia, provenienza… età.
-Ho trentadue anni-
La preside sorride, insieme a qualche professoressa.
Alzo le spalle –Vi ho già annoiato abbastanza-
-Dove ha studiato?-
Una giovane donna si fa vedere dalle spalle di un altro professore abbastanza robusto.
Ha i capelli corti fino alle spalle, lisci e scuri, ben ordinati.
Truccata in modo semplice, ma è comunque affascinante.
Si potrebbe dire che è una professoressa, ma sono in dubbio.
E’ vestita in modo naturale, quasi alla moda, diversamente dal vecchio grigio che prevale nella stanza.
Strano, mi è molto familiare.
Le rispondo con un sorriso malinconico –All’Accademia di Firenze, dopo esser venuto qui-
-Quindi lei ha studiato in questa scuola!-
-Ma solo l’ultimo anno-
-In che classe andava?-
La preside interviene –Mi scusi, professoressa Colucci, ma non siamo qui per chiacchierare-
-Mi scusi-
Sorrido alla professoressa, ora diventata improvvisamente timida.
La preside continua a parlare, ma non l’ascolto.
I discorsi assurdi della preside non mi interessano.
Crede che io sia un professore troppo giovane e inesperto, ma si sbaglia.
Ho vissuto anch’io la mia vita, lei non lo sa.
Osservo i presenti.
Noto che tra i ragazzi c’è anche Francesca, la ragazza di quinta B.
Dev’essere la rappresentante di classe.
I nostri sguardi si incrociano e le sorrido.
Anche lei sorride e sposta il suo peso sull’altra gamba.
E’ molto alta, sembra adulta…
Infatti ho letto che ha ben ventitré anni!
Praticamente si è fatta il primo superiore a diciotto anni.
Non so il perché e sinceramente non m’interessa.
Affianco a lei c’è il suo opposto: 
Una piccoletta magrissima, pallidissima e con una criniera da leone al posto dei capelli!
Non riesco a capire quanti anni abbia, sembra una bambina ma si atteggia da… trentenne.
Ha gli occhi molto grandi, il colore è indefinito, dal marrone al verde bosco…
Ma la cosa che mi colpisce di più sono le sopracciglia: enormi e folte, ma ben curate.
Curiosa ragazza! 
Sorrido ancora, senza volerlo, mentre la preside ci saluta.
Esco dall'aula e percorro il corridoio piccolo e umido.
Non vedo l’ora di tornare a casa e mangiare un po’ di spaghetti!
-Professor Vino!-
Che c’è ancora?!
La professoressa di prima si avvicina –Non ha risposto alla mia domanda..-
Sorrido e velocemente rispondo –Andavo nella C e tu eri una mia compagna di scuola, Grazia-
La chiamo per nome.
Lo ricordo benissimo, quell’anno mi sono divertito molto e Grazia era una dei miei amici più cari.
Sorride anche lei, sorpresa –Francesco!? Ma... sei tu! Sei cambiato tantissimo!-
Mi è sempre suonato strano il suo modo di pronunciare la doppia "S", come sibilata.
Ricordo che la prendevo spesso in giro per questo.
-Tu per niente, sei sempre la solita perfettina-
Sbuffa –Non sono perfettina-
Le dò una pacca sulla spalla –Convinta tu-
-Che dici se ci prendiamo un caffè?-
Sospiro.
Addio spaghetti!
 
Tiene la tazzina con entrambe le mani, strano, la ricordo molto sicura di se,
eppure questo potrebbe definirla una donna che ha poca autostima in se stess...
Ma che dico, Grazia la conosco, è semplicemente
 perfettina, come sempre!
Lo sguardo è sempre allegro, anche quando affrontiamo discorsi più seri.
Sorride, come solo lei sa fare, e parla a raffica di tutto quello che le passa per la mente.
No, non è cambiata di una virgola da quando ci siamo lasciati sul portone della scuola, anni fa.
L’ultimo giorno dell’esame di stato è stato straziante, ma non per l’esame in se…
Stavo per abbandonare tutti, amici e parenti.
Credevo che il mio passato non sarebbe servito più a nulla, nell’Accademia.
Ma mi sbagliavo, ora il passato è tornato, con qualche ruga e con una laurea in più.
-Che ti prende?-
Mi risveglio dalla trance e sorrido –Pensavo a quando eravamo noi a studiare, per prendere un sei-
Sorride anche lei –Parla per te, io puntavo al nove-
-Solita perfettina- sbuffo.
Ridacchia –Sai che avevo paura di te?- beve un po’ del caffè mentre strabuzzo gli occhi.
Paura? Di me?! Manco fossi l’uomo nero!
Continua a parlare –Sai, eri stato bocciato due volte, eri quello grande…-
-E per questo avevi paura di me?!-
Alza le spalle.
Che strano il mondo!
-Tu invece per me eri la secchiona di classe-
Forse l’ho detto con troppa nonchalance.
Sorride e alza le sopracciglia, abbassando lo sguardo sulla tazzina ormai vuota. 
Fa sempre così quando s’innervosisce.
Al suo sorriso aggiunge sempre quelle sopracciglia.
-Oh bene- dice.
-Eri la secchiona che mi aiutava con i compiti, mi passava le risposte e conservava tutti i miei segreti-
Sorrido, lei mi guarda con stupore.
-Insomma, la mia migliore amica-
Sorride anche lei, uno di quei sorrisi che mi sono sempre portato dentro.
Quelle labbra maledette me le sono incise nella mente e non se ne sono ancora venute.
Che bello poterle rivedere dopo tutto questo tempo.
-Non ti aspettavi di incontrarmi, vero?- 
Scuoto la testa –No, la odiavi quella scuola, non me l’aspettavo-
-E’ vero, ma sono comunque legata al liceo artistico… è più forte di me! 
Poi i ragazzi sono davvero interessanti-  chiama il cameriere per farsi dare il conto.
Poggio la tazzina sul tavolo, dopo aver bevuto l’ultima goccia di caffè –Cosa intendi?-
-Ognuno di loro ha una storia diversa e il loro passato influisce molto sul loro modo di essere.
Ho sempre pensato che la scuola mi insegnasse tutto per poter fare l’insegnante…-
-Anche se leggevi libri di psicologia a non finire-
-Dettagli- ridacchia –Ma sai una cosa?-
Fa una pausa, strizzo gli occhi per guardarla meglio.
Una luce, una bellissima luce di passione, le brilla sul viso.
-Impari a fare il professore solo insegnando ed apprendendo dai tuoi stessi alunni-


-Grazia ho paura-
-Di cosa?-
-Del mio futuro-
-All'inizio è così, hai appena cominciato-
-Si, ma non so se ce la farò-
-Certo che ce la farai!-
-Mi aiuterai, vero?-
-Contaci-


Mondo Nutopiano:
Altri personaggi salgono sul palco, mentre tanti altri aspettano dietro le quinte.
Prendeteli tutti in considerazione, ogni personaggio nasconde qualcosa.
"Ogni" no, però quasi tutti.
Forse.
Spero vi piaccia anche questo capitolo.
Alla prossima!

Peace & Love.
MelinAnima.


*Piccolo spazio pubblicitario*
Ho fretta.
Scusate!
Ma vi ringrazio lo stesso, chi ha recensito e chi ha letto.
[AAARGH RIME 'E MEEERD]
Ciao! :3

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Capitolo 3
*** La piccola Freud. ***


La "piccola Freud"


16 Settembre.
 
Sei e mezza.
Dovrò farci l’abitudine, d’ora in poi.
Mi è sempre piaciuto svegliarmi presto… ma non così presto.
Fino a una settimana fa, non esisteva tempo prima delle otto e un quarto.
Ora invece, anche se mi sveglio due ore prima, il tempo non è mai abbastanza.
Meglio abbandonare il letto, prima che mi riaddormenti di nuovo.
E’ bello e allo stesso tempo strano: in questo momento anche tanti ragazzi si stanno alzando.
Adesso quei ragazzi si staranno dirigendo verso la cucina, per preparasi o il latte o il caffè.
Come me.
E dopo aver bevuto si staranno dirigendo in bagno, per lavarsi.
Come me.
Eppure siamo così lontane, viviamo realtà diverse, nonostante abbiamo stesse abitudini.
O forse è solo una mia impressione.
Forse, dico forse, l’unica differenza è un diploma e una laurea in più. 
Sono molto più grande rispetto a loro, ma sembra quasi che sia improvvisamente tornato adolescente.
Con qualche brufolo e un’ interrogazione da affrontare.
Invece eccomi qui, davanti lo specchio, con il mio solito barbone, i capelli lunghi e le prime rughe che cominciano ad apparire sul mio viso stanco.
Vestito come piace a me (e non come un professore dovrebbe).
-Eh si, sei un professore, Francesco-
Parlo da solo, dicono che non è da pazzi, anzi fa bene.
Perché tenersi tutto nella testa? Le parole e le idee devono essere espresse.
Anche quando sono da solo.
Anche se sembro uno stupido.
-Si, sei un professore-
Devo ancora farci l’abitudine.
Una volta odiavo il tizio seduto alla cattedra, facevo di tutto per innervosirlo.
Adesso… beh non sarebbe bello se i miei alunni facessero di tutto per darmi fastidio.
Ho passato i primi anni delle scuole superiori a fare niente.
O forse qualcosa facevo: infastidire fino all’esaurimento nervoso.
Poveri professori!
E povero preside!
Adesso, potrei avviare un processo di santificazione per tutti gli adulti che hanno dovuto sopportarmi.
Odiavo le autorità, ecco qual’era il mio problema.
Tutt’oggi è rimasto qualche rimasuglio del mio giovane animo “anarchico”.
Ma il passato è  passato.
Non si torna indietro.
Sono un professore.
Si, sono proprio un professore.
 
Scendo dall’auto e prendo la borsa.
Mi avvio verso il cancello della scuola.
Il giardinetto esterno è popolato dagli studenti, come al solito.
C’è sempre qualcuno che mi  guarda incuriosito, forse si staranno chiedendo chi sia.
Sono un professore, non gli è ancora arrivata la voce?
Però tra gli studenti riesco a distinguere qualche sorriso e qualche “buongiorno”.
Sono loro: i ragazzi di quinta B.
C’è Felice, che ha il suo solito sorrisetto, insieme a qualche amico.
Due del gruppo le conosco, sono Rossella “la bionda” e Melania “la gatta”, sempre della quinta B.
C’è Francesca, con la sigaretta in mano e gli occhi stanchi, con intorno quasi tutti i suoi compagni.
Al suo fianco c’è sempre lei: quella ragazzina bassa, magra e pallida, con quel taglio di capelli asimmetrico, mai visto prima d’ora.
Non riesco ad avvicinarmi molto, vengo fermato da Grazia.
-Ciao Francesco!-
-Ehy, come va?-
-Bene!-
Mentre chiacchiero con la mia amica assisto ad una scena incredibile.
La ragazzina che tanto m’incuriosisce si avvicina a un ragazzo moro, alto e muscoloso.
Parlano, lui è incazzato… vuole picchiare qualcuno, ma lei lo ferma e gli parla con calma.
I ragazzi della quinta assistono ammutoliti.
Solo Francesca ogni tanto interrompe, continuando a fumare la sua sigaretta.
Grazia sta parlando del suo orario mattiniero, ma io la fermo –Chi è quella ragazzina che discute?-
-Discute? Con chi?- lei si volta e la vede.
Vedo che il ragazzo moro si altera ancora di più e minaccia la ragazzina.
-Ah, è Melina!-
Ripeto il suo nome, per ricordarmelo meglio.
Continuo ad osservare la scena, ipnotizzato dalla calma di lei e dalla furia di lui.
-Ma che succede?-
-Rojdi… è un ex alunno della quinta B, come Melina del resto, ma lui è stato espulso-
Quindi quel ragazzo si chiama così.
-E’ violento, probabilmente ce l’ha con uno della classe, forse Roberto, come al solito-
Il nome non mi dice nulla.
Rojdi attacca Melina, prendendola per i polsi.
La classe si agita.
Grazia comincia a preoccuparsi –Qui finisce male, meglio intervenire-
I due litiganti continuano a parlottare, Rojdi urla, lo sento:
-Sta zitta!-
Melina gli dice qualcosa per provocarlo.
Lo spinge un po’ per allontanarlo, visto che è troppo vicino anche per i miei gusti...
mentre lui la minaccia alzando un pugno!
Non faccio in tempo nemmeno a rendermi conto di quel che faccio, che mi dirigo a grandi passi verso i due.
Così mi ritrovo il polso del ragazzo nella mia mano.
Vedo gli occhi del ragazzo iniettati di furia, mentre lei, dietro di me, non la vedo, bensì la sento ansimare.
Tutti intorno parlottonano o rimangono muti ad assistere.
Credo di aver evitato a Melina un cazzotto.
Probabilmente penserà che sono un pazzo.
-Non provare nemmeno a sfiorarla-
Sibilo le parole tra i denti, innervosito.
Animale.
Voleva picchiare una ragazzina forse più piccola di lui.
Per cosa poi? Per aver difeso un suo compagno di classe.
Rojdi mi fissa stupito e confuso.
Il suo polso rimane nel mio pugno, a mezz’aria.
Una voce bassa, tranquilla e pungente alle mie spalle, riempie il silenzio che si è creato.
-Già dal primo anno ho capito tutto di te.
Hai bisogno di affermare la tua superiorità, non so se c’è un evento nel tuo passato che abbia influito,
ma dato che oltre ad essere violento sei anche un morto di figa, 
posso affermare che è una caratteristica puramente caratteriale.
Avrei potuto biasimarti, ma no, oggi ne ho avuto la conferma:
Sei solo un animale.-
Volto il capo e osservo la piccola Freud alle mie spalle.
I suoi occhi verdognoli mi fissano, la bocca è tesa, come il suo animo, eppure la voce è tranquillissima.
Si volta verso gli amici, li saluta allegramente, poi mi sussurra un timido –Grazie- e se ne va, prendendo una strada secondaria, come se non fosse successo nulla.
Guardo accigliato le sue spalle, mentre la bestia si libera dalla mia presa.
 
Leggo la scritta sul foglio.
Prime due ore in quinta B.
Fantastico! Potrò avere un po’ di spiegazioni.
Ho un sacco di domande da porre a quei ragazzi!
Ciò che è successo stamattina mi ha un po’ scosso.
Non mi sono mai intromesso negli affari degli altri, figuriamoci di ragazzi che nemmeno conosco.
Eppure mi sono ritrovato a difendere una bizzarra ragazzina, di cui conosco solo il nome.
Forse avevo semplicemente pena per lei… con un livido in faccia non è uno spettacolo allegro.
Oppure… oppure niente, non può essere diversamente.
Grazia ha detto che è una ex alunna, però, a differenza di Rojdi, non è stata espulsa.
Allora si è ritirata?
E perché stava davanti la scuola?
Troppe domande, Francesco, ma tanto presto troverò le risposte che voglio.
Controllo anche il resto delle classi.
Ah, solo terza, quarta e quinta B, perfetto.
-Almeno non dovrò ricordare troppi nomi!-
-Che fortuna!- il professor Chita mi da una pacca sulla spalla.
E’ un omone, robusto e anziano, ma non lo dimostra.
Sembra che abbia quarant’anni, invece ne ha sessantatre.
Mi chiedo perché non sia andato in pensione.
-Lei quante classi ha, professore?- gli chiedo sorridendo.
-Troppe!- ridacchia e mi da un’altra pacca.
E’ simpatico, comincio a sentirmi a mio agio in questa scuola, nelle vesti di professore.
Sorrido, il solito rumore assordante della campanella invade i corridoi.
Mi volto verso Chita, che sta sistemando dei fogli nella borsa.
–Quanto tempo crede che i ragazzi ci mettano ad entrare, ogni mattina?-
-Il tempo di un caffè-
Quando hanno messo le macchinette per il caffè?
Mi guarda come per dire “Andiamo?” e non posso rifiutare!
 
Non ho mai bevuto così tanti caffè in sole 24 ore.
Butto la tazzina dentro a un cestino in corridoio e mi avvio verso la classe.
C’è sempre il solito chiacchiericcio, ma quando sono vicino ancora un urlo:
-O’ PROFFESSO’!-
Mi accoglieranno così per tutto l’anno?
-Giorno-
-Ehy prof scusate per prima!-
-Siete stato grande!-
-Mi fa un autografo?-
Le parole degli studenti diventano sempre più forti, accavallandosi una sull’altra.
In pratica vengo aggredito!
Mi siedo alla cattedra, nel vocio generale, tutti mi fissano mentre parlano.
Sembra una situazione davvero grottesca.
Rimango in silenzio, a fissare uno ad uno gli studenti, con viso serio.
Pian piano tacciono, rendendosi conto che non mi interessano i loro commenti.
Quando c’è silenzio, prendo parola –Finalmente-
Una ragazza scoppia a ridere improvvisamente.
Ecco, ci mancava solo questa!
A lei si unisce un piccolo gruppetto.
-Basta!-
Silenzio.
Potrò mai cominciare a parlare?
-Prima di cominciare, credo che dobbiamo chiarire un po’ di cose-
Prendo il registro e scelgo un nome a caso.
Un leggero vocio si alza.
-Che fa, prof?-
-Chi è Grazia Lamissa?- chiedo, alzando il capo.
Una ragazza alla prima fila di destra, vicino la finestra, alza la mano.
Ha i capelli rossicci, il sole li rende quasi biondi.
Il naso è dritto e gli occhi grandi.
Assomiglia lontanamente a… Jim Morrison?
-Sei tu Grazia?-
-Graziana, si- ha una voce acuta e un po’ nasale.
Parla con un sorriso nervoso e si maltratta le mani.
-Chi è..- merda non mi ricordo il nome di quella ragazzina!
Come si chiamava?!
Lina? No, era un nome strano… Alina?
-Proffiii?- la voce di Francesca, in prima fila, mi risveglia dai pensieri.
-Non ricordo il nome della ragazza che ho… che ho difeso stamattina!-
-Melina!- la classe sembra esplodere!
-Lei!- mi volto verso Grazia –Allora? Chi è?-
-E’ Freud!-
Un ragazzo, in fondo alla classe, interrompe.
Altre risate, soprattutto da quella ragazzina di prima.
-Posso sapere il nome di quest’allegra signorina?- chiedo, rivolgendomi a lei.
La ragazza ride un altro po’, poi si tranquillizza, si asciuga le lacrime e dice –Nunzia!-
Francesca allora esclama –Eh piacere! Il cognome!-
Zittisco il caos che intanto si sta creando in classe.
-Fate silenzio, altrimenti oggi non arriviamo alla sesta ora!-
-Nunzia Dimola- fa la ragazza asciugandosi le lacrime.
Annuisco e mi volto di nuovo verso Grazia che prende parola, con la solita voce tremante.
-Prima veniva in classe con noi…- ha un accento Montese.
–Però quest’anno non è venuta perché le hanno proposto un lavoro..-
Ma allora non doveva stare davanti scuola, oggi.. e nemmeno alla riunione con la preside!
-E perché è ancora da queste parti?-
Francesca, come al solito, s’intromette.
-E’ affezionata ed è rappresentante di classe, ecco la storia-
-Grazie del chiarimento, Francesca-
-Prego!-
Altri vocii.
Guardo Grazia supplichevole, speriamo che finisca presto questo strazio!
-Il ragazzo con cui litigava è stato cacciato tempo fa dalla scuola perché ha picchiato un tipo-
Non capisco da dove è arrivata l’ultima informazione.
Non è stata la rossa a parlare..
Ma che importa, tanto ormai sono nel caos assoluto.
 
-Natretta-
Si alza, saltella fino alla cattedra e cerca il suo disegno tra gli ormai pochi rimasti.
Come tutti ripete il rito e, in piedi, spiega.
-Eeeeh che posso dire?-
Guarda i compagni, guarda me, poi di nuovo i compagni.
Sempre con quella faccia spaesata.
Forse devo intervenire, ma sinceramente non ho da dirle molto 
–Quello che senti di dire, dillo. Altrimenti vai a posto e basta…-
Allora ritorna al posto, rivolgendomi uno sguardo stranito.
-Pellino-
Melania “La gatta” si avvicina, trascinandosi la lunga chioma nera.
Prende il suo disegno e va a posto –Non vuoi spiegare?-
Ridacchia un po’ –No no!-
Hanno un grande spirito di oratori questi ragazzi eh.
Sospiro e leggo il nome che segue sul registro.
-Petronella- ma nessuno si avvicina.
-Quella è Mel, professò-
Probabilmente non l’avranno eliminata dal registro.
Segno con una matita una “x” vicino al suo nome e continuo –Sinisi-
Nicla, una ragazza alta dai capelli corti, si avvicina.
Ma che fa?
Forse Sinisi non c’è… la fermo.
Noto che in mano ha il disegno di quella “Pamela”.
- Se Sinisi è assente devo tenerlo io il disegno-
La ragazza mi guarda titubante –Non è assente…-
-Allora che lo venisse a prender- un grido acutissimo mi interrompe.
-NO!-
Una ragazza, in fondo alla classe, si alza e comincia ad urlare.
Ma non è una ragazza qualsiasi, è LA ragazza!
Qualche suo compagno cerca di calmarla.
Io mi alzo dalla cattedra e mi avvicino.
Improvvisamente mi ricordo di quando ha cominciato a piangere quando l’ho toccata, ieri.
Quindi mi tengo lontano da lei, mi volto verso Nunzia e cerco di sovrastare le urla della ragazza.
-Vai a chiamare aiuto!-
La ragazza obbedisce, mentre Sinisi continua ad urlare come impazzita.
Sarà una lunga giornata.

 
Mondo Nutopiano:
Una lunga giornata?! E il tempo che ho messo per scrivere sto capitolo de merda!?!
Parliamone!
Anzi no.
Comunque, la "piccola Freud" sarei io.
E' il mio secondo soprannome a scuola, dopo Stronzona.
I motivi sono ovvi.
Adoro la psicologia, che ce posso fà? :3
[Devo smettere di parlare romano, sono pugliese, io D:]
Comunque (2) ho dovuto modificare i soprannomi per motivi di privacy...
Devo ammettere che adesso sono più ridicoli che mai, ma chissenferega!
Spero vi piaccia, a me non ispira ma pazienza!
Non mi va di riscriverlo.

Peace & Love.
MelinAnima.
[Si, ho tolto la faccina bimbominchiosa alla fine.]


*Piccolo spazio pubblicitario*
Le persone da sposavisitare sono:
_Martha!
Diami (ti ho scambiato per Dan. Uccidimi.)
Morning moon (<3)
e l'adorata Fujiko!!
Grazie, vi adoro, vi stimo e vi sposo!


 

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Capitolo 4
*** Help! ***


Help!
"I need somebody"
*canticchia*



Speriamo stia bene, speriamo stia bene!
Sarà stata una crisi di nervi, non può essere diversamente.
Non credo che si droghi, non deve drogarsi, la droga fa male.
Mi devo calmare, sembro io un drogato adesso. 
Merda, tutte a me oggi! Ed è il secondo giorno di scuola.
Mi fermo e osservo ancora la porta chiusa della presidenza,
poco fa attraversata da quella ragazza, portata di peso dai bidelli.
Palmina si chiama in realtà, Pamela per gli amici, Sinisi di cognome.
Urlava come un'indemoniata. E se fosse impossessata?!
Ma che sto pensando? Non sono più io.
...Speriamo stia bene.
E’ l’unico pensiero sensato che riesco a formulare senza che mi venga una terribile fitta alle tempie.
Ricomincio a camminare, avanti e indietro per il corridoio, aspettando.
-Calmati- sbuffa Grazia, appoggiata allo stipite della porta della sala professori –Non è la prima volta-
Parla come se fosse la cosa più naturale del mondo –E dobbiamo calmarci?!-
-Guardati intorno, sei l’unico che si preoccupa-
Non rivolgo nemmeno uno sguardo ai segretari e i professori che stanno intorno.
Mi avvicino a Grazia a grandi passi –Ti rendi conto che ha crisi di nervi ogni volta che entro in classe?-
Lei come risposta alza le spalle, allora continuo a parlare
–I suoi compagni mi hanno detto che fa così solo con me, e tu lo sapevi già da tempo!-
-Non dare la colpa a me! Non mi hai nemmeno accennato a tutto questo, prima d’ora-
Ha ragione. Entro in sala professori e cerco i disegni della quinta B, che mi sono ripreso –Guarda- ritorno da Grazia col disegno in mano.
Lei prende in mano il disegno e lo osserva come se lo conoscesse già.
Me lo restituisce e scuote la testa contrariata e preoccupata.
So che lei conosce quella ragazza e il perché del suo comportamento, ma me lo deve dire lei.
La porta della presidenza si apre ed esce una segretaria –Professoressa Colucci?-
Grazia si avvicina alla porta, parla con qualcuno all’interno della stanza ed entra,
rivolgendomi un triste sguardo di comprensione.
Ma che succede?
 
-Buongiorno-
Non mi rispondono, dovevo aspettarmelo.
-Sono Vino, il vostro nuovo professore di discipline pittoriche-
Mi siedo, poggiando la borsa sulla cattedra della terza B, senza togliermi il giubbotto.
-Barile- e il ragazzo alza la mano.
Lo guardo con viso spento e disattento.
Ripenso alle parole della preside e sospiro.
“Deve tenersi lontano da quella ragazza” perché?
“Ha avuto un passato difficile” ed io che c’entro?
Non mi ha risposto, mi ha detto soltanto di avere pazienza.
Certo, pazienza, intanto con una che si mette ad urlare in classe appena entro non si può fare lezione!
-Professore tutto ok?- una ragazza alta e robusta, mi risveglia dei pensieri.
Annuisco e ritorno a leggere i nomi sul registro, cercando di concentrarmi sul lavoro.
Però non mi hanno nemmeno accennato alle condizioni della ragazza!
E’ pur sempre una mia alunna, c’ero io quando ha avuto quella crisi di nervi.
Arrivo a metà dell’ordine alfabetico e mi fermo, portandomi una mano alla tempia.
No, non posso abbandonare la classe per andare a vedere come sta…
Oppure si?
Francesco, riprenditi, prima di essere un professore sei una persona. Ho bisogno di risposte.
Mi alzo e prendo la borsa –Scusate ragazzi- la mia voce sembra molto più viva adesso
–Prendete un foglio e disegnate quel che volete, andate di fantasia! Io però devo allontanarmi-
Esco dalla classe, nella confusione che creano gli alunni,  mi dirigo verso l'aula dove dovrebbe stare la quinta B.
Vedo la professoressa di modellato, con cui non mi sono ancora presentato, spiegare ai ragazzi.
Tossisco, cercando di farmi vedere dalla professoressa, ma non dai ragazzi ovviamente.
Lei volta il capo verso la porta e smette di spiegare.
E’ minuta, avrà quarant’anni circa, ha i capelli corti, colore terra.
-Piacere, professoressa Prisco, mi dica-
-Sono il professore Vino-
-Ah si! Lei è il nuovo professore di discipline pittoriche!-
Annuisco e le stringo la mano –E... vorrei sapere come sta un’alunna-
-Chi?- chiede, rivolgendo uno sguardo alla classe in agitazione –SILENZIO!- urla subito dopo.
-Sinisi- sussurro il suo nome, non so neanche il perché.
-Proprio lei… professore mi hanno detto quel che è successo, deve restare lontano dalla ragazza!-
-Ma perché? Sono un professore, ho diritto di saperlo-
Non vuole rispondere, abbassa lo sguardo e si maltratta le mani.
-Professoressa..- ma mi interrompe –No, senta, non insista! Il perché non glielo devo dire io-
Fa una pausa, sospira, buttando fuori tutta la tristezza e la malinconia.
 –E’ una storia molto complicata, dev’essere Sinisi a raccontargliela, quando vorrà… se vorrà-
Annuisco –Almeno posso sapere se sta bene?-
Sorride mesta –Si, sta meglio adesso… spero-
 
7 Dicembre 1991
 
Grazia me l’aveva detto, ogni ragazzo ha la sua storia.
Ne ho avuto conferma in questi ultimi mesi.
Ormai sono abituato alle ore della mattina, i tempi rigidi delle consegne che la scuola impone.
Ma anche a tutti i problemi che i ragazzi (o anche la preside, che sembra fregarsene dell’istituto) creano!
Ogni giorno c’è sempre una novità, un dilemma da risolvere.
Anche il più stupido intralcia le lezioni, per questo ho dovuto stringere un forte rapporto di fiducia con i ragazzi, essere alla loro pari,
per far volatilizzare ogni confusione e farli (finalmente) lavorare.
All’inizio tutto questo mi preoccupava:
Se non fossi stato abbastanza autoritario non mi avrebbero mai dato retta.
Invece gli alunni mi hanno stupito, si sono fidati e complimentati.
“Lei è diverso da tutti gli altri” “Lei è uno di noi” mi dicono spesso.
Sono felice, ma c’è sempre qualcuno che mette fine a questo idillio d’amicizia e pace.
Questo qualcuno dal passato triste e combattuto, di cui purtroppo non so nulla.
Palmina Sinisi, detta Pamela.
Ho provato più volte ad esserle amico, ma lei prima mi cacciava via urlando, 
ora mi risponde fredda o mi ignora, e posso assicurarvi che è molto peggio.
Ogni volta mi sono sentito un fallito, un niente.
Se non sono mai riuscito nemmeno a parlarle, vuol dire che non so fare il mio  lavoro.
Forse.. anzi, sicuramente, ho bisogno di aiuto!
Grazia non parla, mi aiuta moralmente, ma non risolve nulla!
Nessun altro, oltre lei, mi è così amico in quella scuola…
Ammetto che gli studenti sono molto comprensivi e cercano di aiutarmi, ma invano.
Eppure so che qualcuno c’è e mi può aiutare.
Ma chi?
 
-MELINAAAAA!!-
-Francesca non urlare!-
La ragazza non mi da ascolto, si fionda verso la poveretta che è appena sbucata da dietro la porta.
Se la sbaciucchia tutta, mentre alcuni ragazzi si avvicinano per poterla salutare.
Melina? Ma chi è? Non mi è nuovo questo nome.
Comunque non mi lascio prendere dalla curiosità e continuo a mettere i voti sui registri.
-Ciao Luca, ciao Roberto-
-Ciao Freud!-
-Robby smettila di chiamarla così!!-
Freud!? Adesso ricordo!
Mi alzo dalla sedia –Ragazzi, tutti al posto!-
-Ma proffi è arrivata Mel!-
-Un attimo professò!-
Sospiro, non mi danno mai retta quando c’è da lavorare.
Mi faccio spazio tra il gruppetto di amici creatosi sulla porta.
Sono sempre i soliti: Francesca, Luca, Roberto, Ilaria e Graziana.
Al centro si trova lei, la ragazzina che difesi mesi fa, Melina, detta Freud.
-Salve! Ci conosciamo già, vero?-
-Si, professore, di vista-
Sorride guardandomi dal basso verso l’alto (non è molto sviluppata in quanto statura).
E’ vestita in modo alquanto bislacco, ma non è cambiata per niente dall’ultima volta che l'ho vista.
-Lei è uno di quei professori che amano il suo lavoro, pur di portarlo a termine s’è fatto amico gli studenti, vedo-
Osserva intorno a se, entrando in classe.
Ogni tanto abbassa il capo e chiude gli occhi per salutare qualcuno.
Lo devo dire, si comporta in modo strano per la sua età.
-Esatto, lei ha un grande spirito di osservatrice. Ragazzi, tornate a lavorare, su-
Gli studenti, sbuffando, tornano ai loro posti.
Io e Melina usciamo dalla classe e continuiamo a parlare –Come mai qui?-
-Visito i vecchi compagni di avventure. Tu come stai?-
Improvvisamente mi da del tu, ma non mi da fastidio... sono sicuro che lei lo sapeva già.
-Bene!-
-E Pamela? Come sta?-
Come fa a sapere di Pamela? Ah si, lei era una sua compagna di classe.
-Non sai nulla di lei, vero?-
Annuisco.
E’ come se riesce a leggermi dentro, solo osservandomi.
-Scommetto che hai già provato a parlarle, ma lei ti rifiuta-
Pur essendo molto più grande di lei mi sento impotente e inesperto sotto (o meglio, sopra) il suo sguardo.
-Beh, se per rifiutare intendi ignorarmi completamente, si, mi rifiuta!-
Alza le folte sopracciglia e fa una faccia tra il sorpreso e il “Lo sapevo”.
Non riesco a descriverla o a capirla, è davvero strana!
-E’ già passata alla fase “Tu non esisti” allora- dice, facendo gesto delle virgolette.
E’ davvero incredibile! Sa tutto, di Pamela, di me, di chiunque le si pari davanti!
Forse lei mi può aiutare, conosce persino il passato della ragazza... ma probabilmente non me lo dirà.
-Tu... sai qualcosa di quello che le è successo?-
Annuisce e mette le mani in tasca, alzando le spalle 
–E' una storia complicata, lei te la deve raccontare, quando vorrà... se vorrà-
Ho un dejavu.
Sospiro –Sono mesi che cerco di parlarle-
-Non lo farà mai, a meno che…-
-Cosa?-
Fa una pausa e mi osserva, mi scruta, cerca di capire qualcosa di me che nemmeno io conosco.
-Ci deve essere un elemento in te che le ricorda quell’evento nel suo passato-
-Quale evento?-
Si gratta la testa e pensa, cercando di ricordare.
Farfuglia qualcosa di cui non capisco niente.
Insomma, sono un professore di discipline pittoriche, non uno psicologo!
-Forse la chiave è la barba!- dice infine, ignorando la mia domanda.
Mi tocco la mia barba istintivamente.
No eh! Io non mi raserò mai, nemmeno per scherzo!
-Non ti preoccupare, potresti… che ne so… metterti una sciarpa!-
-Ma per fare cosa? Non capisco!-
-Per parlarle!-
La guardo accigliata.
In pratica dovrei mettermi una sciarpa per nascondere il mio barbone,
avvicinarmi a Pamela e cercare di parlarle, senza che lei mi ignori o mi cacci via urlando “Aiuto un maniaco”!
Ma che assurda pagliacciata è questa?
-Senta- siamo ritornati al lei, vedo –Le potrà sembrare strano, ma fare il professore consiste anche in questo… credo-
Alza un sopracciglio e guarda a terra, per un bel po’ di tempo.
E' buffissima quanto strana –Iuuhuu?? Sono qui!- le passo una mano davanti gli occhi.
Mi guarda e scoppia a ridere –Certo che lei è proprio strano per essere un professore!-
Da che pulpito! Ha usato il mio stesso termine... strano.
Si, secondo me legge nel pensiero.
Sospiro e le parlo con un tono calmo –Sei sicura che funzionerà?-
-No- dice tranquilla.
-Fammi capire: Dovrei travestirmi per cercare di ottenere la fiducia di Pamela, con l’alta probabilità che lei mi cacci via urlando,
seguendo il consiglio di una ragazzina che non sa quel che dice, no?-
-Esatto! La mente umana è varia e gli psicologi ne conoscono solo una minima parte, almeno secondo il mio modestissimo e insignificante parere! Mi chiamano Freud, ma mi ritengo soltanto una che sa usare bene gli occhi,
perché ogni tipo di diagnosi psicologica consiste nell’osservare e comprendere che..-
-Ferma ferma ferma! Ho capito, non c’è bisogno di continuare la spiegazione!-
La ragazza mi sorride –Sei davvero simpatico!-
-E tu sei completamente pazza! Ma mi servi, devi aiutarmi-
-Domani ci sarà al comune un concerto dedicato a John Lennon, la aspetto li- e se ne va,
salutando i compagni e prendendo appuntamenti fuori dalla scuola, nel pomeriggio.
Perché dovrei andare al concerto dedicato a John Lennon?
E che c’entra, poi, col discorso che stavamo facendo?
Boh, chi capisce quella pazzoide è bravo.
Ritorno alla cattedra e guardo Pamela, in fondo all’aula, nascosta e silenziosa, che lavora.
Presto si confiderà con me, ne sono sicuro.


Mondo Nutopiano:
Vi starete chiedendo (ma anche no) "Ma Melina è veramente così?" NO.
O almeno in parte, mi serve un personaggio un po'... egocentrico, in questa storia :3
Comunque (cominciamo presto con questi comunque), 
ho scelto come titolo "HELP! I need somebody" perchè:
1- In onore dei Beatles.
2- Vino, effettivamente, ha bisogno di qualcuno che l'aiuti
(che, alla fine, si rivelerà essere ME *w*).
3- Parte della storia è ambientata al 7 Dicembre del '91, quindi è anche in ricordo del piccolo grande Lennon.
*asciuga lacrimuccia*
Bene, ho finito, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, presto continuerò.
[Il prossimo sarà una specie di... "continua" del corrente capitolo (Oh oh, che arguto linguaggio che uso!) :3]
E scusatemi per la brevità del capitolo (scritto in fretta e furia, lo ammetto).

Peace & Love.
MelinAnima.


*Piccolo spazio pubblicitario*
Ringrazio: Morning Moon (la mia adoVata)
e Diami!
Ma dove sono finite tutte?!
Va beh, ringrazio anche loro, _Martha e Fujiko,
CHE SPERO MI DICANO COSA NE PENSANO ALMENO DI QUESTO CAPITOLO è.é
Grazie anche a chi legge soltanto (chachot, so che sei li!) ^^

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Capitolo 5
*** La gabbia dell'omertà. ***


QUESTO CAPITOLO E' DEDICATO AD ELEONORA, SPERO LE PIACCIA.
GRAZIE PER I DISEGNI DI PITTURA ELE! ;)



La gabbia dell'omertà


8 Dicembre.
 
Mi avvicino a Grazia, senza farmi vedere.
Appena sono dietro di lei esclamo -Vuoi venire con me?!- e, come previsto, lei si spaventa.
Sono diabolico.
-Francesco sei sempre il solito, miseriaccia m’hai fatto cadere il caffè!-
Ops. Diabolico e pasticcione!
Va beh, tanto puliranno i bidelli.
-Te lo ripago se tu verrai!-
Lei sorride e si volta verso Maria, la bidella soprannominata “Mercoledì”, in onore della famiglia Adams, 
che si sta avvicinando con la sua solita aria sprizzante di gioia.
E’ così allegra che ti viene la voglia di tagliarti le vene!
-Scusa, Maria, puoi pulire?- chiede la collega.
-E’ il mio lavoro-
Grazia si volta di nuovo verso di me, facendo una smorfia per la gentilezza della bidella.
-Allora, a che ora ci dobbiamo vedere?- mi chiede con l’aria da saputella.
-Non sei curiosa di sapere dove ti porto?-
-No, perché lo so-
-Ah!- sbotto, alzando le sopracciglia –E come lo sai?-
In realtà non m’interessa, ma non mi piace fare la parte di quello che cade dalle nuvole.
Grazia mi guarda con un’espressione strana, come per dire “Vieni da Marte?”.
Nonostante volessi evitarlo, sono riuscito comunque a far la parte del cretino.
-Del concerto dedicato a John Lennon si sapeva da un anno ormai!-
-Addirittura! Sei la solita esagerata- come se per pubblicizzare un concerto si cominciasse un anno prima!
-E’ vero!- dice ridacchiando –Dovevano farlo l’anno scorso, ma ci sono stati… degli impedimenti e l’hanno rinviato-
In effetti mi sembrava strano che facessero un concerto dedicato al musicista, 11 anni dopo la morte.
-Capito? Non sono io essere anticipataria, sei tu il solito ritardato!- aggiunge,
picchiettandomi due dita sulla fronte e ridacchiando. Sorrido al suo comportamento.
Ricordo che me lo diceva spesso, “ritardato”, sempre con quel gesto delle due dita sulla mia fronte,
ed io ribattevo spesso con un “Smettila”.
Ma è passato tanto tempo e io non ho più secondi a disposizione per ricordare, dato che devo tornare in classe.
-Vengo a prenderti a casa tua allora?-
-Scordatelo! Non è un appuntamento galante!-
Corrugo la fronte.. e anche se lo fosse? Come mai tutto questo astio?
Ma non importa, devo muovermi!
–Ok… Allora ci vediamo direttamente al comune, un’oretta prima del concerto,
ti devo raccontare un po’ di novità- le do i 40 centesimi per il caffè in mano.
-Sembri una vecchia borghese che vuole spettegolare, ma ok, ci vediamo li!-
-A chi hai dato della borghese?!-
-Vai in classe, Francesco, è tardi- dice ridendo.
 
Sono arrivato, speriamo di non essere in ritardo.
Il grande palazzo alle mie spalle è occupato da un piccolo palco e qualche manifesto di pace.
I tecnici stanno ancora lavorando ma la piccola folla sulla piazza comincia a crescere.
Tanto per passare il tempo mi avvicino al manifesto del concerto, dove stanno scritti tutti i nomi dei gruppi e cantanti che si alterneranno sul palco stasera.
Non vedo nessuno conosciuto.
Mi ritorna in mente il mio vecchio compagno di classe Enzo Gemaldo, che faceva parte di una cover band dei Beatles e ogni tanto facevano anche qualche canzone di John Lennon solista.
Erano bravi, non ricordo come si chiamavano, ma ho assistito a un sacco di prove pre-concerto!
Chissà se stasera c’è… non credo mi riconoscerà.
Ma Grazia si, sicuramente! Lei non è cambiata per niente negli anni.
Sempre vestita in modo comodo (un po’ troppo bislacco per una professoressa) e
con l’aria da saputella, che tanto aria non era... mi ha sempre dato del filo da torcere!
Ricordo che potevamo discutere per ore su tutti gli argomenti possibili e immaginabili.
Una volta nel bus che ci stava riportando a casa da una gita scolastica, per tre ore abbiamo parlato solo di società…
e per le quattro rimanenti di politica e storia.
La religione l’abbiamo sempre riservata per quando stavamo soli, senza volerlo.
E’ come se quell’argomento fosse più intimo rispetto a tutti gli altri.
E forse lo era.
Forse perché entrambi avevamo ricevuto un’educazione diversa dai nostri coetanei,
sempre così fedeli al loro dio, vissuti in mondi diversi da sempre.
Prima di conoscerci nessuno dei due pensava al “boss” senza fare una smorfia di ribrezzo.
Poi, abbiamo accennato all’argomento, sempre più spesso, in modo sempre più riflessivo.
Come se uno dei due fosse una pallina e l’altro il suo riflesso, su uno specchio orizzontale.
Ci scontravamo, rimbalzavamo e ritornavamo a scontrarci, come se nulla fosse cambiato.
Il discorso lasciato in sospeso in aria.
La forza di attrazione che spingeva l’uno verso l’altra era la gravità.
Lo specchio, beh… quello non so ancora cosa possa essere.
Il piccolo spessore che ci divideva ma che ci rendeva uguali, 
potrebbe essere stato il nostro simile passato, l’amicizia, i pareri della gente.
Quello specchio che non ci ha mai permesso di andare oltre.
Mi chiedo cosa sarebbe potuto succedere se quel limite si fosse rotto.
-Mi dispiace interrompere la tua trance, so quanto sia bello entrare in quel mondo magico dei pensieri,
nel momento in cui il cervello sembra spegnersi, tutto sparisce, 
e uscirne bruscamente con una voce nasale e infantile come la mia, 
ma se hai notato sono arrivata! Quindi ciao- eccome se ti ho notata!
-Dovevi fare tutta questa introduzione per dire un “ciao”?-
-A quanto pare si, non posso perdere tutto lo charme per un misero “ciao”- dice
pavoneggiandosi 
in modo eccessivamente teatrale.
Ridacchio al suo solito, strambo, comportamento e indico l’enorme sciarpa che ho al collo.
-L’ho vista, l’ho vista, hai fatto bene a metterla, la barba è molto meno evidente!-
A questo punto posso chiederle cosa ha in mente –Mi spiegheresti il tuo “piano”?- dico, facendo segno delle virgolette. 
Lei alza un sopracciglio e fa una smorfia –“Piano”?- dice ripetendo il mio gesto.
Ma come, non ha un piano?
-Buonasera!- Grazia mi fa sussultare poggiando una mano sulla mia schiena.
-Questa era la vendetta per stamattina?- rispondo al suo solare sorriso.
-Forse- dice, poi guarda Melina e esclama –Sapevo che saresti venuta!-
La ragazza alza le spalle, perdendo un po’ della sfacciataggine che aveva con me –E’ una mia passione!-
-Ah, quindi ti piace John Lennon?- chiedo sorpreso.
Pensavo fosse venuta qui solo per me… faccio paura, non posso essere così egocentrico!
Grazia interviene –Non hai visto i suoi occhiali tondi?-
Melina sorride e tira fuori il fodero dalla tasca del grande giubbotto nero che indossa.
Dall’interno del fodero mostra gli occhiali in titanio, leggeri, eleganti e rigorosamente tondi.
Dopo avermeli passati sotto il naso li indossa e i suoi occhi sembrano diventare più piccoli.
Adesso somiglia molto di più a John Lennon!
-Allora!- John Lennon/Freud si strofina le mani sorridendo –Intanto che aspettiamo volevo parlarti…-
Poi guarda Grazia –Anzi, parlarvi!-
Finalmente! E’ arrivato il momento delle spiegazioni.
-Immagino vi starete chiedendo: perché siamo qui?-
-Immagini male- dice Grazia ridacchiando –Io sono qui per il concerto!-
Per la prima volta Freud ha fatto cilecca.
Mi guarda –Non le hai detto niente?-
Vuole incolpare me?! Oh bella questa!
Comincia uno scambio di battute, di cui Grazia non capisce molto..
-A chi?-
-A lei!-
-Che dovevo dirle?!-
-Quello che ci siamo detti ieri!-
-Ma perché avrei dovuto? Non le riguarda!-
-Ma che dici! E’ la tua migliore amica, è ovvio che vi diciate tutto!-
-Non significa niente-
-Scusate, potrei chiedervi…-
-Scusi lei, per l’interruzione, prof, ma il signore qui presente non vuole capire che,
dato che lei è una sua collega, dovrebbe sapere i progressi o recessi psicologici della sua alunna!-
Non ho seguito bene l’ultimo passaggio.
Grazia mi guarda interrogativa.
Credevo che avremmo avuto il tempo di parlare prima del concerto,
senza nessuno psicologo o collega curioso nei paraggi.
Insomma, gliel’avrei detto, ma in circostanze più private!
Sospiro e le spiego tutto quello che ci siamo detti ieri io e Melina. 
Quest’ultima annuisce convinta, ogni tanto mi corregge e alla fine esclama –E questo è tutto!-
Grazia allora dice –Ho capito le tue intenzioni, Melina-
-Eccellente- dice la ragazzina sorridendo.
Anch'io ho capito.
Ho capito che sono l’unico che non ha capito niente!
Le due cominciano a conversare, come se io non esistessi.
Ciò mi fa innervosire, ma comunque assisto muto alla scena.
-Credo non sia il caso- dice Grazia poco convinta.
-Perché? E’ un piano perfetto, ha anche la sciarpa!-
-Ma lei ha avuto un trauma, Melina, non può guarire da un giorno all’altro!-
-Non deve guarire, solo migliorare. Da certi traumi non si guarisce!-
-E’ rischioso-
-Rischieremo-
-Io mi astengo allora!- esclamo alzando le mani.
Melina mi guarda sorpresa –Cosa?!-
-Come cosa! Non ho neanche capito qual è il tuo piano,
dovrei rischiare “non-so-cosa” per non farmi riconoscere da “non-so-chi”
e farlo migliorare da “non-so-quale-tra…-
Pronunciando queste parole la mia mente s’illumina.
E’ come se mi sono svegliato da un sonnellino pomeridiano e la mia mente ricomincia a ragionare.
Si, perché ora ho capito le intenzioni di Melina!
-…Pamela è qui?- le chiedo, lasciando sospesa la frase precedente.
Melina annuisce leggermente turbata, poi chiede –Sul serio ti astieni?-
La sua voce ha un tono deluso, quasi disperato.
Forse perché se io non faccio quello che dovrei fare, Pamela resterà nella sua gabbia.
Reclusa per sempre nel suo passato, senza vie di scampo.
Mentre io, che a quanto pare sono l’unico che può aiutarla, mi tiro indietro, per paura di aggravare la situazione.
Ma non è detto che faccia male!
Grazia ha ragione, dobbiamo lasciare tutto com’è.
Pamela è paragonabile a una sonnambula:
Vive un incubo continuo, agendo senza volere.
Ma svegliare un sonnambulo è molto pericoloso.
Sul palco appare il presentatore del concerto, che comincia a parlare.
Io lo ignoro e rispondo alla domanda.
-Melina, credo che la professoressa Colucci abbia ragione, è troppo rischioso!-
La ragazza sospira tristemente.
Guardo Grazia, che stira le labbra in una mesta smorfia e poggia una mano sulla mia spalla.
-Io..- comincia a parlare Melina -..conosco Pamela da quando avevo tredici anni. E’ sempre stata una ragazza solare, amante della vita, se ne fregava della diversità tra le persone, aveva una mente aperta a tutto ed era curiosa come un neonato-
Mentre parla, i musicisti sul palco cominciano a suonare una stupenda canzone, che sembra calzare a pennello con le sue parole: “In my life”, dei Beatles.
Melina sussulta alle prime note della chitarra, ma continua il suo discorso aggiustandosi gli occhiali e sorridendo.
-Lei era mia amica, anzi, era l’amica di tutti, pronta ad aiutarti quando avevi bisogno.-
Improvvisamente si rattrista e strizza gli occhi.
-Ma..- sento la sua voce tremare -..il primo giorno di scuola del terzo anno, tutto è cambiato.
Pamela era cambiata.
Fredda, silenziosa, sembrava una lapide decadente,
perché ogni giorno che passava perdeva un pezzo della Pamela che avevo conosciuto due anni prima.
Il nostro rapporto si logorò piano piano… e non l’abbiamo mai recuperato-
vedo che ha gli occhi lucidi e sospiro, lei se ne accorge e abbassa il capo.
Ecco perchè si impegna tanto per Pamela.
Nella mia immaginazione si accavallano domande su domande,
le stesse che mi ponevo all’inizio dell’anno scolastico,
quando non avevo ancora imparato a “fregarmene” un po’ 
dei problemi di quella ragazza.
-Non parlò per un quadrimestre intero, rischiava di essere bocciata perché non studiava più!
Alla fine io e i ragazzi della allora terza B decidemmo di parlarle.
Lei non voleva, ma insistemmo a lungo, in modo anche feroce, era una piccola terapia,
per farla uscire dal mondo muto che si era creata.
Dala gabbia dell'omertà.
Così, in lacrime e… con una disperazione che mai, e dico mai, ho mai sentito in vita mia,
ci raccontò cosa successe quell’estate per colpa di un frate bastardo...-
-Cosa!?- chiedo impaziente.
Melina mi guarda, fredda, ma non parla.
Un frate, oltretutto bastardo, cosa può aver fatto?
Un'idea terribile e perversa si fa strada nella mia mente,
ho sentito tante notizie su uomini di chiesa che facevano del male a ragazzi innocenti, ma...
No, non devo fare teorie assurde, devo sapere!
-Cosa?- ripeto, più forte, mentre la canzone dal palco termina e il pubblico applaude.
Grazia s’intromette e dice soltanto –Melina..- con uno sguardo supplichevole.
Non vuole che me lo dica.
Ma ora mi sono stancato, voglio saperlo, devo saperlo.
-Dimmelo, Melina.-
Guardo le sue pupille che sembrano tremare.
Il suo sguardo perde la freddezza di sempre e le sue folte sopracciglia creano una fossetta sulla fronte.
Forse la mia teoria non era del tutto assurda...
E ne ho la conferma un attimo dopo.
Le parole di Melina rimbombano nella mia testa come un eco lontano:
-E’ stata violentata-

 
Mondo Nutopiano:
*parte musichetta inquietante*
Contente adesso?
Sapete cosa è successo.
Pamela è stata violentata.
E Francesco non l'ha ancora salvata.
Nel prossimo capitolo saprete.
Come la ragazza caccerà via...
via... boh, non mi viene la rima!
Si, io odio le rime!

Peace & Love.
MelinAnima.


*Piccolo spazio pubblicitario*
Ora, parlando sul serio, le ragazza che elenco sono BRAVISSIME.
se volete leggere qualcosa d'amore andate pure da Morning Moon,
se, invece, qualcosa di introspettivo (*w*) accomodatevi da Fujiko,
infine, se siete amanti del divertente/demenziale, correte da LLawliet!
_Martha non scrive, quindi non so che dirvi!
Vi ringrazio, siete fantastici, voi che recesite o leggete soltanto *asciuga lacrimuccia*

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Capitolo 6
*** Non si smette mai di farsi domande. ***


Non si smette mai di farsi domande


Il sapore amaro del caffè scorre sulla lingua e scende per tutto il mio corpo.
Sento il calore della bevanda e chiudo gli occhi per gustarmela meglio.
Dopo quello che ho passato stasera ho bisogno di calmare i nervi
e placare questo fastidioso ticchettio lento nella mia testa.
 
-Allora, soci?-
Mi tende la mano ed io sorrido.
-Soci? Scherzi. E’ una faccenda che devo risolvere io!-
Lei sembra innervosirsi, mentre Grazia spalanca le palpebre –Allora lo vuoi fare!-
-Si- rispondo –Sono l’unico che la può aiutare-
-Ma io posso aiutare te!- esclama fredda Melina, facendomi segno di stringerle la mano appesa.
Guardo la sua piccola mano.
Ha ragione, lei conosce Pamela, la sua storia e poi sembra esperta in questo campo.
Senza di lei sarei in un campo minato.
Stringo quella manina ossuta, mentre Melina sorride.
La sua stretta è impercettibile, sembra che stia semplicemente poggiando la mano, senza ricambiare il gesto.
Temendo di stringere troppo forte lascio quasi subito la presa.
Grazia esclama –Mi astengo da qualunque cosa voi facciate!-
-Peccato-
Io rimango zitto e fisso il viso della ragazzina con troppa insistenza.
Solo adesso noto quanto pallida e magra sia, fa quasi impressione quel viso giovane ma ricco di ombre.
Per un attimo penso che sia malata, anche morta, ma poi torno alla realtà,
concentrandomi su quel che posso dire a una ragazza violentata che non vuole parlarmi.
Melina si aggiusta gli occhiali sul naso e comincia a parlare a voce alta.
-Conoscendo Pamela dovrebbe trovarsi sotto il palco a bere, ma…- e si ferma.
Passano pochi minuti. Un nuovo gruppo, formato da chitarra e cantante, sale sul palco tra gli applausi.
-La sua mente ha perso l’equilibrio di una volta, adesso potrebbe trovarsi ovunque-
Fantastico, siamo al punto di partenza.
Mi guardo intorno nella speranza di trovarla, ma la gente è troppa e non vedo nessuna chioma riccia.
Pamela dove sei?
-Non ti scoraggiare, scommetto che si trova a nord est della piazza, lontana dalla folla e da te-
Prima non sa dove si potrebbe trovare e dopo mi da anche le coordinate geografiche…
Ma cosa mi stupisco a fare? E’ risaputo quanto pazza sia questa Freud!
Lei comincia a incamminarsi, facendomi segno di seguirla.
Io invece mi volto verso Grazia, che sta ascoltando la sua canzone preferita, “Julia”.
Il suo sorriso sereno sul volto sembra nascondere una lieve preoccupazione.
Per non disturbarla troppo mi avvicino al suo orecchio e le dico
-Ci vediamo dopo-
 
In fondo, l’avevo pur sempre invitata io al concerto.
Cosa mi è saltato in mente?
Abbandonarla nel bel mezzo della sua canzone preferita e non farmi più vedere per il resto della serata.
Per non parlare della causa di tutto questo: una ragazzina pazza e un’altra traumatizzata.
Sono uno stupido e il caffè sta facendo effetto.
Lascio i soldi sul bancone e esco dal locale.
Mi ritrovo nella piazza davanti al comune deserta, dove poche ore fa si è svolto il concerto.
E’ buio qui fuori e fa freddo, così mi affretto.
Voglio solo andare a casa mia.
 
Avanzo veloce, spingendo le persone, seguendo Melina e coprendomi sempre di più con la sciarpa.
Avanzo senza titubare, non ascoltando l’ansia e il buonsenso che mi dicono di tornare da Grazia e finire di vedere il concerto con lei, magari mangiandoci una pizza, ma poi…
Eccola, sorridente e un po’ brilla, balla a tempo di “Help” insieme ad alcuni compagni molto più grandi di lei,
forse si è fatta una canna.
Non è troppo tardi per tornare indietro, Francesco.
Adesso fermo Melina e le dico che è tutta una pazzia, si!
-Pamela!- la voce di quest’ultima, però, spazza via ogni mio piano.
Si volta e sorride, ma vedendomi si fa seria.
Urlerà, mi arresteranno, verrò licenziato, morirò solo e povero.
-Ciao Mel! Fai conquiste con un adulto??-
Arrossisco violentemente, Melina balbetta un “no” e poi dice –Come stai?-
Pamela molleggia e muove la testa in tutte le direzioni,
forse si è dimenticata di avere una spina dorsale.
-E’ inutile che me lo chiedi, da qualche mio strano comportamento avrai già capito come sto!-
Questa è buona.
-Comunque sto completamente fatta! Vuoi una birra? Sono quelle buone, tedesche, col nome strano…-
-No, passo!- Melina si volta verso di me con aria smarrita.
Per una volta non sa che fare, è il momento che intervenga.
-Ti piace il concerto?-
Tutto questo è inutile, è ubriaca fradicia!
-Quale concerto, Mel?! Ahahah- come può credere che sia lei a parlare?
Faccio per passarle una mano davanti agli occhi ma Melina mi ferma e abbassa l'arto velocemente.
-Hai bevuto troppo Pamela!- fa finta di ridere, in realtà mi sta guardando con rimprovero.
Cosa vuoi che ne sappia io se posso o no passarle una mano davanti agli occhi?!
E poi, ho la voce così acuta da farla sembrare quella di una ragazzina?
Mi nascondo un po’ di più nella sciarpa dall’imbarazzo.
 
E poi c’è stato il grande passo avanti, quello che mi ha fatto capire quanto grave sia la sua situazione!
Sento ancora il sapore del caffè in bocca, non riesco proprio a dormire.
Mi rigiro nel letto nella speranza di trovare una posizione comoda,
non riuscendoci mi alzo e vado a prendere un foglio.
Mi siedo vicino al letto con la carta sulle gambe,
da sotto il materasso prendo una scatola e tiro fuori il mio strumento preferito:
La mia prima matita.
Faccio fatica a disegnare, perché è molto consumata, ma le linee che traccio sono precise.
Era da tanto tempo che non disegnavo.
 
-Lascia che ti presenti Francesco! E’ un mio caro amico ed è anche il tuo professore di pittura!-
Perché mi presenta? E in questo modo poi.
Forse ho capito:
Ora che Pamela è ubriaca e divertita ha dimenticato tutta la storia che mi riguarda,
così Melina sta approfittando per ripresentarmi a lei in altre vesti.
In pratica con la barba nascosta.
Che assurdità!!
-Piacere di conoscerla, professò! Lei è molto bravo sa?-
Ma dopo? Non potrò per sempre tenere una sciarpa al collo!
Pamela continua a ballare nonostante la musica sia finita.
-P-piacere mio!-
Melina mi sorride soddisfatta e dice –Bene, buona continuazione!-
Già ce ne dobbiamo andare!?
-Un attimo Mel! Volevo dire una cosa al professò!-
La canzone che mandano dal palco è “Strawberry Fields Forever” in versione acustica.
Bellissima.
-Dimmi Pamela-
-Sei uno stronzo-
 
Continuo a tracciare le linee del mio immaginario sul foglio,
riproducendo il disegno che mi ha fatto conoscere “Pamela”.
La ragazza pelata circondata dal filo spinato, i visi pallidi e tristi intorno a lei,
i rivoli di sangue appena accennati e lo sfondo nero calcato.
Disegno, come ha disegnato lei, nella speranza di poterla capire.
Finchè la situazione non si risolverà non riuscirò a darmi pace.
Questa storia riguarda anche me.
C'è solo una soluzione.

 
10 Dicembre.
 
Eccola, è appena entrata.
Mi vede, si avvicina.
E’ ancora più pallida del solito.
Io mi volto e vado verso la mia classe, ignorandola.
-Professore!- ma lei mi chiama e mi costringe a fermarmi.
Non mi volto, sento che ha il fiatone, nonostante abbia corso per pochissimo tempo.
-Mi dispiace averla fatta litigare con la professoressa…-
Come fa a sapere di me e Grazia?
-Però con Pamela ha fatto grandi passi avanti, d’ora in poi sarà tutto più..-
-Pamela ha bisogno di uno psicologo-
-Ma professore!-
Mi giro verso di lei e chiudo gli occhi dalla sorpresa e dallo spavento.
Tossisco un po’ e le dico –Hai un occhio rosso-
Lei si porta una mano sull’occhio ed esclama –Oh no...-
-Melina, qualsiasi cosa tu abbia in mente, abbandonala.
Non ho più intenzione di rendermi ridicolo.
Pamela ha un problema e deve andare da un professionista.
Tu non lo sei, non si può fidare di te!-
Per lei sono parole amare.
Rimane un attimo in silenzio.
Approfitto della situazione per andare in classe.
Ma, di nuovo, le mi blocca.
-Voglio solo aiutare una mia amica-
-Fidati, l’aiuteresti anche solo procurandole uno psicologo!-
-Non ci andrà mai, lo vuoi capire!? Chi credi che l’abbia aiutata tutti questi anni?!
Uno strizzacervelli con la laurea oppure le persone che le stavano affianco?
Pensi di sapere tutto di noi, solo perché sei un adulto.
La realtà è che Pamela ha bisogno di te, più di chiunque altro.
L’abbiamo fatto una volta, quando il ricordo era più vivo,
lo faremo anche una seconda-
Si è stancata a parlare e ha il fiatone.
Mi spavento quando vedo che la mano sull'occhio è sporca di sangue.
Ma che le prende?
-Melina-
La sento sussultare e sussurrare –Tu non sei egoista, vero?-
Un ragazzo passa e ci guarda curioso, ma poi alza le spalle e se ne va.
Perché tutta questa tristezza nel suo volto?
-Dimmi che ci aiuterai-
Dal suo tono capisco che vuole dirmi qualcosa di più, lo fa con quegli occhi verde bosco.
“Aiutami” sembrano urlare.
Mi avvicino lentamente e le accarezzo una guancia.
So che non dovrei essere così confidenziale con lei,
ma in questo momento non riesco a non consolarla per qualcosa che non conosco.
Piangi, Melina, fallo e ti sentirai meglio.
Ma la piccola Freud questo mio pensiero non lo intuisce.
Le tolgo la mano dall'occhio, che sta versando sangue.
Le pulisco una lacrima rossa e sospiro.
Lei rimane impassibile, ha già capito che la aiuterò.
Mi fissa, nel suo pallore gli occhi sembrano più grandi e le occhiaie più profonde.
Rabbrividisco.
-Vai a riposarti, non sono un medico, ma si vede che non stai bene-
 
-Avete ascoltato il concerto dedicato a John Lennon avanti ieri, prof?-
Poso la penna e mi poggio sulla cattedra –No-
-Ma se vi ho visto!- esclama Nunzia.
-Ero li. Ma non l’ho ascoltato. Tornate a lavorare, ragazzi-
Torno a sedermi sulla sedia, oggi non riesco a trovare un mio posto.
I ricordi sfocati di quella sera mi ritornano in mente, uno alla volta.
Poi quello che mi ha detto Melina stamattina, il suo viso martoriato, forse dal sonno oppure…
No, non posso pensare che sia malata.
E’ così vivace, forte, troppo giovane per potersi ammalare così facilmente!
Eppure…
-Professore- la voce profonda di Francesca “la grande” mi risveglia dai pensieri.
-C’è qualcosa che non va?-
-Nulla- provo a sorriderle, lei ricambia ma non è convinta.
-Se ne volete parlare sapete che sono disponibile-
Non è la prima volta che me lo dice.
E’ una brava ragazza, quando può aiuta le persone.
-Pensavo a Pamela-
Mento.
-Ancora?-
Annuisco con una smorfia.
Lei si avvicina un po’ di più e mi dice, incastrando quelle sue pupille nerissime con le mie:
-Conosco Pamela, lei lo sa, abbiamo già affrontato il suo problema, quando accadde.
Si può fidare di me, qualsiasi cosa Pamela faccia o dica per allontanarla,
lei deve utilizzarla per poterla avvicinare e… migliorare-
Forse questo è il consiglio migliore che mi sia mai stato dato dall’inizio dell’anno.
-Vedrò di… migliorarla-
Francesca sorride –Non stia depresso, su!-
-Non lo sono!-
Ridacchia e con voce infantile dice –Sicuro proffi??-
Ancora una volta Melina.
Dannazione la voglia di sapere è troppa!
-Cos’ha?!-
-Chi?-
-Melina!-
-Cos’ha Melina?-
-Non lo so, te l’ho chiesto apposta!-
-I-io non lo so!-
-Menti!-
-Scusi prof ma non posso…-
-Mi sono stufato di tutti questi segreti-
-Sono fatti privati-
-E’ dall’inizio dell’anno che non riesco a vivere una situazione totalmente pacifica in questa classe-
-Si fidi, non è il primo-
-Voglio sapere, Francesca-
-BUONGIORNO!- la voce tranquillissima di Mimmo fa irruzione nella classe.
Poi lo vedo entrare con un foglio in mano.
Francesca fila al suo posto di nascosto.
-Non mi sfuggi, Natretta!- le dico.
Lei ridacchia e torna a lavorare.
Mimmo mi porge il foglio e richiamo l'attenzione della classe.
Oh no. Ci mancava solo questa!
-Ragazzi, dobbiamo organizzare una mostra!-
Un boato mi invade le orecchie -SIIIII!!!-
NOOOOOO.


Mondo Nutopiano:
AHAH IL CAPITOLO PIU' SCHIFOSO EHEH.
Dopo tanto, mattanto tempo, sono tornatah.
Però solo per un capitolo,
tra Kamì (la mia Schifezza su DragonBall)
e questo capitolo che non riuscivo proprio a scrivere,
ho praticamente abbandonato la storia che devo pubblicare!
[E si, pubblico una storia MUWAHAH]
Ma venendo al capitolo:
L'ho chiamato così perchè il professore si pone un sacco di domande.
Esplicite e non.
E' tutto un po' confusionario, ma è voluto, perchè questo è il capitolo delle domande.
L'unica cosa che spero stia fatta bene è la grammatica e la forma in se.
Tutto il resto è noia.

Ah, si, vi sfido a capire cos'ha Melina!

Pace, Amore e Poc'anzi.
MelinAnima.


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Ho fretta, scusatemi,
però ringrazio tutti coloro che hano recensito,
anche chi ha letto.
Al prossimo capitolo, cioè tra qualche mese! D:

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