Wrong Direction

di Claire Piece
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Impossibile ***
Capitolo 2: *** B2- Combinazioni ***
Capitolo 3: *** B3- Dietro le spalle ***
Capitolo 4: *** B4 - Crostata alla marmellata di fragole ***
Capitolo 5: *** B5 - Cappuccetto Rosso ***
Capitolo 6: *** B6- Insinua ***
Capitolo 7: *** B7- Cristallo ***
Capitolo 8: *** B8- Preda ***
Capitolo 9: *** B9- Creatura ***
Capitolo 10: *** B10- Perdizione ***
Capitolo 11: *** B11- L'evidenza ***
Capitolo 12: *** B12- Il Bivio ***
Capitolo 13: *** B13- Marionetta ***
Capitolo 14: *** B14-Innesto ***
Capitolo 15: *** B15 - Il Re Nero, La Regina e il Re Bianco ***
Capitolo 16: *** B-16 Amore Sospeso ***



Capitolo 1
*** Impossibile ***


                                                                  

 

La seguente Fan Fiction contiene Spoiler.
Tutti i diritti sui personaggi e tutto quello che è riguardante Death Note ed Another Note, è di proprietà degli autori Takeshi Obata, TsugumiOhba e Nisio Isin.   
 
 Grazie per essere qui e buona lettura.

Wrong Direction soundtrack playlist https://open.spotify.com/playlist/0hiiHloi1C3LKQfrQyGXyW

                                Impossibile

Credo che conosciate quel detto: l'amore è cieco. Ecco questo è il mio caso.
Ed io non mi pentirò mai di non aver voluto vedere.

Ho sempre avuto una vita tranquilla, per quello che si può definire tranquillità nella vita di una ragazza di appena diciotto anni.
Mi chiamo Leonor White, vivo in una piccola villetta beige con giardino, in uno dei tanti distretti di Los Angeles, precisamente Brentwood.
Se vi interessa sapere se sono figlia di Angelina Jolie e Brad Pitt, no non lo sono e non sono neanche ricca. Il mio quartiere è molto calmo e siamo tutti, diciamo, benestanti, secondo i parametri e il significato cui si vuole dare alla parola benestante qui a Los Angeles.
Diciamo che nella mia famiglia ci possiamo permettere due macchine, una modesta casa oppure una cucina con fornelli centrali e il frigorifero sempre pieno.
Ovviamente non mancano i soliti vicini ficca naso, che pur avendo loro delle vite disastrate vanno a cercare il disastro e lo scandalo in quelle degli altri.
Sono la figlia di due divorziati, ma non mi soffermerò nemmeno a fare la pantomima della povera ragazza in balia di due genitori snaturati.
I miei sono a posto, non mi fanno mancare niente, né l’affetto, né l’appoggio da genitori, si può dire che per essere due persone che vivono separate, una da un capo della città e l’altra dall’altro capo, sono sempre presenti quando ne ho bisogno.
Mia madre è un architetto, lavora molto, a casa c’è di rado, ma quando c’è non si può fare a meno di non sentirla, non tanto perché parla a raffica senza respirare, di ogni cosa, ma per il fatto che inciampa su ogni oggetto animato o non animato che sia. La mia gatta Molly, ancora urla dal dolore per le infinte volte in cui gli ha schiacciato accidentalmente la coda.
Inciamperebbe anche con l’aria e, ancora più ostinata, insiste ad indossare le scarpe con tacchi vertiginosi. Però è così bella quando scende in cucina la mattina per fare colazione e indossa il suo tajeur lillà, che mette perfettamente in risalto il suo incarnato roseo, i suoi occhi color cobalto, i suoi lineamenti delicati e fa brillare il biondo grano dei suoi capelli acconciati in un ondulato caschetto.
In più è così magra che non riesce a capacitarsi di come possa essere possibile che abbia avuto una figlia. Io sono il suo opposto, ho i capelli talmente scuri da non vedersi il riflesso castano al loro interno, li porto ondulati e lunghi fino alle spalle, è l’unica lunghezza che riesco a tollerare.
I miei occhi sono scuri, quasi allo stesso livello dei miei capelli, la mia carnagione è abbastanza pallida, guardandomi non si direbbe che sono una che vive a Los Angeles e che passa molto del suo tempo al sole.
Fortunatamente ho un fattore fisico in comune con mia madre, la corporatura asciutta e snella e sono ancora più fortunata perchè ho un metabolismo che mi permette di mangiare in maniera indecente.
In pratica nel resto somiglio a mio padre, che ora si trovava a Beverly Hills e viene a trovarmi nei fine settimana se non ho impegni o uscite con amici, ma il più delle volte è lui a saltare gli appuntamenti per via del suo lavoro di poliziotto.


Ricordo che il giorno della mia unica assenza da scuola, dopo anni di diligente presenza, fu segnato dalla pioggia.
Roba da non credere, a Los Angeles non c’è un giorno in cui non ci sia un sole sfacciato a fare da padrone.
Io non vado a scuola e piove!
Credo che come indizio dovesse andare bene per farmi capire che non era giornata, anzi che non sarebbe stata più una delle mie comuni giornate, con lo svegliarmi la mattina e il sapere già cosa fare durante il giorno.
La scuola, i tentativi del coach del club d’atletica leggera di farmi entrare nel suo team con conseguente mio rifiuto, il pranzo in mensa, tornare a casa in bici, i compiti, la cena e poi la lettura.
Io adoro leggere, non c’è cosa che mi renda più felice, che faccia proliferare il mio cervello di fantasie e nuove filosofie, di concetti.
Nella lettura ci sono le migliori lezioni di vita in ogni sua sfumatura.
Anche se posso dire di essere una persona attiva e dinamica, io preferisco di gran lunga allenare la mia materia grigia. Chiunque ora penserà che sono una secchiona, ma no, non lo sono. Me la cavo ma non mi impegno affatto, quello che mi viene imposto lo strozzo giù di forza per il quieto vivere.
Se dovessi riportare a casa di nuovo con una E, non so come potrebbe prenderla mia madre.
L’ultima volta mi minacciò di bruciare tutti i miei libri ed ora, per impedire questa intimidazione, mi sorbisco il sapere per flebo, quel sapere iniettato silenziosamente, che bisogna conoscere per sopravvivere in casa propria.
Le mie letture preferite sono i romanzi storici, i drammi, i racconti misteriosi e quelli che trattano dell’amore.
Sì, sono una romantica inguaribile, ma a vedermi non si direbbe.
L’ultima volta che mi sono presa una cotta, non è andata così bene come nei romanzi che leggo.
Nessuna sintonia, nessun dolce presagio nello sguardo l’uno dell’altra, nessun batticuore per entrambi.
Il tutto era nato in me, solo in me, lui nemmeno mi aveva mai pensato, ero io che leggevo segnali che non esistevano e così un bel giorno, mentre mi avvicinavo per togliere il lucchetto alla mia bici nel parcheggio della scuola, trovo lui, Richard Hill, poggiato sul palo dove avevo incatenato la bicicletta.
Io mi avvicinai, tentennai ovviamente, come un’imbranata, e lui che fece? Versò della coca cola mescolata a qualche altro schifo sul sellino della mia bicicletta!
Rimasi malissimo, le risate dei suoi amici arrivarono in ritardo alle mie orecchie, quasi in differita.
Non ci vidi più.
Mollai un pugno nello stomaco di Richard e scappai velocemente appena sbloccai il lucchetto. Dietro di me sentivo il nicchiare di quell’idiota, che fu come musica per le mie orecchie e mi sentii risarcita del tempo sprecato dietro a uno come lui.
Ora posso dire che l’amore per me rimarrà sempre quello stampato sulle pagine che leggo.
Gli amori che tutti trovano belli e gradevoli sono quelli a lieto fine, dove si finisce per sposarsi e per giurarsi l’amore eterno.
Ma io credo che gli amori più belli, quelli ricordati, i più potenti, siano quelli sospesi.
Dove nessuno dei due amanti rivedrà l’altro, dove non c’è un tutti vissero felici e contenti.
E’ in queste narrazione che c’è la conservazione perfetta dei sentimenti di entrambi, c’è il vero significato del per sempre.

Tornando a parlare della mia pessima giornata, mentre distoglievo gli occhi dalla pagina del libro che stavo leggendo, vidi dalla finestra della mia camera mia madre che rientrava nel vialetto di casa con la sua auto station wagon.
Pioveva a dirotto e qui in California nessun californiano sa cosa sia un ombrello, che forma abbia e come lo si usi. Di conseguenza mia madre, essendosi ambientata così bene qui a Los Angeles, uscì dall’auto correndo velocemente verso la porta di casa.
Io pregai, per tutto il tempo in cui percorreva quel tragitto, che non inciampasse come suo solito e che non scivolasse a causa dell’aggravante di uno scroscio così violento d’acqua.
Appena rientrò la sentii urlare dal piano di sotto il mio nome. “Leooooo!!”
Odio quando mi chiama così, perché storpia il mio nome.
“Sìììì!” Urlai esasperata e senza entusiasmo per aver sentito il mio nome troncato. Poggiai pigra il mio libro aperto sul letto, fin dove ero arrivata a leggere, e scesi di sotto. “Che cosa c’è? Perché urli così tanto?” Dissi appena arrivata in cucina, appoggiando le mani sul ripiano in marmo attaccato ai fornelli.
“Niente tesoro. Volevo sapere se ci fossi. Sai, ho sempre paura di non trovarti o che qualcuno ti rapisca o…” Iniziò la solita storia del -E se ti succedesse qualcosa?-
Io mi innervosivo appena accennava quel discorso, perché ho sempre pensato e penso, che se ci si scervella in negativo, la realtà potrebbe inevitabilmente essere attratta dalla propria negatività. Quindi la arrestai prima che iniziasse a elencare le possibili tragedie che avrebbero potuto colpirmi.
“Stop!! Mamma! Per favore, sto bene. Sono viva e adesso possiamo anche prendere il tè insieme!” Dissi stizzita ma con un’ombra di contentezza nella voce, perché adesso lei era a casa e potevamo stare insieme.
Mentre io e la mamma ci apprestavamo a preparare le tazze e a far bollire l’acqua nel forno a microonde, sentii bussare alla porta. “Vado io!” Disse mia madre mentre si toglieva le sue scarpe decolletè, camminando col rischio di schiantarsi a terra. Ma arrivò a destinazione sana e salva.
Aprì la porta e schiamazzo all’istante “Oh! Jesse! Avanti entra! Eravamo in cucina a prepararci del tè.” Mia madre chiuse la porta e continuò a parlare per tutto il breve percorso dall’uscio alla cucina e, per il sollievo di Jesse, arrivarono in fretta.
Jesse è una mia cara amica. Quando mi trasferii a Los Angeles per via del lavoro di mia madre, fu lei la prima a parlarmi e a farmi ambientare nella mia scuola.
Lei è la classica ragazza americana, capelli biondi con dei boccoli che gli cadono leggeri sul petto, occhi azzurri cielo, labbra rosse, l’unica cosa che le invidio sono le sue forme un po’ più prosperose delle mie, che la rendono più femminile rispetto a me.
E’ una ragazza molto dolce e intelligentissima, al contrario di me lei è un fenomeno a scuola, ma è insofferente a qualsiasi forma di suono acuto e ripetitivo, in quel caso la voce di mia madre la stava facendo impazzire.
Tagliò corto cortesemente, facendo un sorriso esagerato e scimmiottando la voce di mia madre “ Sì. Gradirei questa famosa tazza di tè.”
Facendo così la mamma si distrasse, capendo di essere presa in giro e si mise a trafficare con le tazze.
Poi Jesse portò l’attenzione su di me. “ Allora, come mai oggi non sei venuta a scuola?” Mi domandò mentre si accomodava sull’alto sgabello vicino al ripiano di marmo.
“Non avevo molta voglia e poi ho fatto tutti i test del mese di giugno, quindi direi che mi sono concessa il relax che meritavo. Per me l’anno è finito.” Dissi soddisfatta e sorridendole.
“Mmh, capito e brava la nostra ripetente. Posso accendere la tv?” Jesse pigramente sottolineò il fatto che l’anno prima mi fossi fatta bocciare e che ora eravamo in classi separate. Anche se ci vedevamo comunque per pranzo alla mensa della scuola, non mi aveva perdonato il fatto che avessi ripetuto il quarto anno.
Jesse poi prese il telecomando in mano come se niente fosse. Ormai lei era di casa, chiedeva comunque il permesso, ma solo per un fatto di educazione.
“Sì, tranquilla.” Risposi distrattamente mentre immergevo il filtro del tè nella mia tazza che emanava vapore.
Subito la tv iniziò a sparare le solite notizie macabre e agghiaccianti, proprio quello che ci voleva per un bel pomeriggio piovoso con una donna iperprotettiva e due ragazze in casa.


“Cominciamo parlando delle misteriose aggressioni che hanno colpito molti dei piccoli centri abitati di Los Angeles. L’aggressore agisce seguendo le vittime e immobilizzandole per poi ferirle con quello che si crede sia un coltello, in una diversa parte del corpo, tutto senza apparente motivo.
Chiediamo a tutti i cittadini di prestare molta attenzione e di denunciare o segnalare qualsiasi dettaglio o avvenimento e individuo sospetto.
La polizia è comunque sulle tracce di questo presunto aggressore.
I numeri utili sono…”



Sentii la notizia quasi esasperata, perché ora la mamma avrebbe iniziato a diventare ancora più paranoica di quanto già non lo fosse.
Sbuffai e dissi “Ti prego Jesse, metti qualcos’altro, che ne so, un film, della musica… Davvero non reggo più tutte queste brutte storie.”
“Ok…” Jesse con sguardo assonnato iniziò a fare zapping, poi mi domandò “ Ma qual è il tuo problema con la realtà Leo?”
“Non chiamarmi così! Per favore, te lo avrò ripetuto una marea di volte.” Replicai irritata e proseguii “E poi io non ho nessun problema con la realtà, semplicemente la evito come quando si evita una persona che ti sta antipatica per il quieto vivere, altrimenti finirei per scontrarmici tutti i giorni.” Dissi sarcasticamente.
“Sai, io credo che dovresti prendere in maniera più seria certi fatti. Hai perfettamente ragione quando dici che tutti i giornalisti e i media in generale sono degli approfittatori di tragedie e sciagure. Ma credo che su certe cose dovresti prestare più attenzione. Chi ti dice che un pazzo del genere, una sera, magari mentre torni a casa, non ti aggredisca?” Jesse parlò molto seria e a tratti alternò sorrisi preoccupati.
Io sbarrai gli occhi facendo una smorfia, come per dire: “Per favore, non davanti a mia madre!”
Mia madre colse ovviamente al volo l’affermazione di Jesse e in maniera ancora più ovvia non tardò a infierire “Jesse ha ragione tesoro, dovresti essere più attenta. Tutto qui.”
“Adesso non cominciate tutte e due. Va tutto bene e in più sono tranquilla, mio padre è un poliziotto e se avessimo qualcosa da temere ce lo avrebbe già detto. No? Quindi basta con queste storie. Ci limiteremo a mettere tutte e tre spray al peperoncino in borsa…” Non riuscii a finire quello che stavo dicendo, perché nel frattempo iniziai a ridere, da prima piano e poi scoppiando in vere e proprie risate, vedendo la faccia di Jesse che si stava contraendo in un sorriso, scoppiando anche lei a ridere.
Riuscimmo a contagiare anche quella pessimista di mia madre.
“Leonor, già ti immagino con in mano lo spray al peperoncino urlare << Mani in alto>> . Tu col peperoncino in mano!” Jesse venne di nuovo interrotta dalle sue convulse risate.
Io continuai a ridere e risposi rassicurata “Tranquilla, non succederà.”




Eccomi con un'altra follia partorita dal mio cervello, ancora prima di finire la mia prima fan fiction! XD Perdonatemi in anticipo, so che non sarà nulla di speciale come storia, ma io adoro mescolare, inventare e fantasticare.
Così ecco il primo capitolo della fan fic dedicata a BB.
Spero vi piaccia e vi ringrazio in anticipo.
Baci baci Ama82

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Capitolo 2
*** B2- Combinazioni ***


                                         Combinazioni

I giorni passavano svelti, arrivò la fine di giugno ed insieme anche l’epilogo dell’anno scolastico 2001/2002.
Nella mia scuola c’era quel fermento, quell’aria frizzante che preannuncia la fine di tutto.
Tutti non vedevano l’ora di scappare, oltrepassare l’uscita della scuola e dirigersi allo sballo più assoluto nell’albergo dove si sarebbe tenuto il ballo di fine anno. E magari come di consuetudine e tradizione, dopo aver sfoggiato il bel vestitino per il più bello o la più bella del liceo, ritrovarsi in spiaggia ubriachi senza capirci nulla e svegliarsi la mattina dopo, spettinati, stravolti e girandosi dall'altra parte trovarsi con quel tizio vicino che si credeva di conoscere.
Questa è una storia che si ripete come un rosario, ogni santissimo anno.
“Allora hai scelto il vestito per il ballo di fine anno?” Urlò la mamma mentre in bagno era intenta a tamponarsi i capelli con un asciugamano.
“No!” Urlai a mia volta in risposta dalla mia stanza, anche abbastanza innervosita.
Era da una settimana che la mamma tentava in ogni modo di portarmi in una boutique a comprare un abito che avrei indossato una o due volte massimo.
Mi alzai dal letto e socchiusi la porta della mia stanza, iniziava ad arrivare il disturbante rumore del phon.
Nel frattempo Jesse era seduta sulla cassapanca foderata. Quest’ultima è attaccata a tre finestre che formano un piccolo angolo raccolto sul lato sinistro della mia camera e che danno sulla strada.
Quello di solito è il mio posto preferito per leggere, ma lasciai a Jesse l’onore di sedercisi per studiare. Perché lei al contrario di me avrebbe dovuto dare gli esami per il diploma.
Venne comunque distratta dal breve scambio di domande e risposte urlate tra me e mia madre.
Alzò la testa dal libro di fisica e parlò “Questo tuo odio recondito per il ballo di fine anno proprio non lo capisco. Tu non sei normale Leo.”
Sbuffai sedendomi di nuovo sul letto e guardando il legno bianco della mia porta, mi voltai verso di lei e le risposi “Vedi Jesse, il problema non sta nella normalità o nella non normalità. Il problema sta nel fatto che io non odio i balli. Anzi mi piacciono, ma non questi balli. Tu ci vedi qualche forma di romanticismo nel voler accontentare il tipo che ti piace, vestendoti come un manichino d’alta moda e sperare che lui sia innamorato di te come lo sei tu di lui? Perché io non ce lo vedo tutto questo romanticismo. E’ appurato che il principe azzurro non esiste.”
“Ma come?! Una romantica incallita come te che parla in questa maniera cinica. Non puoi affermare di essere romantica allora. E poi io ci andrò al ballo. Mi sento un po’ offesa da quello che dici.” Disse Jesse con tono polemico seguito da un finto broncio.
“No, io non sto giudicando la tua scelta o quella di qualcun’altra nell’andare al ballo solo per divertirsi un po’, ognuno è libero di agire come crede. Ma io vedo molto di più, oltre tutte queste apparenze. Se vuoi una vera festa , dove sarai sicura al cento per cento che succederà qualcosa di romantico, leggiti questo e non ne sarai delusa.” Sostenni ridendo e mettendo davanti agli occhi di Jesse il libro di Romeo e Giulietta.
Jesse prese il libro e se lo girò tra le mani guardandolo.“Io questo lo definirei giocare sporco. Non sei tu a lottare per lui e ad essere la protagonista della storia, puoi solo immedesimarti in lei. Ma non sei tu quella che balla e parla con Romeo.”
“Anche questo dipende dai punti di vista e questo ti assicuro mi basta e avanza, per ora.” Dissi calma ma con un tono appena desolato, perché chiunque avrebbe voluto che un amore come quello di Romeo e Giulietta potesse essere reale.
“La cosa più divertente è che non sei mai andata a un ballo di fine anno. Quindi non si può nemmeno dire che tu ci abbia mai provato. Vedi tutto tramite le tue lenti filtrate Leo.”
“Oh! Basta, non ci sono andata e mai ci andrò, quindi chiudiamo il discorso. Se no rinchiudo te e la mamma da qualche parte e getto via la chiave.” Ero esasperata ma come sempre l’espressione del viso di Jesse, alle mie minacce, stimolava la mia ilarità e cominciai a ridere piano.
Mi diressi poi verso la finestra più grande, che ho vicino al letto e che si affaccia su un piccolo balconcino e dà sulla strada.
Aprii la finestra e un’ondata d’aria calda mi investì, fortunatamente l’ombra dell’albero che avevamo in giardino impediva l’ingresso dei cocenti raggi solari.
Mi appoggiai con i gomiti sulla ringhiera del balconcino e cominciai a studiare il micro mondo del mio quartiere.
La signora Rolland con il suo nuovo tipo tutto muscoli.
La signora Rosemary impegnata ad innaffiare i suoi fiori…e poi qualcosa a colpo d’occhio mi incuriosì in maniera improvvisa.
Dalla casa del signor Morrison uscì un ragazzo, vestito con una tuta da lavoro, non riuscivo a vederlo bene in volto perché era coperto dalla visierina del cappello, potevo solo vedere i suoi capelli neri schiacciati dal copricapo e la tuta crema intera, che lo faceva apparire ancora più slanciato e alto di quanto già non lo fosse.
Il signor Morrison lo pagò sull’uscio della porta, lo salutò e poi il ragazzo si diresse verso il suo furgoncino. Mentre aggirava l’angolo del mezzo, per raggiungere il posto del guidatore, alzò la testa e mi guardò per un breve istante.
Un attimo troppo veloce per capire come fosse il suo viso, ma abbastanza lungo per cogliere che mi fece un fugace sorrisetto, al quale neanche potei rispondere, perché in quello stesso momento fece capolino mia madre sulla porta della mia stanza.
“Allora deciso?” disse la mamma squillante e prendendomi in giro.
“Sì, ed è un no.” Sorrisi prendendola anch’io in giro, solo che il mio tono era un po’ più irritato.
“Ok, tesoro. Però peccato, avresti avuto la casa tutta per te fino alla mezzanotte.”
“Come? Perché hai qualche cena di lavoro?” dissi un po’ delusa.
“Sì, piccolina ma ti prometto che tornerò presto. Hai paura a rimanere sola?” disse la mamma preoccupata e venendo verso di me, accarezzandomi poi i capelli.
“No, non ho paura, tranquilla. Solo stasera avrei voluto cenare con te, ecco tutto.” Abbassai gli occhi sulle mie braccia conserte.
“Non ti preoccupare, domani prometto che ci sarò e faremo il tuo piatto preferito.” Cinguettò sorridente.
“Mamma il mio piatto preferito è la crostata alla marmellata di fragole.” Dissi ironica inarcando le sopracciglia in un'espressione perplessa.
“Beh! Faremo quella.” Disse ridendo e poi seguitò andando verso la porta “ Ora vado, sono le sei e mi aspettano al ristorante per le otto. Tempo di superare il traffico e tutto il quartiere di Bel-Air e si faranno sicuramente le otto.”
“Se vuole, signora Rose, posso rimanere a cena con Leo per una pizza. Poi però dovrò subito andare a casa, mi aspettano e credo anche che mi preparerò per il ballo.” Esordì Jesse sollevando la testa dal libro.
“Oh! Magari! Allora vi lascio i soldi di sotto, sul mobile dell’ingresso in soggiorno. Che ne dici Leo, va bene? Ti va che Jesse rimanga?” Sentii la mamma più tranquilla e trascurai il fatto che entrambe avessero, come sempre, storpiato il mio nome e mi limitai a rispondere pacatamente. 
“ Ok. Certo, per me va benissimo.” Affermai con aria rilassata.
La mamma poi scese le scale parlottando soddisfatta e contenta del fatto che Jesse sarebbe rimasta per cena. La tranquillizzò molto questa cosa, così la sua adorata figlia non sarebbe rimasta sola in casa in una calda notte a Los Angeles.
Però a mio parere il problema restava comunque, perché Jesse alle nove sarebbe tornata a casa e le restanti ore sarei stata comunque sola, ma avevo ormai imparato a barricarmi per bene dentro.
Alla fin fine posso dire che mi sentivo in ogni caso al sicuro.

Io e Jesse verso le sette ordinammo una pizza per telefono, attendemmo l’arrivo della consegna guardando scemenze in tv finché, un'ora esatta dopo l’ordinazione, arrivò la cena.
Appena suonò il campanello balzai dal divano, mettendomi in piedi e raggiunsi la porta di casa correndo.
Avevo una fame da lupi.
Presi in fretta e furia i contanti lasciati dalla mamma sopra la mobile in soggiorno e andai ad aprire.
Di nuovo suonò insistente il campanello.
“Eccomi!” Strepitai e aprii col fiatone “ Eccomi. Mi scusi l’attesa. Quant’è?”
“Sono quindici dollari e cinquanta cents.” Rispose una voce maschile, chiara, ma allo stesso tempo roca e bassa di un ragazzo.
Iniziai ad armeggiare con i soldi e presi quelli giusti per pagare, in modo di non dover avere il resto.
Non avevo alzato una sola volta la testa da quando avevo aperto la porta, quando la alzai e guardai il viso del ragazzo mi sembrò familiare.
Era lui il tipo che era uscito dalla casa del signor Morrison quel pomeriggio.
Non mi permise nemmeno in quel momento di studiarlo, abbassò lo sguardo e si nascose di nuovo sotto la visiera del suo cappello, quasi mi rovesciò le scatole con le pizze addosso, poi mi arraffò i contanti di mano e si voltò veloce per raggiungere il suo furgoncino.
Lo guardai sparire mentre chiudeva lo sportello e metteva in moto.
Io mi voltai e mi chiusi la porta di casa dietro.
Mentre percorrevo il tragitto dalla porta al salotto, non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile che un tipo del genere, uno che avevo visto sì e no di svista, mi incuriosisse in maniera così persistente, dal momento in cui lo avevo visto uscire dalla casa del signor Morrison.
“Allora?” Mi chiese Jesse appena arrivai al divano con le scatole calde in mano.
“Allora cosa?” Risposi con un’altra domanda.
“Hai una faccia…strana?” Jesse aggrottò la fronte in un'espressione incerta e sollevando le mani in una mossa che metteva in risalto la sua curiosità.
“Ah, niente, stavo solo pensando.” Poi tagliai corto per non permetterle di andare oltre con le domande, non avevo voglia di parlare del tizio tutto fare, volevo tenermelo per me. “Mangiamo, sto morendo di fame.”
“Mmmh…” Mugugnò in risposta Jesse, mentre riportava l’attenzione al programma tv che stavamo vedendo. La cena fu molto tranquilla e serena, alternata a scemenze e chiacchiere di ogni tipo tra me e Jesse.
Il tutto fu talmente rilassante che neanche ci accorgemmo che si erano fatte le nove e mezza.
“Oh mio Dio!! Sono già passate le nove! Devo proprio andare Leonor! Porca miseria!” Jesse esclamò senza fiato raccogliendo il suo giacchino e lo zaino con i libri, dal bracciolo del divano.
Poi pensai che ci voleva un ritardo per farle dire il mio nome per intero.
Disponibile le chiesi“Ti accompagno alla fermata Jesse?”
“Beh, se per te non è un problema.” Disse affannata e frettolosa mentre si dirigeva alla porta.
“No, nessun problema. Anche perché appena ritorno devo far rientrare Molly. Alla mamma non piace che rimanga fuori di notte. Ora si mette a fare la protettiva con il gatto, la creatura per eccellenza della notte.” Dissi ridendo e prendendo le chiavi di casa, il cellulare e il mio golfino color nocciola.

Accompagnai Jesse alla fermata della metro e attesi con lei l’arrivo del vagone, che non mise molto ad arrivare.
Fortunatamente i treni della metro passano ogni quarto d’ora.
Ci salutammo dandoci appuntamento per il giorno seguente al parco della scuola, per la sua sessione di studio, poi mi incamminai verso casa.
Per le strade più trafficate della cittadina mi sentivo un po’ più sicura, ma quando raggiunsi quelle più silenziose e isolate del mio quartiere iniziai ad avvertire le prime avvisaglie di timore.
Erano solo le dieci di sera, ma dove vivo io, a quell’ora sono in pochi a passeggiare o a farsi un giretto.
Cercai di distrarmi, così cominciai a osservare le mie scarpe da ginnastica bianche in movimento mentre camminavo, alzai poi gli occhi e mi soffermai a guardare il viale di alberi piantati sugli appositi spazi dei marciapiedi.
D’improvviso mi investì un pensiero.
Mi vennero in mente le parole della giornalista che al tg di qualche giorno prima, parlava di quel tipo che si divertiva a ferire la gente per la strada con un coltello.
Sentendomi di nuovo presa dall’ angoscia, affrettai il passo e in poco tempo fui sul vialetto di casa.
Iniziai a cercare Molly e cominciai a chiamarla “Molly? Molly dove sei finita?”
Di solito rispondeva subito al mio richiamo, ma quella sera era lenta d’orecchio oppure mi stava prendendo in giro anche lei.
“Molly dai esci fuori! Andiamo a casa.” Dissi con tono persuasivo.
Quando stavo per perdere le speranze, sentii un leggero miagolio che proveniva da uno degli alberi che si trovavano sul marciapiede di fronte casa.
Fortunatamente non sono molto alti e potevo raggiungere la mia gatta senza problemi.
Mi avvicinai all’arbusto ma mi voltai sentendomi osservata.
Scacciai subito quell’idea stupida quasi da film horror e mi appoggiai all'albero allungandomi sulle punte per prendere Molly.
“Dai scendi, piccola scema!” Ero divertita perché lei mi osservava dal ramo con fare pigro. Con quel suo musetto bianco contornato da una mascherina nera sul naso e sugli occhi, comodamente seduta spavalda, col suo pelo macchiato, oltre che del bianco e del nero, anche di rosso.
Fortunatamente, dopo qualche secondo notò la mia sofferenza nell’allungarmi e credo che le feci pena, perché si preparò a scendere.
Ma mentre stava per farlo qualcosa catturò la sua acuta e felina attenzione.
Non schiodava gli occhi da un punto dietro di me.
Io rimanevo protesa per prenderla e prima che potessi voltarmi, per vedere cosa vedesse Molly, sentii un flebile lamento alle mie spalle e la caduta di qualcosa di molto pesante a terra.

La mia vera vita stava avendo fine.


Ciao a tutti ^_^
Ecco il secondo capitolo di questa follia, che ho deciso di mettere in atto XD.
Ovviamente avrete notato che non si vede molto B, ma diciamo che a me piace il lento crescere in una storia e quindi ho preso l'abitudine di strutturare le mie narrazioni così.
Ma in questo piccolo spazio finale voglio soffermarmi sui ringraziamenti.
Ho ricevuto così tanti pareri positivi, sia su questa fan fic che quella precedente, che posso solo dirvi un enorme grazie di tutto cuore.
Grazie a chi mi ha recensito.
Grazie a chi mi ha messo tra le preferite, seguite e ricordate.
E grazie ai lettori silenziosi.
Vi voglio davvero bene.
Baci baci da Ama82

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Capitolo 3
*** B3- Dietro le spalle ***


                                         Dietro le spalle


Quando mi voltai vidi qualcosa a terra, ma non distinguevo molto bene.
Le luci dei lampioni non erano abbastanza forti da permettermi di vedere e capire da subito cosa fosse.
Così mi avvicinai, piano, con timore, sentivo l’appoggio lento e rullato del mio piede a terra.
Poi distinsi perfettamente la sagoma di una persona tra l’asfalto e il marciapiede.
Era riversa a terra, prona, di costituzione non magra, ma robusta e in sovrappeso. Vestita con una t-shirt rossa, pantaloncini neri e anfibi ai piedi.
Mi avvicinavo sempre più titubante, ma non riuscivo a smettere. Ero attratta dal voler vedere cosa avesse, chi fosse e se stesse male.
Nella mia testa ronzava il costante pensiero che quella persona non fosse viva.
La conferma arrivò a quello che stavo pensando, quando vidi del copioso sangue che scorreva e usciva in direzione della gola. Probabilmente gli era stata tagliata.
Osservai la scena davanti ai miei occhi inorridita. Poi mi guardai intorno, spostandomi convulsamente i capelli dalla faccia con le mani.
Non c’era nessuno.
Vivo a Los Angeles, la metropoli caotica per eccellenza, e quella sera non c’era anima viva!
Presa in ritardo dal trattenuto attacco di panico corsi in direzione dell’albero.
Quasi strappai Molly dal ramo dove era poggiata e scappai in casa chiudendomi dentro a chiave.
Guardai fuori dalla barra in vetro di lato al portone d’ingresso.
Non passava nessuno ed erano solo le dieci e mezza di sera, c’era solo e soltanto il corpo senza vita del tizio a terra!
Lasciai cadere Molly che atterrò sofficemente con le zampe a terra, presi il telefono cordless posato sul mobile in soggiorno e composi veloce il numero.
Uno squillo…
Un altro…
Poi un altro….
Controllai fuori di nuovo guardando dal vetro della porta.
Finalmente la risposta! << Pronto! Leonor.>>
“Papà!” Dissi sollevata e sobbalzando, iniziavo ad avere davvero paura.
<< Perché mi chiami a quest’ora al telefono cellulare? Sono a lavoro, non posso parlarti con calma da….>>
“Perfetto. Direi che posso dirtelo allora, è ancora meglio se sei a lavoro.” Sospirai interrompendolo e guardai di nuovo fuori.
<< Come? Perfetto? E’ successo qualcosa? >> Disse seria la voce maschile ma cristallina di mio padre.
“Sì.” Chiusi gli occhi, li riaprii, osservai ancora fuori, ancora attratta dall’orrore e continuai “Papà, hanno ucciso un uomo sul marciapiede davanti casa nostra.” Mentre rimanevo fissa con gli occhi a scrutare, in quella situazione inquietante, il carezzevole tocco della coda di Molly sulle mie caviglie fu per me un conforto immenso.
Mezz’ora dopo la polizia arrivò e con essa anche mio padre.
Iniziarono a fare i vari rilevamenti e operazioni del caso, tormentandomi poi con una marea di domande.
Cominciò anche ad arrivare un discreto numero di persone del vicinato a guardare. Le facce preoccupate, intimorite, intrise della paura al pensiero che anche loro avrebbero potuto essere la vittima. Ma nella mescolanza di timore trovai una faccia nel mezzo tra le altre, leggermente sorridente, il sorriso di una bocca ben fatta e virile.
Aveva il classico riso che si fa quando si pensa o si dice “Ben ti sta.”
Alzai gli occhi per vedere bene chi fosse, ma quella persona si voltò e sparì nel caos del momento.
Dopo il lungo osservare quella scena che conoscevo fin troppo bene, ne ebbi anch’io abbastanza.
Mi rifugiai in casa, camminai pigra in cucina e mi preparai un tè anche se in quell’occasione sarebbe stata meglio una tisana rilassante.
Sedetti sull’alto sgabello alternando sorsi a soffi per raffreddare il tè.
Sentii arrivare mio padre che non entrò in cucina, ma si appoggiò con la spalla sull’architrave della porta.
Lui è molto alto, moro di capelli, ha una notevole muscolatura e chiarissimo di pelle quanto me. Il suo viso è tondo ma un po’ più spigoloso sul mento, i suoi tratti sono molto duri e una leggerissima barba contorna la sua mascella. Purtroppo il suo lavoro non gli consente di curarsi molto spesso. Credo che anche questo particolare estetico, insieme alla sua incostanza nel mantenere i suoi impegni, sia uno dei motivi per cui alla mamma non sia piaciuto più stare con lui. Ma la cosa che mi piace di più in mio padre sono i suoi occhi, scurissimi come i miei, hanno un taglio molto dolce per essere gli occhi di un uomo e possiede delle ciglia abbastanza lunghe.
I suoi occhi quando mi guardano si illuminano come non mai.
“Allora come ti senti? Voi dormire da me stasera?” Disse pacato e premuroso, si tolse la sua giacca di jeans e la lanciò sul ripiano in marmo. Lui è solito girare sempre in borghese.
“Sto bene, tranquillo. Rimarrò a casa. E poi chi la sente mamma, già immagino…” Non finii di rispondere a papà che la mamma piombò in cucina e mi abbraccio con un’espressione impensierita in viso .
“Ecco era questo che intendevo.” Dissi ironica guardando con faccia paziente papà che nel frattempo se la rideva.
“Leonor! Tesoro della mamma. Tutto bene? Ti sei fatta male? Ti hanno fatto qualcosa?” La mamma si scostò per guardarmi in viso e nel totale per vedere se non avessi niente di rotto.
“Sì, tutto bene solo un po’ scossa.” Dissi abbassando lo sguardo per poi portarlo su papà.
“Oh, mi dispiace, stasera avrei dovuto restare in casa con te…se solo non… Dawson, credi che…” Interruppi le chiacchiere ansiose di mia madre fulminea altrimenti avrebbe fatto impazzire sia me che il papà.
“No. Mamma, non è colpa tua, non è colpa di nessuno. E’ successo. Tutto qui. Sono stata testimone dell’omicidio del pazzo maniaco che da tempo faceva notizia qui a Los Angeles. Io adesso non mi preoccuperei di come sto io, ma di chi è stato a far fuori il tizio.” Dissi cercando di sapere qualcosa da papà, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
“Questo sarà il vero mistero. Perché chi lo ha ucciso è bravo e non un tipo qualunque, non ha lasciato una sola traccia…” Papà iniziò a illustrarci le sue idee gesticolando con le mani, probabilmente non si sentiva molto a suo agio. Notai, nel suo gesticolare, che indossava ancora la fede al dito. Lui non aveva mai accettato di buon grado il divorzio dalla mamma, ma non aveva acconsentito.
Non poteva pretendere di essere amato e l'aveva lasciata andare.
Dopo aver fatto riemergere i ricordi di mio padre col cuore spezzato di quattro anni prima, tornai a concentrarmi su di lui che stava parlando “. ..chiunque abbia ucciso quel maniaco, non ha fatto capire né a te cosa stesse succedendo né alla vittima. Tant’è vero che ti sei dovuta avvicinare per capire cosa fosse accaduto. Ma escludo che, chi ha ucciso quel pazzo potrebbe farvi qualcosa. Probabilmente il maniaco aveva dei nemici oppure era scomodo a qualche organizzazione criminale che fa lavoretti simili per minacce, forse altro ancora. Le miei sono ipotesi tirate a caso, le indagini vere e proprie le inizieremo domani. Le seguirò anche io se può farvi stare tranquille.” Papà espose il tutto con un tono che cercava di essere rassicurante, anche i particolari che avrebbero dovuto allarmarci, come ad esempio l’essere prese di mira da un nuovo molestatore.
E’ proprio un poliziotto.
“Oh, sì. Dawson, sarebbe molto confortante sapere che sei nelle indagini, davvero.” Mia madre cominciò a sentirsi più calma, il suo tono di voce era tornato più melodioso e meno stridente.
“Bene, anche io mi sento più tranquilla allora. Ora però ho proprio sonno vado a dormire. Domani Jesse mi aspetta a scuola.” Scesi dallo sgabello e lasciai la tazza dai cui avevo bevuto il tè nel lavello.
Salii di sopra nella mia stanza.
Sulle scale le gambe erano pesanti, dovevo proprio averla percepita come si deve tutta quella paura. Indossai il mio pigiama estivo, composto da una canotta bianca a fantasia fiorata e da dei pantaloncini rossi che richiamavano il colore dei fiori.
Stavo per infilarmi sotto le coperte quando decisi di dare un’ultima sbirciata all'esterno.
Andai alla finestra. Sollevai un lembo della tendina dal vetro e guardai.
C’era la calma, non c’era più il corpo rovesciato a terra, non c’erano più i curiosi del quartiere, non c’era più il baccano e l’alternarsi delle luci rosse e blu delle sirene della polizia.
Sembrava quasi che non fosse successo nulla.
Una specie di pulizia e ordine aveva spazzato via i germi dell’efferatezza e il macabro omicidio.
La cosa che mi colpì, fu che non avevo le immagini traumatizzanti che avevo visto quella sera ben memorizzate nella mia testa, ritornavano sfocate e questo non per la sola paura che tende a nasconderle, a non volerle mostrare, ma perché in parte non ne ero totalmente terrorizzata.
Io in generale non amo agitarmi e tendo ad analizzare la situazione, senza farmi prendere troppo dall’emotività oppure sono semplicemente pazza e insensibile.
Distratta dai miei pensieri di quel momento osservavo fuori senza interesse, giravo il mio sguardo come abitudine, come quando si scruta all’esterno senza un apparente scopo.
Ed ecco che arrivò di nuovo quell’improvvisa ondata di interesse per un particolare che colpì i miei occhi.
Il furgoncino! Parcheggiato a dieci metri da casa mia, dal lato opposto davanti la casa della signora Rosemary.
Il ragazzo tutto fare mi ritornò in mente e mi distrasse dalle brutte sensazioni avute in quella serata.
Quando vidi il furgoncino supposi subito senza una particolare attenzione e logica, che anche lui forse abitasse dalle miei parti, che forse non era un tipo lì di passaggio.
Ma quando era arrivato nel mio quartiere?
Abbandonai la domanda, alla fin fine me l’ero posta pur sapendo che non avrei mai avuto una risposta immediata e mi lasciai andare all’aspetto puramente frivolo che mi faceva stranamente piacere. Al ragazzo, alla sua persona poco definita e fugace.
Mi si aprì un sorriso e presa dalla curiosa positività delle mie supposizione su di lui andai al letto. Coprii le mie gambe con l’azzurrino, leggero lenzuolo e mi addormentai con la tiepida aria che lasciai entrare dalla finestra.

Straordinario come nonostante il terribile spettacolo della sera prima, fossi riuscita a dormire senza fare incubi o sogni al riguardo.
Quando scesi sotto in cucina, questa era inondata della luce del sole delle nove che filtrava dalla porta-finestra e trovai la mamma in piedi, ancora in tenuta da notte, intenta a fare dei pancake.
L’odore dolciastro e vanigliato mi risvegliò dal torpore del sonno.
Il ripiano in marmo era imbandito: succo d’arancia, succo d’acero, mirtilli, fragole e panna. Due semplici piattini bianchi contrastavano con le tovagliette rosse plastificate poste sotto di essi. I bicchieri e le forchette brillavano di riflesso alla luce del sole. Era tutto così perfetto e sereno.
Mi sollevai sulle punte dei piedi scalzi, per sedermi sul panchetto. Nel frattempo la mamma impiattava due pancake nel mio piatto e di seguito ne mise altri due nel suo.
Aspettai che si sedesse anche lei per inondare i miei di succo d’acero e buttarci poi delle fragole.
Misi il primo boccone in bocca e mi sentii in paradiso, i pancake della mamma non li batteva nessuno, la ricetta era della nonna tramandata di generazione in generazione. Ma con la voglia che ho io di cucinare credo che non ne sarò una degna erede.
“Allora Leo. Come ti senti?” La mamma parlò distrattamente mentre tagliava il suo primo pezzo della sua dolce frittella con la forchetta.
“Bene. Credo. Non ho avuto brutti sogni o roba del genere, quindi direi che sono a posto.” Dissi con noncuranza e fin troppo tranquilla.
“Sei proprio la figlia dell’agente Dawson White.” La mamma abbassò lo sguardo sul suo piatto e iniziò a sorridere tra sé e sé della sua affermazione, poi continuò “ Ecco in cosa siete davvero simili. Non vi tocca nulla. Può cadere il mondo ma voi non vi tirereste più in là, nemmeno se vi pregassero in ginocchio. Vi piace il pericolo e non vi sconvolge.”
“Dici? Sai anche io a volte mi stupisco della mia non capacità a provare normali sensazioni di paura.” Abbozzai un sorriso mentre masticavo.
“Vorrei avere anche io un po’ meno paura Leonor. Ma guardati, sembra ieri che eri così piccina e ora sei una bella ragazza. Ogni volta che sei là fuori ho sempre paura.” Una vena di commozione velò il viso della mamma mentre allungava la sua mano sui miei capelli, che quella mattina erano più ondulati del solito.
“Mamma, pensa che andrà tutto bene e non domandarti altro. Le domande creano la paura e il conoscerne le risposte no. Quindi sai già la risposta, io sto bene. Ho la testa sulle spalle e non mi succederà nulla. Almeno per i prossimi ventotto giorni!” Esplosi in una risata fragorosa e contagiai anche lei distraendola dai suoi cattivi pensieri.
Finita la colazione andai in camera e mi vestii. Indossai la t-shirt a maniche corte gialla, che faceva risaltare i miei capelli castani scurissimi e che ricadevano appena sul giro collo. Infilai dei pantaloncini jeans e le mie amate converse. Poi di ottimo umore uscii. Presi la mia bici e pedalai verso la scuola distante da casa un paio di kilometri.
Arrivata incatenai la bicicletta alla staccionata in ferro del parcheggio e raggiunsi Jesse che era sdraiata su una coperta adagiata sull’immenso prato della scuola.
“Siamo di buon umore oggi?” Sentenziò Jesse ancora con gli occhi bassi sul libro.
“Cavolo! Leggi nel pensiero. Perché non hai alzato la testa neanche per un secondo da quando sono arrivata.”
“Da quanto ci conosciamo Leo?” Disse con tono monotono e assonnato, spostandosi una bionda ciocca di capelli finitale davanti agli occhi.
“Da ormai quattro anni.” Risposi ingenuamente.
“Beh, allora non mi stupirei fossi in te.” Affermò ridendo e staccando di poco lo sguardo dal testo che stava leggendo.
Fingendo meraviglia alla risposta di Jesse mi adagiai anch’io sulla coperta.
Sentire il sole sulla pelle era piacevole e la leggera ombra di un albero vicino a noi creava il giusto compromesso di refrigerio e calore.
Io e Jesse adoravamo stare in quel modo. Lei teneva compagnia a me e io a lei, alternavamo chiacchiere futili, discussioni sullo studio e prendevamo in giro i vari professori, da caso clinico, di cui disponeva il nostro liceo.
Ci saremmo divertite anche se avessimo dovuto trovare qualcosa di interessante nell’aria.
Presa dalla spensieratezza della situazione domandai rilassata “Allora com’è stato il ballo?”.
“No, io direi: Allora come ti senti dopo aver visto un omicidio in diretta?” Rispose Jesse sarcastica.
“Ti ha chiamata...” Dissi arrendevole e assumendo un’espressione scocciata.
"Sì.” Disse secca Jesse.
La mamma ovviamente aveva chiamato Jesse quella mattina e le aveva raccontato tutto.
Il fatto è che non avevo voglia di parlarne, avevo scacciato via il malessere di quella situazione. Perfino il mio inconscio aveva capito che era il caso di lasciar perdere e ora grazie ad una semplice domanda sull’accaduto stava per far tornare quel senso di disagio della sera prima. “Sarà la centesima volta che lo dico. Sto bene. Maledizione! Ma la mamma non può stare buona! A parte che ti avrà chiamata prima della nostra chiacchierata di questa mattina.” Sbuffai nervosa dopo il mio sfogo e proseguii “ Sì, posso dire di stare bene. Comunque non è stata una bella visione. Un attimo prima ero a prendere la mia gatta su un albero e un attimo dopo avevo un morto dietro le spalle.”
“Leonor! Parli in una maniera così distaccata da non sembrare nemmeno umana. Ti invidio davvero. Io non riuscirei reagire come fai tu.” Disse Jesse stupita e anche leggermente sconvolta.
“Grazie. Sei la seconda persona oggi che me lo dice.” Dissi ridendo e guardandola con la coda dell’occhio. Le sue reazioni sono la cosa più comica che io conosca.
Mentre ero immersa nello scherzo, si ripeté quello strano episodio che avevo avuto in quegli ultimi due giorni.
Mi colse quell’improvvisa sensazione.
Quell’intrigante richiamo.
Mi voltai e lo vidi.
Stava passeggiando ma si fermò sulla stradina pavimentata che attraversava il prato della scuola.
Era lui ma questa volta non era vestito da lavoro.
I capelli neri, con indosso dei semplici jeans di un blu chiaro, scolorito e una maglia grigia a maniche corte.
Mi dava le spalle ma si voltò quasi subito.
Non riuscii a distinguere i particolari del suo volto, era troppo lontano, ma notai che mi guardava con insistenza e in maniera sfacciata.
Io rimasi a mia volta ad osservarlo, ma la sensazione sbarazzina e rilassata che avevo provato nel pensarlo la sera prima sparì.
Lo percepivo diversamente, non riuscivo a sorridergli o a rispondere al suo sguardo nella maniera più idonea, sebbene ci fossimo visti altre volte seppur di sfuggita.
Rimasi ferma a guardarlo seria e lui a quel mio atteggiamento sorrise.
Un sorriso ambiguo.
Mi sembrò di averlo visto da qualche altra parte, era un sorriso famelico, dispettoso, lo adoravo e ne ero spaventata allo stesso tempo.
“Hai fatto colpo Leo.” Disse ridacchiando sotto i baffi Jesse , ma sempre rimanendo con la testa giù sui libri.
Nonostante le parole di Jesse, io e il ragazzo continuammo a guardarci finché la sagoma di uno studente-passante portò via la sua immagine dai miei occhi, come se fosse stato solo frutto della mia immaginazione.


Ciao a tutti!
Come state? Io sono nel pieno delle stranezze primaverili di tutti i tipi -.-.
So che non sarà entusiasmante il capitolo, ma sto cercando di seguire un filo o percorso ben preciso della storia che ho in mente. Forse per questo non sarà esaltante. Chiedo perdono in anticipo.
Ringrazio tutti i lettori di tutti i tipi e i recensori.
Grazie grazie e baci baci da Ama82

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Capitolo 4
*** B4 - Crostata alla marmellata di fragole ***


                          Crostata alla marmellata di fragole


Una settimana, era passata solo una settimana e non c’era stata una sola volta in cui non avessi voluto rivedere quella sagoma, quel ragazzo strano.
Definirlo strano non basta, aveva dell’altro, molto di più, forse la definizione più giusta sarebbe diverso, ma probabilmente nemmeno questo è il termine giusto. Fatto sta che non riuscivo a togliermelo dalla testa dal giorno in cui eravamo rimasti a fissarci insistentemente a scuola.
Volevo riprovare quelle sensazioni confuse, ingannevoli ma allo stesso tempo vere. Credo che l’unica cosa che volessi era rivederlo e sentirmi allo stesso modo impaurita e attratta.
Dopo l’unico e vero confronto diretto di sguardi, non avevo avuto più occasione di incontrarlo o forse sarebbe meglio dire che non si era fatto più vivo nel mio quartiere. Guardavo ogni giorno se fosse passato per dei lavori a casa del signor Morrison, poi finivo per osservare davanti al marciapiede della casa della signora Rosemary. Ma niente, si era dileguato. Sparito.
La cosa che non mi aspettavo fu che la delusione si rivelò cocente. Possibile che quel ragazzo mi avesse coinvolto a quel modo? Fino a quel punto?
Non riuscivo a capacitarmene, pensai perfino di chiamare la pizzeria dove io e Jesse avevamo ordinato la pizza a domicilio, ma rinunciai, mi sentivo già fin troppo idiota.
“Allora? Hai finito di osservare il vuoto?” Sbottò Jesse mentre era intenta a staccarsi dalla cannuccia del suo frappè alla vaniglia.
“Non sto osservando il vuoto. Sto pensando.” Dissi con espressione seria ma con voce divertita.
Era l’undici di Luglio e faceva un caldo assurdo, così io e Jesse decidemmo di andare al parco a prendere del fresco. Andammo verso le sei del pomeriggio, l’ora più accettabile per sopportare il caldo e il sole mentre si cammina per la strada.
Io mi ero accomodata sulla panchina ma non sedevo normalmente come Jesse, mi ero adagiata sulla spalliera, poggiando i piedi sul legno della base per sedersi. Tenevo in mano il mio frappè al cioccolato ma non ero molto invogliata a volerlo finire.
Lo stomaco mi si chiudeva al solo ricordo dell’episodio degli sguardi.
“Quindi hai deciso. Finiti gli esami del diploma ti iscriverai alla Università della California. Ti rendi conto che anche se sarai a Los Angeles sarà come se non lo fossi?” Poi mi imbronciai e continuai sbottando “Westwood! Ti rendi conto?!”
Ero malinconica perché la mia Jesse se ne sarebbe andata all’università e non ci saremmo viste per un po’, magari ancora meno di quanto ci saremmo aspettate.
“Leo. Westwood è dietro l’angolo. Ci è praticamente attaccata!” Jesse rispose calma, iniziando a ridacchiare e poi ricominciando a sorseggiare il suo frappè dalla cannuccia.
“Lo so…” Dissi seguitando a tenere il broncio “ Ma non ci vedremo spesso. Chi mi aiuterà con la matematica? Io odio la matematica!” Presi a trangugiare anch’io il mio frappè ma in modo meccanico e svogliato.
“Allora sei mia amica solo perché ti aiuto con la matematica.” Disse Jesse sorridendo.
“Smettila, lo sai che non è per quello.” Iniziai a ridacchiare anch’io.
“Comunque non ti preoccupare, inizio a Settembre, non domani. Poi nei weekend in cui non avrò da studiare e magari tu non avrai il solito impegno con tuo padre, ci potremo vedere. Forse anche nel mezzo della settimana. Quindi smettila di frignare.” Jesse mi guardò addolcita e poi cambiò argomento per non continuare a intristirci più di quanto già non fossimo “ Ma non lo finisci il tuo frappè? E’ un po’ che lo sorseggi senza voglia.”
Mi alzai dalla panchina, scesi con un saltello e andai a buttare nel cestino, davanti la nostra postazione, il bicchiere plastificato ancora mezzo pieno. “Non mi va più. E poi il cioccolato non mi piace come gusto.”
“Scusa, ma allora perché non lo hai preso alla fragola? Ti piace molto di più.” Jesse si alzò scansandosi dal petto le lunghe trecce bionde e mi raggiunse al cestino per buttare il suo bicchiere vuoto.
“L’ho preso al cioccolato perché stasera la mamma mi aveva promesso di farmi la crostata alla marmellata di fragole. Quindi per non togliermi il gusto ho preso un frappè diverso.” Dissi con un tono infantile, abbassando gli occhi sui miei sandali e iniziando a giocherellare muovendo gli alluci.
“Ah, beh! Un’occasione importante direi.” Jesse provò a trattenere una risata ma scoppiò vedendomi fare la bambina e continuò “ Che ne dici di tornare dalla mamma? Sono le sette e io sarei già in ritardo per cena, i miei mi sbraneranno quando torno a casa.” Disse Jesse osservando distrattamente l’orologio al polso e prese la borsa che aveva lasciato sulla panchina.
Io mi limitai ad annuire serena e a seguirla.
Il cielo stava imbrunendo, sentivo, camminando e guardandomi attorno, le sensazioni di tranquillità e pace del crepuscolo. La leggera aria serale mi dava un senso di benessere. Jesse mi accompagnò fino a casa, mi salutò con un abbraccio da strangolamento e poi si diresse verso la metro.
Mentre attraversavo il vialetto di casa non riuscivo a togliermi il sorriso dalla faccia. Come avrei fatto senza di lei nei mesi a venire?!
Aprii la porta di casa e sentii il vociare di mia madre che stava parlando con qualcuno, forse qualche nostra vicina. A volte la signora Rolland era avvezza venirci a fare visita e ci portava spesso e volentieri dei muffin ai mirtilli, venendoci a raccontare tutti i fatti che capitavano a lei e a tutto il vicinato ogni santo giorno.
Ma la voce che sentivo non era di una donna o di una signora matura, era maschile e non era quella di mio padre.
Percorsi il piccolo corridoio che portava alla cucina, lentamente, restando in ascolto, ma non delle parole che si scambiavano. Ascoltavo solo il suono della voce virile.
Una voce familiare, l’avevo già sentita, sembrava essere chiara ma nascondeva una profondità e una sensualità disumane. Stava parlando di sciocchezze con mia madre, ma era tremendamente attraente, non potevo fare a meno di starla a sentire. Una voce del genere avrebbe fatto tornare l’udito a chiunque.
Arrivai quasi titubante sulla porta della cucina, poggiai la mano sull’architrave e rimasi di stucco.
I capelli neri spettinati, informi. Una frangia scompigliata copriva gli occhi che erano di un colore indefinito, somigliava al castano ma erano filtrati da qualcosa che non li faceva apparire autentici, forse delle lenti a contatto scurissime. Uno sguardo pungente ma allo stesso tempo intelligente. Il viso allungato e il mento levigato, tondo. Il naso perfetto, dritto e la bocca era l’anima del suo volto, lei rendeva vivo il suo viso. Le labbra erano rosee, morbide al solo guardarle, il labbro superiore non era né troppo sottile né troppo carnoso, ma aveva la proprietà di farlo apparire provocatorio al solo guardarlo.
Alto e snello, nascondeva una leggera muscolatura sotto la maglia nera a maniche lunghe che indossava. Dei jeans azzurro spento e larghissimi gli cadevano su delle scarpe da ginnastica bianche e logore.
Riportai il mio sguardo sulla sua faccia e quando aprì la bocca in un sorriso non ebbi dubbi, lo riconobbi. Lui, il ragazzo tutto fare, l’individuo mescolatosi ai curiosi del vicinato, il ragazzo degli sguardi a scuola.
Ero ancora incredula e rimanevo immobile, non riuscivo a dire nulla, avevo le labbra serrate.
“Tesoro! Sei arrivata! Ero in difficoltà qui davanti casa con la chiusura della portiera della macchina e il tuo amico Beyond si è offerto di aiutarmi. E’ stato davvero gentile, non trovi?”
Amico?! Aveva detto a mia madre di essere un mio amico.
La cosa mi fece piacere e paura insieme, ma mi limitai a reggere quel gioco, altrimenti la mamma avrebbe avuto un attacco di panico in diretta.
Mi tolsi l’espressione sorpresa dalla faccia e sorrisi nervosamente “Oh! Sì. Beyond. Beh, lui ci sa fare con queste cose.” Il mio tono era incerto, soprattutto pronunciando il suo nome e lo guardai con curiosità. Era un elemento nuovo nella mia casa, in quella stanza, nella mia cucina.
Spiccava come un colore sgargiante su un foglio bianco e immacolato.
“Sei troppo buona Leonor.” Disse con tono rilassato il mio gradito e sconosciuto intruso, che da uno sguardo basso sollevò gli occhi su di me.
Mi fece talmente piacere sentir pronunciare il mio nome dalle sue labbra, che non pensai minimamente al particolare che non ci fossimo mai presentati.
Rimanemmo a scrutarci fissi, fermi e prima che potesse sopraggiungere il retro gusto del leggero timore di quel momento, come era successo una settimana prima, la mamma ci interruppe.
“Leonor, ho appena tirato fuori dal forno la crostata alla marmellata di fragole. Vogliamo mangiarla? Beyond ne vuoi? Vuoi unirti a noi? Sai, di solito le nostre cene sono così insolite. A volte io e Leo ceniamo anche con il gelato.” La mamma rise, era euforica e soddisfatta perché la crostata le era venuta bellissima. La vidi alle sue spalle, poggiata sopra i fornelli, l’impasto si era dorato e il rosso della marmellata spiccava come non mai.
“Certo signora Summers, ne gradirei davvero un pezzo.” Mentre mia madre si voltò per prendere il coltello da cucina per tagliare la crostata, lui fece di nuovo piombare il suo sguardo su di me, ma questa volta non era come i precedenti. Era acuminato, la sua bocca fece un ghigno di piacere, la sua faccia era mutata in un’espressione lasciva e terrificante.
Mi sbigottì, ma controllai la mia reazione, se avessi perso il controllo con un qualsiasi gesto d’ansia e panico, la mamma si sarebbe insospettita sul fatto che non lo conoscessi davvero quel ragazzo.
Mia madre si voltò con in mano la crostata e il coltello, li poggiò entrambi sul ripiano in marmo.
Non so perché ma ebbi il desiderio di prendere il coltello e gettarlo da qualche parte, il più lontano possibile.
“Prego, accomodati Beyond.” Disse con tono cordiale mia madre indicando con la mano lo sgabello che si trovava davanti a Beyond. Lui nel frattempo aveva cambiato espressione, tornando pacato in modo fulmineo , si sedette e poggiò entrambe le mani sul ripiano.
Mani affusolate ma da uomo, le nocche sporgevano virili, le amai all’istante.
“Oh! Che sbadata, ho scordato di prendere i piatti. Tesoro, io vado a prenderli di là in salotto. Tu nel frattempo prendi le forchette, i bicchieri e il latte in frigo. Torno subito.” La mamma si allontanò tutta sorridente.
Io ero disorientata, non sapevo che pensare, quel cambio d’espressione era stato destabilizzante, agghiacciante. Presi a muovermi nella cucina cercando di apparire normale ai suoi occhi. Presi il latte dal frigo e lo poggiai sul ripiano di marmo proprio davanti a lui. Presi le forchette nel cassetto, i bicchieri dallo sportello sopra il lavabo, ma non mi abbandonava quella sensazione raccapricciante.
Lo sentivo guardarmi anche se non portai una sola volta i miei occhi su di lui.
Non riuscivo a capire perché quella sensazione fosse così bella e spaventosa, ancora di più non capivo perché la volessi così tanto.
Mi voltai per tornare di nuovo al ripiano e trovai il nero della sua maglia nei miei occhi.
Sbarrò la mia visuale mettendomisi davanti.
Sussultai, alzai lentamente gli occhi sul suo viso. Aveva lo stesso sorriso beffardo e angosciante di pochi istanti prima, i suoi occhi erano freddi. Riuscirli a vedere così da vicino fu in qualche modo esaltante. Erano mascherati da delle lenti scure, come avevo intuito poco prima, ma riuscivo a percepire una corposa sfumatura castana, eppure non era castana.
Allungò la mano sul ripiano in alluminio del lavello e prese i bicchieri. “Non puoi riuscire a portare sia le forchette che i bicchieri. Questi li prendo io.” Disse basso e intenso.
“Grazie.” Quasi lo sospirai, non so se per sollievo o se per l’improvvisa sua comparsa davanti ai miei occhi.
Mi scostai e raggiunsi il piano in marmo e iniziai a disporre le forchette sui tovaglioli che erano stati messi lì in precedenza dalla mamma. Lui nel frattempo iniziò a sistemare i bicchieri, ma non mi mollava un secondo con gli occhi, sembrava volermi mangiare.
“Eccomi qua. Piatti presi! Possiamo cominciare.” La mamma irruppe in cucina dissolvendo quell’atmosfera meravigliosamente soffocante.
Tagliammo la crostata e iniziammo a mangiare, se posso definire il mio piluccare mangiare.
Alternavo continui sorsi dal mio bicchiere colmo di latte, a piccoli bocconi. La mia bocca non riusciva a masticare. In quel momento, qualunque cosa avessi messo tra i denti mi sarebbe sembrato sempre e comunque cemento.
Eppure io adoro la crostata alla marmellata di fragole!
“Leonor tesoro, tutto bene? Non è buona?” Disse la mamma preoccupata.
Di solito io sbrano quella pietanza e il vedermi comportare in quel modo la fece pensare.
Non feci in tempo a rispondere che Beyond mi anticipò “No, signora Summers, al contrario è buonissima. Forse Leonor non ha semplicemente fame.” Guardò la mamma sorridente e poi me in maniera penetrante. Ebbi un fremito.
“Beh, effettivamente prima al parco con Jesse ho bevuto un frappè al cioccolato, ma non ho finito nemmeno quello. Oggi probabilmente non ho fame. Scusami mamma, è buonissima, davvero. La finisco non ti preoccupare.” Dissi con tono desolato mentre abbassavo gli occhi sulla mia fetta di crostata.
“Ma come sei brava Leonor.” Beyond mi canzonò e poi si portò alla bocca l’ultimo pezzo di crostata rimastogli nel piatto. Poi con tono sfacciatamente educato e adulatore chiese “Ne potrei avere un altro pezzo?”
“Certo che puoi averne un altro!” Mia madre iniziò a ridacchiare soddisfatta tagliando e porgendo a Beyond la seconda fetta di crostata. Cominciò a mangiare il secondo pezzo ed ogni volta che la marmellata colava dall’impasto, la raccoglieva col dito indice e se la portava alla bocca.
“Però è un bel nome Leonor.” Esordì poi Beyond dal nulla con tono ironico. “Ed inizia con una ‘L’."Alzò gli occhi su di me con leggero astio e mi lasciò di nuovo turbata.
“Oh, sì. Lo scelsi proprio perché il suono della ‘L’ iniziale è così dolce. Non trovi?” disse la mamma totalmente rilassata.
Ed io la interruppi prima che potesse cominciare a narrare le vicende della mia vita da quando ero nata ad allora. “Oh! Mamma non cominc…” Mi bloccai perché vidi Beyond con il viso basso, pensieroso e sembrava stesse iniziando ad innervosirsi.
Eppure non era stato detto nulla che potesse scatenare una reazione così intensa.
Mi guardai bene dal dirgli qualcosa, intuii che se avessi provato a parlare probabilmente sarebbe scattato come una molla.
Guardai la mamma che parlò “Caro, tutto bene? Qualcosa non va?”
Ero pronta a vederlo esplodere, ma si trattenne con estremo sforzo, riassorbì il tutto e sollevò il volto sorridendo, ma in modo falso e artificioso. Mi osservò e disse “Nulla, tutto bene…mi sono ricordato ora che devo andare. Domani ho un lavoretto che devo fare e devo alzarmi presto.” Scese dallo sgabello e proseguì “Quindi io andrei.” Sorrise di nuovo nervosamente, finto. Poi di nuovo i suoi occhi su di me, questa volta agitati e sfuggevoli. Sembravano nascondere vergogna, ma non per quella situazione che si era creata, ma per qualcos’altro che sapeva solo lui, qualcosa che riguardava solo lui.
“Oh! Beh, scusaci tanto per averti trattenuto Beyond. Leonor accompagnalo alla porta.” Disse la mamma disponibile e sinceramente impensierita.
“No, non si deve scusare. Tutto bene. Grazie e arrivederci signora Summers.” Beyond si voltò veloce e io lo seguii.
Mentre lo accompagnavo all’ingresso avevo il cuore che mi martellava in testa.
Lui era strano e totalmente instabile, ispirava ansietà il solo averlo accanto.
Era vicino. Io ero vicina. Le nostre braccia, ciondolando nel camminare, avrebbero potuto sfiorarsi in qualsiasi momento.
Mi dispiaceva che volesse andare via, ma allo stesso tempo speravo se ne andasse subito.
Il corridoio mi sembrò un tunnel senza fine mentre lo attraversavo con lui.
Quando arrivammo alla porta di casa, mi sembrò di aver raggiunto una meta che non avrei mai voluto raggiungere.
Aprii la porta piano, con calma, non volevo spalancarla. Lui scivolò via senza guardarmi in faccia, senza concedermi la possibilità di guardare in quegli occhi di un colore inesistente.
Il mio atteggiamento non era tranquillo o rilassato come sarei dovuta essere in una normale circostanza, ma era afflitto e demoralizzato.
Avevo bisogno che mi guardasse.
Lui si voltò di sfuggita sfoggiando improvvisamente il suo sorriso provocante, sembrò avermi percepito “Ah! Ciao Leo. A presto.”
Alzai la testa veloce, mi aveva lasciato sorpresa.
Il suo modo di salutarmi non era usale o imposto dal momento. Fu una specie di promessa, una confidenza presa all’improvviso.
Leo, mi aveva chiamato Leo.
Non ebbi nessun fastidio a sentirlo pronunciare dalla sua voce, mi piacque moltissimo.
Avrebbe potuto chiamarmi così all’infinito, in una infinità di modi.



Ciaooo!
Mi sono accorta oggi che devo pubblicare, perché tra sabato e domenica dubito di riuscirci, figuriamoci poi il lunedì di Pasquetta.
Quindi eccomi con questo capitolo, strano. Non so se sono riuscita a creare il giusto equilibrio di sbalzi d’umore di BB.
Più rileggo e meno mi spavento ahahahaahah XD Perdonatemi!
Intanto vi ringrazio comunque in anticipo ;)
Grazie a tutti i lettori silenziosi e non. Grazie a chi recensisce siete la mia linfa vitale! Ahahahaha
Grazie a chi mi inserirà tra le preferite, ricordate e seguite.
Detto questo vi auguro una Buona Pasqua e mangiate tanta cioccolata ^__^.

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Capitolo 5
*** B5 - Cappuccetto Rosso ***


                                                            

 

                                        Cappuccetto Rosso



                                Lui mi ha mangiato il cuore
                                Mi ha mangiato il cuore
                               (Mi sbalordisci)
                               Guardalo
                               Guardami
                              Quel ragazzo è cattivo
                              E onestamente
                             E’ un lupo travestito
                            Ma non riesco a smettere di fissare quegli occhi malvagi.{...}
                            Lui si è leccato le labbra
                           
                          Mi ha detto“Ragazza, sembri piuttosto buona da mangiare”
                          Mi ha messo le braccia intorno
                         Ho detto “Ragazzo, adesso toglimi le zampe di dosso”{…}
                         
                         Mi ha mangiato il cuore e poi mi ha mangiato il cervello.


                                                                  (Traduzione cit. Lady Gaga “Monster”)





Ritornare in cucina fu la cosa più difficile di questo mondo. Sarei rimasta sulla soglia della porta tutta la sera e tutto il giorno seguente, forse anche i giorni a venire se il buon senso e la logica non mi avessero suggerito di staccarmi di lì perché lui non sarebbe ricomparso con un battito di ciglia.
Entrai in cucina cercando di apparire normale e tranquilla. Mi sedetti iniziando poi a giocare con la forchetta e con gli ultimi frammenti di crostata mescolati a marmellata rimasti nel mio piatto.
“Che strano…” La mamma si portò la mano al mento in un gesto riflessivo “Devo aver detto qualcosa di sbagliato per averlo fatto scappare così.” Alzò i suoi occhi azzurri cobalto su di me cercando una ragione sensata a quello che aveva visto pur non avendo attribuito chissà quale gravità a quell’episodio.
Io non lo conoscevo. Era un completo estraneo per me, ma finsi di conoscerlo e sminuii la cosa. “Ma no, mamma. Tranquilla. L’hai visto. Beyond è un ragazzo singolare. Quando ricorda i suoi impegni fa sempre così, te lo assicuro.”
Fu una colossale bugia, non sapevo minimamente cosa potesse passare nella mente di un tizio del genere, tanto meno cosa lo avesse innervosito.
“Beh! Se lo dici tu tesoro mi sento un po’ più sollevata. Credevo davvero di aver detto qualcosa fuori posto...Ma come l'hai conosciuto?” La mamma mi chiese dubbiosa.
Non ci pensai molto risposi immediata "L'ho conosciuto per caso quando era a casa del signor Morrison. E poi ha lavorato anche per la signora Rosemary..."
La mamma annuì e rimase evidentemente soddisfatta della mia risposta. Il signor Morrison e la signora Rosemary erano una garanzia.
Mia madre si alzò e iniziò a sparecchiare.
Mentre il rumore delle stoviglie raccolte da mia madre faceva da sottofondo, mi ritrovai a fissare la crostata ormai incompleta, non era più intera, aveva perso una parte di sé. Mi sentivo come quel dolce, iniziai a sentirmici nel momento stesso in cui lui aveva lasciato la mia casa. Com’era possibile che mi sentissi così per una persona che nemmeno conoscevo? Poi ricordai che il suo brusco cambio d’umore, l’ultimo, quello più esagerato, lo ebbe quando iniziammo a parlare del mio nome. Pensai immediata -E se non potesse sopportarmi per via del mio nome? Forse gli ricordo qualcuno o qualcosa.-
Iniziai a sentirmi improvvisamente in colpa, senza alcun motivo, sentivo che lui era scappato via per un torto che io avevo commesso inconsciamente, ma che comunque sentivo di non aver compiuto.
Venni colta da una violenta tristezza.
Arrendevole presi il mio piatto, la forchetta, il bicchiere e li portai al lavandino dalla mamma che era già intenta a insaponare le stoviglie.
Lei si voltò a guardarmi, la flebile luce del piano cottura mi illuminò leggermente. Dovevo avere un'espressione desolata, perché la mamma sorrise in maniera dolce, poi sbuffò su una bionda ciocca di capelli finitale davanti agli occhi per spostarla e mi disse “Ti piace. Vero?”
“Oh! Non cominciare con le confessioni madre-figlia. Lo sai che non mi piacciono! Figurati poi quando non sono io a essere quella che ha bisogno di parlarne….” Dissi abbassando gli occhi e iniziando a ridacchiare.
E’ mia consuetudine quando vengo posta sotto pressione o vengo scoperta, iniziare a sorridere come un’idiota “E se vuoi proprio saperlo. Sì. Mi piace. Ora stop! Non avrai altre informazioni a riguardo.” Continuai a ridere.
“Ok! Ok! Cercherò di non preoccuparmi...” Mia madre rise mentre era ancora indaffarata “ Spero solo non sia un pazzo serial killer. Guarda! Adesso inizio pure a prendermi in giro da sola!” Finì con tono ironico e la sua espressione sorridente si trasformò in una fragorosa risata, talmente forte che iniziò a farsi uscire le lacrime.
“Io direi che dopo questa posso andare a dormire.” Dissi esasperata e sorridente, incrociando le braccia al petto.
Raggiunsi il primo gradino delle scale e la sentii urlarmi “Ah! Tesoro! Prima che tu salga. Mi ha chiamato papà, ha detto che domani ha la giornata libera. Ha anche detto di richiamarlo, per fargli sapere bene cosa volete fare!”
Io ormai ero arrivata al piano notte e urlai anch’io la mia risposta “ Ok! Adesso lo chiamo! Buona notte!”
Mi avviai poi in camera ancora sorridendo, mi chiusi la porta dietro facendo dondolare e tintinnare i ninnoli e le collanine che ci tenevo appesi insieme alla mia borsa.
Iniziai a torturare con le dita una castana ciocca dei miei capelli, nel frattempo mi misi alla ricerca del mio cellulare nascosto in qualche meandro della mia camera. Io odio quegli oggetti infernali, hanno il potere di farmi saltare il sistema nervoso al solo squillare. Così era ed è mia consuetudine nasconderli o soffocarli in un qualche posto dove avrei smesso di sentirli.
Mentre ero immersa nella ricerca, ricomparvero quasi in maniera fluida nella mia testa, le immagini dei suoi occhi.
Gli occhi di Beyond.
Occhi che non esistono.
Ombre.
C’erano le ombre dentro. Era come affacciarsi su un pozzo per vederne il fondo.
La curiosità è molta, il sapere cosa ci sia nelle sue profondità. Acque putride o cristalline? Oppure più semplicemente terra arida e asciutta? In ogni caso dalla superficie non è facile distinguere cosa ci sia, perché si vede solo il buio, l’oscurità, la non fine. E fa paura, talmente paura che si è portati a rinunciare, a non voler vedere cosa nasconda il fondale.
Ma quella sera fui tentata più volte a volermi buttare in quel pozzo, dovevo vedere cosa ci fosse.
Lo volevo!
Saltò fuori finalmente il mio cellulare sepolto sotto le mie lenzuola azzurrine, mi sedetti in maniera pesante sul letto e chiamai mio padre.
<< Pronto Leonor! >> Esplose dall’altra parte la voce contenta di mio padre.
“Ciao Papà!” Iniziai a sorridere e mi mordicchiai l’unghia del pollice. In quel micro istante pensai a quanto amassi i miei genitori sebbene non fossero sempre insieme e avessero dei caratteri così infantili. Ma loro mi piacciono così.
<< La mamma ti ha detto che domani sono libero? Potremo andare dove vuoi. >>
“Sì, me lo ha detto. Ma a dirti la verità…” Mentre parlavo con un gesto rilassato e abitudinario, mi alzai, andai alla finestra che si trova davanti al mio letto e scostai la tendina.
Rimasi di sasso per la seconda volta in quella serata.
Lui!
Era sotto nel mio giardino, mi fissava strafottente, poggiato al tronco dell’albero che era sottostante la mia finestra. Poi mutò di nuovo in volto e divenne pungente, si portò il dito indice davanti alla bocca facendo segno di fare silenzio poi iniziò ad arrampicarsi sull’arbusto.
Non sapevo che fare se non sgranare gli occhi e rimanere muta.
Ero al telefono con mio padre e un tipo strano con assurdi sbalzi d’umore a livello psichiatrico, stava salendo in camera mia arrampicandosi su un albero e per di più mi aveva intimato di stare zitta.
Ero nella confusione più assoluta, ma cercai di parlare “Ah…fammi pensare papà..” balbettai cercando di apparire indecisa e non sconvolta come in verità ero.
Beyond con movimenti sciolti, come quelli di un gatto, raggiunse il ramo che ricadeva sul mio balconcino. Poggiò i piedi sul pavimento del balcone senza fare il minimo rumore. Picchiettò con le nocche della mano sul vetro della finestra.
Iniziai ad avere una leggera iperventilazione, ma mi controllai.
Gli aprii e lui entrò agile, veloce come quando era uscito di casa un’ora prima.
Tolse le scarpe da tennis logore rimanendo scalzo, alla fine dei larghi jeans spuntavano solo le dita dei piedi.
Camminò lentamente guardandosi attorno, curioso, sembrò voler imprimere ogni particolare che osservava della mia stanza. Poi arrivò alla porta e la chiuse a chiave!
Iniziai a preoccuparmi davvero, la mia espressione da meravigliata divenne impensierita e molto più seria. Ma nonostante un tipo del genere mi fosse entrato in camera con la prospettiva che avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa, nonostante sapessi che dall’altra parte del telefono ci fosse non solo mio padre, ma anche un poliziotto, io non gridai aiuto, non tentai di scappare. Rimanevo lì, attratta, in preda all’incoscienza.
Poi lui mi si riavvicinò e parlò talmente piano da sfiorare l’inudibile, vidi solo il muoversi delle labbra “Inventa una scusa e riaggancia.”
Sospirai, cercai di calmarmi e parlai “Ah, ecco papà. Domani avrei già un impegno con Jesse e…andremo in piscina. Quindi…Mi dispiace papà.” Articolai le parole incespicando di nuovo.
Ero davvero dispiaciuta, il giorno dopo sarei voluta andare veramente in giro con papà.
Ma se non ci fossi arrivata al giorno seguente? Meglio lasciare a mio padre il ricordo di me tranquilla e della sua vita da teenager spensierata e senza macchia alcuna.
Beyond iniziò a sogghignare divertito e mi si avvicinava sempre di più.
<< Ok, tesoro. Sarà per la prossima volta. Però tieniti libera venerdì prossimo. Ok? >> Mio padre era altrettanto dispiaciuto e mi sentii una vipera per avergli mentito.
“Sì. Sarò liberissima” dissi – Lo spero.- pensai.
<< Allora buona notte e alla prossima settimana. Ti voglio bene piccola mia. >>
“Sì. Anch’io ti voglio bene papà.” Dissi quasi senza fiato perché Beyond mi si era ulteriormente avvicinato. Potevo sentirlo respirarmi sulla fronte.
Sentii riattaccare dall’altro capo della comunicazione e chiusi lo sportelletto del mio cellulare.
Non avevo il coraggio di alzare gli occhi e guardare. Pensare che fino a un attimo prima avrei voluto sprofondare in quel pozzo. Vigliacca! O forse emozionata?
“Sei proprio una bugiarda Leonor.” Disse Beyond con tono piatto ma divertito.
Alzai di scatto la testa aggrottando le sopracciglia e mi difesi dicendo “Ma sei tu che mi hai detto di inventare una scusa!”
Beyond trattenne una risata che se fosse esplosa sarebbe risultata rumorosa e mia madre era di sotto convinta che la figlia fosse sola e che stesse andando a dormire.
“Sei molto divertente Leonor. Davvero. Ti entra in camera un perfetto sconosciuto e tu fai quello che ti dice. Perdonami ma tu non sei molto normale.”
“Se è per questo neanche tu.” Dissi sarcastica e facendomi contagiare dalle sue risate zittite.
“Ah, beh! Lo hai notato?” Continuò ridendo, poi smise di colpo, come se gli fosse stata tolta la spina che generava quell’energia esilarante e proseguì “Goditeli questi momenti perché io non sono sempre così.” Godermeli? Avrei dovuto trarre gioia e piacere dal quel suo essere altalenante e incostante? Non poteva essere concepibile una cosa come quella. Eppure la desideravo, mi sembrò quasi impossibile per me in quel momento pensare di rinunciarci.
Presa dallo scambio di battute non mi ricordai che fosse così vicino, capii a scoppio ritardato che mi stava annusando come fa un animale. Si mosse con la testa sui miei capelli, lento scese lungo il mio viso. Si fermò sulle labbra, mi respirò vicino, ma non fece nulla, adorava quella sospensione e anche io. Poi scivolò sul collo e sentii il suo naso sfiorarmi l’orecchio. Inalò violentemente e si scostò brusco.
Iniziò a camminare di nuovo per la mia stanza fino a che non si sedette, in maniera scomposta, sulla cassapanca attaccata alle mie tre finestre.
Ripresi a respirare, mi sembrò di essere rimasta in apnea per un tempo infinito.
Mi mossi al centro della stanza, ma mantenni le distanze da lui come si mantengono con una belva feroce.
Ebbi il coraggio di fare quella domanda che da quando era entrato in casa mia mi assillava senza sosta e che cacciavo via per la paura. La paura della verità, la paura che lui nascondesse qualcosa di sbagliato, qualcosa da non sapere.
Lo guardai seria e sentivo la mia voce poco stabile. “ Che cosa vuoi da me?”
“Ecco! Adesso sei normale.” Disse pungente e sfoggiando il suo sadico sorriso.
“Parlo sul serio non scherzare.” Dissi ostile.
Lui assottigliò lo sguardo e divenne torvo, mi inquietò. Se quello sguardo avesse potuto schiacciarmi al muro ci sarebbe riuscito di sicuro.“Voglio quello che Lui non potrà mai avere. Voglio quello che Lui sostiene essere un intralcio ai propri obiettivi. Sarò migliore di Lui ma avrò molto di più. Avrò quel pezzo mancante che Lui si preclude.”
“Ma…ma di che parli?” Quella sua affermazione mi spaventò non poco. Parlava di qualcuno, ma non capivo di chi, perché non mi lasciò intendere chi fosse, non menzionò nessun nome al di fuori di quel ‘Lui’ e per di più me ne parlava con quell’espressione tremenda in volto.
Mi voltai, guardai la porta.
Se fossi stata veloce, probabilmente ce l’avrai fatta a sbloccare la serratura, a correre di sotto, avvertire la mamma e scappare fuori.
Beyond interruppe le mie pianificazioni di fuga anticipandomi “ Non ci provare nemmeno. Altrimenti dovrò farti fare la fine del tizio di una settimana fa. E vorrei proprio risparmiartelo perché mi piaci viva.” La sua voce mi stava minacciando che mi avrebbe ucciso e io riuscii solo a percepire il suo suono suadente e sensuale.
Mi voltai con un'espressione intimidita e inerme allo stesso tempo. Parlai con un filo di voce “Sei stato tu.”
Le immagini dell’omicidio mi ritornarono in mente e sentii un senso di nausea prendermi lo stomaco. Ricordai il taglio alla gola che avevo visto sul collo del maniaco. Lui gliel’aveva tagliata, senza incertezze, senza esitazioni.
Immaginai perfino la scena che si consumò dietro le mie spalle. Beyond che afferrava da dietro quella persona, poi con un movimento fluido gli squarciava la gola con un coltello, come quello che avevo in cucina e con cui la mamma aveva tagliato la crostata ore prima. Riuscii perfino a immaginare il fiotto di sangue sgorgare dalla gola del pazzo maniaco.
Ero impietrita.
Dire che Beyond fosse pericoloso era un eufemismo.
Non sapevo più cosa fare, cosa pensare. Mi sentivo in trappola, eppure fui capace di preoccuparmi per lui.“Ma la polizia ti sta cercando…e mio padre, ah…” Non riuscivo a parlare ero attonita e terrorizzata. Mio padre stava dando la caccia al ragazzo che stavo iniziando ad amare in maniera inspiegabile e soprattutto il ragazzo di cui mi stavo innamorando era davvero un pazzo assassino.
Ad un tratto le parole scherzose della mamma di poche ore prima non mi parvero più tanto divertenti. Con l’inizio di quei pensieri ebbe ufficialmente fine la mia normalità. “Non ti preoccupare. Non mi cattureranno delle persone così comuni….” Disse quasi disgustato e proseguì “ I miei piani sono altri e non un comune omicidio. Oltre tutto il tizio mi stava rovinando la piazza prima del tempo.”
Mi stava parlando di cose senza apparente senso e di omicidi come se niente fosse, come se fossero stati argomenti di normali conversazioni.
Io rimanevo incredula, immobile, con i pugni stretti e guardandomi tutt’intorno come se non riconoscessi di essere nella mia camera ma in un posto sconosciuto. Sorprendente come insieme ai sentimenti ragionevoli, giusti come la paura e l’orrore, riuscivano a prevalere delle emozioni insane e anormali come l’attrazione e l’amore per lui.
Provavo un forte senso d’attrattiva, ero totalmente persa per lui, non avrei mai voluto che abbandonasse la mia stanza. Gli avrei perfino dato rifugio e aiuto sempre, non importava cosa fosse.
Realizzai con riluttante chiarezza che io lo amavo.
Beyond lento si alzò dalla cassapanca e venne verso di me, mi girò intorno e mi si fermò davanti.
Se mi avesse toccato avrei dato totalmente, definitivamente spazio alla mia parte irrazionale e folle. Si abbassò leggermente per portare il suo viso davanti al mio, aveva le mani congiunte dietro la schiena in modo infantile. Le sue labbra si avvicinarono alle mie, percepii il leggero tocco delle sue, morbide e calde. Si mossero leggere ed io gli risposi. I suoi occhi erano aperti e guardavano nei miei.
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale. Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.”
Mi fissò per molto, serio. I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza, tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”






Ciaoo!! ^_^
Come state? Piove anche da voi? Spero che questo tempo ci abbandoni presto e che torni il caldo, anche se questo tipo di tempo mi ispira molto a scrivere e disegnare.
Parto subito dicendo che presto allegherò al chappy le tavole che avevo disegnato apposta per la pubblicazione, ma avendo lo scanner fuori uso dovrò aspettare per pubblicarle XD.
Poi chiedo perdono se il capitolo non ha niente di esaltante, ma sto elaborando il mio BB ed è dura, ma spero che la mia visione di lui vi piaccia. In più in questo periodo sono in una fase molto 'depressive', vado a rilento. Chiedo umilmente perdono.
Ora vi saluto e vi ringrazio sempre con tutto il mio cuore.
Al prossimo capitolo

Baci baci KiaraAma ;3

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Capitolo 6
*** B6- Insinua ***


                                  Non sei quello giusto per me
                                  Non sei quello giusto per me
                                  Ma ti voglio, ti voglio[…]
                                  Prendo un’altra strada che mi trasforma in cenere
                                  Pronta per un’altra bugia?
                                  Dice che lui mi insegnerà cos’è la velocità
                                  Di' “andrà tutto bene”[…]
                                  Forse mi piace questa montagna russa
                                  Forse mi tiene in alto
                                  Forse la velocità mi porta più vicino
                                  Potrei far brillare i tuoi occhi.


                                                               (Traduzione “Diet mountain dew” di Lana Del Rey)


                                    
                                                               
    Insinua


Il giorno seguente dovetti davvero chiamare Jesse e chiederle se le andava di andare in piscina.
Per mia grande fortuna Jesse quel venerdì era libera.
Mi disse, quasi esasperata al telefono, che non ce la faceva più a stare sui libri e che essendo alle fasi finali degli esami, poteva concedersi quell’evasione con me.
Appena sveglia scesi di sotto, trovai la colazione pronta nel piatto e coperta sopra con un altro piatto, su quest’ultimo c’era attaccato un post-it con un messaggio della mamma.

Eccoti la colazione!
I soldi li ho lasciati come sempre sul mobile dell’ingresso in soggiorno.
Spero di farcela per cena stasera, altrimenti invita pure Jesse oppure Beyond, così eviti di rimanere sola.

Baci e abbracci dalla mamma e buona giornata!' 



Finito di leggere il biglietto iniziai a bofonchiare una risata, pensando a quanto fosse semplice la mia mamma nello scrivere delle comunissime raccomandazioni. Poi mi ritrovai a rileggere quella parte del biglietto in cui mi diceva che avrei potuto invitare a cena Beyond e ne fui contenta, ma allo stesso tempo percepii un’angoscia che mi strinse il cuore al solo pensarlo.
Non badai più di tanto a quella sensazione e sperai in cuor mio che la mamma quella sera fosse potuta tornare in tempo per cena.
Feci colazione e mi andai a preparare, presi i soldi e uscii di casa, badando ben bene che tutto fosse chiuso prima di inserire l’allarme.
Quella mattina non potei prendere la mia amata bici con mio enorme rammarico, perché non era esattamente sicuro lasciarla incustodita all'ingresso della metro.
Dovetti raggiungere la stazione a piedi, come avevo fatto quella notte dell’omicidio del pazzo maniaco. E al solo pensiero ebbi un brivido lungo la schiena, perché ripensai all’espressione di Beyond la sera prima quando praticamente mi aveva confessato di averlo ucciso.
Fortunatamente in quel momento era giorno, c’era uno splendido sole ed evitai di continuare a pensare a certe cose, soprattutto perché quando sarei arrivata a destinazione, ci sarebbe stata Jesse e lei riesce sempre a scoprire cos’ho che non va. Quindi dovevo cercare di essere il più tranquilla e naturale possibile.
Dopo il breve viaggio in metro raggiunsi finalmente la mia fermata, Westwood.
Trovai Jesse ferma davanti all’insegna delle indicazioni stradali all’uscita della metropolitana.
Appena mi vide iniziò a sbracciarsi salutandomi, era particolarmente entusiasta all’idea di andare in piscina, non solo per lo stacco dallo studio, ma anche perché lei adora nuotare e stare in acqua.
Quel giorno aveva i biondi capelli legati in una coda altissima e sopra il costume indossava un vestitino rosa pallido che le arrivava fino alle ginocchia ed aveva delle bretelline finissime.
Quella mattina legai anch’io i miei capelli in una coda, ma a differenza di Jesse preferii rimanere sullo sportivo, indossai una canotta bianca e miei amati pantaloncini jeans.
Le andai incontro sorridente facendo un leggero cenno di saluto. Riuscivo a distinguerla a malapena con gli occhi che venivano accecati dall’intensa luce solare...ovviamente avevo scordato gli occhiali da sole.
“Buon giorno! Destinazione Poolside? Mi sono anche dimenticata gli occhiali da sole!” dissi squillante e canticchiando l’ultima frase, prendendomi per i fondelli da sola.
“Sì! Poolside!” Esclamò Jesse soddisfatta “ Non ce la facevo più a studiare e studiare, ancora studiare. Basta! Oggi relax con te, Leo! E non ti preoccupare, ce l'ho io un altro paio di occhiali da sole. Sapevo che avresti scordato la testa a casa.” Jesse, mentre mi prendeva in giro, fece un sorriso che per poco non le arrivò alle orecchie.
“Ok. Grazie mammina. Allora andiamo!” Dissi scherzosa.
Camminammo qualche metro e poi Jesse di nuovo parlò. “ Per me oggi essere venuta qui è come fare un’avanscoperta nel posto in cui a Settembre inizierò l’università.” Si voltò poi per guardarmi.
“Già…” Dissi con tono malinconico e abbassando lo sguardo, ma rimanendo sempre con un leggero sorriso sulle labbra, quasi a voler mimetizzare quanto mi disturbasse quell’argomento.
“Leo, lo so che non ti va giù l’idea di vederci così poco quando andrò all’università…” s’interruppe per poco, sospirò e poi continuò “Leonor, tu lo sai meglio di me che non sono queste sciocchezze del comune vivere a dividere le persone, ma ben altro. Io ti voglio bene. E non ci divideranno i kilometri e l’università.” Finì pacata e intenerita.
“Lo so..” Alzai la testa “Ma è più forte di me. Solo…che tu sei stata la prima persona in tutta Brentwood che mi abbia degnata di attenzione quando sono arrivata qui. Io odio le separazioni.” Constatai prendendomi in giro con tono ironico.
Poi Jesse eclissò quel discorso triste e scomodo, per prenderne un altro ancora più pesante, ma in questo caso lo era solo dal mio punto di vista.
“Mah! Leonor!” Jesse sbraitò guardandomi con una faccia sorpresa.
“Che succede?!” Dissi meravigliata compiendo il gesto nervoso di infilarmi una ciocca di capelli, sfuggita alla coda, dietro l’orecchio.
Sapevo già dove sarebbe andata a parare.
“ Prima non me ne ero accorta vedendoti da lontano. Hai dormito abbastanza questa notte? Hai gli occhi sciupati.” Si avvicinò preoccupata al mio viso.
“Beh, ho fatto le ore piccole leggendo. Mi ha preso talmente tanto la lettura…” m’interruppì pensando alla ‘lettura’ e continuai “…che si erano fatte le due e non me sono neanche accorta. Rimedierò facendo un pisolino sulla sdraio e sotto l’ombrellone.” Dissi con tono tranquillo e strizzando l’occhio per smorzare l’aria preoccupata di Jesse.
“Ok. Credo che anch’ io attuerò questa terapia per riprendermi dal match con lo studio. Ma comunque non mi convinci Leonor. Secondo me c’è qualcosa sotto o forse qualcuno.” Sostenne ritornando a scherzare e dandomi una leggera spinta con la spalla. Io riuscii solo a rispondere abbassando lo sguardo e sorridendole di rimando.
Ma mi sentivo davvero una bugiarda questa volta, o meglio, sì, le avevo mentito, ma non sul fatto che ci fosse un ragazzo che mi piaceva molto. Ma sul particolare di 'che cosa' lui fosse realmente.
In una situazione normale avrei potuto raccontargli ogni cosa su di lui, ma con Beyond era escluso.
Proibito!
Non avrei mai potuto dire a nessuno ciò che era realmente.
Ancora lo conoscevo molto poco, anche sotto i suoi macabri punti di vista.
Non solo perché se avessi parlato sarei sicuramente morta e avrei messo in pericolo la mamma, mio padre e Jesse, ma perché in quel momento lui per me era il mio piccolo segreto, non volevo condividerlo con nessuno.
Era mio.
Punto.
Provavo un leggero senso di vergogna nel pensare certe cose. Era praticamente impossibile accettare un individuo come Beyond. Svelarlo ad altri sarebbe stato come mostrare tutta la sua mostruosità al mondo intero.
Sapevo solo io di lui e forse non ancora tutto.
E cosa ancora più importante io lo stavo proteggendo in una maniera insensata.
Ricordai in quel momento, mentre camminavo placidamente con Jesse verso la piscina, l’affascinante intimazione di Beyond prima di andarsene dalla mia stanza.

Eravamo in piedi, l’uno di fronte all’altra. C’erano apparenti momenti in cui notavo che le sue labbra avrebbero voluto incollarsi alle mie, ma non cedeva. Lui con la mano mi diede un leggero colpo sulla spalla e mi fece cadere a sedere sul mio letto. In quell'istante pensai che da un momento all’altro avrebbe potuto abusare di me o farmi chissà cosa.
Invece mi si sedette vicino.
Guardai Beyond confusa e presa, ma rimanevo comunque vigile a qualunque gesto facesse.
Sebbene il cuore volesse assoggettarsi a lui, la mia mente non se ne fidava. Chiunque con un po’ di sanità non se ne sarebbe fidato, ma io ero e sono un’eccezione alle normali reazioni umane.
Beyond si voltò ed io sobbalzai in modo quasi impercettibile, lui se ne accorse e sorrise appena. I suoi occhi mentre si rivolgevano a me sembrarono lasciare una scia rossa, ma fu semplicemente un gioco ottico dovuto al contrasto delle sue iridi col buio.
Alzò l’indice con una posa che ricordava il fare una raccomandazione ad un bambino e puntò i suoi occhi dritti nei miei, come se potessero inculcarmi meglio il concetto di ciò che stava per espormi a parole.
“Ascoltami attentamente…” Disse suadente ed io divenni attenta, non percepii il leggero tono minaccioso che era velatamente insito in quelle parole “…Non domandarmi mai, e dico mai, che cosa faccio e perché lo faccio. Meno saprai, più tu e la tua famiglia avrete possibilità di vivere a lungo. Voglio che tu intuisca tra le righe.” Spostò lo sguardo davanti a sè “Lo capirai. Non ti dirò altro. Voglio proprio vedere se sarai capace di stare con me, sotto ogni punto di vista.” Concluse sorridendo, ma stavolta era un sorriso vero, fomentato da un entusiasmo tutto suo.
“Cosa vuoi fare? Mettermi alla prova? ” dissi seria e con aria preoccupata. Pensai che nella sua stramba testa stesse pensando che, se avessi fallito in quel suo giochetto, avrebbe comunque ucciso me e sterminato la mia famiglia, a prescindere dal fatto che io abbia avessi successo o meno.
“No. Non è una prova. Odio mettere sottopressione qualcuno, tanto meno chi mi piace. Ma voglio comunque vedere quanto vali e quanto riuscirai a capirmi…” Mi baciò tra dove iniziano le mie labbra e la mia guancia, poi si allontanò “ …e so già cosa ti sta preoccupando. Non temere. Se non ficcherai il naso dove non devi prima del tempo, vedrai che non succederà nulla.”
Dette quelle parole si alzò e si diresse verso la finestra, per scendere sul giardino tramite l’albero su cui precedentemente si era arrampicato. Ma prima di sparire parlò di nuovo di spalle “E’ inutile che ti dica che…” lo interruppi.
“Che non devo dire niente a nessuno e devo far finta di niente.” Dissi guardandolo e con la voce tremante.
Non so cosa mi prese, ma riuscii a intuirlo, a cogliere quello che voleva dire. Sebbene non fosse nulla di così complicato da comprendere, non riuscivo a capire in che modo fosse possibile che avessimo quella specie di comunicazione subliminale dopo neanche un mese, in cui ci eravamo alimentati di soli sguardi e occhiate.
In quel momento preciso sentii stringersi uno nodo tra me e lui.
“Esatto.” Si voltò di poco, giusto quel poco che mi permise di scorgere il suo profilo sorridente ed esaltato dalla mia risposta.
Avevo risposto come voleva lui.
Rimasi seduta sul letto mentre se ne andava, non ebbi il coraggio di affacciarmi e vedere. Non solo perché c’era una piccola parte di me ancora terrorizzata da lui, ma perché se lo avessi rivisto andare via, mi si sarebbe rispezzato di nuovo il cuore per la seconda volta in quella serata.
Sospirai, proprio come quando si sospira per essersi innamorati di qualcuno.
Mi ero innamorata di lui in una maniera forte, incontrollata.
E amavo ancora di più il fatto che Beyond fosse così singolare, unico nel suo essere. Concepii che nella vita non mi sarebbe mai ricapitato di provare qualcosa di simile per nessun altro essere vivente d’ordinaria natura.
Era un assassino! Pazzo! Ambiguo! E per quel che ne potevo sapere totalmente inattendibile in quello che mi diceva o faceva. Ma chiusi tutte le porte della ragione, le sigillai e decisi di seguirlo, curiosa, incosciente, speranzosa. Speravo di trovare una forma sensata e coerente nel suo amore sconsiderato, sempre che lui ne provasse e sempre se lui fosse stato in grado di dimostrarmelo.
Non poteva pensare che sarebbero bastati due baci a convincermene. Non sono così sprovveduta, volevo anch’io le mie prove e soddisfazioni da parte sua.
Sollevai gli occhi distrattamente sulla parete dove avevo appeso l’orologio e notai che si erano fatte le due di notte e nemmeno me ne ero accorta.
Il tempo con lui era volato.

Ma non volò in quel pomeriggio in piscina con Jesse, dove nonostante io cercassi di essere vigile e di non finire preda dei miei pensieri, continuavo comunque a incespicarci.
Fortunatamente Jesse non era stata mai molto insistente e sapeva che in certe situazioni fosse meglio prendermi per come ero in quel momento.
Tutto sommato passammo una bella giornata, ma nel momento del saluto all’entrata della metro Jesse mi sorprese più di quanto non avesse già fatto in passato.
“Senti Leo…” Si mosse impacciata prendendo con le sue piccole mani un lembo della mia canotta. “…Lo so che sei dispiaciuta per la storia università, ma davvero, se c’è qualcosa che non va dimmelo. Se vuoi che io non vada e che magari scelga qualche università a Brentwood, se vuoi…” si bloccò abbassando gli occhi.
Mi sentii un verme! Lei pensava che io stessi in quel modo perché stava per trasferirsi per gli studi.
Ma non era così, non dipendeva da lei. Sì, ero dispiaciuta, ma per me era importante che lei facesse ciò che le piacesse fare e che diventasse ciò che volesse diventare, non avrei potuto mai ostacolarla.
Compresi allora quanto fosse difficile, sia preservare il proprio amore e allo stesso tempo i propri affetti.
Mi morsi il labbro per non iniziare a piangere.
Io odio piangere davanti a qualcuno, è qualcosa che preferisco tenere per me e cerco di trattenermi anche davanti a chi mi conosce nel profondo.
Ero dispiaciuta da morire ma tentai di tirarla su.“Oh, Jesse. No, no. Non ti devi preoccupare, davvero. Andrà tutto bene. Sto già meglio. E poi come mi hai detto tu ieri, non è dall’altro capo del mondo questa maledetta Westwood. Quindi ora che ci siamo state sono più tranquilla. Anzi ti dirò di più, ti scoccerò l’anima. Verrò molto spesso!” dissi propositiva e determinata. Volevo farle capire che lei non aveva niente a che vedere con quello che mi attanagliava.
Lei proruppe in una risata e mi lanciò le braccia al collo abbracciandomi.
La mia semi recita aveva avuto successo, ma non mi fece stare affatto bene. Né mentre ero seduta nella metro e venivo dondolata dal movimento confortante del vagone, né mentre camminavo verso casa e i miei capelli ancora bagnati gocciavano leggermente sulle spalle, dandomi l’illusione di somigliare a delle lacrime. Non stavo nemmeno bene nel momento in cui rincasai e trovai la casa vuota.
La mamma non tornò per cena.
Buttai la borsa a terra che si rovesciò facendo srotolare l’asciugamano che avevo messo dentro.
Molly venne ad accogliermi, la presi tra le mie braccia e mi sedetti a terra.
Poi il silenzio della casa venne interrotto da dei singhiozzi.
Mi ci volle un po’ per capire che erano i miei e che stavo piangendo.
In quell’istante sentii affiorare tutta la tristezza e l’angoscia che comportava il mantenere le condizioni imposte da Beyond.
E lo detestai, ma solo per un attimo, perché subito dopo ebbi la necessità di volerlo vicino. Volevo la sua consolazione, sempre che un tipo come lui riuscisse a dare consolazione.
Rimasi lì seduta all’ingresso per un po’, poi mi asciugai il viso come potevo con una mano e mi alzai con Molly ancora in braccio. Mentre salivo le scale, sentivo muoversi la sua testolina e il suo nasino umido mi toccò il mento.
Non potevo restare da sola quella notte e portai Molly a dormire con me. Le sue fusa quella sera furono il sedativo che cercavo da tutto il tormento di quella giornata sconnessa.
I veri incubi li avevo vissuti nella realtà di quel giorno.

Era il ventidue di Luglio, passò più di una settimana e Beyond continuava a vedersi a sprazzi nel mio quartiere.
Andava, veniva, spariva.
Ovviamente tutto questo facendo sempre il ragazzo tutto fare. Entrava in tutte le case, ma non entrò più nella mia.
Io mantenni fede a quello che mi aveva chiesto, lo salutavo come se fosse stato un mio amico e poi rincasavo.
Tutto questo per più di una settimana.
Per me vederlo in quel modo era come avere il vasetto del miele vicino, a due passi da me e non poter affondare il cucchiaino dentro per mangiarlo. Si divertiva a ronzarmi attorno e mi provocava.
Mi sorrideva con quel suo modo sfacciato e irrisorio, poi si dissolveva.
Anche quel giorno mentre ero alla finestra, spazientita da quella situazione, rientrai in camera chiudendomi la tendina dietro con fare stizzito.
Poi mi madre entrò nella mia stanza e mi sorprese imbronciata con la mano poggiata sullo stomaco.
Stavo macinando nervi.
“Ehi! Che succede Leo? Che c’è? Sei arrabbiata perché Beyond non è venuto più a farci visita?” La mamma parlò maliziosa e sorridendo, ma lei non poteva minimamente immaginare la serietà della circostanza in cui vivevo.
Io a quella sua affermazione iniziai a sorridere, perché aveva fatto centro. Il tutto sembrò camuffarsi in una normale situazione madre-figlia, proprio quello che odiavo, ma in quel momento mi andò più che bene direi.
“Mmmh…sì. Mi secca un po’. Ma è superabile direi.” Dissi ancora sorridente e alzando gli occhi guardandola.
“Allora, per festeggiare 'la non drammaticità della situazione', direi che stasera ci starebbe bene una cena fuori. Che ne dici? Ci saranno anche dei miei colleghi e amici. Ti scoccia?” Propose cristallina la mamma e continuò “ Sai, non ho voglia di lasciarti sola stasera. Già la scorsa settimana ti ci ho lasciata, poi quella storia dell’omicidio ancora non riesco a togliermela di mente. Quindi stasera vieni con me tesoro.” Il finale fu supplichevole e paranoico più del solito, quanto più tendente ad un’imposizione.
La mamma aveva ragione da vendere, dopo quello che era successo dovevo andare con lei, era giusto così.
Ma combattevo con quel qualcosa dentro di me che avrebbe voluto rimanere in camera ad aspettare Beyond arrampicarsi su quell’albero per venire da me.
Per buona sorte in quell’occasione ebbe il sopravvento il buon senso e ripensai alle parole ‘far finta di niente’. “Sì, verrò. Non c’è problema mamma se ci saranno dei tuoi colleghi o gente simile. Per me va bene. Andiamo.” Parlai guardandola tranquilla e serena.
“Bene tesoro, allora iniziati a preparare. Ci aspettano per le sette.” Detto questo la mamma andò subito a vestirsi per la serata.
Appena mia madre chiuse la porta, io con fare veloce piombai sul mio armadio posizionato tra le mie finestre, lo aprii e addocchiai un vestito rosso con fantasia fiorata nera.
Nera come la mia espressione in quel momento, che poi si ammorbidì diventando neutra. Avevo scacciato senza pochi convenevoli quella di totale contentezza di pochi istanti prima. Per un attimo mi sembrò di aver assunto i comportamenti di Beyond, simili a quelli della sera in cui venne per la prima volta a casa mia.
Mi voltai a guardare di nuovo dalla finestra, inquieta.
Lui era sul marciapiede opposto che parlava con la signora Rosemary ed un’amica di quest’ultima .
Mentre era preso dalla conversazione, gettò una lesta occhiata tentatrice, bassa e intensa verso la mia finestra. Avrei tanto voluto che avesse abbandonato quelle due zitelle e fosse venuto da me per baciarmi all’istante.

Quella sera, a differenza delle precedenti dove le cene della mamma con i suoi colleghi-amici avvenivano ad Hollywood, decisero di fare una cena a Bel Air.
Non andammo nel solito ristorante, ma a casa del suo amico-collega John Moore.
Questo tizio abitava all’ultimo piano di un enorme palazzo, in pieno centro a Bel Air e aveva una terrazza con vista da favola. John non è un tipo molto simpatico e a mio parere ci provava con mia madre, ma fortunatamente lei nemmeno se ne è mai accorta, quindi lui ogni volta ci rimaneva con un palmo di naso.
Prima di accomodarci a tavola, io, per sfuggire alle chiacchiere sull’architettura e tutte le altre diavolerie sul design, mi misi a gironzolare per l’enorme salone arredato in maniera modernissima e mi ritrovai poi a uscire fuori sul ‘mega terrazzo di John Moore’.
Osservai le luci in lontananza, poi mi soffermai a studiare quella specie di alone luminoso che emanavano delle illuminazioni nascoste sui bordi delle imponenti ringhiere in muro.
L’aria era così pulita e fresca, potevo sentire quel leggero brivido generato dal contrasto tra il caldo della mia pelle e il lieve, fresco getto d’aria che mi investiva.
Anche in quel momento non potei fare a meno di pensarlo.
Avrei tanto voluto essere sul quel terrazzo con lui, avrei voluto che quella corrente fredda sulla mia pelle diventasse calda.
Che divenisse lui.
Venni poi distratta dal chiamarmi di mia madre. “Leonor! Tesoro. Voglio presentarti un nuovo amico che si è unito a noi di recente.” La mamma venne verso di me tenendo per il braccio un uomo.
Era di un’altezza molto nella norma, di costituzione magra, ma solo all’apparenza, perché quando si avvicinò a me notai che era un po’ più di corporatura media. In volto era molto piacevole. Aveva degli occhi sul marrone ed espressivi. Sorridendo gli comparivano delle leggere fossette sulle guance. Nervosamente si scostò una ciocca di capelli castano chiaro che gli finiva davanti agli occhi. Era semplicemente vestito con una camicia di cotone bianca e dei pantaloni beige, le scarpe erano molto casual.
Mia madre lo stava guidando verso di me, come se fossero stati due studenti timidi al liceo e che dovevano presentarsi alla ragazza più bella della scuola.
Ancora sorridenti mi si misero davanti. “Leonor. Lascia che ti presenti Believe Bridesmaid. E’ uno scrittore free-lance e ha scritto alcuni articoli anche per una nota rivista d’architettura…” Poi la mamma fece indicando con la mano rivolta a me “Believe, questa è Leonor, mia figlia.” Mia madre era così contenta che mi contagiò e risposi anch’io con un sorriso, galvanizzata.
Allungai al mano verso di lui e lui fece lo stesso stringendomela con decisione.
“Piacere, signor Bridesmaid.” Dissi ancora divertita dall’esplosione di gioia di mia madre.
“Piacere mio Leonor. Chiamami pure Believe.” Disse con tono di voce rilassato.

Posso dire che quello non fu un caso.


Ciao a tutti!
Mi spiace per aver saltato la pubblicazione della scorsa settimana, ma ero presa da altre sperimentazioni con la scrittura e quindi non ho potuto pubblicare.
Chiedo perdono.
Spero che il capitolo non sia stato di una noia mortale. Ultimamente sono molto incerta quando scrivo, temo sempre che non piaccia :( .
Grazie a chi mi ha inserito nelle varie sezioni, cartelle, etc…
Vi ringrazio ancora tanto e spero di trovarvi anche nei prossimi capitoli.

Baci baci da KiaraAma

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Capitolo 7
*** B7- Cristallo ***


 

                                  Cristallo

“Però simpatico Believe Bridesmaid.” Esordii tutta contenta mentre quella mattina sorseggiavo il mio succo d’arancia e commentando con la mamma la serata prima a casa di John Moore.

“Sì.” Mia madre rispose sorridendo mentre era intenta a mettere nella sua borsa da lavoro in pelle lucidissima dei fogli e progetti vari.
Faticavo ad ammetterlo ma la sera precedente mi ero divertita molto. Il nuovo amico della mamma, Believe, era un tipo molto socievole. Ci aveva parlato della sua passione per i fumetti giapponesi e per il bricolage. In più aveva un senso dell’umorismo molto spiccato, era difficile non riuscire a ridere ad una sua battuta.
“Senti tesoro…” La mamma chiuse la borsa e la sua voce mi distolse dalle mie considerazioni mattutine della serata e alzai la testa per ascoltarla. Avevo già capito dal suo tono ruffiano, che aveva qualcosa da farsi perdonare per quella giornata o per qualcos’altro. Ed infatti proseguì dicendo “ Ho paura che per questa settimana non ci sarò proprio. Né il pomeriggio e tanto meno la sera. Dovrò fare degli extra a lavoro. Dovrai organizzarti le serate. Non so, magari con Jesse e Beyond come ti avevo detto la volta scorsa nel biglietto che ti lasciai per la colazione. Riuscirai a risolvere? Posso stare tranquilla?” Il finale fu nel suo stile fobico-paranoico.
Ma adesso c’era il fondamento necessario per quella preoccupazione, almeno solo per me.
Ricordai la regola ‘finta di niente’ e risposi “Certo. Tranquilla, sopravvivrò e starò attenta. Promesso.”
Sentendomi così calma, l’espressione apprensiva della mamma si rilassò e sorridente venne da me, mi baciò la guancia e mi augurò la buona giornata. Fuggì poi di corsa avendo notato, guardando l’orrido l’orologio di una forma moderna appeso in cucina, che si erano fatte le otto e un quarto.
La porta di casa sbatté violenta. Ero rimasta di nuovo sola in casa.
Fuori gli uccellini cinguettavano rumorosamente, risvegliarono le mie orecchie contrastando il silenzio che c’era nella stanza. Ero in vacanza, avevo molto tempo per qualsiasi attività avessi voluto fare. Ma ero intrappolata in quella pigrizia che prende le persone innamorate.
Sì, quella pigrizia che ti porta a rimanere incollata al letto e a pensare a lui costantemente. Non c’è altro pensiero che possa penetrare nella propria mente. Solo lui.
Cercai comunque di darmi una mossa e così decisi di riordinare la mia camera che da tempo trascuravo per via del fatto che non rimanevo molto in casa. Così mi armai di buona volontà, sparecchiai il tavolo in marmo dalla colazione e salii in stanza.
Ci misi un’oretta buona per rimettere in ordine. Feci perfino pulizia tra i miei cd musicali, trovandomi di tanto in tanto per le mani degli album che mi facevano pensare ‘Ma come diavolo faceva a piacermi questa roba!’. Poi finito di pulire il tutto, mi concentrai sui miei cassetti per spostare in bella vista gli indumenti che uso di più, nel primo cassetto. Mentre invece quelli che utilizzavo meno li misi nell’ultimo tiretto della cassettiera.
Aprii l’ultimo cassetto e iniziai a tirare fuori le maglie in maniera confusa, per fare poi una cernita più precisa. Ad un tratto mi ritrovai tra le mani una maglia bianca a maniche lunghe.
Era molto grande, certamente non della mia misura. Era un modello maschile.
Rimasi perplessa. Come cavolo c’era finita lì? A casa non c’era un uomo da quando la mamma si era separata da papà. E allora di chi era?
Non la buttai e non la misi nemmeno nel primo cassetto, mi limitai a ripiegarla rimettendola nell’ultimo tiretto con un’espressione in faccia ancora esitante. Pensai potesse essere una delle maglie dimenticate da papà e magari la mamma l’aveva messa lì per sbaglio.
Finalmente finii di sistemare, mi lasciai cadere sedendo a terra rannicchiata e osservando il risultato dell’ordine che avevo fatto.
Sola.
Ancora sola.
E ci rimasi in quella condizione di noia e solitudine per ben altri cinque giorni.
Il quinto giorno, come se non bastasse, tornò la pioggia e ci fu un temporale memorabile.
Cadevano fulmini e tuonava come non mai, anzi sembrava quasi che i tuoni mi urlassero in casa.
Quell’atmosfera mi metteva un’agitazione assurda.
Detesto le saette e i boati, ne ho una fifa matta. Almeno in questo sono normale o forse no, perché ho paura dei fenomeni atmosferici, ma non avevo e non ho la paura necessaria, quella paura giusta che avrei dovuto avere per Beyond, che definirei un fenomeno letale.
Ero seduta in salotto cercando di distrarmi con la tv, che era l’unica forma di luce in quell’oscurità artificiale causata dalla tempesta fuori, ma non riuscivo a rimanere calma.
I suoni esterni mi mettevano un’ansia costante e sobbalzavo ad ogni rimbombo o suono crepitante ed elettrico dei fulmini.
Sentii poi bussare alla porta.
Mi bloccai osservando in direzione dell’ingresso, acciuffai il telecomando e spensi la televisione.
“Perché non suonare il campanello?!” pensai.
Chi poteva essere? Jesse l’avevo sentita un attimo prima al telefono e mi aveva detto che sarebbe andata con i genitori da sua nonna e lui…beh, con Beyond avevo perso le speranze di rivederlo dopo quei suoi giochetti del vedo-non vedo.
Cercai comunque di prendere coraggio e arrivai alla porta.
Prima di aprire, osservai dalla barra in vetro del portone di casa, ma le gocce di pioggia cadendo a scroscio avevano distorto la visuale, il vetro sembrava fondersi.
Non vedevo nulla.
Così presi un respiro, agguantai lentamente un ombrello custodito nel porta ombrelli, me lo misi dietro la schiena e aprii velocemente la porta.
Rimasi per l’ennesima volta sorpresa.
Era Beyond.
Bagnato fradicio. I capelli gli aderivano sul viso, le pallide guance sembravano essere tagliate dal nero delle sue ciocche. La maglia grigia era zuppa, mostrava il suo fisico virile e la muscolatura. I suoi jeans erano scuriti per via del bagnato. Teneva lo sguardo basso e appena gli aprii lo alzò di scatto. Aveva di nuovo quel colore innaturale degli occhi. Aveva rimesso quelle maledette lenti.
Non mi chiese il permesso di entrare, entrò e basta. Dall’istante in cui lo conobbi non ebbe mai nessuna premura o eccesso di educazione, a parte quella volta con mia madre dove si scusò e poi fuggì senza motivo. Per il resto faceva come più gli aggradava.
Gocciolante chiuse la porta togliendomi delicatamente di mano il pomello.
Mi osservò e fece un’espressione incuriosita indicando qualcosa dietro le mie spalle poi parlò “ Credi che quello possa proteggerti?”
Io per tutto il tempo rimasi stordita, non so bene da cosa, forse dalla sua sola vista e mi ero completamente scordata che stavo tenendo un ombrello dietro le spalle.
“Ah! Questo?” esclamai guardando quell’oggetto come se potesse essere davvero la mia ancora di salvezza “Beh, sai ultimamente ho a che fare con persone non tanto comuni e allor…” Non proseguii la mia frase, lo guardai appena. Mi morsi il labbro inferiore vergognandomi un po’ per quello che avrei potuto dire pensando di offenderlo e poi rimisi a posto l’ombrello da dove lo avevo preso.
Ero nervosa, ma tentai di non darlo a vedere “Ah, sicuramente…dovrai asciugarti.” Dissi titubante.
“Sì, direi di sì, Leonor” Constatò con voce roca Beyond. Me lo disse con quel tono che mi fece sentire come una bambinetta a cui bisognerebbe insegnare qualcosa.
Ripresi fiato e lo guardai “ Vado a prendere degli asciugamani. Tu nel frattempo vai in cucina. Togli le scarpe e aspettami lì. Arrivo subito.” Dissi iniziando a gesticolare.
Mio Dio! Stavo facendo come il papà quando rivedeva la mamma!
Beyond non mi rispose, prese e andò in cucina.
Mentre ero nel bagno del piano superiore e prendevo gli asciugamani dal mobile vicino al lavandino, mi accorsi che mi stavano tremando le mani.
Ora il punto era, se mi tremassero per l’emozione o per paura o per entrambe. Appurai che era l’ultima opzione ad essere quella più vera per definire quel mio stato d’animo e conseguente reazione fisica.
Chiusi gli occhi e mi controllai, dissi fra me e me a denti stretti “Finiscila idiota!”
Poi come un’illuminazione pensai che Beyond aveva la maglia zuppa, ma non solo. E ricordai che avevo quella t-shirt bianca nel cassetto in camera mia. Certo, era ben poco come cambio, ma non avevo altro.
Presi anche la maglia e scesi di sotto.
Quando entrai in cucina lo trovai a guardare, molto preso, il temporale dalla porta finestra e si voltò appena quando mi sentì arrivare. I suoi occhi si accesero nel vedermi.
Era bello. Bello in una maniera dolorosa. Si percepiva che era malato, ma non fisicamente. Il suo male era recondito e gli arrecava sofferenza. Una sofferenza che in quel momento traspariva dal suo volto contratto in una smorfia malinconica.
Tornai vigile, sollevai di poco le braccia dove tenevo i due asciugamani e sopra di essi la maglia bianca.
“Ecco. Se vuoi cambiarti c’è il bagno degli ospiti qui nel corridoio. Mi spiace solo di non avere i pantalon…” Non finii di formulare la frase che m’interruppe brusco.
“Non occorre. La maglia va più che bene. E poi i pantaloni non sono molto bagnati. Le scarpe le ho tolte quindi problema risolto.” Dicendo così mi passò vicino strappandomi gli asciugamani e la t-shirt di mano, poi si andò a chiudere nel bagno degli ospiti.
Non capii per quale motivo ma nella testa pensai, che nello stato in cui lo avevo sorpreso, chiuso in bagno…beh, meditai che avrebbe potuto commettere una pazzia, come il suicidio.
Non so cosa gli era preso, non ne avevo la più pallida idea. In quel momento al pensare a una cosa come un suo suicidio, il tutto poi unito al suo atteggiamento angosciato, mi fece stringere il cuore e fece male. Non capii nulla, ero più che disorientata.
Per non pensare molto a quella sua reazione e a quelle sensazioni penose anche per me, mi misi a scaldare dell’acqua nel micronde.
Dovevo calmarmi. Un tè, un caffè, una camomilla, qualsiasi cosa che mi facesse sentire sollievo passandomi in maniera calda per il petto.
Guardavo la tazza girare all’interno del micronde e rimasi quasi ipnotizzata.
Non riuscivo a tranquillizzarmi, le ansie ora erano due: il temporale e lui.
Tenevo le braccia tese, le mani poggiate sul ripiano. Il sentire il suono della fine del programma del forno e il sentirmelo dietro le spalle fu un tutt’uno.
Mi voltai sussultando e inspirai violenta.
“Ti ho spaventata?” Disse divertito ma la sua espressione rimaneva seria.
“No…no! E’ che mi hai sorpresa. Tutto qui.” Abbassai lo sguardo intimorita e mi scansai di lato.
Scordai perfino che avevo ancora l’acqua bollente nel forno.
Poi trovai la forza di guardarlo. I miei occhi si illuminarono.
Quella maglia bianca faceva risaltare il colore corvino dei suoi capelli, perfino la sua carnagione chiara spiccò ai miei occhi.
Gli stava alla perfezione.
Pensai subito a qualcosa che mi scombussolò e terrorizzò.
E se fosse stato lui a mettere quella maglia nel mio cassetto? Visto che avevo a che fare con uno come lui, non mi sarei stupita di nulla. Non resistetti e domandai “ Sei stato tu a mettere quella maglia nella mia cassettiera?”
Beyond si mosse e si sedette scomposto, provocatore, con le gambe spalancate su l’unica sedia che c’era in cucina e che era abbandonata in un angolo vicino al frigo. Sollevò gli occhi su di me, mi sorrise malizioso. Ma la sensazione che mi rimandò fu simile a quella che ebbi sulla porta poco prima, quando aveva risposto con aria superiore alla mia domanda scontata.
Mi fece di nuovo sentire una povera piccola ingenua.
“Niente domande. Ricordi?” Lo disse con voce bassa e abbassando lo sguardo sulle sue mani che teneva rilasciate sulle gambe.
Io mi limitai ad annuire e a poter tornare al micronde per prendere la tazza al suo interno.
Quindi era stato lui! Era entrato in casa mia! Ma quando?! Ogni volta che io o la mamma uscivamo, inserivamo sempre il sistema d’allarme.
Come diavolo aveva fatto a disattivarlo?!
Mi sentivo violata. Mi stava facendo capire che poteva entrare ed uscire, poteva venire da me, come e quando voleva.
Deglutii ansiosa e sentii addirittura una piccola punta d’entusiasmo, che mi mise a soqquadro lo stomaco. Mi voltai e poggiai la tazza bollente sul piano in marmo, feci poi scivolare le mani sulla superficie fredda e liscia. Sembrò quasi destarmi da quella sensazione disarmante e opprimente.
I miei occhi rimanevano incollati al riflesso di me sull’acqua all’interno della tazza.
“Perché non mi guardi negli occhi? Allora non ti piacciono i miei occhi come avevi detto tempo fa. Anzi, sono forse io che non ti piaccio. Vero? Sei davvero una bugiarda.” Divenne di nuovo scontroso ed io mi voltai immediata come se avesse appena imprecato.
Come aveva potuto pensare certe cose?! Non era così palese che io fossi pazza di lui? Quali altre conferme voleva?
“No! Io…non è vero che non mi pia…” Non riuscì a finire la mia frase che mi sentii scorrere del fluido caldo che dal naso attraversò le labbra.
Io purtroppo in alcuni momenti vengo colta da delle emorragie nasali, ne soffro da quando ero bambina e quel giorno l’emorragia decise di mostrarsi proprio davanti a Beyond.
Per istinto, in maniera tranquilla, toccai appena sopra il labbro superiore e mi guardai poi le dita bagnate dalla leggera macchia di rosso.
Alzai poi gli occhi su Beyond e vidi la sua faccia contratta in un’espressione agitata, tentata e trattenuta. Sbarrò leggermente gli occhi, la bocca divenne ferma e ingoiò a vuoto. Si strinse con le mani, teso, alla base della sedia su cui era seduto, tentando di non dare a vedere quanto fosse turbato.
Ero stupita.
Avevo sentito di persone che svenivano alla vista del sangue, ma non avevo visto mai nessuno agitarsi così. Anzi sarebbe meglio dire, non avevo mai visto nessuno eccitarsi così alla vista del sangue.
“Scusami. Mi succede a volte. Adesso mi pulisco.” Era la prima volta che mi sentivo in imbarazzo per via di una cosa banale come del sangue dal naso.
Mi sentii come se mi avesse spogliata nuda con quella reazione e quello sguardo.
Mi misi alla ricerca con gli occhi, osservando tutti gli angoli della cucina, di un qualche fazzoletto per tamponarmi il più velocemente possibile. Poi tutto ad un tratto mi sentii strattonare e inchiodare contro il muro.
L’impatto mi fece sbattere appena la testa sulla superficie dura della parete ed emisi un leggero lamento di dolore.
Beyond si era alzato dalla sedia e mi aveva bloccato per i polsi, mi respirava in viso convulsamente. Insinuò una gamba tra le mie facendole divaricare di poco. Si schiacciò su di me. Iniziò a controllare il suo respiro, ma rimaneva comunque agitato.
Io ero sbalordita.
Anche il mio respiro era alterato, ma rimanevo concentrata, cercavo di capire il senso di quello che mi stava facendo. Poi lentamente si avvicinò alle mie labbra insanguinate, lo fece come sempre di proposito, per assaporare meglio il momento. Come se volesse ritardare quell’istante per poterne godere al meglio fino alla fine. Mi premeva contro di sé e prima che lui si potesse avvicinare ulteriormente alla mia bocca, una goccia del mio sangue colò via e macchiò la sua maglia bianca.
Si fermò.
Osservò la macchia aprirsi sul tessuto immacolato, poi riportò gli occhi su di me. Fece un sorriso di pura eccitazione questa volta. Iniziò a leccare piano il sangue che avevo sopra il labbro.
Quel contatto mi mandò fuori controllo. Chiusi gli occhi, sentii la sua lingua arrivare alle labbra, poi smise di usare la lingua e iniziò a mordermi delicatamente il labbro inferiore.
“Apri la bocca.” Era un ordine sussurrato in maniera accesa e io lo eseguii volendolo.
Il tutto si trasformò in un bacio forte e prepotente. Non voleva respirare, avrebbe continuato a baciarmi sentendo il sapore ferroso nelle nostre bocche, senza mai fermarsi. Ma era costretto a respirare e nei momenti in cui lo faceva quasi ansimava di piacere e dolore allo stesso tempo per la separazione dalle mie labbra.
Mi lasciò i polsi, voleva sentirmi muovere. E presa da quel momento che mi stava frastornando, strinsi le mie mani nei suoi capelli. Rispondevo e rispondevo a quello che lui voleva.
Il mio bacio al sangue.
Ma il timore di quel momento si ripresentò come era successo nelle altre situazioni con lui.
Cercai di allontanarmi, di difendermi da tutto quell’impeto, da quell’incomprensibile passione.
Lo staccai di poco da me, ma rimasero ancora quei pochi millimetri a dividerci.
“B…” Dissi affannata e non dissi altro, mi uscì dalle labbra come se lo avessi sempre chiamato in quel modo.
Lui si placò dopo avermi sentito dire solo quella lettera.
Divenne meno pesante su di me, ma mi rimaneva comunque attaccato. Poggiò la testa tra il mio collo e la mia spalla “Sì, direi che a questo punto puoi chiamarmi anche così.” Il suo tono era desolato, triste.
“Dovrei chiamarti B?” Domandai ammorbidita dalla sua voce, che in quell’istante fece trasparire qualcosa di fragile.
Si scostò veloce e scorbutico sbottò “ Sì, puoi chiamarmi anche così! Che c’è non ti piace? Preferiresti un’altra lettera dell’alfabeto?!”
Ero disorientata e preoccupata replicai “No! Mi piace! Io amo chiamarti in qualsiasi modo! B o Beyond non fa differenza! L’importante è che sia tu.”
Mi guardò poggiandosi al ripiano in marmo e sorrise sbieco, incrociando le mani al petto.
Nel vederlo con quell’atteggiamento da vincente, come se quello che io avevo appena detto fosse stato il trofeo, oppure perché percepivo che quello che voleva era sempre e comunque una conferma di superiorità su qualcosa, un qualcosa che per me era ignoto, sconosciuto, non so perché ma tutto questo mi fece passare dal dispiacere ad uno scatto di nervi.
Mi avvicinai anch’io al ripiano dove si era adagiato e vidi finalmente quella stramaledetta scatola di klineex, che cercavo da prima. La afferrai risentita e presi un fazzoletto, cominciai poi a tamponarmi per bene il naso.
Quel mio modo di fare durò molto poco, giusto il tempo di sentirlo parlare di nuovo.
“Sai, il modo in cui hai detto B, mi ha ricordato molto il modo in cui mi ci chiamava un’altra persona.” Disse tornando a un tono nostalgico. Ricomparve di nuovo l’espressione di dolore e tristezza sul suo volto, adesso molto più controllata rispetto a pochi istanti prima.
Mi accostai a lui desolata e gli poggiai la mano, chiudendola in un pugno, al braccio. “Chi? Chi ti chiamava così?” Ero incuriosita, impaurita dalla risposta che avrei potuto udire.
Ma la volevo.
Lui mi prese la testa tra le mani e mi guardò, ma non negli occhi. Osservò attentamente sopra la mia testa, poi piombò veloce sul mio sguardo. Con un’aria decisa e la voce bassa e rotta da un’emozione simile alla disperazione disse “ Promettimi che non te ne andrai prima del tuo tempo.”
Io lo guardai con uno sguardo interrogativo e dispiaciuta nel vederlo in quello stato. Non sapevo cosa lo avesse ridotto così, mi limitai a rispondere decisa ma flebile, quasi mormorando “Sì. Te lo prometto, B.”
Dal quel giorno non lo avrei più chiamato Beyond.
Perché adoravo vederlo inerme quando pronunciavo quella lettera per chiamarlo, era qualcosa che lo faceva sentire solo mio, era la mia arma per tenerlo legato a me.
Solo io avevo quel qualcosa, quel ruolo importante che non riuscivo a collocare in nessuna scala affettiva, perché trattandosi di B, superava di gran lunga ogni concetto di rapporto ordinario.
Afferrai che per quanto lui fosse incomprensibile, provocatore, prepotente e insano, solo io avevo un effetto di un potente richiamo su di lui.



Ciao a tutti/e ^_^
Sono ritornata con il nuovo chappy!
Spero vi abbia trasmesso la giusta dose di tensione e eccitazione che volevo trapelasse. Anche se penso sempre di non riuscire a rendere bene le scene che ho nella testa ( sotto questo punto di vista, il disegno è un po’ più semplice XD).
Spero non vi annoi questo capitolo, ma che vi faccia divertire. E’ questo il mio scopo ;P.
Vi ringrazio tanto, tanto, chi mi ha inserito nelle storie preferite, ricordate e seguite. Non solo questa storia, ma anche SunShine e le mie one shot.
Grazie, grazie di cuore.

Vi saluto, vi mando un bacio grande e alla prossima

                                                                    KiaraAma

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Capitolo 8
*** B8- Preda ***


                                                                            



                                         
               
Il disegno non è mio ma di 
http://robbuz.deviantart.com/. Lo trovo fantastico come artista, coglie BB in pieno.
                                       Mi scuso se non è un mio disegno, ma ultimamente manco quello riesco a fare XD.

                                                              Preda




Non scorderò mai quel giorno.
Se fino a poco tempo prima credevo di riuscire a controllare la mia vita, a tenere sotto controllo quella normalità che mi piaceva e tranquillizzava così tanto…beh, in quel giorno intesi che non avrei più potuto governare liberamente il mio vivere e che avrei iniziato a fare a meno di quell’ordine su cui ero abituata ad adagiarmi serena.

Era il 31 Luglio 2002.

In quel pomeriggio alla festa del diploma di Jesse si poteva respirare l’atmosfera distesa di una qualunque giornata caldissima d’estate. Il giardino ombreggiato dalle palme, la piccola piscina con delle sdraio ai sui bordi, i tavoli imbanditi di ogni genere di cibo salato e dolce esistente a questo mondo e le bibite, che ovviamente erano analcoliche, essendo una festa molto controllata e di soli amici stretti e familiari.
Jesse fu quasi costretta a dover festeggiare la sua maturità in maniera così intima, per non far rimanere male i suoi genitori. Carl e Jane sono quel tipo di genitori molto protettivi e molto perbenisti, nonostante vogliano dare a vedere che abbiano delle vedute mentali aperte.
Io li definisco semplicemente soffocanti.
Quel giorno la casa di Jesse brillava di quel riflesso che si può percepire solamente in quelle occasioni. Il riflesso della gioia, del sole e dei sorrisi di Jesse. In effetti lei era radiosa malgrado il tipo di festeggiamento a cui si era costretta. Sì, era lei la fonte luminosa, era lei il sole che si sarebbe allontanato da me.
Io ero concentrata ad osservare la festa, a sentire l’allegro esclamare “Congratulazioni!”degli invitati, le chiacchiere frivole dei parenti di Jesse sulla migliore scelta dell’università che avrebbe dovuto frequentare e le conseguenti risposte diplomatiche e decise di lei.
Sapeva già cosa avrebbe fatto della sua vita, sapeva perfettamente cosa voleva.
Jesse nel parlare si voltò distrattamente e mi guardò di sfuggita, mentre io ero intenta, ad occhi bassi, a guardare nel bicchiere il colore rosso dell’analcolico alla ciliegia che avevo preso. Poi iniziai a giocherellare con uno dei merletti che decoravano il mio vestitino bianco e che aveva delle maniche corte leggermente a sbuffo. Mi piaceva quell’abito, mi dava la sensazione di sentirmi lieve, delicata. Quel vestito, che all’apparenza mi faceva apparire dolce, faceva perfettamente a cazzotti con la mia anima che iniziava ad infangarsi.
Jesse si divincolò dall’intrattenimento dei suoi ospiti, venne da me che ero seduta su un muretto-divisorio tra la piscina e il giardino vero e proprio situato dietro le mie spalle.
Mentre vedevo Jesse avvicinarsi le vidi aprirsi un sorriso spiritoso e rassicurante. Il suo vestito di un azzurro pastello, finiva in una leggerissima gonnellina che svolazzava al leggero incitare del vento. Era molto pallida, ma questo per via del fatto che essendo stata tutta l’estate a studiare, di sole ne aveva visto ben poco. A parte quel giorno di qualche settimana prima quando eravamo andate in piscina.
In quel momento, mentre Jesse accorciava le distanze e si faceva sempre più vicina, mi domandai: Io che cosa voglio? Lo so davvero cosa voglio dalla mia vita?
Non mi diedi risposta che Jesse parlò “Allora? E’ noioso questo party per il diploma, vero? Assomiglia alla mia festa di compleanno di quando avevo cinque anni…” s’interruppe ridacchiando “Credo che ci siano più parenti oggi che quando mi sposerò!” Scoppiò a ridere contagiandomi. Nonostante non le piacesse quel tipo di festa riusciva a prendere il positivo della situazione e a sdrammatizzare.
“ Non farti saltare in mente di farmi fare una delle tue damigelle. E’ risaputo che gli abiti delle damigelle sono dei bon bon pieni di veli a strati. Ho la nausea solo a pensarci.” Dissi continuando a sorridere.
Jesse fermò la sua risata e la trasformò in un sorriso malinconico, poi sorseggiò il suo analcolico “Credi davvero che mi sposerò Leo?” sollevò gli occhi su di me.
“Beh! Perché non dovresti?” Dissi appena meravigliata.
“Perché io, al contrario di te Leonor, non rincorro qualcuno da amare. Guardali Leo…” Jesse mi fece cenno guardando in direzione dei suoi genitori intenti a conversare con dei loro amici “Loro stanno bene. Li vedo così da anni. Mai un litigio, a parte i piccoli batti becchi per chi deve prendere la macchina dell’uno o dell’altra. Per il resto sono lineari. Non mi hanno dato mai pensieri. Mai un’esplosione d’emozioni tra loro, sempre e solo controllo….” Poi si girò di nuovo verso di me “Non trovi che sia noioso? Da un certo punto di vista ti invidio Leo.” Finì abbassando la testa vergognandosi per aver esposto un pensiero così poco comune e pensando che fosse indelicato nei miei confronti.
Io sorrisi scostandomi le ciocche castane dei miei capelli dagli occhi e la guardai “ Quanto sei scema! Certo, non avrai la fortuna di avere dei genitori separati…” inizia a ridacchaire “ E se vuoi saperlo neanche io ho nulla a cui pensare. La vita da figlia di separati è molto più piatta di quanto tu possa immaginare, a parte gli omicidi davanti casa. E poi, adesso come adesso, non riuscirei a rinunciare ai regali doppi a Natale e per il mio compleanno.” Finii sarcastica e sorridendo .
Jesse aguzzò leggermente lo sguardo e, di tutta la mia risposta, prese al balzo la mia citazione sull’omicidio davanti casa per riaffrontare l’argomento “Ah! Poi come hai preso quella storia? Intendo dire, hai fatto brutti sogni o altro?” Venne vicino a me e prudentemente si sedette anche lei sul muretto.
“Che vuoi fare? Psicoanalizzarmi? Guarda che devi ancora iniziare a frequentare la facoltà di psicologia.” Dissi sorridendo, per divenire poi seria. Era appurato che quella storia dell’omicidio non mi facesse più né caldo né freddo e che l’avessi metabolizzata. Ormai era palese. Ma era un collegamento al mio B e lui riusciva a togliermi sempre quel sorriso e a trasformarlo in un’espressione assorta “Beh, posso dirti che non ho avuto ripercussioni oniriche ‘dottoressa Jesse Knowles’!” Terminai con tono scherzoso e sbattendo le ciglia.
Jesse non poté trattenere le risate che riecheggiarono nell’aria festosa e io non potei trattenere la mia ondata di sincerità e onestà. Le parlai limpida, come quando si vuol far capire con tutte le proprie forze a qualcuno quanto sia differente dagli altri, non solo come amica.
E’ qualcosa che si avvicina ad un rapporto familiare di sangue e che ti porta ad essere te stesso. In quei giorni avevo riflettuto molto sulla solita questione divisione. Avevo pensato molto al fatto che non ero solo dispiaciuta perché lei, la mia Jesse, se ne sarebbe andata via per gli studi in un’altra città. Non ero solo dispiaciuta perché non ci saremmo potute vedere come facevamo da sempre. E in quel pensare, tra le mie domande e pensieri, non avevo mai ottenuto nessuna risposta.
La ottenni nel momento in cui Jesse fece esplodere la sua gioia in quell’istante.
“Jesse.” La chiamai guardando avanti a me. Lei abbassò la testa dalla posizione che aveva assunto ridendo e mi guardò ancora sorridente. “ Sai, sono felice che tu vada a Westwood . Davvero. Non metterò più il muso. E sai perché?”
“Perché?” Jesse si incuriosì avvicinandosi e guardandomi attenta.
“Perché, la verità è che mi scoccia molto che io non possa vivere quest’esperienza con te. Mi scoccia il mio non sapere ancora cosa voglio. Ecco cos’è che mi secca e mi fa stare male. Non erano solo le comuni sciocchezze che ti dicevo a farmi soffrire. La verità è che io vorrei essere con te in tutto questo. E invece sono rimasta indietro. Ecco perché.” Conclusi sorridendo e guardandola soddisfatta della mia ricerca introspettiva che aveva avuto successo.
“Bene, hai fatto un bel passo avanti Leonor! Ti fa davvero bene frequentare quel tipo che lavora come tutto fare!” Jesse constatò il tutto trattenendo le risate e fingendo un tono di voce professionale, immedesimandosi in quel qualcosa che sarebbe poi diventata.
“Oh! Smettila! Non prendermi in giro!” Sbraitai scherzosamente e gesticolando nervosa con le mani.
“Smettila tu! E goditelo per bene questo tipo. Dato che sarò assente per un bel po’. Domani parto per l’Europa, ho la super vacanza pre-università e dovrò lasciarti alle sue cure. E poi non sai quanto mi dia sollievo stare lontana dai miei per un mese intero.” Jesse continuava a scherzare ed io finsi un sorriso di circostanza.
Non le avevo nemmeno detto come si chiamava B, ma sentii insinuarsi una strana sensazione liberatoria. Non saprei bene perché ma il fatto che, per un certo periodo, la mia forma d’amicizia, d’amore e d’affetto sarebbe diventata B, fece emergere in me un’ambigua sensazione di piacere e sollievo.
Ad un tratto l’assenza di Jesse finì in secondo piano, pregustai l’eccitazione di rivederlo di nuovo e di scoprirlo. Non avrei dovuto spiegare nulla a nessuno, nessun obbligo di verità, libera di non dire. Jesse non avrebbe visto la mia faccia, i miei occhi mentre le mentivo su B per telefono.
Stavo diventando davvero un gran bugiarda e tutto grazie a lui.
“Sai Leo, l’unica cosa che posso dirti ora, è di goderti questo momento. Perché si vede che questo ragazzo ti sta prendendo molto. Te lo vedo in faccia ogni volta che lo nomino. Già! Ti faccio un bel in bocca al lupo!” Disse soddisfatta e contenta mentre osservava il muoversi degli invitati alla festa.
Sorrisi amara e spostati i miei occhi sui riflessi dell’acqua della piscina che venivano proiettati sulle pareti candide dalla casa. Nel frattempo Jesse si alzò dal muretto dove mi sedeva vicino e corse verso un nuovo invitato che aveva fatto il suo ingresso e lo salutò abbracciandolo al collo.
Dalla confidenza simil fraterna capii subito che forse era uno dei suoi tanti cugini.
E mentre osservavo la scena, io risentii riecheggiare nella testa le parole di B. Le parole di quella notte a casa mia. Rividi le sue labbra muoversi come se ce le avessi avute di nuovo davanti“Povera cappuccetto rosso, è finita dritta dritta nella bocca del lupo.”
“Ci sono già finita nella bocca del lupo, Jesse.” Lo mormorai tra me e me, poi tornai a osservare il mondo luminoso che mi circondava, mentre io invece continuavo a sedere nell’ombra.

Il giorno seguente rincasai nel pomeriggio.
Dopo la festa Jesse volle anche un pigiama party d’addio per poter salutare me e altre sue amiche d’infanzia. La cosa che mi stupì di più, fu che quella sera e la mattina seguente passarono alla velocità della luce. Mi sembrò perfino di non essere riuscita a salutare Jesse come avrei voluto.
Qualsiasi cosa pensassi e le dicessi non era abbastanza, per me quel saluto rimaneva sempre comunque incompleto.
Misi le chiavi nella toppa della serratura di casa e aprii, il mio umore era tra lo stile cane bastonato e la serenità di quel giovedì pomeriggio nel trovare la mamma a casa. Avevo notato rientrando che c’era la sua auto nel vialetto e questo particolare riuscì a farmi sentire alleggerita dal peso della separazione da Jesse.
“Sono a casa!” Urlai per farmi sentire e buttai a terra la borsa con tutto l’occorrente che era servito per il pigiama party.
“Sono qui nel salotto tesoro. Sto piegando il bucato!” La mamma sbraitò squillante.
Superai il piccolo arco che faceva da ingresso alla sala e trovai la mamma, in tenuta da casa ovvero una tuta e maglia extra large a maniche corte, intenta a piegare le mie maglie, mentre la tv era accesa e la sigla del notiziario delle diciotto faceva da sottofondo.
Le andai incontro sorridendo leggermente, anche un po’ stanca. Poi presi pigramente una delle mie maglie che era ancora nel cesto del bucato pulito, poggiato sul divano, e la lasciai cadere di nuovo dentro nel contenitore.
“Com’è andata? Ti sei divertita? Hai salutato Jesse come si deve?” La voce della mamma si addolcì e si fece pacata, poi si abbassò appena per guardarmi bene negli occhi, che tenevo bassi e fermi sull’arcobaleno irregolare dei vestiti puliti.
“Sì, tutto bene. L’ho salutata.” sollevai lo sguardo ancora leggermente intimidita e sorrisi appena “Adesso credo che vorrò dei dolci antidepressivi.” Boffonchiai una risata che fece sorridere la mamma.
“Ok, ho capito stasera cena alla pasticceria immagino.”
“Sì, ma dolci d’asporto. Stasera ho bisogno delle coccole della mamma a casa.” Dissi soddisfatta e con tono infantile facendo una smorfia ruffiana.
“Va bene! Finiamo qui e poi andiamo. Mi aiuteresti? Così facciamo prima.” La mamma prese un capo e me lo passò per cominciare l’opera di collaborazione.
Ad un tratto venimmo distolte dalla voce della giornalista che annunciava la notizia.


“Questa mattina al 221 Insist.St., Hollywood, è stato ritrovato il corpo senza vita del giornalista freelance Believe Bridesmaid. Sono ancora ignote le cause del decesso. La polizia arrivata sul posto ha iniziato tempestivamente i primi rilevamenti e, dalle prime ipotesi la più accreditata e in seguito confermata, pare sia quella di omicidio.
Ed ecco il nostro inviato…”



Divenni improvvisamente sorda, non riuscii a sentire altro.
Vidi tutto senza sentirne o percepirne il suono.
I miei occhi rimasero proiettati sullo schermo ma senza capire il senso delle immagini. Tutto era simile, se non identico, al giorno in cui fu ucciso il pazzo maniaco davanti casa.
Ma ora...ora era diverso, io Believe lo conoscevo.
Mia madre lo conosceva!
Mi voltai a guardarla e la vidi più persa di me.
Iniziò a respirare agitata, la sua bocca si aprì, sembrava volesse urlare ma non emise suoni. Le lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance, poi si voltò verso di me, ora era davvero sconvolta.
Lentamente allungo le mani per poi aggrapparsi alle mie spalle ed iniziò a singhiozzare chiudendosi poi con la testa sul mio collo.
Io rimasi immobile, con lo sguardo ancora puntato al televisore e le parole che ricominciavo ad udire somigliavano a quelle di uno mostro, cupe, distorte, un vero orrore.
Mi sedetti sul sofà dietro di noi trascinando con me la mamma.
Presi il telecomando poggiato sul bracciolo e spensi rapida il televisore.
Rimanemmo in quello stato fino a sera. Rannicchiate sul divano, io accarezzavo i biondi e morbidi capelli della mamma mentre pian piano ricominciava a riprendersi. I suoi singhiozzi avevano diminuito d’intensità, poi lentamente alzò la testa e si asciugò il viso con le mani.
“Tesoro, devo chiamare…” prese una pausa, era ancora molto scossa “ Devo chiamare John e poi altri nostri conoscenti. Potresti andare di sopra?” sospirò profondamente ancora sotto l’effetto del pianto.
“Sicura, non vuoi che io rimanga qui con te?” Dissi preoccupata e avvicinandomi a lei.
“Sì. Ora vai.” Disse decisa e alzandosi per andare a prendere il suo telefono cellulare, che teneva nella sua borsa poggiata su un altro divano poco distante da me.
Annuii e appena finii di salire le scale mi fermai, non entrai nella mia stanza e rimasi in ascolto.
Mi appoggiai lentamente alla porta della mia camera.
La voce della mamma mi arrivò lontana dal piano di sotto, la sentivo tirare su col naso mentre attendeva risposta dall’altro capo del telefono.
Poi quando la sentii parlare sussultai e il cuore mi ripartì di colpo.
“Pronto, Dawson.” Aveva chiamato per primo mio padre! E questa cosa mi rese felice. “Hai sentito la notizia dell’omicidio ad Hollywood? Sì, lo conoscevo. Non puoi immaginare quanto io sia sconvolta. Anche Leonor lo conosceva. Dio mio, Dawson. Mi sembra di essere in un incubo.”
Nel momento stesso in cui la mamma iniziò di nuovo a piangere, aprii la porta della mia stanza con rabbia e me la chiusi dietro cercando di non sbatterla, altrimenti la mamma si sarebbe data pensiero.
Come se già non ne avesse avuti abbastanza.
Iniziai a camminare su e giù per la stanza, mi mordevo le unghie delle dita per il nervosismo.
Chi poteva aver fatto una cosa simile?
Chi avrebbe potuto uccidere un uomo come Believe?!
Poi pensai che Believe aveva in qualche modo interagito con me. Io lo avevo conosciuto e guarda caso poco dopo aver fatto la mia conoscenza, moriva in circostanze misteriose. Più o meno la stessa sorte che era toccata al maniaco.
Alla fine del mio vortice di ragionamenti arrivò un’intuizione.
Riemerse fulminea quell’affermazione di B: ‘Voglio vedere quanto vali e quanto riuscirai a capirmi.’
Mi stupii di come quello che lui mi diceva riusciva a giungermi con un perfetto tempismo nelle situazioni meno opportune.
“Di nuovo…” Dissi tra me e me guardandomi intorno disorientata e con un’espressione desolata.
Mi sentii come se io fossi stata la madre di un figlio che aveva appena combinato una ragazzata e di conseguenza mi sentivo in parte responsabile del suo danno.
Ma in questo caso, nella realtà, io forse ero molto peggio.
Mi sentivo sua complice.
Aveva ucciso lui Believe!
B!
Pensai presa da un’ondata di panico, che forse avrebbe ucciso chiunque avesse avuto a che fare con me! Mi sentii come il re Mida con l’unica differenza che la gente toccata da me non diveniva oro. Moriva. Arrendevole e stanca mi accasciai sul letto in attesa che il sonno mi venisse a prendere e mi facesse pensare il meno possibile.

Il giorno seguente rimasi a casa di nuovo sola, la cosa non mi entusiasmava, ma comunque iniziavo a non sentirmi minacciata da quella condizione. La mamma mi vietò categoricamente di uscire o di raggiungerla per vedere Believe.
Così non ebbi altra scelta che rimanere barricata.
Fuori c’era il rossore dell’imbrunire, la luce del giorno si era fatta tenue ed io ero seduta nel mio posto preferito per la lettura, ovvero tra le mie tre finestre e cassapanca, cercando per l’appunto di leggere, ma senza successo. Riusciva a distrarmi di tutto, perfino l’intonaco bianco della parete che mi ricordava quella t-shirt bianca che aveva indossato lui.
Percepii poi una leggera corrente sfiorarmi il collo, guardai davanti a me e vidi la finestra, quella del balconcino, aperta, ed ebbi i brividi.
Inspirai profondamente e poggiai il libro sulla cassapanca mentre mi alzavo lenta, poi lo vidi.
B.
Si era seduto accovacciato davanti alla finestra ed aveva poggiato le scarpe, tra il pavimento del balcone e quello della mia stanza. Le tende ondeggiando lentamente gli sfioravano i piedi nudi che sporgevano dai suoi soliti jeans. Aveva addosso la maglia nera.
“Quindi umore nero.” Pensai in maniera ironica, con tranquillità e quasi familiare.
Riuscivo a vedere appena il suo viso, perché lo teneva leggermente richiuso tra le braccia incrociate e quest’ultime poggiavano sulle ginocchia.
Assottigliai lo sguardo ed iniziai a innervosirmi. Sentivo che sarei potuta esplodere ad una sola sua parola sbagliata. Ero arrabbiata con lui perché mi aveva fatto una cosa terribile, ma allo stesso tempo non sapevo cosa fare, come prenderlo. Riuscì perfino a sembrarmi vulnerabile, chiuso in quella posizione.
Mi fermai davanti a lui e lo guardai, poi B alzò piano la testa.
Aveva un’espressione neutra, non sembrava né sereno, né inquieto. Ma i suoi occhi rossi erano in fiamme.
Sospirai irrequieta, incrociai le braccia al petto e assunsi un tono accusatorio “ Hai ucciso tu Believe? Hai deciso di uccidere chiunque abbia a che fare con me?”
“Ti avrò detto centinaia di volte di non farmi domande.” B si voltò e parlò svogliato, seccato dalla mia domanda.
Chiusi gli occhi e cercai di controllare la rabbia, ma il mi respiro era incontrollato. Ripensai a mia madre mentre davanti quel televisore si scioglieva in un bagno di lacrime.
Persi il controllo e decisi di deflagrare “Cazzo, B! Io….Io!” La mia voce grido di rabbia ma fu placata, non poté andare oltre nel suo sfogo.
B si alzò da terra veloce, di scatto, e piombò su di me. Mi chiuse la bocca con la mano premendo così forte da far male e mi strinse in un angolo della mia camera.
Respiravo convulsa, ebbi davvero paura mentre lo guardavo negli occhi che erano sgranati e rabbiosi.
“Zitta! Zitta! Smettila di urlare!” La sua voce mormorò minacciosa, bassa e ansimante.
Non lo avevo mai visto così scuro, pericoloso, spaventoso.
Pensai, in quel momento, che non avrebbe avuto pietà di me. Credevo che con me si sarebbe limitato alle minacce e alle azioni sconsiderate, all’apparenza impulsive ma in verità sempre ben studiate. Credevo che con me avrebbe controllato quelle reazioni. Invece dal giorno in cui aveva visto il mio sangue, quel controllo aveva iniziato a diventare come nebbia, sempre meno concreto. Capii che quell’aspetto gelido non era altro che una personalità fantoccio, una copertura che reprimeva il vero sé stesso.
E in quell’istante il suo vero io si era davvero mostrato davanti ai miei occhi.
Iniziai a tremare di puro orrore e terrore, ero sconvolta in preda all’agitazione. Avrei dovuto scappare, odiarlo, mandarlo al diavolo, sperare che bruciasse all’inferno, ma non facevo nulla e non volevo nulla del genere.
Perfino in quel momento, dove rischiavo di farmi uccidere da lui, rimanevo vittima del mio amore e della mia passione. Bramavo di sentirlo, mi scioglievo per lui.
Quando gli sembrai calma, mi tolse la mano dalla bocca. Avevamo entrambi il respiro corto e agitato ed io interruppi quel ritmo prendendo coraggio e riformulai la domanda che gli avevo posto poco prima.
“U...ucciderai chiunque abbia a che fare co…con me?” Il mio sguardo era un misto tra il tormento e la determinazione.
B si staccò da me stizzito, quella domanda lo infastidiva più di quanto potessi immaginare.
“Credi che tutto questo abbia a che fare con te?” Mi guardò dispettoso e con eccitazione, perché vedendomi in quello stato lo attiravo e avrebbe voluto farmi qualcosa. Ma si limitò ad indicarsi il petto col dito indice e proseguì “Io ho un conto in sospeso con una persona. Tu non hai niente a che fare con tutto questo.”
Mi sentii ferita, perché credevo di essere io la causa di tutto, credevo di avere io l’onore di essere la protagonista e il motivo di tanta violenza, credevo che quello fosse un modo tutto suo per dimostrarmi amore o una qualche parvenza di corteggiamento.
Stavo perdendo il senso vero del mondo reale. B mi stava inghiottendo e nemmeno me ne ero accorta o più semplicemente mi ero lasciata, da sempre, inghiottire da lui. Ero convinta che fosse meno grave, meno malato, meno mostruoso. E invece adesso avevo davanti il diavolo, pronto a divorarmi e glielo avrei lasciato fare. Avevo davanti la morte e me ne ero innamorata. Avevo davanti un essere che usava il suo cuore come più gli aggradava, lo accendeva e lo spegneva a seconda dell’occasione.
Ancora scossa potevo sentire le leggere cole di sudore scivolarmi sul petto.
Chiusi e riaprii gli occhi cercando di controllare le lacrime, non volevo uscissero. Ma una sola lacrima riuscì a sfuggire alla mia sorveglianza.
Poi mi avvicinai a B, mi aggrappai alle sue braccia, strinsi forte le mie mani a lui e lo guardai dritto negli occhi, implorante dissi “Ti prego. Non uccidere nessun’altro, almeno che mi sia vicino. Ti prego, ti prego. E’…è devastante. Ti giuro B…” Venni interrotta di nuovo, di netto.
“No, mia cara Leonor. Troppo tardi. Hai deciso di stare con me.” Bisbigliò B, che mi prese brusco il viso per il mento, guardandomi con un velo di piacere, compiacimento e languore. Poi tornò serio e appena pungente, sentivo il suo respiro sulle mie guance infuocate. “Questo è stare con me.” I suoi occhi trafissero i miei.
B era come il gatto, che dopo la caccia al topo riporta la preda ai piedi della padrona per avere in cambio gratitudine, affetto e insensata comprensione. Ed io gliel’avrei dato tutto questo.
Io ero quella sventurata padrona sui cui piedi sarebbe stata adagiata la sua cacciagione.







Eccomi! Ciao, ciao a tutti XD.
Mi dispiace tantissimo di essere stata assente, ma ho molto lavoro da fare. Ho un progetto molto importante in ballo e ho scritto sempre a singhiozzo. Infatti non so minimamente se sia decente il capito, sia grammaticalmente parlando che dal punto di vista della storia.
Per questo vi chiedo scusa dal più profondo del cuore. So che non è niente di particolare il capitolo, forse a tratti è noioso e ripetitivo, ma posso dire che il tutto è dovuto ai fini della storia, diciamo è fatto di proposito -.-‘.
Ora vi saluto devo scappare, ma come sempre voglio ringraziarvi.
Grazie a chi recensisce, a chi mi inserisce nella sezioni preferite, ricordate , seguite e anche tra gli autori preferiti.
Grazie, graziee! Spero di pubblicare al più presto il prossimo capitolo.

Baci baci KiaraAma

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Capitolo 9
*** B9- Creatura ***


                                                           

 

     Purtroppo non conosco l'autore dell'immagine. Ma posso assicurare che non è opera mia ^_^.

                                                                 

                                                        Creatura




Iniziai a sentire un senso di inadeguatezza costante.
Mentre mi svegliavo la mattina, mentre mangiavo, mentre davanti lo specchio del bagno, dopo la doccia, aprivo un varco con il palmo della mano sulla condensa colante della superficie riflettente. Osservavo il mio viso, come se la ragazza che avevo davanti non fossi io, ma una nuova creatura. Un essere che iniziavo ad amare, una creatura che in minima parte mi piaceva essere .
Riuscivo a trovare pace solo nel sonno, dove a volte le violenze psicofisiche che B mi infliggeva, divenivano l’unico contatto che risvegliava il mio corpo e cuore, come un sussulto vero e proprio, come se qualcosa martellasse sul mio petto e l’onda d’urto si ripercuotesse sul resto di me stessa.
Dov’era finita la paura della sera prima? Dov’era finito l’orrore che B mi aveva cucito addosso?
Alla fin fine, nella confusione dei miei pensieri, constatai che la perfezione della mia vita iniziava davvero ad andarmi stretta e ad annoiarmi. B mi dava quella scarica d’adrenalina e di emozioni giuste, da portarmi a non considerare più la mia esistenza come lo era stata fino a quel momento.
L’unico particolare che non avevo calcolato, andando avanti nel tempo, è che prima o poi avrei rincorso disperatamente la mia normalità.
E chissà se lei mi avrebbe rivoluto.
E chissà se Jesse, che era così lontana da me, mi avrebbe rivoluto, vedendo quello che stavo diventando. Quella mattina del primo di Luglio, dopo aver compiuto le mie solite azioni con una cadenza e flemma da far pensare a chiunque che sarei potuta svenire da un momento all’altro, presi coraggio e indossai la mia maschera, ovvero la me stessa che mia madre sapeva di conoscere.
Leonor, la figlia serena e solare senza segreti, incapace di mentire e che ora invece si era scoperta un vero portento nel farlo.
Scesi le scale e andai subito in cucina senza indugiare e osservando distrattamente i particolari di casa. Come, ad esempio la foto di me all’età di soli tre anni quella della mamma e del papà, che era poggiata su un mobile del salotto. Era impossibile non notarla, era messa in bella vista, davanti a tutte le altre cornici con altre mille foto della nostra famiglia. A volte ritrovandomi da sola a vivere con la mamma, scordavo che avevo un vissuto famigliare.
Che avevo dei parenti ed un’unica nonna, la madre di mio padre, che però abitava nell’Oregon e non amava affatto spostarsi. Posso contare sulle dita le volte che sono andata a trovarla e ogni volta potevo constatare che non era mai cambiata, stessi capelli grigi raccolti in uno chignon all’altezza della nuca, viso sempre pulito, sebbene fosse rugoso, e il suo solito grembiule a fiori. La classica immagine della nonna, sempre pronta a propinarmi la sua torta alla zucca, sapendo che io odio la zucca.
Poi mi balenò una domanda nella testa. B aveva dei genitori? Aveva qualcuno?
Come faceva un ragazzo, che sembrava dimostrare al massimo vent’anni, a vivere così? Solo. Certo, non era né il primo né l’ultimo a Los Angeles a vivere da solo, ma lui si capiva che era differente.
Lui non aveva legami. Sembrava essere spuntato dal nulla, sembrava non avere una base solida, sembrava non avere radici. Appurai, ma solo intuitivamente, che un tipo come lui non aveva potuto avere un contesto famigliare normale, altrimenti non sarebbe stato quello che era.
Ed iniziai a provare tenerezza e dispiacere per lui, perché si era perso molto.
Finalmente varcai la soglia della cucina e vidi la mamma seduta sullo sgabello, poggiava un gomito sul ripiano di marmo e sulla mano teneva il mento. Osservava fuori dalla porta-finestra, tutta intenta a pensare.
Non mi percepì ed io la chiamai tranquillamente “Mamma.”
“Oh! Tesoro, non ti ho sentita arrivare.” La mamma si scompose dalla posa che aveva preso e mi guardò cercando di abbozzare un sorriso rassicurante.
Io scansai il mio sgabello che era sistemato ordinatamente vicino al ripiano, mi sedetti e le presi le mani che ora teneva rilasciate sulla superficie marmorea.
“ Come ti senti?” Dissi pacata e preoccupata, ma la verità è che mi sentii un’ipocrita nel domandarlo.
La mamma fece un grosso sospiro e poi parlò “ Sto… sto bene. Ma ti giuro che ho molta paura.” Spostò lo sguardo di nuovo verso la porta-finestra e proseguì “ Believe non si meritava una cosa del genere.” Il suo viso divenne un po' sofferente.
“Lo so.” Dissi avvilita e anche con una punta di vergogna.
“Spero proprio che lo trovino quel bastardo che gli ha fatto questo.” La voce di mia madre era intrisa di rabbia e rancore per quell’essere che aveva ucciso Believe ed io rimasi impietrita.
Provai rabbia e poi di nuovo disagio, perché sapevo benissimo chi era stato, ma l’individuo che mia madre stava accusando era B.
Il mio B e la cosa mi innervosì molto.
Contenni l’ondata di rabbia e non mi accorsi che stavo stringendo le mani di mia madre con molta forza, ma quel mio gesto fu frainteso dalla mamma e venne letto come un segno di incoraggiamento e sostegno.
Infatti rispose alla mia azione con un leggero sorriso commosso.
“Leo, adesso sta per…” La mamma non finì di parlare che il campanello di casa suonò.
“E’ papà vero?” Dissi ridendo appena, ma il nervosismo non mi abbandonava, mi ci sarebbe voluto un po’ per smaltirlo. Forse sarei proprio dovuta uscire di casa per non avvertirlo più.
Mi alzai appena e scesi dallo sgabello ed andai ad aprire la porta.
Mentre mi dirigevo all’ingresso, vidi Molly spuntare dal salotto e iniziare a seguirmi. Quella gatta non ha mai avuto le reazioni normali di un felino, ma più somiglianti a quelle di un cane da guardia. La mia Molly è molto possessiva, figuriamoci che quando la signora Rosemary entra in casa, lei inizia a soffiargli e a fare strani versi. Non la può proprio vedere.
Poi ricordai la reazione che ebbe Molly, nel vedere B che uccideva il pazzo maniaco dietro le mie spalle. Il suo riflesso fu…fu neutrale, freddo e rimase molto attenta. Sembrò quasi approvare ciò che faceva B dietro la mie spalle, benedì le sue violente azioni mentre compiva quella gelida osservazione.
Prima di aprire la porta guardai Molly e lei mi guardò di rimando, con innocenza, miagolando e muovendo sinuosamente la coda vaporosa, quasi a incitarmi in maniera gentile, tanto da farmi cancellare l’immagine spaventosa che mi aveva dato di lei qualche istante prima nel ricordarla la sera dell’omicidio.
B e Molly erano uguali!
Freddo e calore, efferatezza e umanità, logica e pazzia.
Rindossai la mia maschera o avrei destato sospetti e finalmente per la gioia di Molly aprii la porta.
Mi trovai davanti papà affannato dal sole cocente dell’estate californiana, con la camicia azzurrina zuppa di sudore nonostante fosse venuto in macchina e munito di aria condizionata. Sfoggiava sulla sua cintura il distintivo che a tratti mi rifletteva la luce solare negli occhi.
“ Posso entrare signorina White?” Disse mio padre sorridendo, increspando le leggere rughe degli occhi e arricciando il naso per non essere accecato dalla forte luce.
“Prego agente White, la stavamo aspettando. Tè freddo con cheesecake fresca di frigo?” Dissi voltandomi e dirigendomi verso la cucina, mentre mio padre ancora sorridente si chiudeva la porta d’ingresso dietro le spalle e Molly gli si strusciava sui bordi dei suoi pantaloni beige.
“ Niente, Leonor. Starò per poco. Sono ancora in servizio.” Disse con tono allegro.
Quella era una tipica situazione tra me e mio padre, umorismo e molta complicità. Ma quella volta non mi convinceva affatto, non era forzata, ma nemmeno mi faceva sentire rilassata come mi sarei aspettata in un’altra situazione.
Quel giorno tutto mi suonava diversamente.
Io e papà entrammo in cucina, la mamma era rimasta ad aspettarci seduta e ci accolse con un leggero sorriso ed invitò papà a sedersi.
Lui prese e si sedette.
Questo aspetto fu un altro degli elementi che mi insospettirono quel giorno.
Mio padre che accettava una gentilezza di mia madre, quando poi in un’altra situazione avrebbe garbatamente rifiutato, dato che nutriva ancora un po’ di rancore per essere stato mollato da lei.
E sapevo benissimo che a lui quelle gentilezze seccavano, suonavano come un gesto di pietà!
Capii che stava iniziando un discorsetto o altro, su un qualche strano motivo e io sapevo già di cosa si trattasse. Ma la mamma e papà presero l’argomento alla larga, partendo e prendendo come pretesto l’omicidio di Believe.
“Allora Dawson, che puoi dirci di quello che è successo a Believe?” La mamma parlò seria ma sempre con la sua dolcezza innata.
Mio padre sospirò e parlò “Non vi racconterò i particolari. Dato che sono davvero raccapriccianti…” Ebbi un fremito, mi sembrò che il cuore venisse infilzato da qualcosa, ma continuai ad ascoltare comunque “Posso solo dirvi che lo abbiamo trovato nella sua camera da letto e non nelle migliori condizioni.” Mio padre guardò mia madre che iniziava ad assumere un’aria preoccupata e di dispiacere.
Papà proseguì domandando e guardò con inquietudine la mamma “Rose, sicura che il tuo amico Believe non avesse qualche inimicizia o qualcuno che non potesse sopportarlo? Magari nel campo del suo lavoro di giornalista freelance? O magari ha scritto di qualcuno che lo ha visto come un tipo scomodo.”
“No. Posso assicurarti che non aveva problemi di questo tipo. Forse avrà avuto qualche problema, ma tutto inerente al suo lavoro. Insomma, niente che potesse portare ad ucciderlo. Ecco.” La mamma alzò i suoi occhi azzurro cobalto su mio padre con un’espressione assorta e indecifrabile, ma ai miei occhi apparve bellissima.
“Capisco.” Mio padre abbassò lo sguardo sulle sue mani incrociate sopra il ripiano in marmo.
“Papà, che avete trovato di utile per riuscire a rintracciare l’assassino?”
Sciocca e succube, ero in suo potere, nelle mani di B e non me ne accorgevo, davo aria alla bocca come un automatismo. Ero la sua spia e lo facevo non essendone pienamente conscia.
Morivo dalla voglia di sapere, avevo bisogno di elementi per poterlo scagionare ai miei occhi.
Volevo entrare anch’io in quella storia, iniziare davvero ad esserne partecipe.

“Credi che tutto questo abbia a che fare con te?”….
….“Io ho un conto in sospeso con una persona. Tu non hai niente a che fare con tutto questo.”


Di nuovo le parole di B riaffiorarono nella mia mente, ma le scansai e ascoltai con attenzione mio padre.
“Non abbiamo molto…” Papà alzò lo sguardo su di me serio e continuò, sapeva che poteva parlami di quei particolari del suo lavoro, perché mi intrigavano, me ne ero sempre interessata e sapevo capirlo “Non ha lasciato traccia alcuna, a parte il corpo e delle strane bambole di paglia appese al muro. Per il resto è stato come se un’entità fatta di niente, fosse entrata in casa di Believe Bridesmaid e lo avesse trucidato con il solo spostamento dell’aria. A quanto pare, questo è uno di quei casi davvero difficili, che spuntano fuori ogni tanto e che spesso sembrano rimanere irrisolti. ” Mio padre nel parlare riportò l’attenzione su mia madre che lo ascoltava attenta.
Pensai che papà non avrebbe aggiunto altro, che l’arrendevolezza all’evidenza che B avesse fatto un lavoro impeccabile, lo dissuadesse. Ma mio padre proseguì “Anche l’omicidio qui davanti casa vostra rimane un mistero. Il tizio che è stato ucciso era un tipo pericoloso, ma non aveva particolari problemi, a parte il molestare le persone per la strada con quegli strani metodi. Il mio sospetto…” Mio padre prese una pausa ed io trattenni il respiro pensando che avesse intuito qualcosa “ Il mio sospetto è che probabilmente, dato che due individui che hanno avuto a che fare con voi sono stati…” Di nuovo mio padre si bloccò, forse per tatto o forse per non spaventare mia madre con la parola ‘uccisi’ “ Credo che tutto questo sia ricollegato a voi. Ho paura che chiunque stia compiendo questi crimini, abbia o voglia avere a che fare con voi.” Mio padre mi guardò preoccupato e mia madre fece lo stesso.
Io divenni l’oggetto da proteggere e si poteva leggere dai loro sguardi.
Cercai di controllare le mie reazioni, non dovevo farmi prendere dal panico, perché mio padre ci stava andando davvero vicino. Ma fortunatamente la rabbia di qualche istante prima tornò a farmi visita e fu di un tempismo perfetto direi. Mi diede la giusta dose di sicurezza e decisione di cui avevo bisogno in quel momento.
“Papà, ma come diavolo ti salta in mente un’idea del genere? Sono assolutamente convinta che siano solo delle casualità e che non c’entri nulla quello che hai appena detto.” Mi avvicinai sicura al ripiano poggiandomi appena con le mani e guardando mio padre in faccia, risoluta.
“Senti, Leonor. Lo so che è la seconda volta che te lo chiedo. Ma…ti andrebbe di stare qualche giorno da me? Almeno finché non si calmano le acque. Giusto il tempo di venire a capo di questa stor…” Lo interruppi secca, il tono persuasivo di mio padre e lo sguardo quasi d’intesa di mia madre verso di lui, mi mandarono in bestia.
Si erano messi d’accordo da prima! Era il loro obiettivo da quando mio padre aveva messo piede in casa. Dovevo essere isolata e lontana da quello che era qualcosa di estremamente pericoloso.
Ed ora mi spiattellavano davanti il loro piano come se niente fosse.
La mia reazione nervosa fu molto contenuta.
Non volevo sbagliare! Non potevo permettermi di perdere B!
Il tutto apparve agli occhi dei miei genitori come una banale reazione adolescenziale, ma sotto mascheravo altro.
“Assolutamente no! Non ci penso nemmeno! E’ da quando avete deciso di separarvi che mi trascinate da un capo all’altro di Los Angeles. Ora basta! Ne ho abbastanza. Non credo che questo ‘omicida’ abbia a che fare con noi. Quindi smettetela con la vostra pantomima ‘dei genitori ritrovati nell’occasione difficile’. Io rimango a casa mia.” Non alzai la voce, mi crucciai appena e dissi tutto seria e con un tono di voce stanco per via delle loro decisioni prese a tavolino.
Mio padre provò ad allungare la mano verso la mia, ma io la scostai, togliendola stizzita dal ripiano in marmo e mi voltai dal lato opposto a loro.
Rimasi in ascolto e mio padre parlò “Immaginavo e sapevo avresti detto così Leonor. Ma questa cosa è davvero pericolosa. Stanno pensando di coinvolgere l’FBI. Capisci la gravità? Se dovesse…”
Lo bloccai per l’ennesima volta, voltandomi accigliata, ma la mia voce si addolcì di poco.
“ Esatto, papà. In queste situazioni entrano sempre in ballo altre forze maggiori. Sono convinta che faranno un ottimo lavoro.” *
“Leonor…” Mia madre mi chiamò “Promettimi però, che se le cose peggioreranno o ci faranno pensare a quello che tuo padre ha ipotizzato, promettimi che andremo da lui.” La guardai, era con i nervi a pezzi
“Ti prego Leo.” Stava per ricominciare a piangere ed io annuii sospirando.
Ero riuscita a tamponare la situazione e a non essere allontanata da B, per me fu come una liberazione essere riuscita a scampare quell’ennesima trasferta non voluta.
“Scusami, papà. Non volevo essere così pessima. Ma davvero. Va tutto bene.” Dissi osservando mio padre che scendeva dallo sgabello e che nel frattempo poggiava una mano sulla spalla di mia madre per consolarla.
“Tranquilla, piccola mia. So quanto queste situazioni mettano a dura prova perfino una roccia emotiva come te. E come me.” Mi disse sorridendomi e avvicinandosi.
Mi carezzò la testa e iniziò ad allontanarsi per raggiungere la porta di casa.
“Ora devo andare. Se ci sono novità, vi faccio sapere. Ok? Nel frattempo cercate di rimanere sole il meno possibile. Leonor, soprattutto tu. Quando la mamma non c’è esci con qualche tuo amico o amica oppure se rimanete in casa chiudete sempre ben bene tutto. E rimanete sempre in compagnia. Evitate di rimanere sole. Ok?” Mio padre finì l’elenco di raccomandazioni con un tono un po’ più autoritario e sottolineando per bene l’ultima parte con ancora più enfasi.
“Ok, Agente White.” Dissi pigramente riuscendo a far sorridere sia la mamma che papà.
Per un solo attimo, quel solo istante riuscii a cancellare la strana creatura che si era ribellata e accanita contro mia madre e mio padre.
Mi sentii molto sollevata, perché a tratti riuscivo ancora a riprendere le redini di me stessa.
Riuscii perfino a risentire il dispiacere per la morte di Believe, che ormai nei miei discorsi stava iniziando a diventare solo una pedina del gioco di B.




* Non so se si sia capito molto, ma in questa affermazione Leonor , con forze maggiori vuole intendere davvero l’FBI, ma io tra le righe volevo far intendere come forza maggiore il detective del secolo L. Spero si sia letto tra le righe XD.


Ciao, ciao a tutti!
Finalmente eccomi ^_^
Mi siete mancati/e tutti/e e anche tanto. So di essere stata cattiva, ma purtroppo i miei tempi di pubblicazione per un po’ saranno così, mooooolto lenti. Ma spero che voi abbiate pazienza ( e pietà).
Ho molto lavoro da sbrigare con la mia associazione e stiamo promuovendo un evento tutto a 360° sul Giappone, è molto importante e si terrà il 22 di Luglio.
Ora vi lascerei anche il link per saperne di più a riguardo, ma non so se qui su EFP si possa linkare qualcosa per farsi, come dire, ‘pubblicità’ XD.
Quindi se vorrete saperne di più mandatemi magari una mail privata qui su EFP ed io vi manderò il link ;). Vi abbraccio e ringrazio tantissimo
Spero di rifarmi viva presto

Baci baci KiaraAma ;*

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Capitolo 10
*** B10- Perdizione ***


                                              
                                               L'autore dell'immagine è moni158 e potete trovarlo anche su DeaviantArt.
                                               Il suo BB è fantastico!

 

                             

 

                          

 

 

 

 

                 Perdizione

 

 

Tenevo le mani immerse nel lavello ricolmo d’acqua e di tanto in tanto agitavo la lattuga che  era lì a lavare per la cena. Poi a salti e balzi temporali mi tornavano in mente quello che ci eravamo detti io, la mamma e il papà due giorni prima.

Tutto ai miei occhi ritornava distorto come in un sogno surreale.

La mia trasformazione in quei giorni aveva raggiunto uno stadio immobile, sembravo essere me stessa almeno all’occhio esterno, ma la creatura che avevo dentro era solo sopita.

Usciva fuori all’occorrenza e solamente, con e quando si trattava di B.

L’ambiente attorno a me sembrava immobile come in un fermo immagine. Io che ero incantata ad osservare i miei movimenti nel fluido trasparente, ad ascoltare il suo suono e il tutto aveva  un effetto tranquillizzante, sedante. Dietro di me c’era la mamma che era intenta a tagliare la cipolla e la potevo sentire tirare su col naso per via del fatto che la stava facendo piangere.

“ Ah! Accidenti!” Sentii mugugnare per poi finire in un leggero lamento di dolore.

“Ti sei tagliata?” Subito mi voltai di scatto perché mi aveva spaventato.

Ho molta paura di questo genere di cose, non nel vedere le ferite, se sono piccole non mi spaventano gran che, ma se sono molto più gravi o se vedo particolari molto crudi, vengo presa dalla nausea.

Per cui evito di vedere e provo a resistere all’impulso di vomitare.

Fortunatamente il taglio che si procurò mia madre al dito medio era una sciocchezza, ma sanguinava comunque in maniera copiosa.

“Tieni mamma…” Presi un canovaccio e glie lo passai, lei lo prese ma appena fece per tenere premuto fui io a stringere per bene il dito “Lascia. Faccio io. Questo riesco a sopportarlo.” Le sorrisi appena guardandola.

“In un'altra situazione, anche non grave, saresti scappata a gambe levate.” La mamma si smosse in una leggera risata che la fece appena lamentare per via del dito.

“Sì, lo so.” Era vero, aveva ragione ed io proseguii serena “Ma ultimamente mi sento un po’ più coraggiosa.”

Mentre tenevo il canovaccio stretto sulla mano di mia madre, ricordai la reazione di B quando vide il mio sangue che mi scorreva dal naso. Al contrario delle mie reazioni, le sue erano diverse, eccitate, allettate, come fossero un insano invito ad agire in maniera perversa.

Lo ricordai bello e intrigante anche in quella situazione, poi quel…bacio insanguinato. Persi di nuovo il contatto con la realtà risentivo le sue labbra, i suoi movimenti, mi sentii abbandonare. Ma qualcosa, un suono mi tirò su in superficie.

“Ehi?! Leo. Ci sei?” La voce squillante della mamma mi distolse dall’annegamento mentale di pochi istanti prima.“Ora va meglio, credo si sia fermato. Metto su un cerotto e passa tutto.” Squittì allegramente la mamma mentre tirava via la mano e nel frattempo lasciava cadere il panno sul ripiano in alluminio del lavello.

Rimasi ad osservare il cencio, lì fermo e insanguinato.

Ero in subbuglio, il petto cominciò a battermi nemmeno fosse comparso lui davanti ai miei occhi.

Quando sarebbe tornato B?

Mai come in quell’istante sentii che avevo bisogno di averlo, subito, in quel momento, come una necessità primaria. Il trambusto che stava creando in quell’ultimo periodo era un enorme peso ed era davvero difficile portarlo da sola.

Abbandonai le mie strane riflessioni voltandomi da un lato, verso la porta finestra ad osservare l’imbrunire fuori, e lasciai che anche quella sera trascorresse monotona e serena.

Dopo la cena decisi di lasciarmi andare al dolce far niente nella mia stanza, che ora mai era diventata la camera dei desideri.

Ogni sera, giravo lentamente la maniglia della porta e pregavo, chiudendo gli occhi, che aprendoli ci avrei trovato B.

Puntualmente la delusione era struggente e B non c’era.

Ma quella sera quel mio giochetto divenne realtà.

Aprii la porta della mia stanza e me la chiusi dietro velocemente, senza fare alcun rumore, ma rimanendo sempre con lo sguardo puntato davanti a me e a quello che stavo guardando.

B. Si era seduto nel mio angolo preferito, sulla cassapanca.

Appisolato, teneva la testa poggiata sulla parete e il viso era rivolto verso la finestra, con la luce lunare che gli rifletteva in viso, facendo risaltare i punti sporgenti del suo volto.

Gli zigomi…il naso…la bocca e il mento…l’incarnato divenne ancora più pallido del solito.

Al solo guardarlo provai tenerezza e mi sentii incendiare il petto.

Mi avvicinai a lui e gli sedetti accanto.

Gli scostai una nera ciocca di capelli che gli era finita davanti agli occhi, poi sospirai appena, avevo paura che sentendomi solo respirare avrei potuto svegliarlo. Era vestito come sempre, anche quella sera indossava la sua t-shirt nera. Quel colore lo rendeva lui, lo identificava. Quando indossò la maglia bianca tempo prima faticavo a riconoscerlo come B.

Ma così se stesso e abbandonato al sonno, indifeso, fermo… era bello in una maniera spaventosa.  Quella bellezza che supera di gran lunga ogni forma di difetto interiore, lo annienta e lo schiaccia.

Lo vidi muoversi appena e voltarsi in mia direzione, aprì di poco gli occhi, poi li richiuse per poi riaprirli di nuovo. Lentamente alzò una mano verso di me, mi prese piano, delicatamente per la nuca e lentamente mi accostò al suo viso.

Nessun impeto, nessuna furia.

Mi baciò, dischiuse le labbra e mi assaporò. Era caldo, morbido e il movimento della sua bocca era dei più sensuali che delle labbra potessero sentire.

Era un bacio che non mi sarei aspettata da lui, ma mi lasciai andare.

Quando ci staccammo mi guardò con i suoi occhi cremisi “Ti sei innamorata di me. Vero Leonor?” Lo disse sotto voce mentre gli ero a pochi millimetri dal viso. Era serio e di una fermezza che mi spiazzò. Ma mi fece leggermente turbare perché sembrava prendermi in giro. Come se lui dall’alto della sua superiorità non lo toccasse nemmeno quell’argomento e sentimento.

“Perché me lo domandi? Ti serve altro per capirlo? Ti sto vicino nonostante io sappia cosa sei, che cosa hai fatto e…” mi fermai esitante ma sadicamente, per me, continuai “ E cosa farai.” Il mio tono era pacato, come quello di una madre che rassicura il proprio bambino prima di addormentarlo, ma nel contempo sentivo di essere tagliente.

Sorrise, ma questa volta fu un sorriso compiuto, il sorriso di chi sa di essere amato per quello che si è. Un sorriso di vero cuore.

“Sapevo che tu era fatta a posta per me. All’esterno sembri così ordinaria, ma la realtà è che hai sempre cercato qualcosa che ti scuotesse…” con strafottenza aveva fatto centro “…tu vuoi qualcosa che ti emozioni sempre, come i tuoi maledetti libri.” Parlò ancora pigro e quasi narcotizzato dalle sensazioni che stava provando, ma che allo stesso tempo iniziavano a risvegliarlo e a incuriosirlo.

“Non sono dei ‘maledetti libri’ a me piacciono. Perché te la prendi con loro?” dissi sarcastica e sorridendo leggermente.

“Perché ho passato più tempo su quelli che a fare pensieri sconci.” B rispose altrettanto sarcasticamente e il sentirlo parlare di ‘pensieri sconci’ mi fece arrivare il cuore in gola.

Infatti la mia reazione fu palesata delle mie guance che divennero porpora.

B ne approfittò, questa volta sfoggiò il suo sorriso sghembo e beffardo, si sollevò a sedere diritto e mi prese con il braccio per un fianco.

Mi guardò dritto negli occhi ed io non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui.

Poggiai le miei mani sulle sue spalle tonde e potei sentire che erano leggermente muscolate.

“Sai Leonor, nel mio essere così strano non mi sono mai trovato a fare e sentire certe cose. E diciamo che in parte mi sento di aver raggiunto uno dei miei obiettivi.”

Mi voltai seccata “ Ovvero quello che si riferisce al quel qualcosa che Lui non potrà mai avere?” Cercai di togliermi le sue mani di dosso, stavo per alzarmi, non volevo guardarlo in faccia mentre invece di dirmi cosa aveva, mi sbatteva davanti le sue stupide sfide con i suoi fantasmi inventati.

Quando  ad un tratto sentii le sue mani bloccarmi salde.

“Lo sapevi dall’inizio che tutto questo centra con Lui. Ma non vuol dire che quello che sto provando non sia intenso.”

Mi guardò deciso e cercando di catturare i miei occhi, poi mi trascinò verso di lui facendomi ricadere sopra di sé che allargò appena le gambe ed io ci finii in mezzo.

Potevo sentire il suo petto toccare il mio. Sentii il suo bacino muoversi piano per accomodarsi meglio ed io mi sentii in subbuglio.

Alzai la testa su di lui e lo osservai disorientata.

“Smettila di parlare di Lui sono geloso e molto anche. Soprattutto di Lui.” Disse in maniera sensuale e intimidatoria allo stesso tempo.

“Veramente non so nemmeno di chi parli. B. Io voglio capire. Cosa c’è sotto tutta questa storia?” Lo dissi quasi in un bisbiglio ero troppo emozionata e presa per dirlo con una particolare convinzione e sicurezza.

“A quanto pare, la regola del non fare le domande proprio non ti piace. Eh?” Iniziò a ridere piano e poi cominciò a sfiorarmi, con la punta del suo indice, il mio collo.

“E a quanto pare a te piace torturarmi e farmi perdere la testa?” Abbassai gli occhi sul dito che mi stava accarezzando, ma tra le righe, in quella domanda, intendevo anche evidenziare il casino che stava combinando con i suoi omicidi.

Tornai poi a guardarlo negli occhi.

Mi piaceva guardarli, avevano un fascino velenoso. Sembrava che chiunque li avesse guardati sarebbe potuto morire, ma a me non importava, anche se mi avessero ucciso io volevo guardarli.

Vidi B perdere la sua arroganza e sicurezza, improvvisamente mi parve che volesse stingermi ancora di più a sé chiudendomi nella sua ambigua presa.

Si accigliò appena e parlò “Se fossi un’altra persona il solo nominarlo ti costerebbe la vita. Lui è quello che voglio essere e quello che non voglio essere. Io sono al di sopra di Lui proprio per questo. Io non sarò mai restio nei confronti di qualcosa come l’affetto e proprio perché Lui lo è che io lo voglio. O forse l’ho sempre voluto. A, ha lasciato tutto in sospeso.” Quando disse la lettera A lo vidi incupirsi ancora di più.

Di nuovo quel modo di chiamarsi per lettere dell’alfabeto.

Beyond, chi è A?” Lo dissi mormorando piano, chiudendo gli occhi e vicino la sua bocca. Lo tentavo nella sua vulnerabilità, per farmi dire quello che volevo.

Trattenne un sospiro che divenne un sussulto, per me quella sera vederlo così mansueto fu come un afrodisiaco, più di quando reagiva in maniera irruenta.

“A, non c’è più per colpa sua.” B mi bisbigliò quella frase sulle labbra e mi baciò appena in modo sempre più lascivo.

Poi di sorpresa, mi allontanò e si alzò lentamente dalla cassapanca, lo osservai mentre stava davanti a me di spalle e infilava le sue mani nelle tasche dei suoi larghi jeans.

Camminò ancora più lento verso la finestra, mi appariva sempre più evidente che non voleva andarsene e combatteva allo stesso tempo per scappare il prima possibile. Stava cercando di trattenere qualcosa che controllava a stento. Ma non era il suo solito istinto violento, era qualcosa di diverso, era più corposo, più carico, più impetuoso.

Si voltò verso di me ed esordì improvvisamente “Domani sera ti va di uscire? E’ da molto che voglio andare al Red Strawberry e domani è il giorno perfetto.” La sua voce era roca e il tono ancora più persuasivo.

“Quindi ti piace ballare?” Dissi sorridendo lievemente. Era risaputo che il Red Strawberry era il locale più conosciuto da tutti gli esaltati del ballo.

“A dire il vero non mi interessa ballare. Ma festeggiare.” Il suo tono era di poco più cupo e non mascherava nulla, si percepiva perfettamente che aveva qualcosa in mente.

Provai ad alzarmi dalla cassapanca e a parlare, ma lui mi bloccò in lontananza alzando semplicemente il dito indice.

Il giorno seguente avrebbe fatto qualcosa. Ma che cosa?!

La mia espressione era preoccupata, ricominciai a sentire quella paura che riuscivo a percepire in sua presenza e quando assumeva quel lato di sé così freddo e terribile.

“Domani sera. Al Red Strawberry alle dieci e trenta esatte.” Sentenziò il tutto con autorità e con un tono che non ammetteva repliche. “Voglio che tu veda quello che vedo io con i miei occhi, voglio che tu viva la mia vita come la vivo io. Sei mia Leonor.”

Non saprei definire se quella fosse una dichiarazione d’amore, ma comprendeva a pieno tutto il concetto di ‘possesso’.

Dette quelle parole, B con un fare assolutamente deciso e fermo si allontanò per sparire pian piano dalla mia vista.

Abbassai gli occhi sulle mie gambe che non mi ero accorta avessero iniziato a tremare.

Poi un particolare mi tornò veloce alla mente.

Le sue spalle! Le spalle di B mi parvero curve mentre si allontanava, ma quando rialzai lo sguardo per capire bene cosa avevo visto, era già sparito.

Non avevo scelta.

Io il giorno seguente avrei dovuto festeggiare qualcosa di quanto meno macabro e agghiacciante.

 

4 Agosto 2002

 

“Tesoro, stasera esci allora?” La mamma mi urlò la sua domanda dal piano di sotto, mentre io ero intenta a scegliere cosa mettere quella maledettissima serata.

“Sì! E credo che tornerò tardi!” Riurlai la mia risposta.

Tra le mie scelte quella sera, sul letto, avevo appoggiato un abito rosso che lasciava scoperte completamente le spalle e con una gonna a palloncino, e un altro molto meno colorato sul blu scurissimo con delle semplici bretelle ma molto accattivante.

Però dato che non era un galà, ma una normale serata in un locale, optai per il rosso.

Mentre infilavo l’abito avevo il cuore che mi martellava nella testa, non tanto per il fatto che stavo uscendo con un ragazzo che mi attirava e piaceva molto, non perché me ne ero innamorata in una maniera contraddittoria, ma perché non sapevo cosa avesse fatto quel giorno per voler festeggiare.

Non sapevo chi era stata la vittima dei suoi orridi giochi.

Sentii un senso di chiusura allo stomaco ma fu difficile distinguere per cosa e per quale motivo.

Qualunque altra ragazza avrebbe aspettato il proprio ragazzo uscire dal lavoro o magari che finisse la sua sessione d’esami. Io invece aspettavo che il mio compisse cose spregevoli.

Lasciai i miei capelli ondulati, castani e scurissimi cadermi sulle spalle nude.

Infilai le miei scarpe molto sportive ma che si addicevano a quello che avevo deciso di indossare. Odio mettere scarpe con i tacchi, soprattutto se non c’è qualcuno che viene a prendermi con un’auto.

Finito di truccarmi un po’ scesi di sotto per salutare la mamma, che non appena mi vide scendere la scale esclamò “Leo! Oh! Sei molto carina questa sera? Dove vai? Esci con Beyond?”

La mamma ebbe il potere di farmi imbarazzare a livelli massimi e inqualificabili.

“Ma…no! Cioè…” balbettai e poi proseguii “ Non sto uscendo con Beyond. Ma con Lisa!” Era lei al creatura che aveva parlato. Dissi la mia ennesima bugia che ebbe anche questa volta successo.

Lisa, ovvero Lisa Rey era una mia compagna di classe che a volte era venuta a fare i compiti a casa mia e altre ancora eravamo uscite insieme, ma non avevo con lei lo stesso collante che avevo con Jesse. In più Lisa, era una di quelle amicizie che mia madre non avrebbe importunato per sapere dove fossi andata.

Quindi Lisa quella sera fu il mio alibi perfetto.

“Ok, tesoro. Credo che uscirò anch’io a questo punto. Visto questo periodo, meglio non restare sole in casa. Faremo come ci ha detto papà.” La mamma mi baciò sulla guancia e salì le scale per andarsi a preparare. Io nel frattempo sgattaiolai fuori dalla porta con il cuore che mi usciva dal petto e farfugliando un saluto lesto.

Menzogne, continue menzogne e continuavo a dirne.

Fortunatamente il camminare fino alla stazione della metropolitana mi calmò un po’ e ancora , per buona sorte, il locale dove B mi aveva dato appuntamento non era lontano.

Aveva calcolato tutto nei minimi dettagli, sapeva che non potevo allontanarmi oltre il quartiere di Brentwood, sapeva che non potevo rimanere sola.

Sì, ma come faceva a sapere? Io non gli avevo mai raccontato nulla della discussione avuta con i miei genitori.

Quando arrivai di fronte l’entrata del locale vidi albergare l’imponente scritta al neon rossa  e dai bordi bianchi ‘Red Strawberry’.

Potevo sentire il rimbombare della musica da fuori.

Presi coraggio, aprii l’enorme e pesante portellone che insonorizzava l’interno dall’esterno e mi sentii improvvisamente piombare in un altro mondo.

Passai il piccolo corridoio d’entrata davanti all’energumeno che faceva da butta fuori nel locale, che stranamente non mi chiese i documenti per sapere se fossi maggiorenne o no. Probabilmente era più corrotto di quanto potessi immaginare. Passai poi davanti a qualche persona che temporeggiava lì nel corridoio, magari a fumare o solo a farsi di qualcosa nonostante la presenza del gorilla all’ingresso.

Tirai avanti e mi apprestai a varcare la soglia del vero intrattenimento in quel posto.

Le luci si alternavano, bianco e poi il rosso.

Riuscivo a vedere le persone a tratti, a seconda del gioco di luci. La musica era assordante, ipnotica, ma bella. Era impossibile non muoversi.

Iniziai ad osservare quello strano mondo ovattato e sigillato dall’esterno, era attraente.

Forse era quello il pianeta che B voleva farmi vedere con i suoi occhi. Un susseguirsi di immagini e volti sconosciuti sotto le sfumature e colori più disparati.

No, forse lui vedeva molto di più, la mia analisi e il mio pensiero furono fin troppo ingenui, semplici.

Tutto intorno iniziò a prendere le sfumature del rosso, ad un tratto le illuminazioni cambiarono divennero verdi e allora lo intravidi.

B era dal lato opposto al mio, lo localizzai come se avessi avuto una connessione con i suoi pensieri, come se mi avesse chiamato col potere della sua mente e io avessi risposto voltandomi.

Le luci ricominciarono e fare il loro gioco a sparire e a riapparire.

B si avvicinava in mia direzione e ogni volta che i bagliori prendevano una pausa, nel loro alternarsi, gli occhi porpora di B si illuminavano di una luce propria.

Quando lo ebbi davanti avevo la testa che mi scoppiava, non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, dal suo collo, dal suo corpo.

Come suo solito non indossava nulla di diverso, aveva sempre infilati i suoi jeans, ma quella sera aveva su la maglia bianca che con le luci rosse diventava anch’essa cremisi.

Non parlò, non salutò, mi prese per mano mi trascinò con lui nella folla che si agitava e dimenava al ritmo della musica. Non ballammo, venivamo smossi dal flusso, come quando si è sulla riva del mare e si viene spostati dalla forza delle onde.

Dopo avermi osservato e aver constatato il mio disorientamento, con sguardo famelico iniziò a baciarmi come la sera prima, piano. Gli piaceva particolarmente gustare le mie labbra come se fossero zuccherose. Poi mi strinse in maniera forte a sé ed io allungai le mie mani tra i suoi capelli, stringendole e chiudendo tra di esse alcune ciocche.

Quel mio movimento lo fece infuocare nel bacio, cominciò a far scorrere le mani verso il basso. Mi sollevò appena la gonna e toccò la pelle della mia coscia…poi il gluteo.

Ebbi un fremito e timore, ma non volevo comunque abbandonare quel contatto così passionale.

Continuavamo a stringerci e iniziavo a percepire il baccano della musica come un fastidio in quella situazione così eccitante.

B si staccò appena da me aprì gli occhi che risaltavano sempre di più, si guardò intorno infastidito. Guardava qualcosa di inesistente, vedeva al di sopra di tutti e lo infastidiva.

Anch’io feci per osservare cosa ci fosse, ma non percepivo nulla, non vedevo nulla.

B notò che lo stavo emulando, sorrise appena, si avvicinò al mio orecchio e disse “ Non sforzarti, non riuscirai mai a vedere niente.”

Lo guardai con sguardo interrogativo e continuai a lasciarmi trasportare dalla perdizione.

Non so per quanto rimanemmo in quella situazione di sguardi e movimenti molto impulsivi, ma ad un tratto volli uscire ero stufa del frastuono e B capendolo, mi prese ancora per mano portandomi fuori da quell’inferno. Quel gesto divenne naturale, non era imbarazzante o infantile. Era dominio vero e proprio.

Fuori l’aria era respirabile, ma le mie orecchie erano ovattate per via della musica che era stata assordante.

Iniziai a riprendere fiato,  B mi guardava curioso e sembrò vedermi bene, senza i filtri e i trucchi delle luci del locale.

Abbassò lo sguardo con un sorriso sghembo e parlò “Andiamo. Ti porto a casa?”

Iniziai a pensare che fosse impazzito del tutto, il suo essere che iniziava ad assumere un aspetto così normale e da cavalier servente mi disturbava.

Non era da lui, non era quello che volevo.“Ma è presto. Non volevi festeggiare” Era appena scattata la mezzanotte e mentre proferii l’ultima parola della mia affermazione sentii il senso di colpa mangiarmi il petto.

“Si può festeggiare ovunque. Non serve un locale.” Disse B iniziando a camminare in direzione della metropolitana.

Rimase in silenzio tutto il tempo, alla fermata, sul treno, sulla strada di casa ed io non domandai nulla, non dissi nulla.

Rimanevo anch’io nel mio silenzio e provai una strana paura.

Pensai “E se fossi io la sua prossima vittima? D’altronde mi ha minacciata  già una volta di morte. Ma ieri sera è stato lui stesso a dirmi che mi avrebbe già uccisa se avessi nominato quel Lui! Sì…ma lui non ha la normalità nelle vene. Potrebbe dirmi di amarmi e uccidermi allo stesso tempo.”

Presa dai dubbi e dalle insinuazioni che facevo io stessa, presi consapevolezza di qualcosa, di cui non volevo prendere coscienza ed iniziai ad accelerare il passo.

Ero a pochi metri da casa e il mio camminare divenne una specie di corsa.

B lo notò ed iniziò a inseguirmi.

Mi sentivo cattiva perché dubitavo di lui, mi sentivo prudente perché fuggivo da lui.

Arrivai sul vialetto di casa, iniziai ad agitarmi perché la mamma non era rientrata e chissà quando sarebbe rincasata.

Davanti la porta di casa non riuscivo a trovare le chiavi, perse nella mia mini borsa, nonostante cercassi di essere veloce.

Finalmente le trovai, le agguantai e aprii svelta.

Ma quando entrai e feci per chiuder, B puntò il piede tra la porta e lo stipite.

Entrò con facilità svelto e subdolo con un’espressione in viso fredda, immobile come quella di una statua di marmo.

Non riuscii a domandarmi perché avesse quella faccia, era chiaro che avesse capito che stavo fuggendo da lui come una qualsiasi, comunissima e razionalissima persona. Io non ero come gli altri per lui. Lo avevo ferito!

“Stai dubitando di me? Vero?” Mi domandò glaciale e chiudendosi la porta dietro.

La candida maglia faceva a pugni con l’espressione diabolica che aveva in volto. La enfatizzava in un modo raccapricciante.

“Sì…” Dissi con la voce tremante ma provando a rimanere salda e decisa, per essere pronta a difendermi.

B si avvicinò ed io iniziai a spostarmi facendomi indietro lentamente, fino a che non venni bloccata dal primo scalino delle scale.

“Sali.” Fu un’imposizione. Il suo tono di voce si colorò di una sfumatura perversa e strana che risvegliò i miei sensi.

Feci come mi disse salii e poi mi spinse lentamente in camera mia.

Chiuse a chiave la porta e la nascose sotto il mio porta gioie in modo da rendermi difficile il recupero se avessi tentato di fuggire.

Ingoiai a vuoto, sbarrando appena gli occhi “B…io..ti..”

Mi bloccò prima che potessi finire mi strinse a sé e cominciò a baciarmi in maniera forte e possessiva.

Io cercavo di ritrarmi ma non ce la facevo, la sua stretta era molto forte “B!!”

Lui si staccò per prendere fiato “ Ti prego. Non mi vuoi?” Lo disse supplichevole, ma riuscivo a cogliere una punta di intenzionalità e malizia nel modo in cui lo disse.

Maledetto tentatore!

Poi sentii qualcosa di gelido sfiorarmi la pelle della spalla. Era appuntito, credo fosse un coltellino di quelli molto piccoli, ma molto affilati.

Non mi lasciai prendere dallo sgomento seguii i suoi movimenti, come se seguendoli avrei avuto salva la vita.

Cedetti alla sua perversione che riuscì a scatenare la mia reazione che divenne eccitata come la sua. Mi spogliò di tutto quello che avevo addosso, adagio, senza farsi prendere dalla frenesia che lo stava scuotendo.

Io gli tolsi la maglia bianca e gli carezzai l’addome tonico e con i muscoli leggermente in evidenza, che si muovevano in sincrono col suo respiro appena agitato. Con delicatezza inizia a sbottonare i suoi pantaloni jeans.

B cominciò davvero a perdere se stesso, lentamente gli sfilai il coltello dalle dita, lo presi io e affannosamente B mi portò al letto.

Si liberò degli ultimi indumenti che aveva addosso.

Il suo abbraccio nudo e caldo mi fece impazzire. Fu così che comunicò a fare di me ciò che voleva ed io ciò che volevo di lui. Di tanto in tanto poggiavo la lama gelida del suo coltellino sulla sua pelle e quando lo facevo su di lui aveva l’effetto di un marchio a fuoco. Si contraeva in un’espressione di dolore e piacere.

Senza ritegno mi toccava e ad ogni mio sospiro di godimento, lui gemeva anche per sua soddisfazione.

Con le mani e le unghie mi aggrappavo alla sua schiena e potevo sentire i muscoli flettersi nel movimento del nostro amplesso. Per me sentirlo era molto e più intenso di quanto potesse esserlo per lui.

Distrattamente mi voltai in direzione del mio specchio e vidi la nostra immagine muoversi, il suo corpo su di me, il suo petto nudo sul mio seno, la sua bocca affamata sul mio collo, i suoi capelli corvini intrisi di sudore che rigavano le mie spalle.

Il suo talento nell’amarmi.

Mi accesi, il respiro divenne sempre più affannato, sempre più corto.

B rallentò i movimenti e mi mormorò ansante “Dì L…

Continuando a muoversi aspettava la mia risposta, così dissi “L…” Sempre più senza fiato.

Ma quando l’apice del piacere ci raggiunse dalle mie labbra uscì  la lettera “B…

Lo vidi sorridere totalmente inamidato di sudore, con soddisfazione e compiaciuto si abbassò su di me. Mi baciò la spalla e si avvicinò al mio orecchio lasciandosi andare ad una risata maliziosa e maligna.

 

 

Ciao a tutti/e

Ce l’ho fatta! Dopo l’ennesima settimana di salto capitolo, ce l’ho fatta!

Come sempre chiedo scusa per la mia assenza e non vi annoierò rammentandovi che sono nel bel mezzo di un lavoro.

Spero di aver reso bene sia in Leonor che in B l’idea della perdizione o corruzione dell’anima. Dell’amore passionale e che ha poco di puro. Il tutto dovrebbe dare l’idea che L e Belle dalla mia storia precedente siano due santi a confronto.

Ma passiamo ai ringraziamenti ^_^.

Grazie a tutti a chi legge silenziosamente, a chi mi inserisce nelle varie cartelle e a chi mi recensisce e recensirà.

Ora devo scappare ci vediamo e a presto

 

Baci baci KiaraAma :*

 

 

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Capitolo 11
*** B11- L'evidenza ***


                                                           
                                                     Questo lavoro non è opera mia, purtroppo non conosco l'artista
                                             per poter linkare il suo portfolio o galleria

 

                  L’evidenza

 

 

Passarono dieci giorni da quella notte.

Da quel 4 Agosto e furono giorni idilliaci.

Dopo quel giorno, smisi di informarmi, di leggere quotidiani, di guardare i notiziari.

Isolai in maniera infallibile, e aggiungerei infantile, tutto quello che sapevo avrebbe minacciato la mia vita come la volevo in quel momento.

Era tutto perfetto e volevo continuasse ad esserlo.

B, non mi preannunciò più nessuna delle sue sinistre notizie o trucida decisione.

Mi sentii sollevata, pensai perfino che avesse smesso del tutto, che provasse quel sentimento giusto che lo portasse a cambiare. Indossava sempre più spesso le sue lenti a contatto scure e i suoi occhi mi sembravano sciupati, come se gli fosse mancato il sonno.

Le giornate si alternavano tra le sue visite a casa e le uscite in auto, dove B riusciva perfino a sembrare normale e innocuo. Parlava molto spesso con mia madre, e come sempre, infilava nel chiacchierare quel suo modo malizioso di guardarmi. Alle volte mi metteva letteralmente in difficoltà, magari mentre la mamma si allontanava o si girava per fare qualcosa, lui mi si avvicinava sfacciato e mi toccava in maniera indecente, sconcia, provocatoria. Ovviamente io lo trattenevo e reagivo in maniera pudica, ma in realtà lo volevo quanto lo voleva lui.

Fare l’amore divenne ogni volta più bello, intenso ed eccitante. E B, con le sue assurde perversioni mi influenzava, stordiva, mi assorbiva in maniera assoluta.

Quando mi separavo da lui sentivo i polmoni smettere di muoversi, quando lo guardavo in faccia avrei voluto prenderlo e baciarlo in continuazione.

Ma c’era dell’amaro in tutto quello che stavo vivendo, c’era del marcio dietro quel viso che volevo baciare.

Ed nonostante tutto, io continuavo ad ignorare tutto quello che mi accadeva attorno.

 

Il 14 Agosto era una splendida giornata di sole estivo, la temperatura era asfissiante in casa e non riuscivo a tenere i miei capelli sciolti come mio solito, ero costretta e tenerli legati in una coda.

Così quel giorno decisi di mettermi stesa sulla sdraio che avevamo in giardino.

La posizionai sul  confine che c’era tra la luce del sole e l’ombra dell’albero su cui B si arrampicava per raggiungere il balcone della mia stanza.

Respirai a pieni polmoni la leggera corrente d’aria che mi investiva e mi dava sollievo dalla calura, poi mentre pian piano venivo colta dalle prime avvisaglie del sonno, udii il mio cellulare squillare.

Pigra, feci un’espressione straziata e mi apprestai a prendere il telefono.

La mamma in quegli ultimi giorni divenne ancora più paranoica. Voleva che portassi il cellulare sempre con me, anche se andavo sola in giardino. Come se potessi perdermi o succedermi qualcosa in quel misero rettangolino di terra.

Forse però l’avrei dovuta capire, lei non sapeva, lei non poteva sapere che ero al sicuro e in pericolo allo stesso tempo, e soprattutto che ero  nelle mani del killer per eccellenza, ero la compagna.

La sua ragazza.

Afferrai il cellulare e guardai lo schermo, vidi lampeggiare a tempo della melodia della suoneria, il numero e il nome di Jesse.

Sorrisi entusiasta e risposi euforica.“Pronto! Jesse!” Dissi squillante e togliendomi gli occhiali da sole dagli occhi, come se scostandoli avessi potuto percepire le parole di Jesse in maniera ancora più chiara e netta.

<< Buon giorno! Siamo di buono umore oggi? Qui in Austria si sta facendo sera e Hans, il tipo della reception, ci ha appena provato con me. Allora è vero che scambiano noi ragazze americane per ‘quelle facili’. Pensare che lo saluto a stento. >>

Non riuscii a rispondere perché la mia risata fu prorompente, tentai comunque di parlare “Ma…ma come ti vengono queste uscite….aspetta..” E di nuovo la mia risata riecheggiò nel giardino.

Jesse mi mancava molto e risentire la sua inconfondibile ironia, fu per me motivo di gioia pura.

Quando mi ripresi dal mio attacco di ilarità riuscii a riprendere la chiamata, ma sempre accennando leggeri colpi di risata “ Allora come va? A parte le conquiste austriache.”

<< Bene. Il cibo è abbastanza buono e mi mancano i pancake che fa tua madre. Per il resto i posti sono bellissimi e caratteristici.>> Jesse prese una leggera pausa e io capii che il suo tono si stava trasformando in uno un po’ più scherzoso e invadente << E allora, a te come va? Tutto questo entusiasmo non può essere dovuto solo alla mia chiamata. A quanto pare in mia assenza il ragazzo tutto fare ha colpito ancora.>> Jesse dall’altra parte del telefono iniziò a ridacchiare.

Io invece arrossii violentemente e cercai di sminuire, come sempre, la cosa “ Ah! Ma no! Jesse. Finiscila con questo discorso. Lo sai che odio andare in tilt per queste cose.” Abbozzai un sorriso pensando a B e poi continuai confessandomi a Jesse “ E se proprio vuoi saperlo, beh, sì… ci frequentiamo.” Lo dissi quasi con un filo di voce.

<< A giudicare da come lo stai dicendo, direi che siete più di due persone che si frequentano. >> Jesse con tono sarcastico si lasciò andare di nuovo ad una risata.

Sbuffai sorridendo e mi lasciai andare alla sensazione piacevole che lascia l’innamoramento, quel leggero senso di pace misto al calore nello stomaco. Avrebbe potuto crollarmi il mondo tutto intorno e non me ne sarei accorta per quanto ero felice.

Ma quelle sensazioni non durarono molto a lungo, furono come un battito di ciglia e io avrei dovuto aspettarmelo.

 Jesse cambiò discorso capendo il mio lieve imbarazzo e parlò con voce preoccupata "Non c'entra nulla. Ma ultimamente mi sto preoccupando per via delle notizie che mi stanno arrivando, lì da Los Angeles"

Ingoiai a vuoto e respirai profondamente per non finire in un sussulto ed esclamare un ‘No.’ isterico e secco. “Di…su cosa?”  

Raggelai, perché sapevo benissimo a cosa si stesse riferendo Jesse.

<< A quegli om…>>  Iniziai ad ascoltare Jesse senza parlare.

Attonita, alzai lo sguardo verso la porta di casa che si stava aprendo, facendo comparire la figura esile di mia madre vestita con un abito smanicato sul fucsia. Venne verso di me seria, quell’espressione stonava da morire con il carattere gioviale e i lineamenti dolci di mia madre.

Arrivò da me, rimase in piedi e mi porse un giornale.

Mi concentrai sui miei movimenti per impedirmi di tremare.

Allungai la mano, toccai la superficie liscia e apparentemente granulosa del giornale. Il mio olfatto catturò l’odore della carta, lo respirai e mi intossicò.

Mentre leggevo,  Jesse dall’altro capo mi raccontava le medesime cose che stavo leggendo e tutto si confondeva in un rumore, un ronzio straziante per le mie orecchie.

Poi i miei occhi vennero catturati istantaneamente dalle tre foto di tre persone.

Una la conoscevo, le altre due no, ma ebbi un brivido d’orrore quando tra le facce sconosciute vidi quella di una bambina di soli tredici anni.

Il secondo volto sconosciuto era di una donna di vent’otto anni.

Tre persone che non avevano nulla a che vedere l’una con l’altra, ma nelle quali potevo scorgere tutta l’innocenza e incolpevolezza per quello che gli era stato fatto.

Nell’articolo comparivano le parole come… trucidate, seviziate, mutil…

Strinsi gli occhi.

Nella testa sentivo a ripetizione…‘una bambina’, ‘una bambina’….’ha ucciso una bambina’.

Non che le altre due vittime non avessero diritto alla vita o che valessero di meno, ho sempre pensato che non esistono metri per questo genere di cose. Ma la ragazzina di appena tredici anni fu qualcosa che iniziò a rendere ai miei occhi B come il mostro che era.

Mi sembrò di sentire il rompersi della facciata esterna di Beyond.

Iniziavo a scorgere quel fondo del pozzo e non mi piaceva.

Il sangue non mi piaceva, le ferite aperte non mi piacevano, le torture non mi piacevano.

E nonostante questo, provavo amore per lui, riuscivo ad essere misericordiosa con un assassino della sua risma. In quel occasione però, a differenza delle volte precedenti, sentivo qualcosa che faceva attrito tra la mia persona e quella di B.

Strinsi ancora di più gli occhi, come se avessi un dolore lancinante nella mia testa, ma quello che mi faceva più male in quel momento era il petto.

Non riuscii più a pensare lucidamente, aprii gli occhi, guardai mia madre con uno sguardo interrogativo misto ad un’espressione leggermente disgustata e crucciata.

Trovai il coraggio di far uscire le parole di bocca, dovevo terminare la chiamata con Jesse o si sarebbe di sicuro spaventata sentendomi in quello stato.

Schiarii la voce e parlai “Jesse…” abbassai lo sguardo lanciando flemmaticamente  il giornale sul fondo della sdraio, non volevo vedere altro “ Devo lasciarti ora. Ehm…c’è la mamma qui e ha bisogno di me. Scusami, ti richiamo io il prima possibile.” Fui diretta e seria.

Jesse capì e mi congedò senza farmi domande, aveva impercettibilmente capito che c’era qualcosa di importante che dovevo affrontare.

Chiusi lo sportelletto del cellulare e alzai gli occhi sulla mamma che iniziò a parlare “Io e tuo padre non ti avevamo detto nulla degli altri omicidi, per non farti spaventare o sconvolgere troppo da questa storia, come è successo qualche tempo fa. Ma ora non ce la facevo più Leo. Io dovevo farti vedere che questa persona o qualunque cosa sia, sta facendo del male senza pietà e senza rispetto alcuno, per nessuno. Come puoi ben vedere pazzo o lucido mentalmente fa cose atroci, riprovevoli. Questa volta è troppo pericoloso Leonor.” La voce della mamma era seria e composta, nessuna sfumatura dolce o materna, era una spiegazione risoluta.

Non parlai venni colta dal mutismo, non c’era nessuna scusa o giustificazione da dare.

E poi cosa avrei dovuto giustificare? Me stessa? Giustificare il mio amore per una creatura malefica?

Inspirai e espirai, presi il miei capelli e li torturai percorrendo la forma delle onde con le dita.

Non avevo nulla da dire, stetti a sentire mia madre mentre mi diceva “ Ora credo proprio sia il caso di trasferirci per un po’ da tuo padre Leo.” La mamma tornò dolce e si sedette vicino a me, mi prese le spalle e mormorò “Lo hai promesso. Ricordi?”

Io annuii, poggiai la mia fronte sul suo collo e mi lascai andare al suo abbraccio.

E mentre la brezza di quel giorno continuava a muovere le foglie degli alberi, a smuovere i tessuti dei nostri vestiti, senza essersi mai fermata un minuto, quella corrente inconsistente aveva sentito e assistito, come un intruso silenzioso, a tutta la mia afflizione interiore.

Solo lei sapeva che non avevo più parole per aiutarlo.

 

 

Il giorno dopo ci trasferimmo da papà e in macchina nel percorso da Brentwood a Hollywood mi appisolai.

Sperando di dimenticare quello che avevo vissuto il giorno prima.

Quella mattina la mamma ci aveva messo un po’ a preparare tutti i suoi bagagli, mentre io invece ero stata precisa ed organizzata. Nel mettere gli abiti nella borsa, questi mi sembravano pesare come piombo. Rimuginavo e ripensavo a tutto quello che avevo visto. Conosciuto di B.

Capii che mi ero fatta attrarre da qualcosa di puramente superficiale e senza un fondo concreto, ciò nonostante continuava ad allettarmi moltissimo.

Lui era così attraente da farti dimenticare completamente cosa nascondesse sotto quella maschera. B, somigliava molto alle creature dell’orrore di cui leggevo in alcuni miei libri. Belli, affascinanti e maledetti ed uccidevano indiscriminatamente. *

Ma lui era vero, c’era nella realtà che vivevo e uccideva veramente, senza ritegno alcuno.

Finalmente nacquero quelle domande che avrei dovuto farmi tempo addietro: Chi era davvero B? Ed escludendo la pazzia e l’insanità mentale . Qual’era lo scopo di tutto quello che stava facendo?

Sapevo e avevo intuito, che non aveva avuto una vera infanzia o famiglia. Avevo capito che  B aveva perso qualcuno a lui caro, ‘quel o quella A’, a causa di ‘quel Lui ’. E quei discorsi fatti di sole lettere dell’alfabeto mi incuriosivano al di sopra di ogni altra cosa.

Avevo perfino fantasticato sul fatto che i suoi occhi avessero una vista particolare.

A prescindere dal loro insolito colore, avevo compreso che avevano qualcosa di inconsueto. Non era un disturbo visivo quello che aveva, anche se a momenti sembrava somigliare proprio a quest’ultima ipotesi.

 

“ Non sforzarti, non riuscirai mai a vedere niente.” Questo mi disse dei suoi occhi.

 

Poi di seguito, mi tornò alla mente quel momento in cui B sapeva cosa ci eravamo detti io, mia madre e mio padre nella mia cucina dopo l’omicidio di Believe Bridesmaid.

Solo chi era presente in quella stanza avrebbe potuto sapere di cosa avessimo parlato, e lui non c’era lì con noi.

Quel mattino,  prima di metterci in moto per la casa di mio padre, come una sciocca, guardai gli angoli della mia abitazione in cerca di una qualche sorta di cimice o roba del genere, ma non trovai nulla, tanto meno in cucina.

Riuscii solo a concludere che dovevo smetterla di vedere quei film thriller o di spionaggio che tanto adoravo.

Fui svegliata dal mio dormi veglia  mescolato ai miei ragionamenti, dal fischio dei freni dell’auto. Sintomo che io e la mamma eravamo arrivate a destinazione.

Scesi dalla macchina ancora intorpidita e buttai un leggero sguardo sul palazzo in cui c’è l’appartamento dove vive mio padre. Una palazzina costruita negli anni in cui sono nata, quindi si può definirla abbastanza nuova e munita di ascensore. Cosa che invece è molto raro trovare nei vecchi edifici.

Dato che avevamo i bagagli, io e la mamma prendemmo l’ascensore.

Mia madre digitò il pulsante del piano, il sesto piano per la precisione.

Arrivate sul pianerottolo c’era mio padre sorridente, che ci aspettava davanti la porta di casa con la sua tenuta casalinga, ovvero camicia e bermuda.

Io c’ero stata spesso nell’appartamento di mio padre, in quei giorni della settimana in cui passavo del tempo da lui, ma per mia madre quella fu la prima volta.

“Tutto bene ragazze? Avete trovato qualche intoppo per la strada?” Disse mio padre cordiale e chiudendosi la porta di casa dietro.

“No. Tutto liscio come l’olio mi sono anche addormentata in auto.”  Risposi io per entrambe,  dato che mia madre era occupata nell’osservazione del soggiorno con occhio vispo e curioso.

“Bene. Rose, ti dico qual è la tua stanza. Così puoi lasciare i bagagli e metterti comoda. Tu Leo, sai già dov’è la tua camera. Andiamo.” Papà prese il borsone della mamma, che lei aveva mollato al centro del salone, e ci fece strada o corridoio, dato che la distanza non fu molta dal soggiorno alla zona notte.

La mia stanza la conoscevo già.

Molto semplice e femminile, il letto è sistemato nell’angolo di destra nel fondo della stanza tra due pareti e vicino ad un'unica finestra. Dal lato opposto una libreria che ha vicino una piccola scrivania, con sopra poggiato uno specchio con la testa girevole. E cosa che amo di più della mia stanza nell’appartamento di mio padre, è che ha un piccolo bagno annesso.

La camera di mia madre era leggermente più grande e si vedeva subito che mio padre l’aveva resa confortevole ed utilizzabile proprio in occasione della permanenza lì della mamma. Di solito la usava solo per lasciarci gli abiti puliti e che puntualmente non stirava.

In pratica dormivamo tutti e tre in stanze separate.

Mio padre rispetta molto le scelte di mia madre e con tutta la storia della separazione alle spalle, quella situazione così penosa in cui ci trovavamo, papà, concesse alla mamma non solo il confort fisico e materiale, ma anche quel silenzioso affetto che provava per lei.

Entrai nella mia stanza, poggiai la mia borsa sul letto e andai ad aprire la finestra per sentire l’aria in viso e riprendermi dalle sensazioni di disagio che provavo.

Appena sollevai l’anta della finestra, chiusi gli occhi e  l’odore della città mi investii.

Lo smog, l’odore degli hamburger del fastfood davanti casa e l’odore di noccioline tostate, i fumi e i suoni del trambusto di un traffico caotico tipico di Hollywood.

Nulla a che vedere con la placidità e la vita serena del mio piccolo quartiere a Brentwood.

“Leo? Tutto bene?” D’un tratto la voce di mio padre mi fece sobbalzare e io mi voltai.

“Sì, sì. Tutto bene. Credo.” Dissi stanca e incerta.

“Non ti preoccupare. Risolveremo presto questa storia e potrai tornare a casa e fare la vita spensierata di sempre…” Poi papà si fermo per un attimo e continuò “ Non vuoi ritornare a fare una vita calma come la facevi tempo fa?”

Abbassai gli occhi sulla mano che mio padre  mi aveva poggiato sulla spalla.

Riflettei.

La sua affermazione mi aveva provocato una tenerezza inimmaginabile e mi sentii cattiva per quello che avevo fatto e detto tempo addietro.

Avrei voluto piangere per B, per quello che mi stava facendo e che non potevo, non riuscivo più a capire e a ignorare.

Ma non riuscivo a piangerlo dovevo agire come meglio potevo.

Lo amavo, ma era malvagio al di sopra di qualsiasi cosa potessi immaginare.

Lo amavo, ma mi avrebbe tradito in qualsiasi maniera, non quella che ci si aspetterebbe dal proprio ragazzo. Lui mi avrebbe tradito non mantenendo la promessa di non uccidermi, non avrebbe mantenuto la promessa di non uccidere le persone che amo.

Avrebbe fatto tutto questo a prescindere da quanto io lo amassi e da quanto lui mi amasse.

Imprevedibile e pazzo avrebbe davvero detto di amarmi e nel frattempo mi avrebbe piantato un coltello in pieno stomaco.

Il suo amore non era normale, non lo era mai stato e io fino a quel momento ero stata cieca, mi ero auto inflitta una cecità per il solo gusto di sentirlo più vicino.

Stavo annaspando in delle sabbie mobili senza riuscire né uscire né ad annegare.

Stavo tentando di unire il nero al bianco.

Stavo cercando di rendere e definire normale la pazzia.

Era il momento di capire che cosa era lui realmente.

Era il momento di capire se il mio amore, era solo innamoramento per un’immagine orrida e falsa o se semplicemente fossi anch’io come lui.

 “Sì, papà voglio una vita tranquilla.” Dissi alzando gli occhi su quelli castani di mio padre, che sorrisero rassicurati, all’unisono con le labbra.

 

Il giorno seguente rimasi sola in casa, sia mio padre che mia madre erano a lavoro e rimanere isolata questa volta mi metteva davvero paura. Ma non avevo voglia di fare la ragazzina isterica e piagnucolare cercando di non essere abbandonata.

A costo di tenere tutte le luci di casa accese e a costo di rimanere costantemente in allerta, dovevo essere anch’io in grado di affrontare le mie ansie.

Avevo creato io quella situazione e dovevo risolverla io, dal mio punto di vista e con i miei mezzi.

Fortunatamente trovai un modo per distendere in nervi.

Nel salone dell’appartamento di mio padre c’è un ampia finestra con davanti un divano, decisi di sistemarmi lì e di leggere.

Optai per una lettura non proprio leggera ‘Il signore degli anelli’ . Ma mi distoglieva nella maniera giusta da quella mia situazione e quel mondo magico, avventuroso,  mi infondeva coraggio e quietava il mio animo.

Quiete che durò ben poco perché il campanello suonò.

Iniziai a preoccuparmi ipotizzando su chi potesse essere.

Non mi feci prendere dal panico e mi alzai per andare ad aprire.

E se fosse stato lui alla porta? Come lo avrei affrontato?

Non riuscivo più a vederlo come lo vedevo tempo prima.

Lo amavo e avevo paura.

Smisi di rimuginare e aprii.

Qualunque cosa sarebbe accaduta avrei dovuto reagire. Punto.

Non avevo scelte.

Aprii la porta e mi trovai davanti B, con la sua maglia bianca, che non toglieva ormai da più due settimane. Aveva un’espressione leggermente contrariata e veniva enfatizzata delle borse che aveva disegnate sotto gli occhi.

Aveva assunto una posizione ricurva, era cupo, chiuso, poi velocemente si trasformò “Posso entrare?” Disse sarcasticamente entrando comunque e in modo sfacciato, ridacchiando.

“Hai già fatto da solo.” Gli dissi mentre mi passava davanti lasciandosi dietro un forte odore di fragole.

Mi voltai verso di lui che era di spalle e chiusi la porta dicendo “ Come hai fatto a trovarmi?” Il mio tono era troppo provocatorio.

Non andava affatto, dovevo controllare anche la mia rabbia o avrei potuto scatenarlo.

Beh…è bastato cercare l’indirizzo di tuo padre.” Disse voltandosi e facendo una faccia meravigliata, per poi prendere una sfumatura leggermente seccata “ Che c’è? Ti scoccia che io sia venuto qui?”

“No, non mi scoccia anzi…” in parte volevo rivederlo, ma presi una scusa attinente ai fatti che coinvolgevano entrambi,  per dissipare qualche suo possibile sospetto “ E’ che tutto questo. Mi sta facendo saltare i nervi. B, io sono scappata da casa mia per evitare un pericolo che non posso comunque evitare perché…

B mi interruppe per finire la mia frase in modo stizzito.“Il pericolo ce l’hai comunque vicino.”

“B, che sta succedendo?” Dissi quelle parole con tutto lo struggimento e lo sconforto che avevo addosso.

B venne verso di me con il volto ancora più angosciato del mio e mi prese per le spalle piano. Mi portò verso il divano dove lui si mise a sedere sul bracciolo, io gli rimasi davanti in piedi e pronta ad ascoltarlo.

Di punto in bianco divenne quasi nervoso, fece scivolare le sue  mani dalle mie spalle alle mie mani e le strinse convulsamente. Rimase ad osservare i movimenti agitati delle sue dita e poi alzò il volto per guardarmi in faccia.

Preoccupata cominciai a domandare “ B, che succede? Non ti senti al sicuro, qui, a casa di mio padre?” Mi abbassai di poco per guardarlo da vicino.

Pensai che stesse finalmente avendo una crisi di coscienza, che mi stesse per confessare tutte le cose orrende che aveva fatto e invece ebbi in cambio dell’altro.

“Il 22 Agosto…” esitò e poi ricominciò “ Voglio che tu faccia una cosa per me. Capito.”

“Ma di che cosa parli B? Per una volta fammi capire qualcosa di quello che sei, di quello che fai.” Dissi supplichevole e preoccupata, poi strinsi le sue mani “ Altrimenti non so come potrei aiutarti.”

Eravamo vicini, lui divenne improvvisamente determinato e serio.

Lentamente mi baciò e io risposi. Quel baciò fu qualcosa di diverso dal solito, non era per passione, era dolce e amaro allo stesso momento. Somigliava ad un atipico congedo.

Si allontanò da me piano e parlò “ Nei prossimi giorni potrò venire  molto poco da te. Forse per niente. Non posso dirti il motivo. Ma ti farò recapitare presto quello che dovrai fare il 22 Agosto.”

Strinsi le mascelle “ Immagino non mi dirai nient’altro. Non mi dirai cosa c’è sotto. B, smettila!” Iniziavo ad innervosirmi.

Mi allontanai lasciando le sue mani in maniera secca e mi voltai facendo qualche passo lontano da lui.

Lo sentii alzarsi dal punto del divano in cui si era seduto e respirare leggermente agitato “ Tu non capisci Leo…Io devo essere il numero uno! Devo batterlo!” Disse con un tono di voce di poco più alto.

“Chi?! Chi, B?! Perché io ti giuro, che non ce la faccio più a capire cosa stai facendo! Te lo ripeto B, per l’ultima volta. Che sta succedendo? Sai almeno che cosa stai scatenando?!” Risposi anch’io alzando la voce, incrociando le braccia al petto e esausta per quei tira e molla di informazioni a singhiozzo.

“So che cosa sto facendo.” B divenne torvo e i suoi occhi rossi sembrarono voler bruciare il filtro nero delle lenti che li copriva.

Iniziò a camminare verso di me in maniera sensuale e minacciosa, passò la mano sul mio petto per farla poi salire piano e raggiungere il mio collo.

Capii che stava per fare qualcosa di incontrollato e animalesco.

Sbarrai gli occhi e mi preparai a scostarmi veloce.

Il mio corpo era pronto a reagire a qualsiasi sua reazione e a rispondere come poteva.

Prima che la sua stretta prendesse il mio collo, sentimmo un forte rumore provenire fuori dalle scale.

Il mio scansami fulminea e il suo stringere la presa nell’aria fu un tutt’uno.

B, non si scompose affatto puntò gli occhi verso la porta “Forse è il caso che io vada.”

Non mi guardò minimamente in faccia, si incamminò verso l’uscio e io lo seguii piano, ancora con l’adrenalina a mille.

B, fece girare il pomello della serratura e aprii la porta,  poi si voltò appena per guardarmi. Aveva di nuovo ripreso il controllo di sé “ Se non riuscirò a portare a compimento il mio ultimo obiettivo sarà solo colpa tua.” Disse freddo e mesto come un bambino capriccioso che non poteva avere il gioco che tanto desiderava.

Io respirai profondamente e lo guardai decisa “ B, posso assicurarti che tutto questo non avrà proprio niente a che vedere con me.”

“Molto bene. Per il 22 Agosto avrai mie notizie.” B attraversò un pezzo del pianerottolo e poi scese le scale lentamente, ricurvo, chiuso in sé stesso.

Proprio come si era presentato mezz’ora prima davanti la mia porta.

Di nuovo quel cambio di personalità ambiguo.

B spariva piano dalla mia vista, flemme, come se io lo avessi abbattuto con le mie parole.

Poi notai un ragazzo raccogliere degli oggetti metallici a terra, sembravano essere delle aste in ferro.

Dovevano essere state quelle cose ad aver fatto quel frastuono che mi aveva salvato la vita.

Il ragazzo, intento a terra a raccattare le sue cose, indossava una felpa blu scura che gli copriva completamente il volto e vestiva dei pantaloncini jeans con scarpe sportive.

Alzò di poco il viso e mi guardò, aveva degli occhi azzurrissimi e dei lineamenti molto mascolini, ma si potevano notare in volto, delle leggere cicatrici che andavano dal carnoso labbro superiore alla guancia.

Fu singolare il modo in cui mi guardò, perché sembrava proprio lo sguardo di una persona preoccupata, ma non un’apprensione dovuta magari alla discussione appena sentita o origliata involontariamente per porta.

Quella era la preoccupazione di chi sapeva con che cosa avevo a che fare.

Nonostante chiudessi la porta, quello sguardo mi rimase impresso nella mente come un forte riflesso solare negli occhi.

 

 

 

 

* ‘Belli, affascinanti e maledetti ed uccidevano indiscriminatamente’ Questa affermazione è un omaggio-citazione ai Vampiri di Anne Rice.

 

 

Ciao, ciao a tutti!

Dopo più di un mese sono tornata. ^_____^

Perdonatemi l’attesa, ma il lavoro negli ultimi tempi è diventato un concatenarsi di appuntamenti e riunioni.

Quindi per scrivere sono stata lentissima, ho costruito pezzo per pezzo, giorno per giorno XD. Spero che il risultato sia per lo meno buono, sia per la lettura che a livello della storia, e che si inizino a vedere le prime avvisaglie di un cambiamento. Lo spero ç___ç.

Ora vi saluto e ringrazio tanto anticipatamente, per chi mi metterà nelle varie sezioni preferite, seguite e ricordate.

Grazie, grazie ancora!

 

Buona notte e a tutti

Spero di aggiornare presto ;)

 

 

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Capitolo 12
*** B12- Il Bivio ***


                                                                                                         
L'immagine è di Digitalreplicant artista trovato su DeviantArt                                                                                   Nel giro di ben due giorni mi ritrovai a fare le cose più insolite per far passare il tempo e non pensare troppo alla situazione che si era sviluppata

                                                          Il Bivio

 

Piedi non abbandonatemi ora

Portatemi al traguardo

Il mio cuore si spezza per ogni passo che faccio

Ma spero che le uscite mi diranno che sei mio

Camminando per le strade della città

E’ per sbaglio o di proposito? [...]

A volte l’amore non basta quando la via diventa dura [...]

Scegli le tue ultime parole

Questa è l’ultima volta

Perché tu e io, siamo nati per morire.

 

                                                                 (Traduzione Born to Die di Lana Del Rey)

 

 

Nel giro di ben due giorni, mi ritrovai a fare le cose più insolite per far passare il tempo e non pensare troppo alla situazione che si era sviluppata.

D’altronde non succede tutti  giorni di passare da stati di completa incoscienza e di superficiale amore per delle apparenze, ad un veloce risveglio e presa di coscienza della gravità della cosa.

Ma nonostante tutto, nell’incastro di questi due elementi, ne era uscito uno strano risultato.

Se dovessi proprio definirli, li potrei chiamare solamente strani miscugli di sentimenti oppure come qualcosa di simile ad un’ampolla. Sì, come paragone rende abbastanza bene l’idea. A quelle ampolle di Natale che quando vengono agitate rilasciano galleggianti i fiocchi di neve. Potrei paragonare esattamente i miei il mio stato d’animo a quella neve in movimento e che prima o poi avrebbe toccato terra. Il mio problema è che, a differenza dell’ampolla dove la gravità fa cadere ondeggiante la neve sulla superficie, nel mio caso non aveva nessuna forza attrattiva che poteva portarla giù. Non c’era nessuna chiave che avrebbe  potuto sbloccare la mia situazione, al di fuori di quel maledetto messaggio che B mi disse mi avrebbe fatto recapitare per sapere cosa realmente avrei dovuto fare.

Ogni volta che ripensavo a quelle sue ultime parole, avevo voglia di ribellarmi,di non aiutarlo, di non fare nulla per lui. Io definirei meglio tutto questo con un non voler sapere cosa fare, il non volerlo più seguire nella sua pazzia. Ma la realtà e la verità, è che io morivo dalla voglia di sapere qualcosa di lui, avevo bisogno di scoprire che cosa nascondeva, di scoprire di cosa, in quei mesi, ero stata in balia.

Sì, ma come avrei potuto scoprire quello che volevo senza un aiuto?

Un aiuto che per lo meno fosse vicino e a stretto contatto con B.

B, per quello che conoscevo di lui, era l’essere più solo di questa terra. Non lo avevo mai notato con amici o conoscenti, lo avevo sempre visto relazionarsi in maniera educata con gli estranei. Anche  se quella potrei definirla finzione dato che stiamo parlando di B.

Alla fine di questi miei ragionamenti, che non avevano né capo né coda, mi ritrovato a scrutare, senza particolare attenzione, il libro di matematica sperando che da un momento all’altro comparisse Jesse dalla porta e che mi aiutasse sia nell’odiosa matematica, sia con B. Pensai che se fosse stata lì con me, in quel momento, probabilmente le avrei raccontato ogni cosa e sicuramente, dopo avermi dato della pazza, mi avrebbe detto di chiamare la polizia correndo.

Volsi il mio sguardo verso la finestra e iniziai a notare che le giornate cominciavano ad accorciarsi. Venni investita dalla malinconia, nemmeno l’estate fosse finita il giorno seguente.

Mi alzai dalla scrivania e mi misi a osservare, dall’alto del nostro appartamento, il mondo esterno.

Un serpeggiante gruppo di persone camminava per i marcia piedi e le auto scorrevano a fatica nel fiume del traffico. Sono sempre rimasta stupida da come questo paesaggio, così  grigio e monotono, potesse avere una così particolare attrattiva.

Ad un tratto i miei occhi vennero catturati dal blu di una felpa che avevo già visto e che risvegliò nella mia testa, il suono metallico delle aste di ferro che piombavano a terra sul pianerottolo di casa. Subito capii che si trattava di quel ragazzo incontrato due giorni prima. Sul marciapiede opposto a quello di casa mia, era intento a prendersi un hot dog nel mini chiosco di Henry Burns.  

Mi ritornò alla mente il suo sguardo mentre raccoglieva i suoi oggetti metallici. Ebbe su di me l’effetto di un gentile rimprovero misto all’apprensione.

Poi mi chiesi: Che questo ragazzo viva da queste parti? E’ già la seconda volta che lo vedo?

Udì poi lo scattare della serratura della mia camera e voltandomi sulla porta vidi fare capolino la mamma.

“Wow! Insolito che tu studi la matematica. La odi. Che succede Leo? Tutto a posto?” Mia madre, vestita ancora col suo completo elegante da lavoro, andò verso la scrivania e  sfiorò le pagine del libro di matematica.

Io sorrisi appena e le risposi “ Diciamo che per ora è solo un legame con Jesse in attesa che torni. Non ho molta voglia di pensare ultimamente, quindi mi butto sullo studio e poi all’inizio della scuola manca poco. Ho altra alternativa?” Abbassai gli occhi mentre giocherellavo con le mie dita.

La mamma mi guardò con un’aria leggermente rattristata poi mi si avvicinò e mi abbracciò forte. In quel momento l’abbraccio di mia madre calmò per un attimo la bufera di neve che avevo nell’ampolla del mio petto. E rimase in stand by anche quando a cena rividi finalmente mia madre e mio padre seduti insieme allo stesso tavolo, a parlare, perfino scherzare, proprio come quando ero bambina. Quella sera ricordo di aver sorriso molto. Non ricordavo di aver sorriso così tanto in vita mia.

Sentivo un senso di completezza con loro e di appagamento, che nemmeno B mi faceva più tanta paura. Beyond sembrò essere diventato un punto lontano, come se fosse finito in una torre su un’alta collina.

Chissà se B fosse stato un normale ragazzo, un normale amore…chissà se la mia vita avrebbe acquisito la tranquilla perfezione che sentivo di esigere?

Mi rammaricavo quando arrivava il momento di andare a dormire, perché con la scesa delle tenebre, l’arrivo della solitudine della mia camera, tornava puntualmente il pensiero di lui e arrivavano con altrettanto tempismo tutte le elucubrazioni che avevo fatto nella mia giornata.

E l’ampolla tornava di nuovo a scuotersi.

 

Il giorno seguente a colazione mi offrì di fare la spesa per il pranzo, dato che la mamma e il papà sarebbero stati entrambi occupati dal lavoro ed io volevo evitare il più possibile di rimanere sola in casa. Soprattutto se B, magari sconvolgendo i suoi piani, si fosse potuto presentare sulla porta di casa.

Così appena sia mia madre che mio padre uscirono, io con un sorriso rassicurante li salutai e mi misi subito a lavoro per riordinare la tavola dalla colazione, lavando le stoviglie che avevamo usato pochi istanti prima. Nell’aria potevo ancora sentire l’odore vanigliato dei pancakes e mi rimase impregnato sui vestiti anche quando uscii di casa.

Il profumo alla vaniglia si addiceva perfettamente alla t-shirt giallo pallido che indossai.

Chiudendo la porta di casa a chiave, notai sul pianerottolo, di nuovo quel ragazzo in felpa blu. Subito mi chiesi: Ma non ha altre maglie di colore diverso?

Ma sorvolai, dato che mi ero abituata male. A quello strano cambio di felpe di B.

Era fermo sul lato opposto alla mia porta e sembrava aspettare qualcuno, forse l’inquilino dell’appartamento accanto.

Con sguardo sfuggevole non gli diedi peso e decisi di scendere le scale. Inconsciamente non mi ricordai che anche B, giorni prima, aveva sceso quei gradini. Muovevo il mio corpo seguendo una specie di filo invisibile che speravo mi conducesse a lui. Lo scendere le scale quel giorno, fu come sentirmi legata a Beyond in maniera ingenua e irriflessiva.

Molto più riflessivo fu il mio percorso per raggiungere il market, che distava nemmeno un kilometro da casa.

Nella testa, quel ragazzo in maglia blu e il frastuono metallico del ferro,erano un tutt’uno.

Cosa ci faceva quel tipo, lì ad aspettare? Chi e cosa aspettava?

A quell’ora tutti, nel palazzo in cui vivevo, erano a lavoro o fuori per le vacanze, soprattutto i soggetti più giovani che abitavano in quel complesso.

Al ritorno verso casa, ero incastrata nei miei ragionamenti più che mai. Sarebbero potuti passarmi davanti animali parlanti o una banda a suonarmi nelle orecchie, ma niente, nulla  mi avrebbe distratto da quello che si contorceva nella mia testa.

Arrivata aprii il portone, presi decisa l’ascensore e digitando il tasto del piano feci una piccola scommessa con me stessa.

Se il tizio di prima, quando arrivo alla porta, è ancora lì. Gli parlo.

Mentre tenevo la spesa nelle mani, potevo sentire il mio cuore smuovere leggermente la carta marroncina della busta che conteneva i miei acquisti.

Non posso farci nulla sono curiosa e mi affascina il capire cosa c’è sotto a qualcosa che mi insospettisce, tanto da arrivare ad entusiasmarmi.

Le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono e appena misi piede sul mio piano, guardai dalla parte opposta alla mia porta di casa.

C’era, era ancora lì. Il ‘ragazzo blu’.

Non sollevò la testa per guardarmi, rimase nascosto sotto il suo cappuccio e con le mani incrociate davanti al petto.

Io andai sulla mia soglia e feci per inserire le chiavi nella serratura, finsi esitazione poi mi voltai scostandomi i capelli dietro l’orecchio e parlai.

“Senti? Tu, se non sbaglio, sei il ragazzo che l’altro giorno ha fatto quel rumore con le aste di ferro? Vero?” Dissi tranquillamente e seriamente interessata.

Lui alzò il viso, si scoprì dal cappuccio e venne verso di me. Ora potevo vedere meglio il suo volto mascolino, la sua cicatrice tra labbro superiore e guancia, che mi apparve più profonda di quel che ricordavo. E possedeva una ragguardevole statura.

“Sì, sono io. Però ce ne hai messo di tempo per notarmi?” La sua voce era chiara, pulita, non era molto profonda ma comunque assai maschile.

“E perché avrei dovuto notarti?”

“Perché io so con chi hai a che fare.” Disse serio e vidi trasparire dai suo occhi color ghiaccio una qualche forma di calore.

“Tu, sai che cosa?” Ero titubante, un estraneo piomba all’improvviso nella mia vita e afferma di sapere molto di più di quanto ne possa sapere io.

“Entriamo in casa, non voglio parlarne qui. Tranquilla non sono pericoloso, per lo meno io non ammazzo la gente.” Detto questo, con fare fluido e rilassato, si avvicinò a me che ero rimasta senza parole.

Lui conosceva qualcosa di B!

Non potevo perdere una possibilità del genere e  d’altronde come aveva appena detto lui, avevo già conosciuto qualcuno di molto più pericoloso e in grado di uccidermi.

‘Blu’, mi apparve talmente innocuo a confronto di B, che senza esitare spalancai la porta di casa. Poggiai la busta della spesa sul tavolo circolare in cucina e raggiunsi subito Blu, che era rimasto in piedi solo nel salotto.

“Accomodati.” Dissi indicandogli con la mano uno dei due divani che erano l’uno di fronte all’altro, separati da un tavolino di un legno beige e di uno stile molto semplice ed essenziale. Mio padre non è molto amante del design come mia madre.

Lui si sedette e si osservò intorno poi tornò a guardarmi.

“Così...tu devi essere il suo svago?” Disse con un modo leggermente dispregiativo, ma capii che non era nei miei confronti.

“Se vuoi definirmi così. Ma…” Ero esitante.

Ancora rispuntava a chiazze quella mia paura di non voler sapere.

La misi a tacere!

“ Ma tu cosa sai di lui? In che rapporti sei con lui?” Ingoiai come se avessi avuto un gomitolo in gola.

“Innanzitutto mi presento. Odio che le persone non possano rivolgersi a me come si deve.” Si grattò appena la testa spettinando un poco i suoi cortissimi capelli biondo cenere. “Mi chiamo Abel.” Feci per risponde e dirgli il mio nome ma mi precedette “ Leonor. Lo so, l’ho sentito dai tuoi genitori quando ti chiamavano, mentre ti tenevo sott’occhio. Dunque, da dove posso partire. Ah! Ecco. Mi hai chiesto in che rapporti sono con il pazzo. Possiamo definirlo un rapporto di odio e lavoro.” Poi crucciò le sopraciglia assumendo un’aria seccata “ Ma non quel lavoro che so di sicuro conosci anche tu.”

A quella sua affermazione sentii imbarazzo, vergogna e repulsione per me stessa.

Abbassai lo sguardo e restai in ascolto.

“Io l’ho assunto come detective. Rue Ryuzaki si fa chiamare. Che nome assurdo per uno che non è nemmeno giapponese. Ma scommetto che lui di questo non te ne abbia parlato minimamente. Eh, sì! Per lui è probabile che, nella mente bacata che si ritrova, tu abbia un posticino tutto particolare. Da principessina. Ma sai qual è la cosa divertente? E’ che io so che cos’è…” Abel prese a guardarsi le mani e poi di nuovo mi scrutò “Sai, giorni fa dopo aver ucciso mia cugina, l’ho individuato subito. Era lì, tra i curiosi che osservava se aveva fatto un ottimo lavoro.” Il tono di Abel diventava sempre più astioso.

Ad un tratto riemersero nella mia testa le immagini di due mesi prima, quelle dell’omicidio del maniaco davanti casa. Ricordai in maniera definita le espressioni compiaciute di B tra la folla.

Ebbi un brivido e continuai a sentire.

“Gli altri nello sciame di persone davanti casa di Backy, non se ne sono accorti, nemmeno la polizia, che la belva si aggirava tranquilla tra di loro. Ingenui. Ma io sì. Volevo ritrovarlo e  riempirlo di botte. Ma poi giorni più tardi le altre famiglie delle vittime mi contattano essendo io l’unico famigliare di mia cugina residente qui a Los Angeles. E mi chiedono se mi avebbe fatto piacere che le indagini in ‘privato’, le avesse potete svolgere questo Ryuzaki. Mosso dalla curiosità ho pensato – Va bene.- Poi ho voluto vedere chi fosse questo tizio. La cosa non mi aveva mai convinto. L’altro ieri mi sono appostato sotto casa di Bridesmaid. E chi vedo entrare nel complesso? Il tizio della folla di curiosi, ovviamente abbigliato come un ragazzino pulito e senza macchia, poi poco dopo una donna orientale. A guardarla sembra conoscere il fatto suo…” Abel prese una pausa, sembrò riflettere sulla particolarità di questa donna, poi continuò. “ Capisci cosa fa? Uccide le persone e poi finge di indagare per risolvere gli omicidi! E’ più schifoso di quanto potessi immaginare.”

Iniziai a percepire una sensazione sgradevole, avevo freddo e stavo sudando, ma il mio sudore somigliava più a una cascata d’acqua gelata, mi sembrò che il mio corpo si stesse per staccare dallo spirito. Ammirai Abel, perchè lui era stato molto più attento di me, aveva riconosciuto il male e ne stava alla larga come era giusto che fosse.

“Che cosa gli ha fatto?” Dissi con la voce che a stento era tremante, cercando di mantenere l’autocontrollo e non rischiare di collassare a terra.

“Avrei proprio voglia di dirtelo cosa ha fatto alla mia Backy. Ma per quanto io sia tentato di fare del male a te per colpire lui, non ho proprio voglia di raccontarlo. E’ straziante, angosciante.” Abel chinò il capo rattristato, doveva voler davvero bene a sua cugina.

“Mi dispiace…” Mormorai quasi fossi senza voce.

Abel drizzò la testa e addolcì il viso, per un istante la sua cicatrice sembrò sparirgli dal volto, aveva percepito la mia vergogna e costernazione.

Era anche colpa mia se lui aveva perso qualcuno che amava. Io avrei potuto fermarlo se solo avessi agito prima e in un qualsiasi modo.

“Non sentirti in colpa Leonor. Deve averti ingannato in qualche modo.”

In un attimo dall’amarezza e il disgusto passai all’ira. Mi salì una forte ondata di rabbia ed esplosi. “ No! Non mi ha ingannato. Lui mi faceva capire tutto. Mi procurava un’angoscia disumana! Mi ha fatto e mi fa sentire sporca come lui! Ti assicuro che è stato più che loquace con me.” Con gli occhi trafissi Abel.

Ero furente non perché stavo difendendo B, come accadde tempo prima, ma perché finalmente ero arrabbiata come si deve con lui, per quello che stava facendo scontare a me e ad altre persone.

“Ora dimmi. Che cosa devo fare? Voglio sapere e vedere tutto! Tutto! E tu sai come posso fare. Dimmelo Abel.” La mia voce si abbassò di poco ma era piena di collera.

Abel sorrise appena e leggermente disorientato dalla mia reazione. Forse si sarebbe aspettato che io mi fossi messa a piangere come una bambina e chiesto solo il suo perdono, ma io volevo andare oltre il perdono.

“ Bene. Io lavoro in uno stabilimento che produce materiali metallici, come il ferro. L’avrai notato dalle aste dell’altro giorno. Come ti ho detto, giorni fa ho seguito il pazzo e ho scoperto, con mia grande gioia, che questo Ryuzaki vive in un vecchio complesso lì vicino.

E’ distante, dalla fabbrica in cui lavoro, sì e no trecento metri. E’ vicinissimo ad un canale che scorre attaccato ai complessi industriali e dove di solito vengono scaricati i rifiuti…” Esitò e poi mi propose “ Io non ci sono mai entrato, non ne ho mai avuto la forza e il coraggio. Avrei potuto, ma non l’ho fatto. Perchè avrei rischiato di  ucciderlo con le mie mani e non voglio abbassarmi al suo livello, questo è sicuro. E’ già rischioso il fatto che io lo segua e non se ne sia ancora accorto. Ma se tu te la senti…” Io interruppì Abel velocemente.

“Ok! Ci sto, andrò io. Entrerò io in quel posto.” Ero seria e impercettibilmente turbata, ma entusiasta di poter fare qualcosa per Abel, per sua cugina, per Believe e per quella bambina di tredici anni, Quarter.

In più avrei avuto la verità su B, ne ero certa.

“Ok. Tra un paio di giorni ti verrò a prendere io. Facciamo il venti, giovedì, alle cinque di pomeriggio. Inizio a lavorare per le sei e la strada per arrivare è abbastanza lunga.”

Detto questo Abel si alzò dal divano e si diresse verso l’uscio, io feci lo stesso e lo accompagnai.

Mentre afferrava il pomello della porta si bloccò e si voltò a guardarmi.

“Sai, io questa cicatrice me la sono procurata difendendo Backy. Suo padre le stava per mollare una sprangata come le stesse barre di ferro con cui lavoro ora, solo che quella era più affilata. Io mi misi davanti a lei e lui mi lacerò mezzo labbro e la guancia.

I servizi sociali gliel’hanno tolta e l’avevano portata da noi...mia madre era così felice. Siamo diventati la sua vera famiglia. Non posso credere che sia finita nelle braccia di un altro mostro senza neanche accorgersene…” Abel aveva la voce intrisa di commozione “ Mi dispiace molto anche per te Leonor. Non ti meriti un mostro anche tu.” Con quelle parole, Abel mi lasciò.

Rimasi immobile mentre si chiudeva la porta.

Era vero non me lo meritavo, ma lo avevo voluto io.

 

Trascorse un giorno dalla chiacchierata che avevo avuto con Abel e ancora non riuscivo a capacitarmi che avrei scoperto e visto quello che volevo. Nonostante la paura mi afferrasse il cuore, facendomi sentire una stretta che mi bloccava il respiro, ero comunque determinata.

Ma quanta paura riuscivo a sentire? Se avessi avuto davanti di nuovo B, sarei riuscita a resistergli? A vedere davvero quello che era?

Tutto era così palese eppure sembravo ancora esserne incredula.

“Tesoro!” Ad un tratto sentii la mamma chiamarmi e avvicinarsi verso la mia camera, mentre io ero intenta a spazzolarmi i capelli davanti lo specchio del mio bagno.

Vidi dal riflesso, dietro le mie spalle, mia madre cercarmi all’interno della mia stanza, poi la chiamai per fargli capire dov’ero.

“Ah! Eccoti Leo. Tieni il tuo cellulare, l’hai lasciato in salone. E’ un paio di volte che squilla a vuoto, così ho pensato di portartelo.” La mamma mi porse il telefono che stava trillando e notai che la sua mano era più anellata del solito.

“Grazie mamma, Sarà Jesse, ora rispondo subito. Come mai tutti quegli anelli oggi?” Dissi sorridendo e tornando a specchiarmi verso la superficie riflettente.

E mentre lei si allontanava rispose “Oggi devo fare colpo su un cliente Vip!” Poi ridendo uscì dalla mia stanza lasciando la porta appena incassata, ma non del tutto chiusa.

Sbuffai, perché le avrò ripetuto una marea di volte che la porta mi piace venga chiusa.

Esaspertata, stufa di sentir suonare il cellulare, risposi.

Pensai: Cavolo! Oggi Jesse è davvero insistente!

“Sì, pronto! Jesse, ma che hai oggi? Perché mi chiami a ritmi assurdi?” Sbraitai in tono scherzoso.

- Parlo con Leonor White?- Dall’altro capo della comunicazione mi arrivò una voce bassa e suadente, ma così monotona.

“Sì. Co...con chi parlo?” Chiesi titubante e allontanandomi dal bagno alla mia camera.

- Mi presenterò poi…- Si arrestò facendo intuire che stesse riflettendo poi continuò - Anche se credo che lui ti abbia già parlato di me.- Questa volta sentivo una punta di sarcasmo nella sua voce camaleontica. Ma quella briciola di frase mi aprii un varco negli sconclusionati vaneggiamenti di B.

“Tu…sei L!” Dissi incredula.

Non lo conoscevo, non sapevo chi fosse e nel rivolgermi a lui esordii come se avessi finalmente trovato quell’entità di cui B mia aveva accennato, esisteva e  potevo aggrapparmici.

- Sì.- Secco.

“ Perché mi stai chiamando?” Non so per quale motivo, ma il solo sentirlo parlare aveva stimolato in me una voglia sfrenata di porgli domande e capire cosa voleva. Chi era.

- Perché sei in pericolo e perché devi essere protetta da Beyond Birthday.- L, mi disse il nome completo di B con estrema cautela come se volesse farmelo entrare nella testa lettera per lettera.

“Come hai fatto ad avere il mio numero? A sapere chi sono. E poi sono già a casa con un poliziotto coinvolto nelle indagini in questo caso di B. Che rischio potrei correre ora?”

-Diciamo che io so tutto di tutti e ho molti mezzi a mia disposizione.-

“Sei dell’FBI? Della CIA?”

-Un po’ più in alto.- Disse L con un tono impercettibilmente divertito, come per farsi beffa delle organizzazioni che avevo appena menzionato.

“E’ così pericoloso?”  Cambiai espressione da curiosa ad attonita. Ingoiai a vuoto in preda allo sgomento, mi sedetti sul letto con gli occhi appena socchiusi. B aveva smobilitato qualcuno di più potente e influente delle forze dell’ordine più comuni. E questo qualcuno aveva addiritura a che fare con lui.

- Sì. – Freddo. - Leonor, B non è solo un caso di un malato a livello psichico elevato. E’ molto peggio, perché ha una mente che con ottime capacità intellettuali. Come le aveva anche A, ma suppongo ti abbia parlato anche di questo…- Lo fermai.

“ No, non me ne ha parlato.” Finsi e mentii con un tono dispiaciuto, perchè volevo che mi parlasse proprio di quell’argomento.

Mi alzai, andai alla porta, la chiusi. Sentivo che mi stava per essere narrata una qualche verità e volevo sentirla nel silenzio e nella privacy più assoluta. Come quando si riceve un regalo importante e lo si vuole scartare da soli per godere al meglio l’attimo.

Mi risedetti sul letto e ascoltai le parole di L.

- Vedi, nel luogo dove B è cresciuto e ha passato la sua infanzia, c’è una forte selezione,  diciamo, mentale. Lui e A divennero molto amici e condividevano questa passione per la competizione intellettuale. Un giorno però A non ce l’ha fatta più a reggere questo peso e così si tolse la vita. Da allora B non ha fatto altro che odiarmi, perché ritiene che sia io la causa della morte di A, come se lo avessi motivato io al suicidio. Leonor, tutto quello che ora sta facendo e ha fatto B, sono il frutto di puerili ripicche e rivincite, mescolate alla vendetta. Capisci in che stato mentale si trova?-

“ Sì…” Affermai annuendo con la testa.

Nel tono di L c’era uno strano modo di approcciare quell’argomento, era glaciale e sterile, ma allo stesso momento c’era la cadenza di chi vuole farsi comprendere in maniera calma e fraterna.

Nonostante tutto però non riuscivo a credere che quella chiamata fosse solo riguardante la mia sicurezza, percepivo che c’era dell’altro sotto lo strato spesso delle parole di L.

Parlai senza filtri, esposi ciò che pensavo senza remore. Colsi che la persona sconosciuta con cui stavo parlando, era capace di apprezzare questo aspetto. E per di più me ne fidavo, forse la sua voce mi aveva giocato un bello scherzetto, ma sentivo di poterlo seguire. Che c’era un vortice dietro quel ricevitore, un vortice di totale protezione, che reclamava, pretendeva la mia fiducia e io gliela diedi senza troppe esitazioni.

“ Senti L, francamente. Ho capito molto bene la condizione di B, senza che tu me la descrivessi ora, me l’aveva lasciata presagire di poco, ma l’avevo afferrata. Ti sono grata solo del fatto che tu mi abbia raccontato questa storia di A, ma...” Sospirai “ Ma devo capire ancora questo strano nesso misterioso tra te e lui, tra i vostri nomi che sono semplici lettere e, cosa ancora più importante, perchè interpellare me se hai già i tuoi mezzi per fermarlo? Lo hai detto tu stesso. No? Alla fin fine questa chiamata sta diventanto solo un sunto sbrigativo della situazione di B e un banale constatare che sono in un guaio grosso come tutta Los Angeles.”

Il cellulare per pochi istanti rimase muto poi di nuovo le voce ruca di L pervase il mio orecchio.

- Non credevo fossi così arguta. Ha scelto proprio bene.- Constatò L con una vena di spirito.

“Oh, beh! Grazie. Ma a questo punto dimmi cosa mi devi dire. Ho capito che non sei il tipo che le manda a dire, ma che le dice e basta le cose. Che fai? Volevi vedere che tipo ero? Mi metti alla prova come fa lui?” Malgrado la tematica della nostra telefonata e la mia tensione, quell’L mi stava facendo stranamente divertire.

-Bene, andrò al sodo. Ma è vero che comunque la tua incolumità va tenuta altamente in considerazione.-

“Va bene, dimmi pure.”

- Voglio che tu faccia tutto come se niente fosse. Lo so che probabilmente ti sarai accorta che lui sta andando sempre peggio e che non vorresti seguirlo, ma voglio che tu esegua le sue richieste. Perchè so, che anche se di poco, ti a messo al corrente di qualcosa. Dobbiamo procedere in questo modo per poterlo fermare. Almeno secondo quello che ho in mente io di fare.- poi ancora prima che io aprissi bocca per parlare dei miei timori lui ricominciò – Non ti preoccupare sarai tenuta sotto controllo da dei  miei collaboratori, non ti succederà nulla di spiacevole.-

Rimasi in silenzio per qualche istante, risentivo l’ampolla riagitarsi nel mio petto.

- Provi pena per lui?- L mormorò quelle parole in maniera quasi sospettosa e molto indagatoria.

“No. Solo amore, ma voglio fermarlo.”

Questa volta il silenzio venne da sua parte ma seccamente lo interruppe con un tono incuriosito - Quindi è così l’amore.-

Il mio volto divenne concentrato e dalla mia bocca uscì “Ma chi sei tu veramente?”

Un secondo dopo udii il rumore gutturale della chiamata conclusa.

Rimasi interdetta per qualche istante, poi chiusi lo sportelletto del cellulare e mi adagiai, balazando un po’, sul letto e serrati gli occhi per cercare di fermare la solita bufera di neve che si scatenava  nel mio petto, ma che non riusciva ancora a congelare i miei sentimenti d’amore per lui.

Ora avevo ben due persone in grado di aiutarmi a capire chi fosse Beyond Birthday.

 

Il pomeriggio del venti agosto mi vestii con particolare attenzione, cercando di rimanere molto pratica, dato che il luogo in cui sarei andata non era certo un parco giochi.

Infilai un paio di jeans blu scuro e  una felpa con delle tasche particolari, infatti erano interne e la volli proprio per questa singolare caratteristica. Inserii il mio cellulare in una di queste tasche in modo da non farlo notare. Pensai che in una qualunque situazione in cui mi sarei potuta trovare in difficoltà, sarebbe stato meglio tenerlo al sicuro.

Allacciate le scarpe mi diressi verso l’uscita di casa, ma mio padre mi fermò mentre distrattamente, ancora col capo chino, leggeva il giornale seduto sul sofà.

“Dove stiamo andando oggi?” Disse con fare burlesco.

Avevo già preventivato che mi avrebbe fatto una specie di terzo grado e decisi di dirgli veramente con chi ero, in modo che se le cose si fossero messe male avrebbe saputo a chi rivolgersi.

“Vado a fare un giro con Abel. E’ un ragazzo che ho conosciuto in questi giorni mentre uscivo per fare le nostre solite spese.” Il mio modo di parlare fu spigliato e nel frattempo mi risistemai ben bene la maglia per sentire se avevo con me il cellualre. In vita mia non ho mai avuto così tanta apprenzione per un oggetto come quello, come in quel momento.

“Abel...” Boffonchiò mio padre sarcastico “ Va bene, ma ritorni per cena? Hai con te i numeri utili? Lo sai che tua madre mi ha infettato le sue crisi, ma sono davvero preoccupato anch’io.” Papà era un po’ più serio e stava per trasformandosi nel poliziotto Dawson White.

“Sì, ho tutto e torno per cena. Non ti preoccupare Abel è un tipo a posto.” Dissi sorridendo cercando di rassicurarlo e di calmare le sue preoccupazioni.

Quando scesi  sulla strada, sul marciapiede opposto, c’era Abel ad attendermi in una vecchia e nera Ford Mustang coupè 289.

“Hai avuto il lascia passare della mammina e del paparino?” Mentre salivo in macchina Abel sdrammatizzando, dissolvendo appena l’opprimente atmosfera che si creava tra me e lui grazie al fatto che io ero in relazione con B.

“Sì, ma solo del paprino. Gli ho appena detto che sto andando nella tana del lupo.” Io invece ero leggermente amara nel mio tono, ma lasciai comunque trapelare un mezzo sorriso.

Abel fece finta di sorvolare al mio commento caustico, sospirò appena e mise in moto. Sentii l’attempato motore della Mustang scuotermi.

Guardai Abel cercando una specie di incoraggiamento. Quel giorno indossava una semplice t-shirt a maniche corte grigia e dei pantaloni larghi e logori, adibiti probabilmente al lavoro.

“Tranquilla, sono sicuro che andrà bene.” Disse mentre con una manovra si immetteva sulla strada.

L’odore della vecchia pelle della Mustang mi faceva percepire la quantità del tempo che aveva vissuto e perfino la strada che percorrevamo sembrava vista con il filtro temporale della vecchia America degli anni sessanta.

C’era silenzio nell’auto solo il motore parlava, ma Abel interruppe quella quiete.

“Non ti chiederò come hai incontrato un tipo del genere, ma possibile che tu non ti sia mai accorta di quello che è?” Aveva un’espressione incredula mentre mi poneva quella domanda.

“Sorvolerò sul dirti le solite frasi: All’amor non si comanda, etc...ma forse tra una di queste fesserie, una mi si addice.”

“Quale?” Abel si voltò appena per guardarmi poi riproiettò i suoi occhi sulla strada, sistemando ben bene il braccio e la mano destra sul volante. Notai che aveva delle braccia molto tembrate dal lavoro pesante che faceva in quella fabbrica, data la sua notevole muscolatura.

“L’amore è cieco.” Dissi secca e compatendomi un po’.

Abel rimase confuso, non parlò e si morse appena il labbro, poi finì il nostro dialogo dicendo “ Sì, ma non puoi continuare ad essere cieca.”

Prendemmo l’uscita per l’autostrada e dopo trenta minuti finalmente arrivammo a destinazione.

Abel parcheggio davanti allo stabilimento in cui lavorava e mentre mi apprestavo a  scendere dalla macchina mi fermò prendendomi per il braccio.

“Scusami se sono così brusco. Ma sono arrabbiato e molto. Mi  ha tolto una tra le persone che amavo di più al mondo e non ci passerò mai sopra. Non voglio farla scontare a te, ma ora ne sei il riflesso e...” guardò in basso, sembrò osservare e interessarsi a qualche particolare dell’auto, ma in verità stava riflettendo attentamente. Mentre pensava sembrava che la sua cicatrice affondasse ancora di più nella carne.

Sollevò il capo “ Ascolta attentamente, ora ti lascerò il mio numero di cellulare. Io lo porto sempre con me anche a lavoro, da quando è successa questa cosa a Backy. Quindi appena hai fatto o appena si mettono male le cose chiamami. Ok?”

Io annuii decisa.

“Ora lui non c’è. Sta giocando a fare il detective privato con la tipa orientale tosta. Non ha un orario ben preciso di rientro. Quindi sbrigati, fai nella maniera più veloce possibile. Quando scendi dall’auto imbocca quella strada che da verso il fiumiciattolo, lo vedi?”

Annuii di nuovo senza dire una parola, guardando la direzione in cui Abel mi aveva indicato la strada, ero concentrata e attenta.

“Bene. Non potrai sbagliare il capannone è dismesso, è l’unico in questa zona. Posso solo augurarti che vada tutto bene. Anzi deve andare bene. Sii più veloce che puoi. Non voglio che succeda di nuovo.” Abel mi guardò dritto negli occhi e poi veloce mi diede il  suo numero di telefono che memorizzai nel mio cellulare.

 

Finalmente ero davanti all’imbocco della strada verso il capannone dismesso, ma l’ansia continuava a torturarmi lo stomaco. Mi voltai a osservare Abel che si stava allontanando verso la sua fabbrica.

Inspirai ed enspirai.

Buttare l’aria fuori mi diede coraggio,  ma mi sembrò di inizare ad incamminarmi in una specie di sentiero con un fondo profondo e nero come la pece.

In cinque minuti raggiunsi la mia meta.

Osservai l’esterno dello stabile corroso dal tempo e dal disuso, era scuro, sembrava quasi carbonizzato, ma non so se fosse frutto della luce del tramonto che facendo strani giochi la rendessero così tetra.

Poco distante dal complesso c’era un albero confinate alle rive del fiume, il canale d’acqua  era tutto forche limpido.

Il vecchio capannone, sul davanti, aveva un’entrata piùttosto grande, probabilmente veniva usata per i trasporti con mezzi  pesanti o roba del genere. Pensai subito che sicuramente doveva avere un qualche altro accesso a dimensione d’uomo e così fu. Girando sul lato sinistro vi trovai una porta, ma subito notai che era chiusa con un enorme lucchetto.

Effettivamente B, non avrebbe lasciato addentrare chiunque dentro al suo nascondiglio.

Presa dai nervi pensai a qualche altra alternativa e dopo aver fatto il giro completo dello stabile trovai un varco nel muro posteriore.

Era ben nascosto da delle sterpaglie e erbacce molto folte, ed era abbastanza piccolo da non notarsi. Nemmo lui lo avrebbe potuto scoprire, altrimenti lo avrebbe sicuramente chiuso, ma io date le mie esili dimensioni ci sarei passata tranquillamente.

Mi infilai dentro e strusciandomi a terra, facendo forza con i gomiti, mi trascinai all’interno di quella oscura struttura.

Con mio grande stupore, metre mi ripulivo alla ben meglio dal terriccio, scoprii che c’era il vuoto. Quella specie di fortezza ombrosa non aveva nulla al suo interno.

Mi arrivò immediata l’essenza di quel luogo, era così sgombro da qualsiasi forma di distrazione, perchè bisognava pensarci, era una specie di enorme tempio della mente umana.

Ma nonostante la sua vuotezza, sentivo sopra la mia testa, un alone nero e maligno  aleggiarmi addosso.

Continuavo a girare su me stessa e ad un tratto notai, infondo all’immenso stabile, una cabina. Una di quelle cabine adibite agli operai dove potevano dormire e mangiare arrivati all’ora della pausa.

Aprii la porta in vetro del vano e appena entrai si accesero in maniera automatica delle luci rosse. Per un attimo me ne spaventai, data la loro improvvisa comparsa, poi mi diedero solo fastidio. Davano quella sensazione di quando si ha la febbre molto alta.

Alla mia destra vidi un piccolo giaciglio, composto solo dalla struttura scarna di un letto e da un semplice materasso. Sulla parete di sinistra, poggiato su un tavolino sudicio e logoro, c’era un computer portatile con uno screensaver con la lettera B in stile gotico.

Andando avanti spinsi appena, con fare da ficcanaso e attento, un’altra porta...

 

Uno specchio di una forma rettagolare e tutto intorno c’erano ritagli di giornale e foto.

I brandelli di giornale erano tutti corrispondenti agli omicidi del caso chiamato Los Angeles Murder Cases, ma mancava solo quello del pazzo maniaco davanti casa. E le foto erano quanto di più abietto e macabro ci fosse al mondo.

Believe riverso a terra con dei segni sul petto fatti con una lama. Potevo riconoscere il colore freddo del suo corpo spento dalla morte.

Quarter senza i suoi occhi, gli erano stati infossati....

E la ‘Backy’ di Abel, senza più un braccio e senza una gamba.

Il sangue era da per tutto! Era il protagonista di quel collage fotografico di pessimo gusto. Erano tutte foto fatte dalla scientifica della polizia e lui le teneva in bella mostra, come un trofeo, nel suo bagno.

Appese sullo specchio sopra al lavello.

La luce rubiconda e quelle immagini trasformarono quel luogo in una vecchia stanza per lo sviluppo delle foto, l’unico elemento che stonava era che quelle foto erano orrore puro.

Andai in iperventilazione e sentii salirmi la nausea fin sopra la gola. Misi una mano tra naso e bocca, mi sembrava di percepire l’odore dei cadaveri e della carne viva, pur non avvertendo nessun tipo di odore, non c’era niente in quel posto solo la ceramica bianca che si tingeva di rosso vivo.

Appena entrata nel bagno i miei occhi vennero colpiti solo dalla nauseante opera artistica di Beyond. Non avevo avuto il tempo di osservare il resto.

Ma qualcosa dietro le mie spalle arrestò le mie acute reazioni a quella orrida vista.

Inspirai violentemente e non feci altro, non riuscii a voltarmi.

Sullo specchio vidi riflettere, dietro di me, due punti di luce ancora più fulvi dell’atmosfera che mi circondava.

Si avvicinavano a me e io non riuscivo a muovermi.

Ero impietrita.

Lentamente comparve, sotto i riflessi cremisi, B, con un’espressione cupa e superba, ma si notava che aveva qualcosa di malato.

“Ti piace? Lo so, manca quell’idiota che  mi stava quasi per rovinare i piani. Certo non meritava di finire lì.” Affermò tranquillamente ma con una punta di divertimento nella voce.

Non parlai, sbarrai gli occhi. Lo guardai con disprezzo e raccapriccio.

“Oh, Leo. Che sguardo truce per un visino come il tuo. Non voglio che il mio amore mi guardi così” B parlò mordace.

“E’ per questo che non mi hai fatto mai capire nulla? Avevi paura che ti avrei rigettato via come la cosa più abietta di questo mondo, vero? Tu hai fatto tutto questo, usato queste persone, per fare qualcosa a L. Non è vero?” Ero tremante e inorridita mentre indicavo le foto allo specchio.

In un istante mi ritrtovai la mano di B che artigliava con forza la mia mascella e con fare minaccioso, rabbioso, mi parlò a pochi centimetri dagli occhi. Le sue iridi porpora me li bruciarono.

“NON NOMINARLO! Non nominare L. Tu hai la più pallida idea di chi sia lui? No, che non lo sai. E’ un vigliacco che si nasconde da tutto e gli piace portare le persone ad ammazzarsi pur di farle diventare come lui!! OOOh...ma io gli proverò che non è così!”

Era infiammato da un qualcosa di indefinibile, furente, adirato, non sono termini appropriati. Lui era contaminato dalla pazzia fino al midollo, probabilemte provava cose che solo lui vedeva e pensava.

Ero immobile, intrappolata nella sua ragnatela. Tentavo di spingerlo via da me, ma con forza mi attirava verso di lui. Mi baciò con violenza e sentendo che non c’era nessuna risposta da parte mia, con uno sguardo freddo e leggermente impietosito fece scivolare la sua mano dalla mia mascella al mio collo.

La sua stretta e il mio volto sorpreso della ferrea presa furono una cosa sola.

Mentre mi strigeva la gola  mi sussurò “Sì, è vero non volevo farti vedere che persona sono. Speravo che tu mi capissi, speravo tu fossi stata la cosa migliore per me. Ma ora farò in modo che sia così per sempre...” lentamente portò anche la seconda mano al mio collo e strinse con ancora più foza anche con quella. “Leonor. Ti amo.” Sembrò uscirgli il mio nome come il sospiro di un innamorato. Fu una dichiarazione di amore vero e proprio, lo percepii nonostante  io non riuscissi a parlare, urlare o respirare. Dalla mia bocca uscivano solo lamenti strozzati e sentii le lacrime sgorgarmi dagli occhi.

Presi a cercare di staccare le sue mani dal mio collo, ma aveva una presa salda, sembrava essere nato per uccidere in quel modo. Poi tentai di allungare la mia mano ed arrivare alla tasca interna che conteneva il mio cellulare.

Devo chiamare Abel! Pensai.

Ma a quanto pareva quella agonia per me doveva durare all’infinito. Da una qualche parte di me arriva un lontano messaggio che chiedeva la fine, subito, e dall’altra mi chiedeva di fare qualcosa, di reagire meglio che potevo.

Iniziai a sentire le gambe cedere, le mani smettevano di fare resistenza e combattere quella morsa, smisero di cercare il cellulare, smisero di salvarmi.

Lentamente B, mi seguì a terra mentre pian piano mi spezzava il fiato con le sue stesse mani. Sembrava avere una particolare cura di me mentre mi uccideva.

Le palpebre mi iniziavano a pesare, i miei occhi vedevano a intermittenza l’immagine di B.

E prima che si chiudesero definitivamente, mi sembrò di aver visto una lacrima rossa, come il sangue che aveva sparso, solcare la guancia di B.

“Sto iniziando a non vederla più Leonor.” Così mi disse mentre la sua voce appena rotta dal pianto diveniva di velluto.

 

 

 

Ciao a tutti!

Eccomi qui dopo un po’ di tempo passato a combattere la varicella XD.

Ma posso assicurare che mi ha fatto pensare molto a questo capitolo ahahahaha, non potendo fare molto ho preso appunti tutto il tempo e ho letto come non mai.

Ora passo a chiedere scusa e perdono.

Sicuramente questo capitolo sarà di una noia mortale e magari il mio personaggio di Abel non sembrerà per nulla interessante.

Poi avrete notato che ho fatto qualche cambio alla trama della storia di Another Note, ma avevo voglia di folleggiare e poi alla fin fine è una Fan Fic e quindi ho sciallato un po’. Perdotemi se ho mancato qualche dettaglio o roba simile, ma non ho mai scritto una cosa così lunga nella mia vita da autrice di Fan Fic ahahahah.

So che il capitolo è un papiro di roba, ma per me era necessario che questa parte venisse letta tutta per inter,  mi sarebbe dispiaciuto spezzare il capitolo. Magari sarebbe risultato ancora più noioso.

Ringrazio chi mi recensisce e sostiene, chi mi inserisce nelle varie sezioni.

Grazie di cuore.

Spero di pubblicare il prossimo capitolo il più presto possibile.

Buon proseguimento. ^_^

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** B13- Marionetta ***


               


Buio, tutto era completamente ricolmo di nero

Se non ero me stessa

E tu eri qualcun’altro

Vorrei tanto dirti...

Io vorrei dirti la verità

È alto, quasi non respira. [...]

Io sono morta nella acqua

Ancora cercandoti

Io sono morta nell’acqua

Non lo vedi, non lo vedi.

 

                                          ( traduzione “Dead in the water” di Ellie Goulding )

 

                                   

                                                     Marionetta

 

 

Buio, tutto era completamente ricolmo di nero.

La morte.

Quindi è così? Non c’è nulla.

Sento comunque la mia anima che percepisce l’affanno del dispiacere.

Mamma, papà, mi dispiace di avervi mentito in tutta questa storia. Sono stata mostruosa, crudele e voi nemmeno avete potuto difendervi dal mio egoistico desiderio di amare qualcuno del livello di Beyond. Vorrei almeno, per l’ultima volta, avervi abbracciato, amato come si deve, senza l’interferenza di B.

Io vi amo, anche se siete così in disaccordo e distanti l’uno dall’altra, anche quando fingete che tutto vada bene, quando invece sapete entrambi che non è così.

Vi voglio bene, ecco cosa provoca questo persistente dolore che provo al petto.

Ora io non posso più sentire uno sterno, un cuore con cui poter soffrire. E allora perché sto sentendo tutto questo? Perché percepisco questo fastidio in maniera fisica?

“ Ti spaventano vero?”…

No… Delle voci nella mia testa, quella di B e la mia. Tornarono alla mente tutti gli istanti passati con Beyond. Il primo Beyond che avevo amato e non quella belva che mi aveva ucciso. Le frasi dette continuarono a tormentarmi mentre ero immersa in quel sonno senza appigli.

“Dovrei chiamarti B?”…

“ Promettimi che non te ne andrai prima del tuo tempo.”

Sì, B.

Io l’avrei mantenuta quella promessa, ma sei tu che l’hai infranta decidendo per me.

“ Non sforzarti, non riuscirai mai a vedere niente.”

I suoi occhi, avevano qualcosa che io non conoscevo, non li ho mai compresi, mai. Perché tornano alla mia mente, proprio ora che non avrò nessuna risposta?

Infine la voce di L si introdusse in modo aspro nel mio vagare in quell’oblio.

“Voglio che tu faccia tutto come se niente fosse...voglio che tu esegua le sue richieste.” 

L, non ho potuto aiutarti, avrei tanto voluto.

Avrei voluto che B venisse rinchiuso in un luogo lontano dal mondo di luce che mi circondava e che mi aveva sempre avvolto.

Ma non ce l’ho fatta.

Avrei voluto che B, venisse segregato in una bolla inespugnabile e trasparente, dove avrei voluto che vi  rimanesse, lì fermo, e che quell'invisibile barriera mi lasciasse vagare per sempre nei ricordi migliori di lui, cancellando le oscenità che aveva commesso.

Lo volevo rinchiuso per avere un ritratto meno spaventoso del mio B.

Residui del mio amore, non me ne libererò mai più.

Del caldo mi attraversò gli angoli degli occhi e si adagiò placidamente nell’incavo del mio orecchio.

Lacrime! Io non posso piangere, sono morta!

Non esisto più e il pensiero che lui è fuori a fare dell'altro male…ecco, il tormento. Continua questa tortura anche in questa condizione.

A quella sola riflessione, si smoveva qualcosa in me. Quell’idea mi pungeva e riusciva ad istigare un risveglio che non avrei mai potuto ottenere. Quei pensieri volevano scuotermi da quello stato silenzioso e di nera pace che iniziava a piacermi. Era bello lasciarsi andare, sentirsi incollare a terra, sentire di diventarne parte.

Quando da bambina mio padre mi portava al museo per tenermi buona, o semplicemente per farmi leggere tutte le targhette delle antichità ed opere in esposizione, ricordo con perfezione di due statue marmoree murate sulle colonne all’entrata del museo. Un uomo dal torso nudo, dal viso severo, sul pilastro di sinistra e una donna con dei drappeggi a coprirle i seni, con un'espressione addolcita in volto, su quello di destra. Tenevano saldi i capitelli sovrastanti delle colonne e ne erano parte integrante, come assorbiti dal granito.

Ecco io in quel momento ero e mi sentivo come loro.

Forse Beyond se la prenderà  anche con mia madre e mio padre e…la mia Jesse! Ed io non potrei comunque fare nulla per salvarli!

Ecco di nuovo la stilettata!!

Ancora un’orrida prospettiva.

Il mio petto iniziò a muoversi lentamente, come i rintocchi di un orologio a cui si era fermato il meccanismo per pochi secondi. Pian, piano percepii il miei polmoni introdurre  aria, ricominciavano a muoversi involontariamente e naturalmente, ma c’era ancora qualcosa che ostruiva il mio respiro. Come uno strato d’aria inrespirata, rimasta bloccata nella mia trachea.

Ebbi l’esigenza, un urgente bisogno di aprire gli occhi.

Come se fosse possibile farlo!

Come se fosse stato naturale farlo.

Mi parve di destarmi da un lungo sonno e fu orribile constatare che intorno a me, tutto era ancora più buio di quanto non lo fosse stato tenendo gli occhi serrati. Avvertii la pesantezza del mio corpo, come se la mia anima avesse ripreso il suo posto terreno, come se mi fosse stato scaraventato addosso un peso opprimente.

Mossi lentamente i miei piedi.

Ancora completamente stordita, mi accorsi che il luogo in cui mi trovato era stretto. Non più largo di ottanta centimetri, in lunghezza mi superava di molto, probabilmente poteva contenere qualcuno delle dimensioni di un uomo. Quello strano cunicolo, era alto sì e no un metro scarso. Attentai con le mani nell’oscurità, da prima le pareti fredde e marmoree, poi la superficie sopra di me anch’essa un blocco gelido.

Lentamente iniziai a sentire le gambe tremarmi, il respiro riprese ritmo in maniera frenetica e troppo poco graduale per quello che avevo subito, iniziai a tossire.

Ero chiusa in una specie di loculo in pietra e c’ero stata riposta viva.

Muovendo le mani a tentoni provai a sentire dove spuntasse uno spiraglio, una piccola sporgenza per spostare il blocco che mi sovrastava e sigillava. Vedendo l’immobilità della lastra e l’inutilità dei miei sforzi, persi la ragione e il panico mi inondò. Mi dimenai cercando di far rumore, di urlare, ma la mia voce non usciva come doveva, era bassa, roca, spezzata precedentemente dalla forza della presa di B e probabilmente quando sarebbe tornata sarei morta davvero, lì, di asfissia.

Andai avanti a mugulii, lamenti e gesti frenetici, tremanti, nel tentativo di aprire quel pesante lastrone.

Le mie orecchie, come se fossero prese da un istinto animale, udirono dei rumori esterni nonostante le pareti spesse del loculo. Arrestandomi ascoltai attentamente, pregando che chiunque fosse là fuori non fosse B. In quel momento non sarei stata in grado di difendermi da lui, né fisicamente, né mentalmente.

L’unico suono vicino, che potevo sentire era il mio respiro affannato e,  in maniera ovattata, il muoversi di qualcuno all’esterno.

Leonor! Sei qui?” La voce familiare di Abel arrivò diretta alle mie orecchie.

Immediatamente non esitai e cominciai a battere le mani sulla lastra.

Sì…Ah, sono qui Abel!” Dissi passando da un tono di voce sordo ad uno improvvisamente stridulo per via del terrore e per il poco controllo dovuto al disturbo che avevo alla gola.

“Ora ti apriamo.” Affermò con sicurezza Abel, infondendomi così un senso di tranquillità immediato.

Aveva detto ‘apriamo’.

Allora c’era qualcuno con lui?

Magari papà che si era davvero insospettito della mia bugia e lo aveva rintracciato in qualche modo.

Il rumore  della pietra che veniva spostata  rimbombò cupo dentro la mia bara.

Vidi una leggera spaccatura di luce e inalai l’aria pulita che c’era fuori, ma quell’aria era insolita. Odorava di funereo, d’incenso e potevo sentire un nauseante aroma di fiori, non il normale loro profumo fresco, trascinava con se l’odore della morte stessa.

Man mano che la pietra veniva scansata, vedevo la flebile luce della sera illuminare il luogo in cui ero stata rinchiusa. Vidi i volti di Abel e di una donna, ma in quel preciso istante non ebbi il tempo di analizzarla. Perfino il viso di Abel mi apparve un’immagine sfocata e poco chiara, come se non lo avessi mai visto prima di quel momento.

Osservandomi, mentre ero stesa e impietrita dalla paura, aprirono del tutto la bara e lasciarono cadere fragorosamente la lastra di pietra a terra.

“Dio mio…” Abel mormorò sconvolto. Poi mi sollevò con cura,  mentre io tremando e con un leggero pianto, cercavo di seguirlo nel movimento che mi portava in su per sedere.

Ah…Dobbiamo andare a...casa. La mamma e…papà…Oh, Jesse…” Balbettai quella frase alternando profondi respiri agitati e con una leggera raucedine.

“Sì, ci andremo Leonor. Devi calmarti prima.” La donna vicino ad Abel mi parlò e accarezzò le guance asciugando le mie lacrime.

Dopo aver recuperato un po’ d’aria, alzai lo sguardo e vidi i biondi capelli che le ricadevano tra il collo e le spalle, sulle punte prendevano una mossa all’insù. Il suo viso era allungato ed elegante, nonostante la semi oscurità del luogo in cui ci trovavamo, sui suoi zigomi sporgenti poggiavano degli occhiali da sole. Le sue rosse, morbide e carnose labbra si mossero in maniera calma mentre mi parlava. Lei era inginocchiata accanto alla tomba e vicino ad Abel, potei notare che fisicamente era molto tonica e sensuale. Indossava dei jeans stretti, una maglia violacea, un giubbotto da motociclista in pelle nera, con delle linee gialle che andavano dalle spalle alle fine delle maniche e degli stivali altrettanto scuri e lucidissimi.

Vide la mia reazione disorientata e prontamente colse l'occasione per presentarsi.

“Io sono Weddy. Sono un agente del distretto in cui lavora tuo padre. Sono qui perché mi ha chiesto di tenerti d’occhio. Ultimamente era molto preoccupato.” La donna tirò fuori il distintivo e nell’inflessione della voce di Weddy percepii nella parola ‘padre’ un altro messaggio. Non era stato davvero mio padre e chiedergli di seguirmi, ma qualcun'altro e avevo capito chi.

“Oh...meno male…  Ansimando risposi tenendo il gioco, altrimenti Abel avrebbe potuto intuire qualcosa riguardo L o comunque sospettato qualche stranezza. E da quel che avevo capito quel L era un personaggio top secret.

Abel, vedendomi sconvolta mi prese la mano e la strinse. Lo guardai di rimando e cercai di farmi coraggio. Aveva infuso in me un po’ di calma, in quel momento mi sentii al sicuro.  Abbassando il viso accennai un leggero sorriso e chiusi gli occhi stringendoli forte.

Anche lui mi rispose sorridendo e tornando attento domandò “Ce la fai ad alzarti?”

Io annuii rimanendo comunque aggrappata alla sua mano e di seguito arrivò anche quella di Weddy, quando vide che stavo per perdere l’equilibrio nel rialzarmi.

In piedi girovagai col capo e osservai il luogo in cui ero rimasta rinchiusa. Era una piccola cappella funebre con un'unica bara al centro.

La bara in pietra in cui ero stata rinchiusa.

Non potei notare tutti i particolari di quel gelido luogo, si stava facendo buio e i miei occhi nell’oscurità del loculo non si erano assuefatti granché alle tenebre, quindi non mi agevolarono nell’identificare cosa avessi attorno. Intuii solo che la cappella era di forma circolare, con il soffitto ricurvo, forse era una cupola. Il tutto era fatto in finissimi mattoni lavorati. Uscendo intravidi dei fregi a forma di gigli intrecciati sulle colonne portanti e sulle colonnine all’entrata. Il resto della visuale mi fu ignota e la tralasciai volontariamente.

Inorridii soltanto all’idea di dove mi aveva isolata B.

Questa orrida sensazione si rafforzò, quando fuori accompagnata e appoggiata ad Abel e Weddy, scesi le scale sentendo affiorare un senso di nausea.

Beyond mi aveva sepolta, murata in una tomba di puro marmo. Forse aveva davvero pensato che fossi morta e così preso dai suo soliti irragionevoli ragionamenti, aveva, a modo suo, deciso di darmi lui l’estremo saluto.

Per un attimo mi sembrò di aver avuto un assaggio di quella nebbia nera che circondava la mente e la persona di B, quella inquietante foschia che dava il sentore della fine. Tutto questo era paragonabile al sentirsi vicino a un dio della morte. Alla morte stessa.

Mi prese una morsa alla bocca dello stomaco, iniziai a serrare le mascelle, sentii prendermi i nervi e l’angoscia. In quel momento nel miscuglio d’acqua e fiocchi candidi della mia solita ampolla nel petto, spiccò una vena vermiglia.

Stavo sanguinando dentro.

Mio dio! Io lo amavo ancora nonostante fosse il male puro.

Lo avevo sempre temuto, ma dopo il tentativo mal riuscito di uccidermi, dedussi anch'io che era impossibile amarlo. Cos’era la mia? Compassione? Pietà? Come potevo ancora provare amore per lui? Cos'ero una pia e santa creatura?

Come aveva potuto farmi quella cosa? Come aveva potuto uccidermi? Come aveva potuto fare tutto quello che aveva fatto?

Riflettei sul particolare che da quel momento in poi avrei letto Giulietta e Romeo con molto più distacco. Come si può essere vittime dell’inganno!

Perché quella stramaledetta morte apparente doveva far vacillare un amore?! Perché Romeo non ha atteso che Giulietta si svegliasse? Almeno un po’avrebbe potuto sperare, avrebbe potuto illudersi e piangere vicino al suo capezzale. Lei sarebbe tornata sicuramente da lui!

Perché doveva essere tutto così tremendamente doloroso e al limite del drammatico per amarlo? Come aveva potuto B essere stupido quanto Romeo!

Credere nella mia fine. Non aveva lottato. Semplicemente mi aveva lasciato annegare da sola, mi aveva abbandonata, mi aveva reso il pezzo in disparte di una scacchiera, la sua malata scacchiera.

B, era stato peggiore di Romeo. Io non potevo credere all'amore di uomo del genere.

Leonor. Tutto bene?” Abel mi risvegliò dal mio stato catatonico e corrucciato.

“Sì. Voglio solo andare a casa.” Abbassai la testa mentre a stento cercavo di camminare ben eretta.

“Che cosa ti ha fatto?” Domandò leggermente rabbioso Abel.

Io voltai il viso in tutt’altra direzione  pur di non guardarlo in faccia ed essere tentata dal raccontare tutto.

Non volevo parlare di quello che era successo in quel vecchio capanno. Almeno non in quel momento.

“Ok. Tranquilla Leonor. Non ne parleremo. Ora andiamo a casa, tuo padre ti starà aspettando.” Weddy interruppe quella impercettibile tensione che si era creata tra me ed Abel.

“Aspetta. Quando dicevo casa, io intendevo la mia casa. Quella a Brentwood.” Mi scostai di poco guardando Weddy con aria supplichevole.

“Non è sicuro andarci ora. Lui potrebbe essere lì.” Abel intervenne lesto.

“No, lui non è lì. Te lo posso assicurare.” Ero convinta di quello che dicevo, come se avessi una connessione mentale con B. Lui non aveva motivo di andare nella mia casa a Brentwood.

Poi venni colta improvvisamente da un infantile pensiero. Avevo lasciato sola la mia Molly in quella casa, pensando che non sarei rimasta per molto da mio padre e invece era passato più tempo di quanto potessi immaginare. Mi sentii cattiva con lei, sebbene fosse un gatto e capacissima di badare a se stessa, in quella situazione in cui mi sentivo vulnerabile, venni presa da quella puerile sensazione e volevo assecondarla.

“Vi prego…” mi rivolsi ad entrambi i miei salvatori “Non voglio lasciare la mia gatta Molly in quella casa, almeno finché lui è in giro. Lo so sembra una stupidaggine, ma ho bisogno di farlo. Devo portarla via di lì. Vi scongiuro.”

Abel rimase interdetto e smorzò il suo stupore con un sorriso imbarazzato e divertito, quasi per prendermi in giro.

“Va bene.” Rispose seccamente Weddy “ Però non rimarremo più di cinque minuti. Ok?”

“Ok.” Risposi bisbigliando per non sforzare la voce.

Attraversammo tutto il cimitero di Los Angeles, non mi voltai mai per guardarmi intorno o indietro. La notte stava calando e le sagome nere delle tombe mi mettevano inquietudine. Il solo suono dei nostri passi che rieccheggiava fastidiosamente, metteva i brividi. Mentre spezzava quel silenzio quieto mi rendeva ancora più nervosa.

Raggiungemmo l’uscita a passo spedito. La mia andatura pian, piano era divenuta più rapida e aveva influenzato quella di Abel e Weddy.

Davanti la cancellata del cimitero c’erano parcheggiate due auto, la Ford Mustang di Abel ed un’altra auto nera stile coupè ma con un assetto molto più basso.

Uscita dal cimitero, non mi ero accorta di essere ancora aggrappata a Weddy ed Abel. Spostai gli occhi sulle mie mani congiunte a quelle delle persone vicino a me. Le disincastri dalle loro come se fossero tenute insieme da un potente magnete. Nel mio stato non mi ero resa conto che avevo stretto le mani talmente forte, da rendere perfino difficile il semplice lasciarle libere.

“Sicura che vada tutto bene Leonor?” L'attenzione di Abel si manifestò come sempre e i suoi vispi occhi azzurri si addolcirono un poco. Ormai quando lo guardavo in viso non notavo nemmeno più la sua cicatrice, per me era intatto, immacolato. Quando una persona ha una splendida interiorità sparisce ciò che vedi all’esterno.

Qualcuno in quella situazione avrebbe potuto giudicare Abel petulante o troppo assillante con il suo chiedere costante. La verità è che lui sente profondamente la preoccupazione, vive per aiutare e togliere il malessere delle persone a cui si affeziona. Come si poteva biasimarlo dopo quello che era successo a Backyard.

Alzai lo sguardo e tentai di riprendere un’espressione serena.

“Sì, tutto bene. Andiamo.” Feci per avvicinarmi all’auto di Abel.

“Aspetta.” Weddy mi fermò con voce calma e gentile, ma nascondeva una forma di autorità comparabile ad un ordine avuto su richiesta e non venuto direttamente da lei. Come se avesse avuto un suggeritore lì, pronto a dirle cosa fare.

“Che succede? Hai cambiato idea?” Con perplessità scostai i miei capelli e mi accorsi che le ciocche si erano leggermente sporcate di terriccio e di fogliame secco, probabilmente quel misto di sporcizia era penetrato nel tempo nella bara vuota in cui ero stata rinchiusa.

“No, andremo tranquilla. Ma voglio che tu venga con me. Se vuoi che venga anche il tuo amico con c’è problema, ci seguirà con la sua auto fino a casa tua. Per me è molto più sicuro in questo modo.” Weddy a passo elegante e risoluto si diresse alla portiera della sua auto aprendola, poi con fare spavaldo poggiò un piede dentro l’autovettura in attesa della mia risposta. Dal mio canto vedendo quel modo di porsi, capii che non sarebbe stato accettato un rifiuto.

“Ok, per me va bene...” Mi voltai in direzione di Abel in cerca di un assenso.

Il ragazzo si avvicinò alla sua auto molto serio e impensierito ma rispose pacatamente “Certo. Non c’è nessun problema. Vi seguo.” Sorrise appena e entrò in macchina avviando il motore.

Pensai che quel sorriso finale di Abel fosse così forzato per quella strana situazione. Si stava sforzando di darmi coraggio, doveva avergli fatto davvero male avermi lasciato sola in quella fabbrica abbandonata, sopratutto viste le conseguenze a cui aveva portato il nostro maldestro piano. Probabilmente era corroso dai sensi di colpa.

Non bastava solo Backy ora mi ci ero messa anche io.

Sospirai facendomi scappare qualche piccolo colpo di tosse e mi diressi alla macchina di Weddy, presi la maniglia dell’auto tenendo lo sguardo basso su di essa e sulla presa della mia mano.

“Tu non sei un poliziotto. E’ Lui che ti manda. Vero?” Di scatto guardai la donna che si stava accomodando al posto di guida, ma la mia constatazione la bloccò.

“Sì. Però! Sei perspicace ragazzina.” Weddy sorrise un poco e le sue labbra fecero illuminare il rosso vivo del suo rossetto, poi salì a bordo.

Io feci lo stesso e per poco non sbattei la testa per quanto era basso il tettuccio di quell’auto.

Il motore della felina coupè si accese aggressivo, gradualmente si trasformò una morbida e silenziosa vibrazione.

“Bene. Ora possiamo parlare.” Weddy con fluidità mosse il volante e si avvicinò alla strada.

Nel frattempo io osservai lo specchietto sul lato del mio sportello per vedere se Abel ci stesse seguendo.

“Di cosa?” Dissi ancora scrutando dietro di noi, poi ripiegai le gambe al petto e mi rannicchiai sul sedile.

“L, mi ha detto di seguirti e di sapere cosa B ti avrebbe chiesto o detto di fare, ma sinceramente non si aspettava una mossa avventata come quella di oggi pomeriggio. Hai rischiato grosso ragazzina. Se non vi avessi seguito quando tu e Abel siete andati in quella zona industriale, a quest’ora potresti essere realmente morta in quella bara in marmo...” Raggelai mentre Weddy in maniera così diretta mi faceva notare un’evenienza così orribile e che si sarebbe potuta avverare davvero “Ma da quello che dice il Capo, quel B non dovrebbe ucciderti o per lo meno non è nelle sue intenzioni. E’ stato L a dirmi di aspettare prima di entrare in quel capanno. Era sicuro che non ti avrebbe fatto nulla di irreparabilmente fatale. Testuali parole, ha detto: – Lei è un suo mezzo. Non le farà nulla.- Se L non ne fosse stato così sicuro, sarei dovuta davvero entrare a salvarti ed affrontare quel pazzo da manicomio. Appena ho visto quel tizio rientrare nella sua vecchia fabbrica, per sicurezza, sono andata da quel Abel. Dovevo dirgli in che guaio ti eri infilata, in più dovevo fargli credere che ero una collega di tuo padre e raccontare la bugia che ti seguivo per altri motivi. Poi abbiamo spiato insieme quel B, fino a scoprire che ti aveva nascosta al Westwood Village Memorial Park Cemetery. Sarebbe stato improbabile che ti tumulasse nel cimitero delle Star* ...” Weddy ironizzò e proseguì “ Alla fin fine, le frottole dette ad Abel non discostano molto dalla realtà di questa messa in scena. Cambia solo il committente per la tua protezione e per l’indagine stessa.”

Non riuscii a reagire alle parole di Weddy, ero in subbuglio.

Rabbia, paura e stupore.

Girai le testa ad osservare la strada, guardai in basso. L’asfalto si muoveva in un’unica massa grigia, e a momenti, comparivano le bianche linee che bordavano le corsie a interrompere la monotonia di quello scorrere veloce.

Mi sentivo come un pupazzo, una marionetta nelle mani di qualcuno.

Non capivo se nelle mani di B, come lo ero sempre stata, o se nelle mani di L.

Chi diavolo era quest’individuo così freddo da non pensare minimamente che non solo la mia vita, ma anche la mia psiche, la mia emotività, avevano un prezzo? E Che le stavo perdendo tutte e tre in un sol colpo.

Mai come in quel momento ebbi l’esigenza di averlo davanti e capire cosa fosse, di urlargli contro quello che pensavo. Volevo affondarlo di insulti.

Eppure quando lo sentii in quella telefonata, non sembrava così privo di sensibilità o tatto. Sembrava semplicemente qualcuno incapace di capire, percepire o esprimere certi stati emotivi.

Possibile che Beyond avesse ragione su di Lui?

Se L voleva fermare B, doveva per forza essere il suo opposto o forse qualcuno di migliore. Sì, ma quanto diverso?

Cosa c’era di B in L e quanto di L in B? 

Che ruolo avevo io in quel loro gioco?

Di nuovo delle domande, da quando mi ero risvegliata ero stata capace solo di farmi domande. Da quando avevo conosciuto Beyond ero stata unicamente in grado di pormi domande. Mai una sola replica sensata, solo continue strade sbagliate.

Direzioni sbagliate.

“Non farci caso.” Le parole di Weddy mi destarono da quello stato di rabbia e riflessione.

“E’ vero, sembra uno senza cuore quando ci si mette. Ma è una brava persona....” La donna   esitò per un secondo, sembrò rievocare nella sua mente l’immagine di questo L “...anche se, da quello che fa o dice, non sembra darlo a vedere.”

Weddy spostò la sua mano destra dal volante e la poggiò sulla mia che stringeva il mio ginocchio. Mi calmai un po’ e feci per annuire a ciò che mi aveva appena detto.

Però dentro di me covavo la curiosità di vederlo, conoscerlo, di averlo davanti un giorno e dirgli di tutto.

 

Arrivati davanti la mia casa a Brentwood ormai era calata la sera.

Scendemmo dalle auto e ci incamminammo nel bianco vialetto che delimitava i floridi lati del mio giardino. Weddy precedette me e Abel per controllare che non ci fosse nulla di anomalo o pericolo.

“E’ una tipa a posto come sembra?” Mi domandò Abel mormorando al mio orecchio, mentre avvicinandomisi, mise le mani nelle tasche dei suoi logori pantaloni da lavoro.

 “Sì e molto direi…” Abbozzai un sorriso e proseguii guardando davanti a me “Sono davvero contenta che siate venuti a salvarmi.” Feci quell’ultima affermazione per smorzare il senso di colpa che assillava Abel e che notavo ad ogni suo gesto di  premura nei miei confronti.

Ma il mio tranquillizzarlo non ebbe ottimi risultati, lo feci rabbuiare ulteriormente.

Sulla porta di casa, iniziai ad armeggiare con la base di un pesante vaso, sotto cui tenevamo le chiavi di riserva nel caso in cui  io o la mamma, fossimo rimaste fuori senza chiavi.

La particolarità di questo vaso è di avere un piccolo buco sul retro del suo fondo, dove solo una piccola mano poteva passare e toccare l’interno vuoto. Ancora più singolare era il fatto che la terra contenuta nel tondo recipiente sovrastante, soprattutto nei giorni di pioggia, lascia cade giù in questa base un modesto mucchio di terra a coprire le chiavi e quindi è quasi impossibile ritrovarle se non si è al corrente di questo piccolo ‘difetto’.

Infilai la mia mano nel foro, ma da subito sentii che il mucchio di terriccio era stato smosso e che le chiavi erano state riposte sopra al piccolo cumulo di terra.

Mi bloccai e pensai a chi potesse aver toccato le chiavi non sapendo cosa ci fosse sotto il fondo del vaso. Era praticamente impossibile prenderle per chi non fosse al corrente della peculiarità di quell’oggetto.

Mantenni  la calma, altrimenti sia Weddy che Abel, mi avrebbero trascinato via di lì per i capelli se avessero minimamente notato il mio volto cambiare improvvisamente espressione.

Presi le chiavi, disinserii l’allarme ed entrammo tutti in casa.

Accesi le luci del corridoio e mi guardai attorno provando molta nostalgia. L’odore della mia casa era sempre lo stesso, una via di mezzo tra il profumo dello zucchero e quello floreale di mia madre. Erano solo due settimane che mancavo da lì e provavo un senso di appagamento che in casa di mio padre non avevo mai nutrito. Quello era il mio nido, il mio fulcro di sicurezza, l’ancora, quell’angolo di vita che amavo fare nella mia Brentwood.

Chiusi gli occhi e inspirai, poi li riaprii, mi girai verso i miei accompagnatori e parlai “Potete aspettarmi qui? Farò subito.”

“Va bene, per qualsiasi cosa sai dove siamo.” La bionda Weddy si sistemò i capelli dietro la nuca con fare audace.

Io annuii e mi diressi verso la cucina.

Appena superai la soglia del piccolo arco d’ingresso alla stanza, ebbi subito la visuale aperta della mia cucina. Tutto era rimasto com’era; gli sportelli in giallo opaco, il lavello perfettamente in ordine e lucido, la porta finestra coperta dalla tenda veneziana totalmente serrata. I miei occhi vagarono perfino sul soffitto bianco e lentamente superarono tutti i più piccoli particolari, finché non piombarono sul ripiano in marmo al centro della cucina.

Le mie iridi rimasero catturate a scrutare il centro del tavolo in marmo, sbarrai appena lo sguardo e mi avvicinai.

Sullo scuro ripiano spiccava un barattolo in vetro di marmellata di fragole.

Non c‘era nient’altro, solo il contenitore ricolmo di salsa cremisi.

Corsi verso la cappa del piano cottura e accesi la sua flebile luce, ritornai al tavolo e sollevai il contenitore di vetro. Sotto vidi risaltare un minuscolo foglietto di carta.

Poggiai il barattolo e aprii con agitazione il foglio, che era stato ripiegato per tre volte, e lessi il contenuto.

 

Vieni il 22 Agosto a Pasadena, al numero di approvazione del condominio 061550, stanza 404 alle ore 08:30.

 

Vidi solo il bianco della carta e il nero di quel messaggio.

Recepii tutte le informazioni alla prima occhiata. Anche avessi riletto più e più volte, sarebbe stato un inutile spreco di tempo e di energie. Quelle parole erano state incise nel mio cervello, non appena avevo sillabato la prima lettera nella mia mente.

Capii in un lampo che era stato Beyond a prendere le chiavi di riserva nel sotto vaso.

B, lo aveva fatto di nuovo.

Dopo molto tempo risentii quella scomoda sensazione dell’essere violata in casa mia, percependo ancora la disarmante impressione di non essere al sicuro. Inoltre provai ira, perché  proprio come avevo pensato, ero la sua marionetta, mi aveva riposta di proposito in una scatola di pietra. Voleva farmi compiere quelle azioni, voleva farmi andare a casa mia a Brentwood. Sapeva che avrei temuto per ciò che amavo, sapeva che sarei tornata lì, sapeva che avrei preso quel messaggio.

Sapeva che avrei eseguito ciò che mi chiedeva, come lo sapeva anche L.

Improvvisamente avvertii il fragoroso rumore di una ciotola in alluminio cadere a terra e venni distolta dal mio giro di pensieri e da quella missiva. Il cuore mi finì nel cervello per quanto batté forte.

Adagio Molly fece capolino dal ripiano vicino al lavandino su cui tenevamo poggiate le stoviglie e ciotole per cucinare. Muoveva la coda nervosamente e il suo sguardo sembrava voler trasparire una scusante per il danno provocato.

“Oh, mio Dio! Molly! Mi hai fatto prendere un colpo. Oggi è destino che ci debba lasciare le penne.” Nervosamente chiusi gli occhi e mi portai la mano, in cui ancora tenevo il biglietto, in testa in segno di sollievo.

Velocemente ripiegai il foglio, lo misi in tasca e mi diressi verso l’angolo in cui tenevamo il trasportino di Molly. Nella sua solita maniera ruffiana la gatta mi seguì, si strusciò sulle mie caviglie, io mi cucciai e la presi. “Adesso andiamo dalla mamma e dal papà. E dovremo inventare una buona scusa per il casino di oggi.” Sussurrai carezzandola, poi la infilai nel gabbiotto e chiusi per bene per evitare che mi sfuggisse.

In fretta e furia mi rialzai, raggiunsi Weddy e Abel che erano rimasti in mia attesa all’ingresso.

“Tutto bene? Abbiamo sentito del rumore.” Affermò Abel mentre si massaggiava timidamente il braccio muscoloso.

“Sì, tutto ok. Era Molly che ha fatto cadere una ciotola…adess…” Mentre ero intenta a parlare, misi la mano nella mia tasca interna e non trovai il mio cellulare. “Ma…eppure lo avevo messo qui dentro.” Ebbi paura di averlo perso nel nascondiglio di B o che mi fosse caduto chissà dove nel caos di avvenimenti.

“Che succede Leonor?” Domandò curioso e adombrato Abel.

“Cerchi questo?” Weddy alzò il braccio teso dove nella mano sfoggiava  il mio cellulare.

“Come? Quando?” Ero meravigliata.

Come aveva fatto a prendermelo? Era nella mia tasca segreta e interna per di più.

“Tranquilla. So fare molto meglio.” Disse la donna sorridendo beffardamente “Non potevo lasciarti sola con questo e nel momento delicato in cui ci troviamo. Devi scusarmi ma dobbiamo essere prudenti.” La bionda donna chinò il capo aprendo lo sportelletto del mio cellulare con fare annoiato e poi lo richiuse.

Avevo capito! Mi aveva sfilato il telefono in macchina, togliendo la mano dalla mia dopo quel gesto di gentilezza. Insieme a questa scoperta, capii anche un’altra cosa.

L, non si fidava completamente di me. Mi aveva fatto togliere il cellulare per paura che avrei potuto modificare qualche mossa di B.

L, sapeva che sotto l’influenza dei miei sentimenti, avrei potuto rovinargli tutto il sottile incastro che aveva messo su per prendere B. Sarei potuta diventare il bastone che invece di spingere l’ingranaggio nel giusto modo, lo avrebbe potuto bloccare.

Ero una collaborazione e un’arma pericolosa, dovevo essere tenuta sotto controllo. E forse non aveva tutti i torti.

Un po’ seccata per quella dimostrazione di sfiducia, presi il pezzo di carta trovato sul ripiano della mia cucina e lo porsi a Weddy ed Abel.

La donna lesse attentamente, mentre Abel serrò la mascella e abbassò lo sguardo.

“Molto bene. Possiamo andare…Weddy risoluta mi restituì il biglietto con il mio cellulare e continuò “ Prima però direi che dovresti coprire quello, altrimenti tuo padre si preoccuperà davvero molto.” La donna in maniera delicata indicò verso il mio collo.

Incuriosita il mio viso si corrugò in espressione interrogativa.

Poggiai il gabbiotto con Molly a terra, mi diressi verso lo specchio dell’ingresso e mi esaminai.

Fino a quel momento nessuno di noi se ne era accorto a causa del buio, ma sul mio collo spiccavano delle evidenti echimosi  che avevano la forma di mani.

Le mani di B.

Di quell’istante su quel riflesso, ricordo solo il mio sguardo sbigottito, sorpreso e d’intenso dolore.

 

 

 

 

* In questa affermazione che fa Weddy, mi riferisco al cimitero di Los Angeles delle celebrità. Una mia amica che è stata in California, mi ha spiegato che ci sono due cimiteri a Los Angeles; quello delle persone comuni il  Westwood Village Memorial Park Cemetery e quello delle star l'Hollywood Forever Cemetery. Quindi ecco spiegata l'ironia di Weddy.

 

 

Ciao a tutti! Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare!

Questo capitolo e il prossimo erano nella mia testa già da quando avevo pubblicato il precedente, però per via dei miei impegni di lavoro non ho potuto scrivere molto. Anzi, dovevo proprio scrivere il capitolo a singhiozzi, con la paura che non risultasse continuativo e omogeneo, ma più una specie di roba spezzata e incomprensibile (XD ahahahah).

Perdono quindi se non è proprio chiaro. L'ho letto più volte nella speranza che ci si capisse qualcosa.

Che dire, è un capitolo di passaggio, non compaiono né B, né L o meglio ci sono ma indirettamente (proprio nel loro stile -.- ahahahahhaah).

Ad ogni modo spero vi piaccia e spero non vi abbia annoiato, ho giocato molto di fantasia e mi sono discostata un po' dalla storia del romanzo, forse, ma mi piace giocare, ecco tutto. Sopratutto con Weddy e Abel è stato divertente, in questo capitolo sono stati le guardie del corpo di Leonor XD.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, credo. E spero di poterlo scrivere il prima possibile, ad ogni modo se non mi vedrete prima, è perché sarò sommersa di lavoro fin sopra i capelli con la mia associazione, quindi ci rivedremo per il periodo post lavoro.

Grazie ancora per essere state/i qui a leggere, per il vostro sostegno, per l’attesa e per avermi inserito nelle varie sezioni. Siete preziosissime/i  e vi voglio bene.

Grazie di cuore.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

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Capitolo 14
*** B14-Innesto ***


                                                      




Come mi piacerebbe, come vorrei poter
trovare il vero amore stanotte.
Pensi che potresti
essere tu? [...]

Se ci penso con calma,
so che quello che faccio non è giusto,
ma non posso smettere di fare
ciò che amo.
Quindi uccido l’amore nella notte. [...]

Ti amo solo un po’ troppo.
Troppo, troppo, troppo.
Puoi vedermi bere la coca cola alla ciliegia,
dolce assassino.
Ho lasciato una nota d’amore,

Hai detto di essere consapevole che amo
il brivido della ressa. [...]

 

 

 

                                       ( Traduzione “Serial Killer” di Lana Del Rey )

 

                           Innesto

 

 

 

Weddy ed io facemmo ritorno verso casa e nell'auto c'era il più totale mutismo, nemmeno la donna al mio fianco si sforzò molto di parlare.

Nel attimo stesso in cui vidi le impronte delle dita di B sul mio collo, persi inconsapevolmente la parola, mi si era spento l’interruttore del cervello, e dritto, spedito al cuore, aveva arrestato anche tutte le buone sensazioni che avevo riacquistato grazie a Weddy e Abel.

Ero completamente sommersa dalla sofferenza. Esattamente quel giusto dolore, quell’intenso tormento con cui combattevo costantemente da ora mai più di un mese. Quel medesimo dolore che si sforzava di farmi notare con che fuoco stavo giocando ed io trovavo sempre più comodo soffocare quella pena così spinosa, la coprivo con la finzione di aver preso coscienza, di aver capito la mia inquietante circostanza, quando invece nel frattempo continuavo a volere tenacemente B.

A volerlo così imperfetto com’era.

Nauseata per me stessa in quell’istante ebbi perfino la voglia sfrenata di aprire la portiera dell’auto in corsa e di buttarmi fuori, sperando di tornare in dietro nel tempo, di svegliarmi nel mio letto come se niente fosse in quella fine del mese di Giugno 2002.

L aveva ragione, non doveva fidarsi di me e se aveva intenzione di usarmi come uno strumento per prendere B, allora aveva tutte le ragioni per farlo, tutte. Anche la più insulsa sarebbe valsa a dargli ogni diritto, anche se avesse voluto punirmi, per me  andava bene, me lo meritavo.

Mentre il mio riflesso sul vetro dello sportello si alternava con  giochi di luce di auto e illuminazioni esterne, ricordai di qualche minuto prima nella mia casa a Brentwood. Precisamente di quando salii le scale e andai nella mia camera a prendere una sciarpa molto leggera per coprire quel marchio che avevo stampato sulla pelle del collo. Arrivata nella mia stanza non notai nemmeno l’immobilità delle cose che avevo attorno, né di come le avessi lasciate, nel mio campo visivo c’era il nulla, vedevo solo quello che avevo davanti. Raggiunsi la cassettiera, ogni passo era come tirate chili e chili di metallo pesantissimo, gamba per gamba. Aprii il primo tiretto, estrassi il leggero rettangolo di stoffa e me lo avvolsi girandolo più volte al collo e  facendo ben attenzione a non scrutarmi nemmeno una volta allo specchio sopra la cassettiera. Se mi fossi osservata, anche solo per poco, avrei rivisto il mio sconforto e io non volevo spegnermi definitivamente.

“Io non posso amarti in questo modo?” Bisbigliai tra me e me incredula.

Ebbi quasi la sensazione di averlo davanti mentre proferivo quelle parole.

A fasi alterne continuavo ad avere quelle crisi d’incertezza!

Pensavo di aver compreso che dovevo stargli lontana, lui era l’estratto essenziale del pericolo, la goccia del veleno più letale, eppure mi attraeva in maniera immutabile. Non importava quanto maledicessi l’idea di lui, non importava che lo condannassi con delle parole come mostro o ripugnante, B era in me, e come aveva dimostrato quel biglietto che mi aveva lasciato, ad ogni suo richiamo, volente o nolente, avrei sempre risposto. Nella mia testa un flashback di immagini partì senza il mio permesso: il suo viso, i suoi occhi rubicondi che guardano il mio volto, seguono le linee delle mie guance, i miei occhi e poi arrivano alla mia bocca…le mie mani che accarezzano i suoi capelli setosi e scurissimi, scivolano sulle sue spalle robuste e tonde. Il momento in cui mi bacia…le labbra roventi di B, le sue mani non stringono il mio collo, ma lo accarezzano fino ad arrivare all’avvallamento delle mie clavicole.

Le stesse mani che avevano impugnato lame insanguinate di sangue innocente, le mani che avevano staccato arti, le mani che avevano strappato occhi.

E poi ancora nel ricordo la sua voce sospira caldaLeonor.”

Mi stava chiamando, non distinsi se nella reminiscenza o da un luogo indefinito dove il mio nome mi era arrivato via etere.

“Com’è possibile? Io non sono normale. Io non voglio più amarti. Smettila.” Mormorai di nuovo logorata dal tormento e mentre i miei nervi si sfinivano, guardai la superficie imperfetta della mochettè. Ero in cerca di una risposta plausibile, logica, che però mi era impossibile trovare. D’un tratto mi sentii osservata e vidi Abel sulla soglia della mia stanza, mi studiava fermo e timoroso.  Cominciai a veder muovere le sue labbra per parlarmi. Avvertivo la paura, non volevo la sua comprensione o compassione in quel momento, non volevo sentirmi più miserabile di quello che già ero stata e che già sapevo di essere.

Non parlarmi Abel…non farlo, perché qualsiasi cosa tu dica, è come se lo dicessi a lui. Io sono sua! Sono perduta, senza ritorno. Lo vedi! Nonostante mi riempia di incubi, continuo inspiegabilmente a volerlo! Ad amarlo perfino. Sì, ma su cosa si basa il mio amore per lui.

La bocca di Abel rimase esitante, per poi buttare via l’aria e abbandonare ogni proposito di rivolgersi a me.

Opprimente.

Mi sembrò di sentire il peso del tetto della mia  casa spingermi sulle spalle, poi lo riconobbi, era quell’alone pesante e nero, lo stesso che avvertii nel capanno in cui si rifugiava Beyond.

“Ok, siamo arrivate.” La voce di Weddy mi distolse dal ricordo che era annegato in altre memorie e mi fece sollevare il capo di scatto.

Dei leggeri brividi mi scossero la schiena e sentii il desiderio di non voler tornare nell’appartamento di mio padre. Avrei preferito seguire Weddy, non sapevo minimamente come affrontare i miei genitori, avrei preferito mille volte di più rimanere a dormire in un altro luogo sentendolo come un rifugio inespugnabile perfino per i miei.

Scombussolata chiusi gli occhi e respirando profondamente mi portai una mano tra i capelli.

Leonor? Tutto bene? Devi rimanere rilassata.” Weddy a voce bassa e molto armoniosa, mi si avvicinò un po’, prese pacatamente le mie spalle con le sue mani guantate di pelle. “Lo so, è più facile a dirsi che a farsi, ma se i tuoi iniziassero a sospettare qualcosa, i nostri piani potrebbero non andare come vorremmo.” Poi si allontanò per guardarmi bene negli occhi e finì dicendo  “ Anzi no. Deve andare come pianificato da L.”

Annuii svelta con la testa e continuai ad ascoltarla, avrei fatto di tutto pur di prolungare l’ora del mio rientro.

“E poi ho notato che sei molto brava a nascondere le cose e non lasci trasparire nessuna emozione che potrebbe tradirti. Perfino dopo quello che ti è successo hai avuto una capacità di ripresa portentosa. Prima a casa tua, se L non mi avesse avvertito che avresti potuto nasconderci qualche elemento, probabilmente me l’avresti fatta sotto il naso. Sai, hai talento. Potresti diventare un’ottima spia in futuro.” Weddy trattenne un leggero riso.

“Direi che questo è uno degli ultimi problemi a cui vorrei pensare per sta sera. Weddy, potresti dirmi che ore sono?”  Rivolgendo uno sguardo perplesso alla donna rimasi in attesa della sua risposta.

“Sono le undici in punto. Perché?” Weddy in maniera apparentemente distratta osservò l’orologio digitale che indossava al polso.

“Credo proprio che dovrai lasciami il tuo numero di telefono, ne avrò bisogno.” Dissi chiudendo gli occhi arrendevole e presumendo cosa mi avrebbe aspettato, mentre pigramente prendevo dalla tasca della mia t-shirt il  telefono cellulare.

Annotato il numero di Weddy, tastai il collo per sentire se la sciarpa fosse ben sistemata e, a malincuore, scesi svogliatamente dall'auto con Molly miagolante nel suo trasportino.

Guardai dietro l’auto di Weddy sperando di trovarci Abel con la sua Mustang, mi ero completamente dimenticata del fatto che ci eravamo salutati, anche abbastanza freddamente, davanti la mia casa a Brentwood.

Non avevo il coraggio di muovermi oltre il raggio d'azione della coupè della collaboratrice di L. Chiusi lo sportello e iniziai a camminare riluttante verso l'ingresso del palazzo, ma l’abbassarsi stridente del finestrino dell'auto di Weddy richiamò la mia attenzione.

La donna calò di poco gli occhiali da sole dagli occhi  e nonostante ciò non riuscii a vedere di che colore e di che forma li avesse. L'unica sensazione che mi rimandarono fu di una straordinaria convinzione. "Mi raccomando Leonor. Rimani calma e acqua in bocca. Chiamami se ci sono problemi, ci vediamo tra due giorni." Detto questo la donna rinfilò su gli occhiali da sole e ripartì sicura mescolandosi nel canale di auto del traffico, sparì poi in un punto lontano, nero e in seguito divenne totalmente indistinguibile.

 

Arrivata sull’uscio di casa la sensazione di rifiuto non si era affievolita, avevo il sentore che qualcosa quella sera non sarebbe andata.

Forse perché a mio padre avevo promesso che sarei tornata per cena e invece ero in ritardo di ben due ore? O forse perché gli avevo detto che sarei uscita con qualcuno che lui non conosceva minimamente e per di più potevo essere data per scomparsa dato che non rincasavo, appunto, da ben due ore?

Trascurando i particolari terrificanti di quella giornata unici, nel mio e nel genere di B, e che il ragazzo di cui ero innamorata era un killer seriale, che per di più mi aveva richiusa viva in un loculo, tutto sommato le supposizioni e domande che mi ero posta poco prima, erano la cosa più vicina ad una pseudo normalità e sarebbero potute capitare ad una qualsiasi ragazza della mia età. Solo che la mia vita stava raggiungendo la quantità più alta di bugie e recite che nessun’altra comune adolescente avrebbe potuto minimamente immaginare di poter proferire.

Ed ora era un mio preciso compito dover apparire il più naturale possibile.

Forse avrei davvero dovuto prendere in considerazione di diventare una spia un giorno.

Presi forza e inserii le chiavi nella serratura.

Entrai sentendomi come una ladra che aveva rubato e presa dal rimorso era tornata indietro nella casa saccheggiata con tanto di refurtiva,  pronta  per l’arresto e al pentimento. Nel mio caso al posto del bottino tra le mani avevo Molly.

C’era silenzio, pensai che sia la mamma, che papà non fossero ancora rincasati. Sarebbe stato un vero colpo di fortuna se fosse stato così.

Adagiai la piccola gabbia a terra e liberai subito la povera  gatta esasperata dalla prigionia e viaggio in auto. Da prima  Molly fece capolino titubante, annusando, poi appena feci per prenderla e agevolarla nell'uscita, mi graffiò la mano.

Io gemetti  un po' di dolore e la osservai stupita, sentendomi tradita dalla sua azione.

Che diavolo le era preso?! In due anni di vita insieme non mi aveva mai fatto un solo graffio, a parte nel gioco. Ora ci si metteva anche lei ad aumentare l’anormalità di quella giornata?

Guardandomi la mano, senza pensare e leggermente irritata,  mi diressi verso la cucina. Avevo la gola che doleva, così pensai di bere dell’acqua e mettere del ghiaccio sulle more che avevo sul collo.

Avvicinandomi notai la luce della cucina accesa.

All’ingresso della stanza alzai lo sguardo dalla mano e mi trovai davanti l'immagine di mia madre seduta al tavolo in struttura metallica, con le braccia incrociate, poggiate sul lucido ripiano verde pallido, aveva un'espressione nera, preoccupata, notai subito che i suoi capelli biondi erano un po’ spettinati e portati tutti all’indietro. Mio padre invece, era intento a fumare una sigaretta appoggiato pesantemente con una spalla sulla credenza crema, che lui era  solito usare come dispensa. In quella inattesa osservazione mi accorsi per la prima volta che dei fili di grigio avevano fatto la loro comparsa sul suo castano scuro. Aveva  il viso molto severo, gli occhi mansueti e bruni, venivano sovrastati dalle folte sopraciglia corrucciate che enfatizzavano il suo stato agitato.

Non provai minimamente a dire nulla, sapevo che mi stavano aspettando in pena, sapevo che le loro reazioni sarebbero state adirate e mi sarebbero rimbalzate addosso senza riuscirmi a difendere come avrei dovuto. Ed io avendo i nervi a pezzi, in quel momento ero più che vulnerabile.

"Per fortuna che saresti dovuta tornare per l'ora di cena." Mio padre si rivolse a me con fare acido e sarcastico, nel frattempo spense la sigaretta schiacciandola energicamente sul posa cenere, sembrava volesse disintegrarla insieme al tavolo sotto la pressione delle dita.

Era più che furioso.

Rimasi immobile sull’entrata della cucina limitandomi ad abbassare lo sguardo, in silenzio e desolata.

"Leo, so che questa situazione non ti va a genio, ma credimi non possiamo permetterci di fare come più ci aggrada. Lo capisci tesoro? Ne abbiamo parlato tanto a casa, anche prima di venire qui." La mamma in maniera molto composta e  controllata parlò, mentre i suoi occhi azzurro intenso la tradivano esponendo un concentrato di angoscia per me.

"Sì..sì." Balbettai abbassando il capo e massaggiandomi la mano graffiata. "Vi giuro che...e assicuro che anch'io ho paura. Talmente tanta che ho voluto portare via Molly dalla nostra casa a Brentwood." Sollevando il capo trovai il coraggio di parlare.

Mia madre chiuse gli occhi e per poco non impallidì, abbassò le testa sulle sue braccia conserte, mentre mio padre impulsivo, esplose.

"Leonor, è assurdo! Cosa sarebbe potuto accadere ad un gatto? Tu ti rendi conto che è da oggi pomeriggio che non abbiamo tue notizie? Né una chiamata? Né un messaggio? Sapevo soltanto che eri uscita con questo tuo amico A...Ab…” Mio padre preso dalla rabbia non ricordava il nome.

Così glielo imboccai io “Abel, papà.” 

“Esatto, Abel. Ma a parte questo non sapevo  nient'altro. Chi ci dice che questo tizio non sia il famoso serial killer? Eh? Non so se te lo ricordi, ma questo qualcuno potrebbe essere lo stesso che ha compiuto quell'omicidio davanti casa vostra."

Istantaneamente pensai a quanto mio padre, accecato dall'ira, stesse facendo le sue ipotesi da poliziotto poco arguto ed ebbi anch'io la mia un’ondata di rabbia.

"Lui non lo è. Te lo posso assicurare papà." Di scatto lo guardai contrariata, non riuscii a controllare la mia reazione irritata e il mio tono fu brusco. Mio padre poteva schernirmi, dirmi ciò che voleva nel modo più cattivo possibile, ma non avrei tollerato che Abel venisse spacciato per ciò che non era. Lui che aveva subito, non poteva passare per colpevole e quell’ingiustizia mi fece iniziare a perdere la calma.

"E come fai a dirlo? Hai le prove Leonor? Avanti! Mi puoi assicurare che è a posto? Leonor non bastano le buone parole per confermare una cosa del genere, me le sento dire tutti i giorni questa tipologia di affermazioni. " Mio padre mi si avvicinò ancora più nero, duro in volto e puntandomi l’indice contro. Ricambiai il suo sguardo con uno di sfida e vidi sfuggire dai suoi occhi cioccolato un’impercettibile sfumatura di preoccupazione nei miei riguardi. Sono più che sicura che qualcuno, vedendo quella tensione nervosa, non conoscendo la situazione e guardandoci dall’esterno, avrebbe pensato che si stesse preparando una vera e propria rissa.

Non ero mai arrivata fino a quel punto con papà, conobbi un lato del suo carattere che mi fece andare in bestia.

"Dawson, ti prego non esagerare. Leonor ha sbagliato e lo sa. Ora però non infierire. Anch'io ho paura per lei, per noi, ma non sarà di certo questo Abel il tipo di persona che sta sconvolgendo Los Angeles con questo caso. Non puoi vedere minacce dove non ci sono, Dawson. Non serve che tu faccia il poliziotto con tua figlia." La mamma riuscì a portare la mia attenzione su di lei e mi guardò più addolcita " Sono sicura che Leonor sa riconoscere il buono o il cattivo nelle persone e da ciò che dice, Abel è davvero un buon ragazzo." Poi piano si alzò dalla sedia, abbandonò il tavolo e venne da me, prese delicatamente la spalla di mio padre e lo guardò proseguendo autoritaria " Credo che Leo abbia capito."

Rimasi piacevolmente colpita dal controllo che cercava di mantenere mia madre, lei che di solito ha crisi di panico e isterismo per un non nulla, in quel momento si faceva forza e affrontava mio padre per placare la sua collera. Per quanto riguarda me, mi sentii come nuda di fronte le affermazioni fatte dalla mamma. Lei non poteva minimamente sapere quanto fossi millimetricamente vicina alla minaccia da cui stavano cercando di tenermi lontana.

Papà la scrutò facendosi persuadere dai suoi gesti e divincolandosi dalla leggera presa, tornò a guardare me. "Ok, va bene, ma comunque non te la lascio passare liscia Leo." Asserì accorciando insolitamente il mio nome, cercando di calmarsi e grattandosi nervosamente la testa.

Lo guardai con aria interrogativa e poco convinta "Che significa papà?"

"Significa che la prossima settimana non uscirai da questa casa." Mio padre allontanandosi da me e dalla mamma iniziò ad armeggiare con il pacchetto di sigarette che teneva poggiato sul tavolo e dove vicino c'era il suo posa cenere di plastica celestino pieno di filtri piegati.

"Cosa?!" Esclamai attonita " Papà, maledizione! No! La prossima settimana torna Jesse e ho anche i corsi di recupero a scuola!" Addussi quelle reali scuse per scampare  a quella, sebbene giustificata, assurda punizione. Iniziai a respirare agitata, sentivo che la serenità recuperata pochi secondi prima, e che dovevo conservare gelosamente per il bene di tutti, stava per scivolarmi ancora di dosso.

"Leo, tranquilla." La mamma mi tenne per un braccio evitando che mi gettassi su mio padre furiosa. Poi nel voltarsi in maniera insolitamente elegante verso papà, i suoi capelli d’oro e profumati sfiorarono appena le mie guancie e per un istante riuscii a comprendere il perché avesse deciso di rompere con mio padre.

Erano due persone su due livelli di maturità e maniere diverse, ma non me ne ero mai accorta prima di quel momento, in quella discussione. Nel vedere mia madre voltarsi risoluta mi fece capire che sapeva perfettamente come prendere in contro piede mio padre. Lei non sopportava quei suoi modi poco giusti ed agì meglio che poteva per aiutarmi.

"Dawson, il fatto che tu veda molto poco Leo e che questo ti faccia soffrire, mi dispiace. So che le vuoi bene e fai del tuo meglio per proteggerla, ma non ti da comunque il diritto di trattarla in questo modo." Mia madre con una camminata quasi oscillante si avvicinò con fare intimidatorio a mio padre.

Incredibile come riuscissi a pensare che in tutta quella situazione potesse esserci una scappatoia, un diversivo perfetto. Il fulcro della discussione e i pretesti del diverbio, stavano diventando quelli di una normalissima famiglia con divorzio.

Ebbi una fulminea illuminazione; da quel momento in poi il mio compito era quello di riuscire ad approfittarmi di quella situazione. Come mi disse Jesse alla sua festa per il diploma, avevo la possibilità di usare certe circostanze a mio favore essendo figlia di genitori separati, ma non credevo che al posto di farmi riempire di regali, avrei dovuto sfruttare quella mia particolarità per far funzionare l’ingranaggio di L. Questo era l’unico modo per preservare, sia la mamma che il papà, da quello che mi stava accadendo.

La cosa che mi sbalordii nel vivere quel dibattito, era proprio che vi stavo assistendo. Fino a quel giorno non ne ero mai stata partecipe. Quando accadeva, spesso venivo mandata in camera o fuori a giocare, leggere, facevo un qualsiasi tipo di attività ma mai nel perimetro bellico dei miei. Non avevo mai visto o vissuto il contrasto vero e proprio tra mia madre e mio padre.

"So che non ti va giù tutta questa storia, da sempre. Ora però non vedo la necessità di farla scontare a Leo. E' una situazione pericolosa. Ok. Ma non andare oltre il tuo ruolo Dawson. Impara a conoscere tua figlia prima di infliggerle certe punizioni." La mamma decisa distolse i suoi occhi vispi da papà e mi guardò continuando a parlare. "Quindi faremo un compromesso. Da oggi fino al venti quattro rimarrai a casa..." Interruppì mia madre. "Mah! Mamma, non..." Venni bloccata a mia volta da lei.

"Leo. Non lo faccio per assecondare tuo padre o per punirti. A parte il tuo ritardo, non hai fatto nulla di male, lo so che hai detto la verità. Ad ogni modo, tu, Leonor Grace White, per i prossimi giorni rimarrai qui, perché è troppo pericoloso per te uscire. Altrimenti non avrebbe avuto senso trasferirci in questo appartamento. So che non è un rimedio che risolverà questa storia, ma almeno ti terrà buona per un po’. Basta. Non c'è altro da dire in proposito."

Abbattuta accettai le parole della mamma e mi lasciai cadere le spalle, con fare teso serrai la mascella guardando altrove in un punto qualsiasi delle pareti giallo pallido della cucina.

"Ok, come volte." Guardai mio padre che se ne stava fermo in piedi davanti al tavolo, forse più avvilito di me dopo le frasi taglienti della mamma. Mi dispiacque vederlo in quel modo. Come sempre era indifeso di fronte mia madre e per di più, da come mi aveva appena accennato riguardo il caso di B, intuii che la polizia non ne stava cavando un ragno dal buco, probabilmente per lui tutta quella storia era ancora più frustrante. Avrei voluto abbracciarlo, ma orgogliosa non lo feci. Quel casino in parte me lo aveva creato lui. Voltandomi osservai la mamma che avendo battuto il martelletto e dato la sentenza con pena, aveva già iniziato ad armeggiare con la teiera per mettere a bollire dell’acqua per un tè.

Rose Summers 1 – Leonor e Dawson White 0.

Camminai verso la mia camera, da prima con un passo lento poi sempre più spedito e arrivata a destinazione mi chiusi dentro.

Quella traditrice di Molly si era già sistemata ai piedi del mio letto e mi scrutò quasi scocciata per via del fatto che dovevo averla infastidita col mio frenetico arrivo in camera. Poggiandomi di spalle alla porta pensai: Però il classico clichè adolescenziale. La mamma e il papà che ti aspettano al varco per la strigliata e conseguente punizione. Questa mi mancava. Ottima copertura, peccato che a causa della punizione mi impediranno di agire come devo per L.

Che diavolo devo fare?

Iniziai a massaggiare le tempie e cercai di spremermi le meningi, ma stremata volevo lasciare alla notte l’onore di portarmi consiglio. Ero troppo traumatizzata e furiosa per pensare in maniera razionale e decente.

Indispettosita decisi sfacciatamente di mettermi a letto, senza aver cenato, senza aver fatto una doccia, senza essermi guardata allo specchio per lenire il fastidio che sentivo sul collo. La visione di quelle impronte avrebbe alimentato il panico e messo fretta alla strategia che avrei dovuto trovare per uscire da quella casa la mattina del 22 Agosto. Inoltre sapevo già che gli occhi di B sarebbero venuti a tormentarmi pieni di lacrime, come li avevo visti l’ultima volta che li incrociai sotto le luci cremisi del suo nascondiglio e quella notte avrebbero messo a dura prova il mio sonno.

 

 

Il 21 Agosto, non avevo né la voglia, né forza di alzarmi dal letto, per di più Molly non mi era d’aiuto col suo fare le fusa e col suo accoccolarmisi vicino. La fortuna di avere un climatizzatore in casa, permette di poterti tenere sfrontatamente appiccicato il gatto in piena estate senza avere paura di perdere litri e litri d’acqua a contatto con il pelo caldo dell’animale.

Nel dormi veglia, sentendomi solleticare dalla coda di Molly, mi girai dall’altra parte, ma un fascio di luce rovente tipico di Los Angeles, riuscì a farmi imprecare una qualche forma di maledizione alla luce solare. A coronare e rendere ancora più rilassante  quell’idillio mattutino fu il suono del mio cellulare poggiato sul comodino proprio davanti a me. Il problema fu distinguere se il suono fosse per una chiamata o per un messaggio, per mia fortuna il suo disturbante trillare finì subito.

“Messaggio.” Boffonchiai con la testa ancora affondata per metà nel cuscino.

Ormai arresa all’evidenza di dovermi svegliare, mi sollevai appena e mi poggiai sui gomiti. Presi quella maledetta sveglia non autorizzata e aprii lo sportelletto per leggere la missiva.

 

Mitt: Sconosciuto.

Ieri sera avresti dovuto essere molto più accondiscendente, hai alzato troppo la cresta.

 

Sbarrai gli occhi.

“Che diavolo?” Ero confusa e improvvisamente mi sentii completamente scossa dal torpore del sonno.

Che B volesse comunicarmi dell’altro?

Però sarebbe stato poco prudente farmi avere informazioni in quel modo, avrebbero potuto rintracciarlo in qualche maniera, dato che aveva tutta la polizia di Los Angeles alle calcagna e non solo.

Mittente sconosciuto.

“Aspetta.” Mormorai chiudendo gli occhi e ributtandomi sul cuscino. “ E’ Lui.

Poi il trillo di un nuovo messaggio ricevuto.

 

Mitt: Sconosciuto.

Esatto.

Cominci a capire le differenze.

E’ un buon segno.

 

Mi soffermai a pensare che Lui  mi stesse rispondendo tramite messaggio alla mia affermazione.

Di nuovo ebbi un sentore di un sospetto.

“Cimici.” Dissi piano per non farmi sentire dai miei e per dispetto a L.

Ancora un messaggio.

 

Mitt. Sconosciuto.

Sì.

Le ho fatte installare appena ti sei trasferita da tuo padre. Ed è inutile che parli a bassa voce, sono apparecchiature altamente sensibili a qualsiasi tipo di suono. Non rispondere a questi sms, il tuo messaggio andrebbe a vuoto. Non posso restare per molto con te a parlare, quindi ti dirò come agiremo…

 

Supposi che quegli strani messaggi potessero provenire da un sistema di messaggistica più avanzato di un semplice scambio di sms, non potevo escludere che fosse anche criptato. Essere la figlia di un poliziotto apre un ventaglio più ampio di opzioni nel caso tu riceva un messaggio strano da un tizio che non conosci nemmeno. Mi domandai se non avessi un particolare propensione ad attrarre soggetti altamente pericolosi grazie alla mia sola persona. Di nuovo valutai l’attendibilità del suggerimento che mi aveva fatto Weddy la sera prima.

Aprii bocca per rispondere, il messaggio però mi  precedette mettendomi a tacere e continuò fluido.

 

…dunque, oggi te ne starai buona e farai quello che fai in una qualsiasi giornata: studia, leggi,  chiama e parla con la tua amica Jesse, fai quello che vuoi, ma non tornare mai sul discorso punizione e non parlare di e con il tuo amico Abel. I tuoi genitori potrebbero peggiorare la situazione ed io ho bisogno che tu domani sia fuori di lì.

Ti spiegherò come.

Farò in modo che sia tuo padre, che tua madre, abbiano entrambi molto lavoro da sbrigare quel giorno. Manderò da te  Weddy nel solito ruolo di agente che verrà assegnata alla tua protezione in assenza di tuo padre, quasi sicuramente lui vorrà che  qualcuno ti guardi mentre rimarrà fuori tutto il giorno, quindi farò risultare Weddy tra gli agenti del suo distretto, facendo così non si insospettirà.

Ovviamente dovrai fingere di non conoscere Weddy, per te dovrà essere come se fosse la prima volta che la incontri.

Non ho altro da dirti Leonor, a parte di fare attenzione e che posso capire che questa condizione non è delle più congeniali per te.

Questi messaggi si cancelleranno appena  scollegherò la comunicazione con te.

Leonor…

Beyond Birthday, non ti sarà mai chiaro.

 

Lessi ogni singola frase, ma l’ultima parte del messaggio di L mi fece davvero male.

Poi di nuovo parlai tra me e me “Che strano. Birthday…Beyond.” Il nome completo di B formava il singolare significato di ‘Al di là del compleanno.’

Accennai un leggero sorriso ma si fermò prima che potesse aprirsi del tutto.

“E’ così simile…” Farfugliai.

L mi teneva sotto controllo, muoveva la regia di quello spettacolo in maniera magistrale, forse anche meglio di B, non ci sarebbero stare  interruzioni e tutto si sarebbe dovuto svolgere nella sua prima e ultima esibizione quel 22 Agosto; ed io, che pensavo di essere una semplice comparsa, il personaggio nascosto per tutto il tempo nell’anonimato, dietro le quinte, mi ero improvvisamente riscoperta la protagonista.

 

 

22 Agosto 2002

 

Per tutta quella notte non avevo chiuso occhio, non lo pensai mai per paura di cedergli anche solo nel ricordo, ed ora mi trovavo ferma, alle sei del mattino  ad osservare fuori dalla mia finestra.

Il sole era sorto da più di un’ora e ancora riuscivo a percepire la frescura della notte estiva passare fluida per la finestra completamente spalancata. Le strade erano semi deserte e poco trafficate, passava di tanto in tanto qualche passante che si recava a lavoro e c'era chi ancora vagava in preda al disorientamento dopo una notte brava. Per un attimo quella passerella fatta di comparizioni sporadiche, mi ricordò la vista che c’era del marcia piede davanti la mia camera a Brentwood. Ricordai il furgoncino di fronte la casa del signor Morrison proprio il giorno in cui lo vidi per la prima volta.

Eccolo! Il cedimento. Somigliava ad una ferita costantemente aperta, che mi faceva  barcollare, inginocchiare e poi rialzare per continuare a camminare.

Percepii una sensazione di immobilità tra il mio petto e la pancia, qualcuno avrebbe potuto pensare che fossi morta in  piedi.

Sospirai e mi distrassi pensando ad altro.

Non credevo fosse così difficile interpretare una parte così importante.

Cosa sarei dovuta essere? Leonor la terrorizzata? Leonor la bugiarda? Oppure la  Leonor incosciente e innamorata?

“Credi che non lo capirò come dici?” Asserii ad alta voce.

Non so per quale motivo, ma pensai che L potesse sentirmi mentre parlavo al sole che sorgeva. Non ricevevo nessuna risposta e sentendomi ancora più insana di B nel comportarmi a quel modo, mi misi subito all’opera per prepararmi a quel giorno.

Facendo colazione il crepitio dei cereali al miele a contatto con il latte freddo, era il sottofondo della mia distratta osservazione del girovagare di mio padre e mia madre nel piccolo ambiente della cucina. Dal giorno prima non si erano minimamente rivolti la parola, a parte quando erano costretti dalle circostanze, ovvero il passarsi il succo d’arancia oppure sapere se il bagno fosse libero. Al di fuori di questo i loro contatti verbali erano cessati dalla sera della discussione.

Mi sentii amareggiata e mentre buttavo il mio sguardo sofferente sulle palline dorate nella mia ciotola.

Leo…” Mia madre mi chiamò sorridente, mi baciò la guancia e mi guardò intenerita “Tranquilla, è tutto ok.”

Mio padre invece mi sedette vicino, non mi parlò, mi apparve molto pentito e mi prese la mano stringendola forte.

Sorpresa dal loro atteggiamento pacifico, riacquistai un po' di sollievo, sentivo quasi le lacrime agli occhi ma mi trattenni e a stento dissi “Vi voglio bene.”

“Anche noi te ne vogliamo tesoro mio.” La mamma mi strinse forte al suo ventre e mio padre sfoggiò un sorriso smagliante.

La mamma mi sfiorò lievemente il collo e si spostò per osservarmi in maniera divertita e più attenta. Io pregai perché non toccasse ancora quella zona, altrimenti avrei lanciato lamenti di dolore, misti all’ansia che mi stava mettendo in quel momento.

“Leo, come mai hai su questa sciarpina al collo? Eppure fuori ci sono quasi quaranta  gradi all’ombra.” Mia madre stava per prendermi un  lembo della sciarpa ed io prontamente intervenni prima che iniziasse a indagare oltre; magari riuscendo anche a togliendomi di colpo il pezzo di stoffa dal collo e scoprendo l’orrore che avevo sotto.

“Ah, questa l’ho indossata per via del fatto che l’altro ieri avevo una raucedine dolorosissima. Ho scoperto che non mi fa bene lo sbalzo di temperatura provocato dall’aria condizionata.” Toccandomi il collo accennai un sorriso di convinzione pura.

“Già. Hai ragione, infatti avevo notato, mentre discutevamo l’altra sera, che avevi la voce un po’ rauca. Abbassa la refrigerazione del condizionatore oggi, ok?” Riabbracciandomi sorridente la mamma lasciò cadere lì la cosa e nonostante la mia solita bugia, finalmente potevo risentire quella sensazione serena dello stare con i miei genitori in quel modo e  che mi era mancata tanto, ma venne interrotta dal suono del campanello.

“Vado io. Deve essere l’agente che viene a tenerti d’occhio mentre siamo via.” Papà lasciando la mia mano, si alzò dalla tavola imbandita per la colazione e si diresse all’ingresso per aprire a Weddy.

“Che strano…effettivamente proprio oggi doveva capitare che tutte e due lavorassimo fino a tarda sera?” La mamma guardando in direzione del salone espose i suoi pensieri con aria accorta.

“Sarà sicuramente un caso mamma e poi ci sarà questo agente con me, quindi non c’è da preoccuparsi…” sorrisi leggermente e poi prendendo col cucchiaio i cereali, proseguii scherzando “ E  magari è anche il tuo tipo.”

“Leo! Sei sempre la solita, ti piace proprio prendermi in giro.” La mamma cominciò a ridere e il momento in cui vidi scoppiare la sua risata, mi fece capire che qualunque cosa fosse successa quel giorno sarei stata comunque felice, qualunque fosse stata la mia sorte.

Papà irruppe in cucina con Weddy ed io finsi interesse per la visita inattesa  “Ragazze questo è l’agente Kate Wilson e starà con te Leonor finché non rincaseremo. Kate è molto brava nel dare ripetizioni. Leo, se vuoi  ti aiuterà con la matematica.”

“ Certo. Perché no?” Dissi io guardandola appena sorridendo.

“A dirla tutta sono molto più portata per l’educazione fisica. Amo battere il tempo in velocità” Weddy sorridente mi guardò e velocemente mi fece intuire che non avevamo ancora molto tempo, ma la sua affermazione riuscì a distrarre la mamma e il papà, che rapidi osservarono l’orologio appeso sopra il piano cottura della cucina.

“Oh, diamine! Sono le otto. Adesso dobbiamo andare.” La mamma corse ad arraffare la sua borsa poggiata  su uno dei divani in salone, mentre mio padre date le disposizioni della giornata a Weddy,  uscì di casa insieme alla mamma.

Quando il chiudersi placido della porta arrivò alle nostre orecchie, Weddy sporgendosi verso il salone con prudenza, controllò che fossero davvero usciti di casa.

“Bene. Sei pronta Leonor?” Weddy tornò su di me che ero ancora seduta imbambolata, con in mano il cucchiaio immerso nella mia colazione e completamente intorpidita dal timore.

“Sì..sì. Dammi solo un secondo.” Alzandomi sgattaiolai veloce verso il soggiorno completamente luminoso e assolato.

Mancava solo mezz’ora ed io ero come  una condannata a morte. Cercavo di prendere il mio tempo per raccimolare forza e sicurezza per riuscire a salire sul patibolo.

“Leon…” Lo squillare del mio telefono cellulare arrestò  Weddy.

Sedendomi sul sofà che era di spalle alle finestre del salone, presi il telefono dal bassissimo tavolino su cui era poggiato e risposi “Pronto.”

- E’ oggi vero? – Dall’altra parte Abel mi prese di sorpresa.

“Sì.” Replicai annuendo.

- Molto bene vengo con voi. -  Disse il ragazzo determinato.

“Ma Abel non è il cas…Weddy velocemente mi strappò via il telefono dall’orecchio.

“Senti ragazzo, non possiamo permetterci ulteriori complicazioni personali nel caso. Cos…? Chi? Maledizione! ” La donna da un tono diretto passò ad uno molto teso riuscendo comunque a conservare il suo auto controllo.

Afferrai che qualcosa non andava secondo i piani.

“Ok. Tu rimani lì. Appena riusciremo a liberarci saremo da te.” Weddy innervosita riagganciò il mio telefono.

“Che succede Weddy?” Guardai la donna impensierita.

“Tuo padre sta risalendo. Non so quale sia il fottuto motivo, ma ora ci creerà parecchio ritardo. Se non fosse stato per quel moccioso là fuori, ci avrebbe beccato proprio mentre stavamo uscendo.” Weddy imbronciata incrociò le braccia al petto e si buttò sul divano di fronte a me, estrasse dalla tasca dei suoi attillatissimi jeans il cellulare e iniziò a digitare qualcosa.

Probabilmente un messaggio a L per dirgli cosa stava succedendo.

Nervosa mi diressi lesta verso la finestra del soggiorno e guardai automaticamente sul marciapiede della parte opposta al mio appartamento.

Abel era poggiato sulla vetrina della lavanderia a gettoni, sollevò appena il viso nascosto dalla sua solita t-shirt con cappuccio blu e mi fece un cenno leggero di saluto; risposi al suo salto titubante e incerta.

Il senso d’agitazione non mi aveva abbandonata dal giorno prima e quella circostanza aveva aggravato la crescita di quella sensazione.

Weddy, perché starà risalendo?” Chiesi alla donna voltandomi verso di lei.

“Non ne ho idea. Speriamo solo che vada via il prima possibile.” Weddy rispose prendendo a sfogliare distrattamente un mio libro che era poggiato lì sul sofà da più di una settimana. D’un tratto la vidi farsi attenta sentendo i rumori esterni del pianerottolo, mio padre era sul ciglio della porta e il tintinnare delle chiavi aumentò la mia tensione nervosa.

“Non devi farti vedere così. Devi fare qualcosa…Weddy in un bisbiglio mi lanciò il libro e si alzò scattante. “ Presto scambiamoci i ruoli. Tu mettiti a sedere qui e io vado  alla finestra. Forza!” Sibilò mettendosi in azione.

Prendendo al volo il libro mi precipitai  a sedere ben eretta sul divano, dando di spalle alla porta, mi appoggiai il libro sulle gambe, lo aprii e feci un respiro profondo “Ok. Andrà bene.” Dissi auto convincendomi.

Lo scatto della serratura mi fece sobbalzare, poi voltare velocemente e il movimento della porta che si apriva mi sembrò lentissimo ed i secondi che passavano in quell’azione così insulsa erano altrettanto decelerati.

Ma mai come in quell’istante pensai così tanto intensamente, che avrei dovuto raggiungerlo subito.

 

 

 

 

Ciao, ciao a tutti/e

Finalmente!

Ce l’ho fatta, perdonate la mia lentezza e ritardo nell’aggiornare la storia, ma oltre  i miei impegni di lavoro, ho dovuto concedermi un momento di ripresa e stacco dal pc, constringendomi a non poter lavorare nell’immediato sia con il disegno, che con la scrittura. Questo capitolo è frutto di elucubrazioni fatte lontana dal pc (appuntate barbaramente sull’ipod davanti al camino) e se vi sembrerà noioso o senza senso avete tutta la mia comprensione. Perdonatemi se non è proprio un gran bel capitolo, spero di rifarmi nei prossimi.

Sì, i prossimi. Perché scrivendo questo capitolo ho notato che sarebbe venuto un po’ più lunghetto di quello che mi aspettavo. Così ho proprio paura che dovrete sopportarmi per uno o due capitolo ancora -.-‘.

Vi faccio ancora le mie scuse per il ritardo.

Scrivete se dovessero venirvi delle perplessità, perché adesso come adesso, ne ho anch’io ahahahahah e non so nemmeno cosa ho creato ( parlo sotto i fumi del sonno e stanchezza da addobbo selvaggio Natalizio XD).

Detto questo vi esprimo la mia gratitudine e vi ringrazio sin da ora per le recensioni, i vostri inserimenti nelle varie sezioni preferiti, ricordati e seguiti.

Vi auguro una buon proseguimento e ci sentiamo al prossimo capitolo.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** B15 - Il Re Nero, La Regina e il Re Bianco ***


                                                                                         
                                                                                                           Autore illustrazione Victor Nizovtsev
                                                    



 

           Il Re Nero, la Regina e il Re Bianco

 

 

Ero talmente distratta  e scossa per via di quel fastidioso imprevisto e dall’esigenza incontrollata di voler vedere B, che mi soffermai ed accorsi solo per un attimo, che stavo osservando mio padre entrare dalla porta di casa, ma non lo mettevo realmente a fuoco, era una componente indesiderata nell'ambiente in cui mi trovavo, che si muoveva e che iniziava a parlare, ma io non gli davo la minima importanza. Contornava il mio campo visivo, era qualcosa a cui mi limitavo ad annuire con lo sguardo apparentemente sorpreso dalla sua improvvisa comparsa.

“Oh, scusate ragazze, ma ho dimenticato il mio telefono cellulare. Oggi devo avere la testa altrove…” mio padre con un sorriso smagliante si diresse con fare tranquillo verso la cucina, mentre io e Weddy lo seguivamo con gli occhi ad ogni passo che compiva. “Se lo lascio qui, dubito che potrò contattarvi.” Dietro di noi arrivò  la risata divertita di mio padre ed io mi voltai verso la bionda donna davanti a me, guardandola nervosamente, mi morsi il labbro inferiore e strinsi forte con le mani sulle due metà del libro spalancato sulle mie gambe.

“Già! Sarebbe stato un bel problema. Avrei dovuto chiamare in centrale per farglielo venire a riprendere.” Weddy guardando prima verso la cucina e poi pian piano dirigendosi su di me, parlò recitando la parte della brava poliziotta.

Papà uscì dalla stanza mentre addentava una ciambella avanzata dalla colazione e se la tolse di bocca, per rispondere in maniera colpita e interessata a Weddy. “Lei è un agente davvero responsabile, Wilson. Credo proprio che oggi Leonor sia in ottime mani.”

“Grazie, Signore.” Weddy rispose gentilmente, scoprendo un sorriso che a me parve immediatamente artificioso, ma così ben aperto e verosimilmente spontaneo, che se non l’avessi conosciuta le avrei creduto anche ad occhi chiusi; proprio come fece mio padre, che soddisfatto di ciò che aveva visto, contento e salutando svelto, prese, aprì la porta e scappò via senza fare tante domande, senza insospettirsi minimamente. Per lui il problema era in parte risolto. In effetti pover uomo era ignaro del fatto che la questione era più fresca che mai, come una mano di vernice colorata data su tutte e quattro le pareti di una stanza appena tinteggiata, in qualunque parte si fosse sbadatamente poggiato prima o poi si sarebbe macchiato e si sarebbe scoperto deluso , arrabbiato con sé stesso.

Che strana sensazione provai in quell'istante, avevo salito un gradino più alto rispetto a quello delle altre persone coinvolte in quel caso e in quella storia. Regina, su quella scacchiera, al di sotto di me tutti erano ignari dei segreti della mia vita a e della mia corte che si muoveva nell'ombra. Le ombre di B e L che venivano proiettate dalla mia falsa luce. Sì, ma ero bianca o nera? Avrei attuato la mossa finale di L o di B?

Probabilmente il mio combattimento interiore non sarebbe cessato finché gli occhi di Beyond non avessero incrociato i miei.

Sbattendo rumorosamente i lati del libro, lo chiusi e bottai fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni, mi sembrò di aver vissuto quella breve apparizione di mio padre nella più totale apnea, ma i rimasugli del lavoro di B si fecero sentire portandomi tossire un po’.

“Bene, dobbiamo aspettare che vada via davvero questa volta…Weddy, la torre di L, iniziò ad alzarsi, ma io mettendomi su veloce la fermai poggiandole la mano sulla spalla.

“Darò io un’occhiata fuori.” Dissi iniziando a prendere sicurezza e confidenza a quella condizione. Arrivai alla finestra, sollevai la tenda per frappormi tra lei e il vetro, stando a guardare l’evoluzione della situazione esterna.

Abel era rimasto nella sua postazione, con la testa incappucciata di blu e  piegata giù verso le sue braccia conserte al petto, immobile davanti la lavanderia, mentre mio padre dall’altra parte del marcia piede si accingeva a salire nella sua auto.

Weddy, nel frattempo mi parlò continuando a rimanere seduta in attesa di sapere cosa stesse accadendo fuori. “Però! Avevo notato che eri abile nel controllarti, ma non credevo che fossi così pronta. Con quell'aria da ragazzina pulita e assennata non daresti l'idea di riuscire ad adattarti a certi stati d’animo o situazioni, ma riesci a camuffarti alla perfezione. Sei davvero brava. Ti ribadisco che avresti un gran futuro nello spionaggio.”

Tu sei molto brava. Prima non so come ho fatto a resistere o rispondere con un altro sorriso a quella smorfia d’alta recitazione.”

“Oh, beh! Ci vuole molto allenamento per riuscire a convincere e manipolare le persone. Mia cara Leonor, devi riuscire ad entrare nella tua testa prima di entrare nelle loro. E’ come un riflesso allo specchio, solo che sulla superficie ogni volta trovi un individuo diverso.” I movimenti dell'alzarsi di Weddy arrivarono al mio orecchio, venne verso di me per attendere qualcosa che sapeva stesse avvenendo come da copione sia fuori, che in me e che venne sbloccato dal suo. “Sei pronta?”

Mi pervase un insolito coraggio, le parole di Weddy mi avevano scosso nella maniera in cui aveva voluto lei. Dentro, una massa informe di me stessa, non ancora definita, che non credevo esistesse, iniziò a plasmarsi in modo concreto.

Come sempre sono le circostanze meno ordinarie a far scoprire parti di sé stessi che nemmeno immaginiamo d’avere.

E  mentre mio padre alzò lo sguardo per guardare verso di me, mentre lo vedevo sorridermi tranquillizzato, mentre lo risalutai alzando innocentemente la mano e poggiandola sul vetro fresco, mentre risposi al suo sorriso con uno più simile ad una smorfia, a causa dei raggi solari che mi fecero chiudere gli occhi in una fessura e mentre sentii il peso delle mie responsabilità che si faceva sempre meno gravoso, lasciai uscire netta la mia risposta. “Sono pronta. Devo raggiungerlo.”

 

Il mio uscire di casa con Weddy somigliò molto ad una specie di cerimonia lineare e composta, che difficilmente si attua nella vita comune. Era molto simile al prepararsi per andare ad un funerale di un affetto davvero stretto; sai che dovrai mantenere un contegno, sai che dovrai resistere alla tentazione di laciar scorrere le lacrime, anche se sei conscio che sarà la tua unica liberazione, ma non lo farai per mantenere quella fierezza e contegno che solo in quelle circostanze si deve possedere.

I nostri passi risunavano nella tromba delle scale, non volli prendere l'ascensore, perché volevo scendere prima di risalire grazie alla mia torre, volevo sentire l'appoggio dei miei piedi sui gradini, volevo che quell'azione mi rendesse vera, che il mio incedere lento rendesse reale ciò che stavo andando a fare.

Arrivate  alla scura auto di Weddy, trovammo Abel lì davanti ad attenderci.

Weddy ed io osservammo il ragazzo e lui  fece lo stesso alzando lo sguardo dal marciapiede,  togliendosi le mani dalle tasche dei suoi chiarissimi jeans shots che gli arrivavano fino le ginocchia.

"Puoi venire con noi, ma rimarrai seduto dietro. Ok?" Weddy parlò severa e senza staccare gli occhi da Abel. Lei aveva inteso benissimo del coinvolgimento emotivo del ragazzo in tutta quella sanguinosa vicenda e voleva evitare il più possibile che con qualche comportamento fuori programma, rovinasse tutto il piano; come d'altronde anche io rischiavo di mettere costantemente a repentaglio con le mie scelte istintive.

Abel era il pedone più scomodo.

Il ragazzo fece cenno di assenso facendo muovere le estremità del suo cappuccio che gli ricadevano morbide sulle spalle. Weddy montò alla guida del veicolo ed io e Abel ci apprestammo a fare lo stesso dal nostro lato. Mentre stavo alzando il sedile per permettere al ragazzo di salire, mi prese per il braccio e  mormorò a denti stretti nel mio orecchio "Promettimi che non ti lascerai far fare del male da lui."

Prima abbassai gli occhi sulla vernice nera della vettura e poi li rivolsi ad Abel con aria nervosa " Non devi preoccuparti, oggi ci sarà Weddy con noi e qualsiasi cosa accada, andrà bene, vedrai." Sorrisi con poca convinzione, quel tanto che bastò a farmi spingere ancora più vicina ad Abel e che rafforzò la sua presa sul mio braccio.

"No, non hai capito Leonor. Se tu cedi, questa volta sarà la fine." Sibilò torvo in volto tanto che non lo riconobbi. Ricambiai quel suo atteggiamento con sguardo minaccioso.

"Allora? Dobbiamo andare, siamo già in ritardo mostruoso." Weddy dall'interno dell'auto ci sollecitò a salire.

Abel stizzito lasciò la presa dal mio braccio, con fare irritato salì buttandosi di peso sui sedili posteriori e serrò le labbra guardando subito nella direzione opposta alla mia postazione. Innervosita mi accomodai sul mio sedile, contrassi la mascella strigendola forte e chiusi lo sportello dell'auto furiosa.

"Ehi! Guarda che questo è un modello unico, può prendere in pieno un carro armato, ma non vuol dire che tu debba demolirmelo, Leonor." Weddy perplessa mi sgridò.

"Scusami, non so cosa mi abbia preso. Andiamo ti prego." Desolata e stranita supplicai alla donna accanto a me.

"Lo so io cosa ti è preso..." Weddy guardò lo specchietto retrovisore per osservare Abel che era ancora impegnato ad osservare fuori. Weddy, poggiò le mani guantate sul volante e si voltò appena per rivolgersi al passeggero dietro di noi "Senti ragazzo, non è che non capisca la tua preoccupazione. Ma se questa cosa va male, andrà molto peggio anche per la ragazza. Lo capisci? Rimani al tuo posto, questa è una questione più grossa di quanto tu possa immaginare. Il fatto che Leonor ci sia invischiata è un dato di fatto che non possiamo sottovalutare, non possiamo farci niente. Quindi calmati e presta il tuo aiuto come puoi."

Il ragazzo ascoltate le parole mordaci di Weddy, si affossò nel sedile con una leggera vergogna ed aggiunse " Scusatemi." Non disse altro, si lasciò andare al silenzio.

La torre mise al suo posto il pedone.

Weddy girandosi mise in moto e mentre si immetteva sulla strada, prese il suo cellulare e compose velocemente  un numero.

"Siamo partiti adesso." Disse la donna secca e proseguì altrettanto diretta "Perfetto, va a nostro vantaggio. La donna è già lì con lui? Ok, quindi agiremo prima che lei capisca. Bene." Weddy chiuse la chiamata, lasciò il cellulare sulla sporgenza del cruscotto rimanendo intenta nella guida fluida e spedita.

"Che succede?" Chiesi incuriosita, sapevo che aveva contattato L e che si erano scambiati informazioni che mi erano ignote.

"Niente di grave, a quanto pare anche dall'altra parte abbiamo ritardi." la donna si lasciò andare ad una leggera risata, come a far intendere che quell'imprevisto era un ottimo modo per avvantagiarci sulla tabella di marcia.

Abel, anch'esso incuriosito dalla conversazione di Weddy al telefono, si sollevò dal sedile per porre una domanda, ma Weddy prontamente lo precedette, togliendo la mano dal volante e alzando l'indice in aria. "Ah-Ah! Niente domande."

Io sorrisi sommessamente sapendo cosa c'era sotto e volsi il mio sguardo dritto verso di me. La sensazione nervosa di pochi istati prima e innescata da Abel, si era smorzata e buttando lo sguardo di tanto in tanto sul ragazzo, potei notare che anche lui iniziò a sentirsi meno teso. Ad ogni modo il senso d'agitazione di rivedere B, era sempre in aguato e fortissimo, mi metteva a soqquadro lo stomaco, tagliente attraversava il petto e  il ventre.

Il viaggio fu tranquillo, strideva in maniera evidente con le emozioni irrequiete che nutrivamo in macchina tutti e tre, che eravamo più pronti ad affrontare una guerra, che un viaggio per arrivare al luogo dell'appuntamento.

Avevo così tanta adrenalina in corpo, che non feci minimamente caso a che tipo di percosso avessimo fatto. Pensavo, pensavo e pensavo ancora.

Che cosa ne sarà di me e di queste due persone, di tutte quelle che conosco e mi sono vicine, se fallisco? Perché ho questa forte sensazione che oggi avrò le risposte che non ho mai avuto? Perché proprio oggi? Perché B, Beyond Birthday , ha scelto questo momento? Sarò in grado di riflettermi sull'immagine di B?

Oh, Abel, mi dispiace così tanto, hai tutto il diritto di arrabbiarti, hai tutto il diritto di affezionarti a me, hai tutto il diritto di volerlo morto o volerci morti entrambi, per quello che ti è stato fatto.

Compassionevole mi voltai con espressione intenerita verso Abel, che mi guardò prestando attenzione a qualcosa che non avrei mai proferito, per lo meno non in quel momento.

Tornai svelta a mirare davanti, ebbi un colpo al cuore quando vidi balenare davanti ai miei occhi il cartello che indicava l’uscita per Pasadena, poi abbassai il capo prendendo a giocherellare concitatamente con le mie mani e polsi puliti, senza  anelli o bracciali, sono qualcosa che non ho mai sopportato; soprattutto nei giorni più caldi, non amo indossare gioie, mi sento molto più libera nel non sentirmeli addosso. E mentre ero intenta a farmi distrarre da me stessa, sollevai la testa con leggerezza e mi accorsi che la nostra auto si era arresta. In quel viaggio di soli trenta minuti a me parve di aver percorso ore ed ore di strada.

Che sciocca! Eppure ero cosciente che Pasadena da Beverly Hill distava mezz’ora esatta, cosa diavolo mi fece pensare che fosse diversamente?

Probabilmente il timore di viverlo, vederlo, sentirlo parlare, respirare. Sì, probabilmente tutto questo mi fece peccare di quel pensiero infantile, in cui la meta  seppur vicina, la si vive come qualcosa di lontanissimo.

Sporgendomi appena guardai all'esterno dal mio finestrino di poco abbassato.  Weddy fermò la nostra vettura dal lato opposto all’enorme complesso condominiale, non molto nuovo e che si ergeva alla nostra destra. Era così lineare, le pareti erano composte da mattoncini rossicci, si divideva in molti piani, le finestre erano bordate di bianco, il tetto era piatto, dritto e tutto rimandava ad un concetto di sterilità pura… già, mia madre lo avrebbe definito così, aggiungendo sarcasticamente che avrebbero potuto recuperare in estetica aggiungendo un’aiuola. Sorrisi impercettibilmente a quel pensiero, poi il chiamarmi di Weddy mi risvegliò da quelle mie continue mancanze d’attenzione a ciò che stavo per andare a fare.

“Ehi, tutto ok?” Mi disse seria la donna. Annuii con la testa e continuai a guardarla per sentire cos’altro aveva da dirmi. “Coraggio, ora ti accompagno.” Calma la torre mi prese per una spalla e mi scosse appena.

Slacciai la cintura di sicurezza e feci scattare la serratura dell’auto per uscire, ma ancora incerta mi voltai verso Weddy “ Lui mi ha detto che... noi riuscirò mai a capirlo... tu credi che vedrò nel suo riflesso?”

La donna si fece attenta e portò i suoi occhi coperti dalle lenti scure, davanti a sé. Accennò un secco saluto a qualcuno fuori e mi feci distrarre dalla sua azione. Constatai che aveva appena salutato un uomo alto, con  capelli biondissimi quanto i suoi, tirati in dietro, li portava di una lunghezza media che arrivava a toccare appena la base del collo. Aveva degli ammalianti e chiarissimi occhi azzurri, vestiva una semplice camicia a maniche corte in cotone di color panna e dei pantaloni sul marrone, larghi e leggerissimi dato il caldo afoso fuori. Era molto pratico, ma elegante al tempo stesso e mi ricordò immediatamente  Believe. Iniziai a risentire dell’amaro in bocca rivedendomi piombare addosso quel ricordo, per poi pensare alle foto in cui lo avevo visto riverso a terra, coperti di tagli e sangue.

Ebbi un fremito e scacciai quella squallida sensazione, cominciando a  dedurre che quel uomo là fuori, poggiato sulla  fiancata di una lussuosa Audi blu scuro, fosse la seconda torre o forse L stesso. Chiunque avrebbe potuto scambiarlo per il solito riccone di Los Angeles, ma il suo comportamento, anche se ben mimetizzato, era diverso, era guardingo, attento e sembrava in attesa di un qualche segnale da un momento all’altro. Ma forse ero solo io a percepirolo così, perché Abel non se ne insospettì affatto.

“Quel signore là ci terrà d’occhio mentre entreremo. Ci guarderà le spalle…Weddy sempre guardando dritto verso l’uomo mi diede le coordinate e continuò aprendo il suo sportello "Ad ogni modo, non conosco molto di questa storia. Lui mi ha dato, anzi ci ha dato, piccoli elementi utili ad aiutarti e ad aiutare un’altra collaboratrice. Ma sì, credo che tu possa riuscire a capirlo…  poi determinata si volse di poco verso di me “Leonor, quest’individuo ha scelto te.”

Un sospiro mi prese alla sprovvista e mi fece sobbalzare, raccogliendo forza uscii dall’auto con Weddy e Abel al mio seguito. Il ragazzo dovette rimanere, suo mal grado, con l’uomo che si presentò a me con il nome di Aiber, mentre io e Weddy attraversammo la strada per trovarci poi a passare l'ingresso del complesso condominiale. Alzando la testa vidi che sopra di noi un'apertura enorme formava un canale di cielo che divideva un palazzo dall’altro ed era l’unica forma di luce in quel solco fatto di mura, portoni e finestre.

“Eccolo è questo il numero d’approvazione 061550 e il nostro appartamento è al quarto piano.” Weddy pigiando il dito indice su una targhetta argentea, sottolineo l’evidenza dell’arrivo al nostro obiettivo e fu  così facile arrivarci. Non so cosa mi fece pensare che qualche barriera architettonica ci avrebbe reso difficili le cose.

"Io ti aspetterò sul nostro piano, ma ti raggiungerò più tardi. Non posso farmi vedere o notare. L, mi ha dato precise istruzioni di lasciarti sola con lui. Niente cimici, niente video. Sei completamente spoglia. Sii il più naturale possibile, entra nell'appartamento come fosse casa tua."  Weddy aprendo  il portone del condominio e  alzando il mento in avanti mi fece cenno di entrare.

Col capo annuii ferma e mi addentrai all'interno.

Non mi guardai alle spalle in cerca di sicurezza da parte di Weddy, mi precipitai all'ascensore, premetti con agitazione il tasto di chiamata dell'elevatore, che si aprì immediatamente, ci entrai tenendo gli occhi chiusi, permuti per non guardare, finché  non percepii il suono delle porte che  mi si richiusero davanti.

Nella salita mi scorreva davanti l'incedere lento della luce giallina dei piani raggiunti e passati, fin quando  al quarto, l'ascensore si bloccò seccamente.

Ero arrivata.

Calpestai il pavimento sentendomi vicina a qualcosa che mi elettrizzava, eccitava ed era vicino. Ero un mix della me ragazzina impaurita di soli diciotto anni e un'altra decisamente calcolatrice, audace, presa dall'esaltazione. Non mi ero sentita mai meglio in vita mia e mi ci sentivo stando sul bordo di un burrone. Istintivamente mi incamminai verso destra per il lungo corridoio, per mia fortuna, desolato e notai che le porte dovevano essere state ridipinte, perché sotto il rosso vivissimo che vi era stato sovrapposto, appariva una sfumatura marrone. Quanto mi apparve così familiare quel colore, mi era mancato. Avrei dovuto rabbrividire, ma non ne ero mai stata capace e forse mai  sarei stata in grado di farlo.

I miei passi risuonarono leggeri passando di porta, in porta.

400, 401, 402, 403... 404.

Sussultai alla vista di quel numero, fu come se avessi ritrovato la mia cifra di riconoscimento. Inspirai ed espirai, poggiai calma la mia mano sulla maniglia della porta, che notai subito fosse stata lasciata aperta di proposito.

Varcai l'entrata silenziosamente, ovviamente non chiesi il permesso di entrare, chiusi svelta e mi limitai a studiare superficialmente quel modesto appartamento, composto solo da un soggiorno con una cucina attaccata e un corridoio che portava a tre camere.

Percorsi il tratto che portava alle stanze come avrebbe fatto un gatto, lentamente ,  talmente guardinga che sembrava stessi annusando l'atmosfera circostante, così sconosciuta, così estranea.

Non appena attraversai la porta spalancata, della seconda stanza da letto, mi bloccai. Credetti di aver visto un fantasma. Voltandomi vidi una sagoma di fronte la finestra e di spalle, ricoperta di luce solare, vestita come l'avevo sempre conosciuta e in una posa nostalgica, fiera e ben eretta.

Era il mio re nero.

Entrai nella camera dove il letto dava proprio davanti alla porta, la finestra, su cui lui guardava, era vicinissima al fianco sinistro del materasso. Non vidi altro, il resto degli altri particolari della stanza mi apparvero irrilevanti, normali, a parte un solo dettaglio; una bambola di paglia chiodata sul muro proprio di fronte a me.

"Finalmente sei arrivata." La figura dinanzi a me e ancora di spalle, parlò mesta.

Io distolsi il mio sguardo dalla piccola bambola di paglia e lo rivolsi alla sagoma.

"Avevi paura che non  sarei venuta?" Domandai incerta e camminando di poco, dritta verso di lui.

"Sai, dopo quello che ti ho fatto, non nego che ne ho dubitato." Beyond, si voltò mostrando appena il suo profilo regolare, ma ancora poco chiaro perché reciso della luce.

"E' questa la fiducia che nutri per me? La fiducia che nutri per la mia inconcludente passione per te?" Lo guardai seccata e cominciai a sentire un’improvvisa rabbia nei suoi confronti.

"Amore. Lo definirei più amore, anche se combatti con te stessa so che mi ami... e ora riconosco che probabilmente nutrivo anche per lei dell'amore." Lo vidi girarsi completamente e poggiarsi con le mani sul davanzale della finestra " Non so se è più forte lei o tu. Sicuramente con te è più malato, impaziente, appassionato ed è diventato reale. Vero, quant’è concreto il contatto delle miei mani su di te."

"Lei... immagino sia.." B mi fermò prima che dicessi quel 'nome '.

"A..." sospirò abbassando il capo desolato "Sì." e tutto finì in un soffio ancora più triste.

"Quindi io sono venuta fin qui per sentirmi dire che ami qualcun altro più di me e poi cos'altro?" Sentivo salirmi ancora più collera e le lacrime la seguivano; cercando di mantenere la calma e trattenendomi continuai  "Cos'è? Vuoi farmi vedere che sei normale, che sei rinsavito? Strano, effettivamente oggi sei preso da un'insolita serietà mista all'infelicità. Qualcosa non va come vorresti? Perché se devo dire la mia, a mio parere, per me, non va come vorrei..." Buttai via l'aria piano, facendola passare nello spiraglio che si aprì tra le mie labbra, proprio come si fa prima di iniziare una corsa velocissima, solo che io rimasi lì a continuare "Se andasse come vorrei io, tu non avresti fatto quello che hai fatto e mi ameresti abbastanza per non fare ciò che hai fatto, mi ameresti abbastanza da dimenticare L, A e tutto il resto di quello che non conosco." Mi esposi schietta, diretta e desiderosa di ottenere ciò che volevo e che mi apparteneva; B e la verità.

Vidi alzare il capo di B di scatto, mi aspettavo da un momento all'altro una reazione violenta, brutale, ma ciò non avvenne. Il suo volto assunse un'aria addolorata, indulgente, causata dalle parole che avevo appena proferito e molto probabilmente anche dalla mia espressione, che ignoravo quale fosse concentrata com'ero  solo sul mio dispiacere.

Venne verso di me allungando le braccia, ma io di riflesso mi scansai, scattante e cauta, facendolo bloccare nel movimento che poi proseguì lentamente. Poggiò le sue mani sulle mie spalle, arrivò al mio collo e sfilò, con insolita e inaspettata delicatezza, il triangolo di stoffa che lo avvolgeva.

Finalmente lo avevo vicino e mi apparve inoffensivo, più logico, sembrava sano, mi parve di sognare, mi sembrò di aver ottenuto quello che avevo espresso poco prima.

"Tu lo sai che sta succedendo. E' nei tuoi e nei suoi piani, riguarda voi in maniera profonda, ma tu sai anche che per me c'entra dell’altro." Dissi in un sussurro addolcito dalla sua vicinanza.

"Sì, lo so..." Disse sussurrando e abbassando la testa per sentirlo poi baciami sul collo, lo stesso che aveva stretto con forza giorni prima e che ora carezzava, baciava con leggerezza e cura, riuscendo a non farmi sentire dolore alla pressione delle sue labbra sulla mia pelle livida.

"Mi era mancato questo, mi è mancato di quando facevi così. Di quando arresti la follia, torni qualcosa che non conosco e vorrei conoscere." Mormorai immersa nelle mie emozioni, mentre mi aggrappavo incerta sul bianco tessuto della sua t-shirt. "Sto distruggendo ogni cosa, B. In tuo nome sto facendo e ho fatto cose terribili. Aiutami. Non ce la faccio più." Chiudendomi con la testa nel suo chinarsi e baciami, mi lasciai prendere per i fianchi e avvicinare nel suo abbraccio. In quell’istante sentii un unione essenziale, semplice, automatica e che mi legava a lui, molto più del fare l'amore; il mio riflesso cominciava a combaciare col suo e stavamo diventando un solo corpo e una sola mente.

"Leo..." Di nuovo bisbigliò, poi si scostò per guardarmi "Devi prima vedermi bene e cosa sono stato. Ti offrirò quello che avresti voluto sentirti dire da sempre. Altrimenti rimarremo bloccati qui, così per sempre." Rimase incredibilmente serio, il suo sguardo era intenso ed i suoi capelli neri sembravano tende di velluto scurissimo che ammantavano i rubini rossi dei suoi occhi, contornati da  finte occhiaie; guardandoli attratta, annuii dipendente e curiosa di scoprire quel qualcosa che avrei voluto sentirmi dire sin dall'inizio.

Ascoltai rapita ogni sua singola parola.

 

 

 

Due anni fa, non vivevo liberamente, ero sempre controllato, monitorato; praticamente non avevo una vita. Lo scopo primario del mio esistere era l'obiettivo, il back up, la copia esatta.

La copia esatta di L.

Ad ogni modo dove vivevo, non tutto era negativo o programmato; c'erano le componenti distensive della vita, le cose semplici e belle, ma duravano poco, come i battiti cardiaci di un topo. Sembrerà strano dirlo, ma erano i miei fratelli orfani della casa in cui vivevo che mi davano questa pace, che davano serenità alla Wammy's House; ma più di chiunque altro era lei a darmi la quiete di cui avevo bisogno, teneva a bada i miei impulsi malati, quelli che invece io ti ho sempre mostrato Leonor, ma che a quei tempi non erano maturati a dovere.

Posso ancora vederla davanti ai miei occhi, quando alle volte, nel sonno, smettono di farmi vedere troppo e rosso. Eccola... Il viso tondeggiate, le guance sempre rosse, il suo minuto naso all’in su contornato di lentiggini, gli occhi vivaci e verdi come l'acqua marina, le labbra rosee e carnose ed i capelli sembravano raso; lisci gli finivano pari a metà schiena ed erano rame lucidissimo. Era piccola di statura, ma aveva un'energia ed una atleticità impressionanti; adorava giocare a baseball. Odiava le coercizioni, era indipendente. Mi riesce difficile non sorridere al pensarla nel suo aspetto solare e positivo, che pian piano si spense come una candela consumata. A è stata schiacciata e sacrificata perché lei era la prima.

Nella mia stanza alla Wammy's House volli tutto, libri di ogni genere, volli un mio computer, volli  tutto quello che sapevo L avesse e quello che non avesse. Sapevo che i miei capricci sarebbero stati assecondati, perché ero la futura copia, ero un suo successore. In quel periodo non nutrivo odio per Lui, lo rincorrevo come gli altri e riusciva a stimolare in me una sfrenata voglia di mettermi in competizione con Lui; probabilmente per via del suo aspetto e modo di fare che non ho mai compreso a pieno.

L'unica che non lo rincorreva era A.

Nonostante sapesse di essere la prima in quella successione, se ne curava come di un qualcosa di poco importante, sembrava, nei suoi atteggiamenti, che non le importasse proprio e di fatti era così.

In una giornata soleggiata dell'Aprile del duemila, mentre ero intento a risolvere problemi su problemi ed esaminando simulazioni di casi o studiando quelli scartati da L, sedevo sulla scrivania che dava davanti alla mia finestra spalancata, mentre l'aria tiepida mi passava sulla fronte, lieve.

Improvvisamente A mi distrasse entrando nella mia stanza  di soppiatto, poggiandosi poi esasperata sulla porta appena chiusa, mentre il vicedirettore dell'istituto, Roger, la chiamava ininterrottamente dai corridoi.

"Dio ti ringrazio. Meno male che ero nei paraggi della tua camera, Beyond." A, ancora attaccata alla superficie di legno mi parlò sollevata e iniziò a ridere cercando di contenere le risate.

"Ti diverte così tanto farli disperare tutti? Anche il signor Wammy che è così buono e generoso con noi?" Seduto alla scrivania ruotai sulla sedia per parlare di fronte ad A.

La ragazza abbassando il capo si diede una leggera spinta per staccarsi dalla porta, venne verso la mia postazione e iniziò a giocherellare con una pagina dei tanti libri che tenevo ammucchiati sul ripiano di studio.

"Lo sai che voglio un gran bene a Wammy e anche a Roger. Non parlare come se non me ne importasse niente, B." Alzando i suoi occhi verdi su di me accennò un sorriso che poi venne contenuto nervosamente. "A te...a te non dà fastidio vivere così? Sempre sotto pressione, mai qualcosa di normale come gli altri orfani meno dotati, sempre a pensare ad L. 'Voglio diventare come L' , 'Che figo sarebbe essere L.' oppure 'Chissà com'è essere L?.'. Mai che nessuno, come noi qui, che si chieda com'è essere sé stessi. Io sono io e sono A." Poi portando l'indice sulla sua tempia indicò "Questa è la testa e l'intelligenza di A, non di L." Sospirando si buttò sulla vicina sedia in legno accanto alla mia scrivania e lasciò cadere le braccia penzoloni.

"La penso un po' nel tuo stesso modo, ma non la vedo poi così tragica."Ddissi rimettendo gli occhi sulle pagine abbandonate poco prima.

"Parli bene tu, sei il secondo. Io sono la prima, B..." Guardandomi dritto negli occhi, A inasprì il suo tono "Non avrò mai una vita come quella degli altri. Agiata, sì,  ma non libera. E poi se devo dirla tutta non è mio interesse prodigarmi per risolvere i casi criminali..." Chinò il capo un po' imbronciata e proseguì "A Lui piacciono queste cose, a me no. E la cosa che mi va ancora meno giù, è il fatto che tu non possa chiamarmi per nome, per via di una sicurezza estremizzata."

Alzando il capo delle scartoffie la guardai perplesso "Che intendi dire?"

"Niente, niente. Niente d'importante che il mio migliore amico non possa capire." Un sorriso imbarazzato le illuminò il viso. Era indescrivibile quanto quella sua timidezza mi risvegliasse un improvviso senso di possessività e aggressività. Era qualcosa di istintivo e animale, ma lo controllavo per paura di apparirgli schifoso o mostruoso.

"I tuoi occhi. Come vanno?" Di scatto A si alzò dalla sedia e si voltò per andare a torturare un rompicapo che tenevo poggiato su una mensola.

"Come sempre, vedo sempre in rosso e quei disgustosi numeri, che sai già a cosa si riferiscano." Nervoso picchiettai la punta della penna sul foglio davanti ai miei occhi.

"L'hai vista la mia? Intendo, hai visto la data di quando morirò?" Ancora di spalle, A, mi pose quella domanda scomoda, anzi orrenda, non poteva chiedermi cosa peggiore.

"A, ma cosa ti salta in mente! Trovi che per me sia esaltante vedere la fine delle persone, figurati la tua! Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che io sia nato con questi! Non dirmi certe cose, non sono un vegente! Io quelle vite non posso salvarle. " Alzando di poco la voce balzai in piedi.

A si girò desolata e mi guardò profondamente rattristata, sembrava stesse per iniziare a piangere. "Perdonami B..." si portò le piccole e aggraziate mani agli occhi, poi svelta le tolse tornando a guardarmi "Guarda, sono fin troppo emotiva per essere Lui. Ti invidio perfino, perché tu riesci a prendere tutta questa storia in maniera così rilassata, lucida e se solo tu volessi, se lo desiderassi con tutto te stesso potresti abbandonare tutto. Tu potresti scappare di qui. Io sono sbagliata Beyond, non sono quella giusta. Avrò anche un buon cervello, ma come si può chiedere una cosa del genere a me." Concluse dura.

Era indifesa, ferita, voleva una soluzione e  l'unica cosa che potei fare fu abbracciarla, sentirla più piccola di quello che era nel mio stringerla e sentire l'odore mielato dei suoi capelli penetrarmi nelle narici. Ebbi una sensazione di pace nel sentirla così su di me e mi sembrò di avvertirla risollevarsi dopo che fino a poco prima era stata così amareggiata.

In completo silenzio si sciolse dal mio abbraccio e andò alla porta, ma quella semplice azione mi fece soffrire, fu come se mi fosse stato strappato un lembo di pelle.

"Vado a consegnarmi..." Disse ridendo tra sé e sé, per poi voltarsi e vedermi rispondere con un sorriso altrettanto divertito. Alla porta, con la mano sulla maniglia e ancora rivolgendosi a me, continuò a parlare con ritrovata contentezza "Allora, dopo l'incontro con L, sabato prossimo facciamo una  partittina a baseball giù in giardino?"

"Ok, ma lo sai che sono una schiappa." Dissi con fare canzonatorio nei miei confronti.

"Per questo te lo chiedo." Detto questo uscendo mi lasciò con una melodiosa risata che risuonò appena accennata, prima nella mia stanza e poi sparì ovattata fuori nel corridoio.

Passò quella dannata settimana, lo incontrammo come era avvenuto altre volte, ma quella fu fatale. Quel sabato arrivò e la pioggia primaverile impedì a me e A di giocare a baseball come avevamo programmato. Quindi decisi di andare nella sua stanza per tirarle su il morale, sapendo quanto sperava in quel nostro passa tempo, in quel giorno e sopratutto dopo averlo incontrato.

Bussai sull'uscio della sua camera, ma non ricevetti risposta. Entrai comunque credendo che o si fosse addormentata o che, se uscita, sarebbe tornata e mi avrebbe trovato lì. Gironzolai un po' per la stanza, presi e sfogliai velocemente i suoi romanzi; mentre facevo quel mio giochetto invadente in uno dei suoi tanti libri, vidi sfuggire pesante, giù a terra un foglio. Pensai fosse un qualche appunto, adorava prenderne, a lei ogni particolare e osservazione piacevano, così li appuntava dove capitava; forse questa era l'unica nota che la rendeva simile ad L, l'osservazione, di qualsiasi cosa, persone, animali, qualunque cosa.

Raccolsi il foglio e ancora piegato a terra lo aprii cominciando a leggere.

Piano di fuga dalla Wammy's House.

Sgranai gli occhi.

A, in un misero foglietto aveva annotato anni di pianificazione e lo aveva nascosto tra le pagine di Ragione e Sentimento. Pensai a quanto fosse stata folle nello scrivere certe cose e nasconderle in quella maniera, perfino a me; ma non mi sentii tradito, qualunque cosa avesse deciso di fare io l'avrei seguita. Quello che mi preoccupava era il fatto che chiunque, da Wammy a Roger, chiunque, se avesse scoperto quello che voleva fare, glielo avrebbe impedito categoricamente. Ce lo dissero  chiaramente il giorno che venimmo convocati per comunicarci che eravamo stati scelti come eredi diretti di L; non avremmo potuto abbandonare a metà strada, una volta che si diceva di sì, era per sempre, si era condannati. Salvo complicazioni avremmo dovuto seguire quella strada, punto. Eravamo stati messi come Adamo ed Eva nell’Eden con leggi ancora più ferree di quelle che Dio aveva sottoposto alle sue prime creature.

D'un tratto udii un rumore fluirmi nelle orecchie, mi parve molto, ma molto lontano, simile allo scorrere dell'acqua e provenire dal vicino bagno in camera. Voltandomi mi alzai, abbandonai il biglietto su un tavolo vicino alla libreria e misi l'orecchio sulla superficie dura della porta. Sentii ancora lo sgorgare dell'acqua, improvvisamente mi accorsi che percepivo del bagnato sulle mie scarpe da tennis grigie. Guardai in basso e vidi propagarsi pian, piano il liquido trasparente da sotto la porta.

"A..." La mia voce venne incrinata da una pessima sensazione e peggiorò quando non ebbi risposta. Iniziai a smuovere la porta dalla maniglia constatando che era chiusa a chiave."A! Maledizione! Apri!" Smuovevo il rettangolo di legno sempre più energicamente. "A!" Esclamai ritrovandomi a sbattere violentemente la spalla contro la porta per sfondarla di forza, cosa che avvenne subito dopo le prime tre spinte.

Entrando mi si gelò il sangue nelle vene, non mi sentivo più, accusai del freddo, mi iniziarono a fischiare le orecchie, sentii il timore di poter cadere a terra da un momento all'altro e caddi atterrando pesante sulle mie ginocchia e continuai a guardare. Sbigottito mi avvicinai  a gattoni alla vasca  ricolma d'acqua, che grondava a cascata, giù sul pavimento e guardandola con i miei occhi era ancora più scura di quel che avrebbe dovuto essere ad occhi puliti, ad occhi umani.

La ragazza era adagiata nuda nella vasca, per sentirsi completamente libera aveva deciso di infilarcisi disadorna di ogni cosa. Potevo vedere i suoi seni pieni emergere in superficie insieme alle sue esili ginocchia. Bianca, era così bianca che il contrasto di colore con il rosso del sangue e dei suoi capelli, la rendeva bella; percepii il cuore battere veloce, la desiderai, in modo insano e non me ne vergognai. Le mani che impugnavano schegge di uno specchio rutto grandi quanto una lama di coltello, rimanevano appena immerse nell’acqua. Le sue braccia e polsi poggiavano comodamente sui  bordi di ceramica anch'essa candida e lasciavano calare rigoli di fluido ancora più vermiglio di quello diluito in acqua. Le sue labbra piene erano violacee, pensai immediatamente che si fosse tagliata i polsi addirittura prima che la vasca si riempisse completamente, aveva perso ogni singola goccia di sangue, era svuotata, non c'era più la mia A. E fu un sollievo poter finalmente non vedere più la durata della sua esistenza su questo mondo. Fui felice, perché per la prima volta i miei occhi avevano fallito. In quell’occasione ebbi la visione pulita della sua persona, ma che senso avrebbe avuto se ora non potevo più toccarla, stringerla, averla.

Comparve qualcosa dentro di me, di davvero sadico, che da prima mi spaventò, ma un attimo dopo mi ci avvinghiai. Rimasi colpito di come analizzai quella situazione in maniera scientifica, deducendo come si fosse uccisa. A, aveva ragione, io avevo di Lui quella capacità fredda e che odiai immediatamente, appena la sentii venirmi fuori. Ed è qui che la strana sensazione malata mi diede forza, mi ritrovai a provare piacere, amore per la mia A,  nel vederla così perfetta in tutto quel rosso, amai quel colore che mi condanna da ben diciannove anni; ma io volevo A, viva per me, non morta... non morta come morivano tutti gli altri esseri umani. La rivolevo come nell'abbraccio della settimana prima, la rivolevo viva mentre mi sollecitava ad abbandonare L e tutto quello che ne conseguiva. Così, insieme a quella semplicissima rivalità che avevo nei confronti di L,  nacque anche l'odio per Lui.

Dovevo odiarlo, dovevo farlo anche per A.

Lo odiai! Oh, e lo odio allo stesso modo, con la stessa intensità e rabbia anche adesso.

Se Lui e tutta quella massa di persone senz'anima avevano fatto quella cosa ad A, allora io avrei fatto qualcosa di più grande e potente che avrebbe fatto diventare me, me e non Lui, non una banale copia. Io sono la perfezione, A era la perfezione, Lui è solo una bugia ben elaborata e nascosta; nascosto dietro un vecchio che lo ha considerato fin da subito come suo figlio, al di sopra di tutti i suoi figli alla Wammy’s House! Senza sentimento alcuno, senza emozioni che lo sferzino da quella superiorità e apatia che dà il volta stomaco. Avrei fatto e dato qualsiasi cosa per vedere Lui in quella vasca a morire, umiliato, verme strisciante che non è altro.

In lacrime e rabbiosamente agitato, chiusi tremante i rubinetti e invocai a gran voce il nome e l'aiuto degli stessi carnefici che l’avevano indotta a fare quella cosa.

<< Se solo tu volessi, se lo desiderassi con tutto te stesso, potresti abbandonare tutto. Tu potresti scappare di qui.>> Le parole di A, rimbombarono nella mia testa al ritmo alterato e accelerato del mio cuore.

Ancora inginocchiato, bagnato di sangue ed acqua le parlai tremante “Sì, Anne.. lo farò... lo farò.”

Vennero finalmente a prestare aiuto, Wammy e Roger mi scansarono alzandomi in piedi per le braccia, per tornare poi al corpo spento di A. E mentre il vociare lontano dei curiosi iniziava a farsi sentire fuori dalla stanza di Anne, io mi allontanai da loro indietreggiando, tornando alla vicina libreria per portare via con me quel foglio che poggiai superficialmente  sul tavolo e che da quel momento diventò le memorie della mia A. Dopo che le diedero un soccorso inutile e d'apparenza, le fecero un funerale silenzioso, da persona libera da qualunque legame come  un qualsiasi orfano, ebbe l'estrema unzione di una persona svincolata dalla lettera L e ne fui estremamente felice. E mentre la terra fredda, pesante e  umida di Winchester cadeva sul feretro di Anne, io mi dileguai, sparì come si dissolse Anne; per quel che ne potevano sapere, da quel momento all’orfanotrofio, io potevo essere stato inghiottito nell'oscurità di un caldo Maggio, ma non sarei rimasto per sempre nelle tenebre e posso affermare di aver scoperto che hanno uno straordinario potere curativo, ti aiutano a pensare meglio e ti trasformano.

Bisogna ricordasi sempre che anche i morti tornano a prendersi qualcosa ai vivi ed L lo avrebbe capito,  lo capirà a sue spese.

 

 

 

 

Ciao, ciao a tutti.

Sono contentissima di rifarmi viva.

Il Natale con tutte le sue vacanze è stato pienissimo di cose da fare ed è stato difficile controllarsi dal mangiare. Spero che sia stato un buon Natale anche per voi.

Fortunatamente ho avuto anche un po' di tempo per scrivere questo capitolo.

Ad ogni modo spero non vi sia risultato pesante o noioso, il fatto è che sto portando avanti la mia idea di questa storia, forse anche stravolgendo certi particolari della trama originale ( ma d’altronde questa è una fan fic quindi non c’è da stupirsene XD), di B, di L, di Leonor, adesso pure quella di A e di tutti gli eventi, etc... quindi spero comprendiate, mi piace molto sperimentare e giocare, soprattutto spero non vi stufi questa cosa.

Mi congedo ringraziandovi tantissimo, a voi solo lettori, a chi recensisce, a chi mi segue, a chi mi ricorda, a chi mi preferisce e a chi mi inserisce tra i suoi autori preferiti.

Grazie mille.

Spero di aggiornare il prima possibile, salvo imprevisti dovuti al lavoro, che a volte mi capita tra capo a collo, ma non lamentiamoci. Questi sono periodi difficili e spero di allietarli anche a voi, come la scrittura li allieta a me.

Quindi vi mando un bell’ abbraccio e alla prossima.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** B-16 Amore Sospeso ***


                                                                         
                                                                                                                   Illustrazione di Ron Hicks




 

 

 

Fin da quando ero giovane

sapevo che ti avrei trovato

Ma il nostro amore è una canzone

cantata da un cigno morente.

 

E nella notte

Mi senti chiamare...

E nei tuoi sogni ci vedi cadere.

La caduta.

 

                    

             (traduzione 'Oblivion' di M83 feat Susanne Sundfor)

 

                            

                      Amore Sospeso

 

 

Apprezzai il distacco dagli occhi di B, e dai suoi ricordi, non appena la mia testa si mosse con lentezza verso terra. Il pavimento di moquette verdognola, venne messo a fuoco lentamente sotto il mio sguardo e mi era sembrato di essere stata in uno stato paradossalmente simile alla trance. Il racconto di Beyond mi era passato così bene davanti, che ne apprezzai ogni momento, fatto, movimento con spaventoso realismo; ogni parola sembrò pronunciata dai suoi occhi e non dalla bocca.

Quanto mi bruciò il petto! Un dolore del genere non lo avevo mai provato.

Forse era  a causa di A, forse era per la descrizione del cinico e insensibile L, forse era per la vita che aveva vissuto B in quell'istituto o forse era la personalità di B, stravolta, violentata, violenta, passionalmente vendicativa.

Forse capii che qualcosa si frapponeva tra me e lui, ed era la verità.

Lui sapeva fin dal primo momento in cui ci eravamo incontrato che la verità ci avrebbe separato di netto, proprio come un taglio che non si rimargina e che lascia scorrere l'essenza della vita, senza riuscirla più a contenere. Sapeva che lo avrei visto alla stregua di un nuovo estraneo entrato a far parte della mia monotona vita, sapeva che lo avrei visto da lontano, senza che nulla ci potesse far avvicinare; nessuna circostanza, nessuna variabile. Non saremmo dovuti stare insieme. Beyond Birthday, si era fatto attrarre da una persona normale e lui non voleva che la sua anormalità si ampliasse oltre i confini della singolarità che faceva percepire.

La verità era l'ingombro.

Sì, Leonor... ma gli omicidi, il tuo strangolamento. Te ne sei dimenticata? Erano loro gli allarmi, erano loro la verità, l'anomalia.

Aggrappai saldamente le mie mani alla testa, mi sembrò di cominciare ad impazzire per davvero; avevo bisogno d'aria. Camminai scontrosa verso la finestra, sbattei contro la salda spalla di B, che scansato via rimaneva a guardare le mie reazioni serio, assurdamente premuroso. Facendo scorrere in alto l'anta della finestra, la aprii, socchiusi gli occhi e  inalai tutta l'aria profumata ed innaturale di Los Angeles, tutta quella che i miei polmoni potevano contenere. Attentamente cercai di assimilare qualche parte della mia essenza; espirai e riaprii le palpebre.

Devo ancora ammettere a me stessa, che sono in trappola. B è ancora il mio amore. Anzi lo amo con maggiore forza, rispetto alle precedenti inconcepibili situazioni in cui mi sono trovata. Non c'è spiegazione sono pazza anch'io. Ed anche A forse lo era... anche A lo amava a questo modo? Lo ha fatto per  liberarlo? Si è uccisa per scatenare una reazione a catena in Beyond, permettendogli così di fuggire dalla Wammy's House? Oppure è stata talmente egoista da uccidersi ed abbandonarlo così?

Il gesto di A, è stato amore, egoismo o codardia?

Mi voltai a guardarlo, lì , dietro di me; non mi era mai apparso così accattivante, pulito, sinceramente lui, lo vedevo per com'era. Non vedevo quel qualcuno che tentava di impersonare da tempo... e i suoi occhi... oh, la luce li rese irresistibili, niente sarebbe potuto essere più vermiglio e corposo, decantavano come vino in un calice di cristallo.

Era quel Beyond Birthday ancora sano, quello della Wammy's House e in qualche angolo recondito di lui c'era sempre stato e adesso era lì davanti a me.

Il mio volto iniziò a manifestare quel sentimento d'amore e attrazione con un timido sorriso.

Non puoi e lo sai?

Drasticamente la mia espressione si spense, il bruciore allo sterno si riaccese e s'intensificò.

“Ti amo B, ma sei un mostro...” mi girai di nuovo verso il sole cocente e proseguii “Probabilmente A se ne era accorta da tempo e chissà come la corrodeva il non sapere quello che invece ho visto e vissuto io. Ho sopportato la tua insanità fino a riuscire ad amarla, ma non credo che riuscirei a capirla e a tollerarla per sempre. Come è possibile concepire un futuro con qualcuno che per vendetta, nei confronti di qualcun altro, gli crea un caso dove delle persone innocenti vengono uccise. Che questo è stato troppo, lo avevo inteso da molto, ma ora che so, la mia visione nel complesso fa crollare ogni irrazionale appiglio che mi creavo. Ancora più assurdo è che in questo giorno, oggi, adesso... finalmente riesco a dirtelo senza temere le tue reazioni insane e animalesche. Oggi sei diverso B, sei il Beyond del tuo passato e sono molto innamorata di lui.” Addolcita e benevola mi voltai parzialmente per scrutarlo.

Inaspettatamente venni colta dalla sorpresa, gli vidi estrarre fluidamente, dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni jeans, un pacchetto di sigarette, prenderne una, inumidirsi sensualmente le labbra e portarsela alla bocca. La accese poi con un solitario fiammifero, che era nascosto all'interno della confezione di sigarette. In tutto il tempo che lo avevo conosciuto, non l'avevo mai visto fumare, era la cosa che meno mi sarei aspettata facesse in un momento come quello.

Leonor, quelle persone erano già segnate, l'ho visto. I giorni, i nomi, erano mie. Sarebbero dovute morire comunque.” B, pigramente, in modo rilassato e nel contempo quasi scocciato, fece quell'affermazione come se stesse parlando di qualcosa di scontato e scansò via le mie riflessioni e confessioni. Inalò ed inspirò il fumo della sigaretta, poi la lasciò sullo scrittoio alla sua destra, metà testa del tizzone rimaneva fuori, quasi in bilico, e metà era sulla base d'appoggio.

“Sì, secondo i tuoi occhi, sì. Ma non dovevi essere tu a farlo...” Irritata mi spostai dalla finestra tornando verso di lui. “SE SEI COSI' INTELLIGENTE, SE SEI IL SUO SUCCESSORE O QUEL CHE SIA, AVRESTI POTUTO TROVARE QUALCHE ALTRO MODO PER RIFARTI SU DI LUI!! Così... così...” Dalle urla la mia voce  venne  stroncata e abbassata dalla pena, mentre sbattevo debolmente i pugni sul suo petto “Così avrei potuto amarti senza riserve, senza il timore dell'irrealizzabile con te.”

B, mi prese piano per i polsi e mi guardò in faccia con una strana espressione, paragonabile a quella di chi sapesse cosa gli sarebbe accaduto da un momento all'altro e ne avesse la certezza categorica. “Leo, era l'unico modo. E' l'unico modo. Io dovevo essere il suo caso irrisolvibile, io sono il suo caso irrisolvibile. Ti assicuro che questa è l'unica maniera per renderlo inutile sulla faccia di questa terra.” Concentrato continuava a colare parole negative su L.

“Maledizione, B. L, non può meritare questa tua eccessiva attenzione. Lascia...” Contraendo la mascella lo guardai perplessa mentre avvicinava il suo profilo, sfiorò il suo naso col mio; il respiro divenne agitato “Perché mi fai questo? Lascia.” bisbigliai.

“Perché so che sono abominevole, ma sono anche giusto, faccio il giusto e lo faccio anche per te. Perché tu a differenza di A, non sei stata vigliacca. Hai trovato la forza di avvicinati alla belva senza la paura di essere dilaniata. Ti amo per questo e voglio abbandonati per questo. Non voglio renderti come me.” Chiuse gli occhi che sembrarono diventare lucidi, ma non piansero, e mi baciò.

Assaporai quel momento perché sentivo non ce ne sarebbe stato un altro, staccavo a momenti le mie labbra dalle sue e potevo sentire il respiro mancarmi per la sofferenza, ma colsi quell'attimo per rispondere alla sue parole “Tu non vuoi che io diventi come  A.”

Poi di nuovo il morbido brivido caldo della sua bocca, mi aggrappavo a lui forte fino a fargli male; avrei voluto lasciare le impronte delle mie mani sulla sua t-shirt bianca. Eccolo, il Beyond che amavo; quella fu la dichiarazione della parte sana ed era ambra in confronto alla soffocante confessione d'amore che mi fece la bestia, mentre mi strozzava in un capanno abbandonato.

D'un tratto il distacco improvviso dal bacio, senza alcuna premura, B mi spinse via verso la porta della stanza. Risoluto e a passi ampi andò verso il lato destro del letto, sollevò il lenzuolo che toccava a terra e si cucciò per prendere qualcosa sotto di esso; doveva essere abbastanza pesante perché nella posa in cui era, faceva una leggera fatica per tirarlo fuori. Appena riuscì nel suo intento, lo vidi sollevare una tanica con dentro del liquido dalla consistenza non molto oleosa e poggiarla sulla fine del materasso.

“Che vuoi fare?” Sibilai muovendomi con timore e incuriosita verso di lui, contemporaneamente feci schizzare gli occhi su quella sigaretta che era rimasta appoggiata sullo scrittoio e in quell'istante mi parve più una torcia fiammeggiante. Ogni parte del mio corpo cominciò a mandarmi fitte, sentivo la perdita di qualcosa e l'impotenza del non poter fare niente, il non poterlo fermare qualunque cosa stesse per fare; ma non perdevo comunque la mia tenacia e resistevo a quella sensazione fastidiosa.

“Beh, a meno che tu non voglia aiutarmi a colarmi addosso, e su tutta la stanza, la benzina, cosa che mi aspettavo mi aiutassi a fare, direi che ti conviene andartene...” Mentre B svitava il tappo dalla tanica, alzò lo sguardo su di me in maniera velenosa e accennò una risata sadica, divertita “Oppure sei venuta qui solo per fermarmi, come Lui si aspetta che tu faccia? Perché so che sei venuta qui per questo. So che, anche se mi vuoi, mi stai lanciando e spingendo sulla gogna.”

“No! Non... non lo faccio per Lui! Io non voglio davvero che tu lo faccia. Non voglio che ti succeda niente. Metti giù quella benzina B...” Attenta mi avvicinavo lenta verso di lui, che cominciò a ritrasformarsi nel folle di sempre, nel serial killer BB, colui che non avrebbe mai dato ascolto a nulla e nessuno, né a me, né ad A, né ad L, se non alla sua brama di vendetta, rabbia, odio e sopratutto l'essere l'unico e originale.

“VATTENE!” Quel ruggito uscito sotto forma della sua voce mi scosse, il volto di Beyond era sconvolto, strinse convulsamente le dita sul manicotto di plastica del contenitore, abbassò il capo afflitto e lo rialzò velocemente, poi con voce non del tutto calma, continuando a combattere con sé stesso si rivolse di nuovo a me “Se non vuoi aiutarmi, non puoi restare qui. Tu puoi capirlo Leonor. Tu puoi capirmi, non tentare di fermarmi, sai che non lo farò.”

Beyond...” Incapace e con un nodo alla gola, sentivo il viso andare a fuoco per l'ondata di paura; dondolavo tra la camera e la porta, il mio corpo era invaso da un'iperattività a cui non potevo dare uno scopo ben definito e il cuore mi pulsava forte nella testa. Ero tensione concentrata.

B, torvo, adagiò la tanica a terra, senza guardarmi mi prese per un braccio e mi strattonò fuori dalla stanza. Scaraventata a terra nel corridoio, non ebbi il tempo di rialzarmi e di bloccare la porta che lui stava chiudendo. Incredula per via della situazione che non potevo salvare o aggiustare, osservai l'ultimo spiraglio prima della chiusura definitiva della porta; impotente, con l'occhio purpureo di B che mi guardava impietosito, distrutto, sofferente quanto me.

Lo scatto della chiusura a chiave mi freddò, balzai in piedi e tentai in vano di smuovere il pomello, sbattei i pugni sul legno talmente forte da farmi formicolare le mani.

“TI PREGO, B! APRI! NON LO STO FACENDO PER LUI!” Urlai disperatamente contro la superficie piena della porta. Mi sarei aggrappata a qualsiasi cosa pur di mantenerlo in vita, avrei ripetuto all'infinito la veritiera menzogna del non fare nulla per L, se non per lui. Lo avrei proferito di continuo come un rosario, pur di riuscire a placarlo da ciò che stava per fare, sarei stata disposta anche a vederlo per sempre dietro a delle sbarre, pur di saperlo vivo.

Nel mio continuare a battere energicamente le mani sulla barriera che mi divideva da lui, la mia attenzione venne colpita dall'improvvisa entrata in scena di Weddy, che spalancò la porta d'ingresso dell'appartamento, venne a passo lesto verso di me, mi prese tirandomi e iniziando a trascinarmi via.

“No! No! Weddy, lasciami ti prego! Vuole uccidersi! Ferma!” Dissi agitata e cercando di divincolarmi.

 Weddy, senza guardarmi e attirandomi ancora più forte a sé, mi parlò proseguendo verso l'uscita. “Dobbiamo andarcene di qui, stanno arrivando per arrestarlo. Dobbiamo sparire. Ora!”

Dissuasa dalle parole della donna incominciai ad assecondare i suoi passi iniziando a seguirla, pensai che lo avrebbero fermato per tempo; ciò nonostante non ero del tutto tranquillizzata. Scendemmo velocemente due piani e ci fermammo davanti la porta di un altro anonimo appartamento di quell'infernale stabile. Weddy abbassando gli occhiali da sole mi mostrò i suoi felini occhi smeraldini “Ora io devo risalire a controllare la situazione e anche in fretta. Tu aspetta qui e non muoverti per nessuna ragione.” poi svelta la donna risalì a doppi passi gli scalini e svanì attraversata la prima rampa, mentre io rimanevo in attesa e osservavo convulsamente il di sotto e il di sopra delle scale, in cerca dell'arrivo di quei stramaledetti rinforzi, che però non vedevo arrivare.

“Che sta succeden...” D'un tratto la mia solitaria domanda venne bruscamente interrotta, prima da dei rumori e un terribile trambusto, poi da delle urla strazianti, terrificanti, sembrava che a qualcuno venisse strappato il cuore e sapevo anche di chi fosse. Dietro di me udii l'aprirsi di alcune porte, gli inquilini messi in allarme dal frastuono iniziavano a riversarsi sui piani.

“B...” farneticai quella lettera, alzando la testa di scatto. Guardai in alto e vidi del flebile fumo provenire dai pianerottoli superiori, l'odore nauseante che inondava lentamente l'ambiente mi disgustò; ma questo elemento non mi avrebbe fermato nella salita, lo sapevo per certo, quello che mi teneva incatenata lì sotto erano le sue urla, era il terrore di vedere  il mio B dilaniato dalle fiamme, umiliato dal suo stesso gioco, sciolto dal calore della sua pazzia e ossessione.

Congelata rimanevo a guardare il leggero fumo invadere un po' della mia postazione, respirai tremante, abbassai il capo e vidi salire velocemente le scale Aiber seguito da Abel, con un tempismo assurdo anche Weddy scese, ritrovandoci così riuniti.

Per quanto riguarda me, era come se non ci fossi, scoraggiata, esausta, poggiai le mie mani sulla fredda e ferrea ringhiera. Non riuscivo a piangere o sfogarmi, ero disperata, impaurita, avevo perso il mio amore, a cui mi ero legata irrazionalmente per ben tre mesi, e non lasciavo cadere una sola goccia dai miei occhi.

Weddy prendendo da parte Aiber mi destò di colpo dalla mia apatia “Dobbiamo chiamare il 911.”

“E'... è vivo?” Con un filo di speranza mi avvicinai e mi aggrappai alla donna, che incupendosi, prima si asciugò  del leggero sudore che aveva sulla fronte con il dorso della mano e poi smosse la bionda testa con cenno negativo.

Ebbi i brividi e la rabbia mi salì in corpo, feci cadere seccamente le mani dalle braccia di Weddy, con vergogna non guardai il volto segnato di Abel, vidi solo di sfuggita le sue mani chiuse in stretti pugni, poi iniziai a camminare furiosamente verso la discesa. Me ne andavo arrabbiata con me stessa per aver fallito sotto ogni punto di vista, me ne andavo perché ero stata costantemente manipolata, maltratta senza accorgermene e nonostante questo era stato tutto inutile. Scappavo perché non avrei potuto più abbracciarlo, scappavo perché le lacrime vere, anche se con orgogliosa fatica, iniziavano a scendere.

Basta! Basta, non centro più in questa storia. Sono libera. Sono solo incespicata in un mondo sconosciuto e con leggi tutte sue, che non comprendo e che forse non comprenderò mai.

Prima di congedarmi del tutto e in quel mio modo scostante, mi voltai verso  le figure dietro di me e mi rivolsi solo a Weddy e ad Aiber. “Non voglio sentirlo, non voglio che mi chiami. Non voglio sapere altro, non  voglio sapere niente. Lasciatemi solo in pace.”

Scesi di corsa le scale e sentii poi dei passi dietro di me, era Abel che preoccupato si era precipitato per  raggiungermi. Lo guardai, ma non gli dissi nulla, lasciai che mi seguisse, che mi accompagnasse lontano da quell'orribile complesso condominiale numero 061550.

Nonostante seguissimo la via del marciapiede, che si allontanava pian piano dai palazzi, io ne continuavo a sentire l'ombra dietro la schiena.

Prendemmo il primo autobus che faceva fermata a Beverly Hills e per tutto il viaggio non proferii parola, guardavo fuori dal finestrino mentre la luce solare mi accecava e infastidiva; mi soffermai a notare che io mi sentivo totalmente immersa nella notte. Per me quel viaggio era in modalità notturna, perfino, e in maniera allucinatoria, l'ambiente circostante: il corridoio dell'autobus con le lampade accese, i passeggeri nella semi oscurità, il mondo esterno con i luminosi lampioni e le luci delle auto che ci passavano accanto; preferii immaginare che fosse un'ora tarda della sera, come d'inverno in certe parti del mondo. Volevo la fine prematura di quel giorno, la mia casa, un luogo dove potevo arricciarmi su me stessa e restarci. Abel, mi rimaneva vicino, rispettava il mio silenzio e percependolo con la coda dell'occhio notai che di tanto in tanto giocherellava con i lacci del cappuccio della sua casacca blu; ma fui io a rompere la nostra quiete, ancora rivolta verso il vetro parlai flebile “Abel, so che non mi perdonerai mai. Voglio comunque chiederti perdono, hai tutto il diritto di odiarmi, tutto. Non sai quante volte ho pensato questo, mentre mi consumavo di rimorso.”

Percepii il ragazzo accanto a me avvicinarsi e avvolgermi un braccio intorno alle spalle. Voltandomi vidi il suo viso rassicurante che sorridendo accorciò il segno che aveva sul labbro. “Io non ti ho mai odiata, Leonor. Perché sei stata vittima quanto me di tutto questo. Ti ho voluta sempre aiutare. Beh, per come ho potuto aiutarti, nei miei limiti di normalissimo ragazzo e familiare di una vittima. Sai, avevo intuito che la tipa, Weddy e il tipo, Aiber, non erano comuni sbirri, che c'era qualcosa sotto. Mi spiace solo di non aver potuto far molto, tutto qui. E adesso, dato che siamo in due ad avere questo stesso peso e segreto, direi che possiamo capirci e sostenerci a vicenda, no?” Poi si rabbuiò, ma per poco, perché con una leggera aria soddisfatta finì proseguendo “Oggi però posso gioire soltanto io. Mi dispiace per questo, Leonor.”

Abbattuta da quelle parole, sentendomi profondamente e infinitamente in colpa, poggiai le mani e la testa sullo schienale del sedile davanti a me e mentre la mano rovente di Abel, poggiata sulle mie spalle, mi consolava e mi faceva percepire ancor di più la sensazione di perdita e sconfitta, mi abbandonai ai primi sussulti del mio silenzioso, nascosto pianto.

 

Finalmente rincasai.

Abel si sentì sollevato solo dopo avermi riaccompagnata sino alla soglia di casa e mi salutò con un gesto saldo della mano, andandosene parlò con solennità e attenzione “Ti chiamerò molto spesso per sapere come stai, quindi non spegnere il cellulare. Ti prometto che non  parlerò mai più di questa storia, lo giuro. Quindi cerca di riprenderti.”

Annuendo e sola,  mi trascinai nella casa silenziosa di mio padre, invasa dall'irritante luce delle undici del mattino. Non mi riconoscevo più, stavo odiando il sole, la cosa che più al mondo mi dava gioia, serenità e calore all'anima. Dopo aver passato quelle devastanti due ore del mattino, a sgretolare e punire me stessa e B, sentii che in quel momento stavo vivendo un crepuscolo interiore.

Io non ero mai stata così, quale parte di me si era incrinata?

Non avendo nulla da fare e non avendo voglia di far nulla, andai nella mia camera, sfidai quella mia insolita avversione al sole e ne lasciai le tende spalancate; mi trascinai sul letto e mi accoccolai seduta tra parete e materasso, rimanendo e costringendomi ad osservare tutti i cambiamenti della luce solare che si spostava, ora, per ora sul pavimento della mia stanza. Non saprei definire per quanto tempo rimasi in quello stato, so solo che mi ritrovai addormentata e in seguito, nonostante mi stessi risvegliando, rimanevo con gli occhi serrati udendo le tiepide voci che mi arrivavano dal soggiorno.

“Ottimo lavoro agente Wilson, la ringrazio per l'aiuto e mi scuso per lo scomodo. Adesso che questa storia e il caso è risolto, mi sento molto più tranquillo. Ci si vede in centrale.” Poi la porta di casa che si chiuse.

Papà, stavi parlando con Weddy? E' venuta a togliere quelle scomodissime cimici e a completare il teatrino per coprirmi fino alla fine e poi se ne è andata. Se ne è andato anche lui... devo risollevarmi o capiranno... devo risollevarmi.

In quel momento però riuscivo solo a tenere gli occhi chiusi, volevo rimanere al buio ancora un po', ancora un po', perché il giorno seguente avrei dovuto alzarmi e interpretare me stessa.

 

Una settimana esatta dopo la risoluzione del 'Los Angeles BB Murder Cases', io e mia madre potemmo tornare nell'accogliente casa nel nostro Brentwood e nonostante fosse il posto in cui era nata e cresciuta quella mia travagliata e maledetta storia, fu il luogo dove più trovai consolazione e che mi permise di rientrare in possesso di me stessa. Mia madre mi fu molto vicina e attribuì quel mio strano stato d'animo, tra la serenità e l'apatia, e che a volte sfiorava quasi un bizzarro tentativo di trascendenza, come qualcosa di ricollegato alla lite avuta con papà tempo prima. Era convinta che non lo avessi del tutto perdonato. La verità è che dopo quegli eventi, lo amai ancora di più e non lo avrei più trascurato come facevo un tempo, gli sarei stata il più vicina possibile.

Con una settimana di ritardo, finalmente tornò dall'Europa la mia Jesse. Ricordo ancora quando scesa dall'auto dei suoi, con le sue lunghe dorate ciocche al vento trattenute da un cerchietto rosa in plastica, corse verso di me, che ero intenta a piantare delle fragole su un fazzolettino di terra che avevamo proprio sotto la finestra della mia stanza e che avevo recintato con un mini steccato bianchissimo; così quando sarebbero nati i frutti il loro rossore sarebbe spiccato ancora di più. Quel giorno dei primi di Settembre con me c'era anche Abel che mi stava aiutando e quando notò l'arrivo entusiastico di Jesse, ne rimase incantato. Per tutto il tempo in cui io e la mia amica ci scambiavamo gesti d'affetto e esclamazioni di gioia, lui rimaneva lì impalato ad osservarla. Dovetti presentarli io perché altrimenti saremmo rimasti lì imbambolati tutti e tre come statue. Ovviamente a Jesse raccontai che Abel era il fratello di una mia vecchia amica che si era trasferita a New York e lui si era avvicinato alla mia famiglia per non rimanere solo lì a Los Angeles. Jesse dal suo canto fu cordiale e gentile con lui, sembrò perfino non far caso alla deturpazione che segnava il bel volto di Abel. In assoluto quella fu la giornata più bella e placida che io avessi passato in tutta la mia vita, dopo molto, moltissimo tempo. Risi a crepa pelle con i racconti del viaggio di Jesse e Abel cominciò a rilassarsi, non rimaneva più impacciato, né con me, né con lei. Constatai che la mia brillante Jesse era diventata ancora più spigliata dopo la sua avventura europea, mi coinvolgeva nella sua chiacchiera più che mai, non so se questo fosse anche frutto della sua mancanza, poi però arrivò un intoppo. “Allora, Leo? Com'è finita poi con quel ragazzo della consegna delle pizze?” Jesse, con un sorriso radioso, dopo nemmeno due settimane dall'accaduto, fece riemergere quella puntigliosa questione, che non si era ancora sanata e chissà, probabilmente, non si sarebbe mai riparata.

Presa in contropiede evitai i suoi occhi turchesi bofonchiando “Credo che non si farà più rivedere.”

“Accidenti, Leo. A me tempo fa, quando ti chiesi di uscire, avevi detto che la pizza non ti piaceva poi molto.” Abel, con uno scherzoso broncio che lo rese adorabilmente dolce, deviò il discorso ed io ovviamente lo assecondai.

“Sì, ma non mi piace mangiarla solo con te.” Con quell'uscita fui in grado di far morire dalle risate entrambi, quasi certamente dovevo aver avuto una strana faccia mentre dicevo quella battuta, ma sentivo una sola, certa, espressione facciale in quel momento; ed era  una specie di smorfia simile ad una risata, mentre sentivo l'amarezza crescermi dentro ad ondate.

Quella mattinata passò veloce grazie a quella visita provvidenziale dei miei due amici, che all'ora di pranzo si congedarono,  una per impegni da rientro in terra statunitense e l'altro per il proprio lavoro.

Rimasi di nuovo da sola, ma fortunatamente la mamma dopo il gran casino del caso BB, iniziò a rimanere di più a casa, per lo meno a pranzo e per cena.

Quel giorno, dopo aver pranzato, decisi di salire in camera per mettere ordine nei vari cassetti e armadio, avevo trascurato per molto quella mansione, a causa del soggiorno forzato nell’appartamento di mio padre. Fu davvero una gran pena ritrovare nell'ultimo tiretto della mia cassettiera, quella maglia bianca che B mi aveva ordinato di tenere lì per ogni evenienza.

Già, per cambiarsi nel caso la prima si fosse macchiata irrimediabilmente di sangue, vero? Per fortuna non è mai accaduta una cosa del genere, a parte un cambio per un banale temporale.

“B, Beyond. Mi dispiace così tanto.” Intristita presi la t-shirt e la accostai al mio viso, chiusi gli occhi, inalai l'odore del sapone e rividi i suoi occhi su di me.

“Leo!” Di colpo venni risvegliata dal chiamarmi di mia madre dal piano di sotto.

Mi rialzai dal pavimento su cui mi ero inginocchiata e con flemma mi diressi verso le scale per iniziare a scenderle. “Mamma, quante volte ti ho detto di...”

Non saprei descrivere come rimasi, ero statica, immobile, di granito; i miei occhi erano proiettati davanti alla figura che si trovava davanti alla porta di casa spalancata. Non ho mai creduto molto all'esistenza dei fantasmi, ma in quell'occasione per me fu come vederne uno.

Era un ragazzo alto, slanciato, molto atletico, anche se ripiegato un po' su se stesso, quasi come un vecchio; e poi quella dannata maglia candida che non si distingueva dalla tonalità della sua pelle.

Sì, dev'essere un fantasma...

I jeans di quel blu slavato e larghi. Capelli senza un senso, scuri come la notte e come  lo erano anche i suoi occhi, vere violacee occhiaie segnavano il contorno delle palpebre inferiori; lo sguardo nel complesso appariva un po' assonnato e nascondeva qualcosa che lui poteva ridestare a comando. Fu come contemplare l'opera originale di un quadro falso, era così diverso da...

“Ah, Leo, che ti prende non vieni a salutare il tuo amico Beyond?” Guardai sorpresa la mamma come se avesse appena insultato qualcuno, ma non saprei bene dire chi; non si era accorta di nulla, lo aveva scambiato per B e con la sua solita cortesia lo invitava ad entrare.

“Signora Summers, può chiamarmi Ryuzaki se vuole. Beyond è un mio vecchio nomignolo.” Il ragazzo fantasma si rivolse a mia madre con una voce ruffiana e molto educatamente, per poi portare i suoi occhi rianimati su di me ancora ferma al piano di sopra.

Scesi gli scalini con calma e gli parlai “ Non mi avevi mai detto che ti chiamassi così?”

“Beh, tendo a cambiare spesso il luogo in cui vivo, così decido di farmi chiamare in altro modo. Sai, la questione dell'affezionarsi troppo.” Ryuzaki con un sorrisetto falso mi prese in giro con quella risposta, sembrava comunque avesse un fondo di verità mentre lo diceva.

“Questa è la risposta più scema che abbia mai sentito.” Sorridendo lo presi in giro a mia volta. Molto probabilmente avrei dovuto odiarlo, ma la sensazione che mi rimandò non era negativa come mi aspettavo, mi piaceva. Seppur così diverso da B, lui aveva un'aura diversa, oscura e benefica insieme, al contrario di B era una persona che sapeva bene come porsi.

Mentre mia madre si sbellicava dalla risate, per quella strana scena comica che si era venuta a creare tra me e quel Ryuzaki, ne approfittai per dirle che ci saremmo andati a fare una passeggiata fuori.

Il ragazzo che diceva di chiamarsi Ryuzaki, mi seguì strascicando le sue logore e vecchie scarpe da tennis, poi sul marciapiede mi fermai e mi voltai ad osservarlo.

“Così è te che imitava?” Dissi decisa.

Vidi il suo sguardo affilarsi e diventare guardingo, ma con una smorfia beffarda sollevò da un lato un sorriso sfacciato. Ne rimasi colpita, chissà se quella facciata buffa era realmente lui o se lui fosse davvero così, punto. “Leonor, non parliamo qui, si può parlare in un posto dove non ci siano orecchie e sguardi indiscreti?”

Distogliendo gli occhi da Ryuzaki, scoprii la signora Rolland che fingeva di raccogliere qualcosa davanti l’aiuola del suo vialetto.

“Sì, c'è un parco qui vicino casa, sempre poco trafficato dopo l'ora di pranzo. Andiamo lì e poi oggi siamo fortunati c'è molto poco del sole della California. E' nuvolo, forse pioverà.” Svelta cominciai a dirigermi verso il luogo stabilito.

Ad un certo punto, mentre facevamo il nostro percorso, notai che una lussuosa auto nera ci stava seguendo a passo d'uomo sul marciapiede opposto al nostro.

“Cos'è hai le guardie del corpo? Sarò anche stata con lui, ma non vuol dire che non ti sopporto al punto di scomodare Weddy o Aiber.” Sarcasticamente feci capire a Ryuzaki che mi ero accorta della sorveglianza.

“Lo so che non mi faresti nulla, anche perché sei pur sempre una ragazza, è semplicemente  il mio autista e sinceramente per oggi direi che ho avuto la mia dose di scontri corpo a corpo*.” Un po' imbronciato il ragazzo farfugliò l'ultima parte di frase con un leggero imbarazzo.

Non capendo cosa intendesse quell'affermazione finale, sorvolai e continuai a passeggiare con lui.

“Ecco, siamo arrivati.” Aprendo la piccola cancellata d'ingresso del parco, di grigissimo ferro battuto, feci strada a Ryuzaki e ci sedemmo alla prima panchina isolata che trovammo. Mentre sedevo sulla sua spalliera della panca, percepii che il legno era ancora intiepidito dopo il precedente passaggio dei deboli raggi di sole; nel frattempo anche Ryuzaki mollò le scarpe a terra per rimanere scalzo e si accomodò vicino a me rannicchiandosi sulla parte corretta per sedersi. Quei suoi gesti non mi apparvero nuovi e non me ne meravigliai affatto, mi limitai a guardarlo come se fosse abitudine, ma non potevo negare a me stessa che gli appartenevano essenzialmente.

“Lo faceva anche lui,vero?” Il ragazzo guardando avanti parlò atono.

“Tu sei L, vero?” Presa da una strana intenzione di sfida, risposi alla sua domanda con una domanda.

Ryuzaki poggiò le braccia incrociandole sulle sue ginocchia ed annuì lentamente.

“Sei la solita sagace, Leonor. Non lasci scappare niente, vuoi le tue risposte alle tue domande, sempre...” voltandosi verso di me mi guardò in maniera insistente, forse pensava di mettermi in soggezione? “...E lui? Te ne ha date di risposte? Se non sbaglio ti dissi che non saresti riuscita a capirlo.” concluse con voce roca.

“Sì, le sue verità le ho avute. Forse adesso so troppo, anche su di te, ma vedi non è la storia dell'istituto che mi ha messo tristezza o paura, o buttato addosso sensazioni simili alla pietà. E' importante che delle anime disperse abbiano un luogo che possano chiamare casa; quello che mi agghiaccia è che alcune di quelle anime prescelte, debbano essere intrappolate nel tuo nome. Questo è crudele. Certo, Beyond aveva l'aggravante di quegli occhi stranissimi, che non hanno nessuna origine  umana... ma A, lei... lei era una ragazza e lo amava, ci sono cose che non può controllare nemmeno il tuo nome e nemmeno tu potrai essere così per sempre...” di scatto L portò gli occhi sul bianco delle sue maniche ed io continuai “...arriverà qualcosa che ti farà cambiare idea. Il tempo passa, tutto cambia, tu per primo potresti cambiare. B, è stato questo per me, mi ha fatto capire che quando si vuole qualcuno intensamente, dovranno esserci sempre dei presupposti, altrimenti è un perpetrare una penitenza senza fine. Non è sacrificio, ma annientamento e io c'ero quasi vicina. O forse ci sono dentro fino al collo.” Una leggera brezza che portava con sé l'odore fresco della  pioggia,  smosse i miei capelli ondulati, ma non li ricomposi, li lasciai fluttuare nell'aria, mentre L vicino a me rifletteva muto.

“Sai, molte cose sono cambiate 'nell'istituto', da quando A si suicidò e B scomparve. Ora diciamo che le regole si sono ammorbidite, sono cambiate. C'è anche da dire che per ereditare il mio titolo, ci vuole una certa dose di fegato. Probabilmente né A e né B, ne avevano.” Con una specie di fare distaccato e rinfilandosi le scarpe consumate, L si alzò in piedi e mise la mani nelle larghe tasche dei jeans, volgendomi le spalle.

Una vena d'irritazione mi portò a sbottare “Dio santo! Ti senti mentre parli? Anche nelle tue telefonate sentivo questa tua mancanza di tatto hai limiti dell'aridità emotiva. E' vero, non avranno avuto fegato per prendersi il tuo titolo, ma hanno vissuto. Si sono esposti alla morte per qualcosa di vero, intenso, indelebile, come l'amore. Certo, ognuno di loro aveva la propria folle soggettiva credenza in questo sentimento e si sono anche fatti mal influenzare dalle loro debolezze e forze, ma hanno agito, si sono scoperti. Tu saresti in grado di farlo?” Turbata dai nervi stavo respirando agitata “Aveva ragione B, tu dal tuo angolo nascosto, comandi, manovri, muovi le forze della giustizia, ma ti sei chiesto che cosa sei oltre a questo? Hai un cuore? Ho possiedi solo il tuo bel cervello che ti consente di fare tutto tranne che lasciarti andare?” Stizzita scesi della panchina e mi incamminai verso la riva del  laghetto artificiale che si trovava a pochi metri  da dove eravamo seduti.

Non sentendolo più, pensai se ne fosse andato al diavolo, invece lo sentii arrivare trascinando il suo flemmatico passo sull'erba.

“Cos’altro vuoi? Perché sei venuto qui? Vuoi sapere se ti odio? Cosa può importare una cosa così a uno come te?” Ero furiosa e con lui non ci tenevo a nasconderlo.

“Volevo conoscere  la persona che ha scelto B, volevo sapere cosa avevi di così interessante.  Al telefono non amo parlarci molto...” con una sotto specie di tono gentile sembrò voler continuare, ma rimase zitto.

“Certo che sei proprio stupido.” Dissi ancora imbronciata e prendendomi ancora una volta  gioco di Lui.

“Se la prima persona che me lo dice.” Voltandomi sorpresi il volto di L in un'espressione incuriosita e sorrisi in maniera forte.

“Sei umano, certo che lo sei e se può consolarti anch'io brucerei il mio telefono...” intenerita mi avvicinai a Lui e proseguii “Il concetto di stupidità ha uno spettro molto ampio, anche se non sembra, ma questo tu lo saprai anche meglio di me. Le persone si fanno passare davanti vite, possibilità, in nome di qualcosa e per valori che ritengono più importanti delle esistenze altrui. E' in questo la vera stupidità. L...” dissi il suo nome quasi sotto voce “Non sono qui a giudicare cosa sia giusto e cosa non, ma sai che c'è altro oltre te, la successione e quello che fai e che devi continuare a fare.” Sorridendo abbassai il capo “E tra l'altro se mio padre sapesse che ho collaborato con il detective del secolo, sarebbe eroso dall'invidia. Ad ogni modo, io non ti odio, forse te lo saresti aspettato e meritato, dopo tutto quello che è successo e dopo la morte di B. Invece io trovo che tu sia una brava persona, proprio come mi disse Weddy, maldestra sotto alcuni punti di vista, da quello che ho potuto constatare vedendoti, ma puoi andare fiero di essere te stesso. Guarda B, il mio B, si è logorato per diventare migliore di te e non ci è riuscito, ma questo non vuol dire che sei una figura negativa. L, il punto è che solo tu puoi essere quello che sei. Chi verrà dopo di te dovrà nascere sotto la tua stessa stella oppure sarà dannato come B.”

“Sei molto buona, Leonor.” Con un tono amareggiato e facendomi intendere che mi sbagliavo sul suo conto, L abbassò gli occhi cerchiati di nero per fissarsi le punte delle scarpe.

“Smettila, hai l'aria di uno che vuole avere sempre ragione. Sì, l'avrai avuta e ce l'avrai , ma ce l'ho anch'io.” Piano gli presi le braccia e Lui sussultò, fissandomi e sgranando gli occhi come un gufo; il mio contatto lo prese in contropiede.

“Sei davvero temeraria.” Stranamente interessato, teneva le braccia protratte di poco in avanti, quasi le avesse gessate entrambe.

“Mai quanto te che sei venuto qui solo per incontrarmi.” ridendo lasciai la presa e mi riavviai verso la riva. C'era una strana chimica tra me e L, era come stare con la persona più simile e più diversa di te a questo mondo, ed era bellissimo, completo.

Tornando seria domandai “Ti prego non dirmi che hai fatto tutto questo solo per te stesso? Non dirmi che mi hai fatto patire queste pene per niente. Dimmi che avevi uno scopo più importante oltre a riportare il 'figliol prodigo' a casa.” Eccolo di nuovo l'amaro in bocca e la mia subdola, nascosta, ostilità nei suoi confronti, cercavo qualcosa che riscattasse L ai miei occhi, qualcosa che mi dimostrasse, che le parole che gli avevo proferito poc'anzi le avessi sentite davvero, che non ero stata buttata in quell'occhio del ciclone invano.

Leonor, hai mai pianto per lui fino ad ora? Io conosco qualcuno che per amore lo fa molto spesso. Io ti ho portato via quello che amavi di più al mondo. Sono stato crudele e tu mi giustifichi, mi perdoni, ti infliggi punizioni e penitenze.” L alle mie spalle parlò fermo e seriamente interessato a quello che avrei risposto.

“Non posso piangere...” La mia voce ferma cominciò a tremare “non posso essere così egoista; né con i miei genitori, né con le vittime che ha ucciso, né con gli altri miei affetti che ne sono stati coinvolti. Se lo faccio, è una terribile trasgressione, cerco di farlo sopratutto quando sono sola e nessuno può vedermi, quando nella mia stanza entra la notte, quando non lo vedo più intrufolarsi in camera mia dalla finestra, quando so che non potrò più toccarlo e vederlo.” L, aveva fatto pressione su un punto, quel preciso punto, che iniziò a farmi scorrere quelle lacrime. Non mi voltai a guardarlo mentre stava iniziando a  muoversi per andare via e per un istante si fermò, molto probabilmente dalla mia risposta dipendeva quella sua ultima asserzione.

“Lui è vivo, ma non ti dirò dove sia e so per certo che non vorrebbe essere visto da te nelle condizioni in cui si trova. Sì, ti ho fatto mentire riguardo la sua morte, perché ero convinto sarebbe stato meglio che lo avessi creduto morto per un certo periodo di tempo. Ma dopo quello che mi hai detto, trovo sarebbe profondamente ingiusto farti sentire in colpa. Le colpe sono solo di Beyond Birthday, Leonor. E devo ammetterlo, mi ero sbagliato, sei riuscita a capirlo e hai anche scoperto che non ho fatto tutto questo soltanto per me. Lui oltre ad aver minacciato la sicurezza del mio nome, la mia stessa vita, l'equilibrio stesso della Wammy's House, dei suoi orfani e del mondo, ha anche calpestato qualcosa a cui tengo molto e la stava inaridendo, la stava facendo morire di paura.” Proseguivo a non girarmi per vederlo, ma sapevo di avere i suoi occhi puntati sulla mia schiena “Sai Leonor, mi piacerebbe rincontrarti sulla mia strada. Mi piacciono molto le persone come te, a presto.”

Quanto suonò triste quel suo 'a presto'. L, che mi aveva fatto credere di essere un accanito insensibile, mi fece cambiare idea. Su questo B si era sbagliato in maniera a dir poco vergognosa.

Attesi che si fosse allontanato per non farmi vedere debole e vulnerabile, poi mi volsi a guardarlo andar via verso il cancello, dove lo attendeva un distinto vecchio signore in smoking. Aveva vinto Lui quel sadico gioco e spariva, avanzava e camminava, come qualcuno che era stato bastonato pesantemente sul dorso fino a farglielo curvare. Nel vederlo andare via avevo la certezza matematica che forse non l'avrei rivisto mai più e immaginai che quel ragazzo dai capelli scurissimi, maglia bianca e jeans, fosse il mio B, che mi stava lasciando per sempre come mi aveva detto, ma che lo stesse facendo nella maniera più normale e nostalgica possibile. Già... come ci si aspetta di leggere in un qualsiasi romanzo in cui gli amanti che non possono stare insieme, devono affrontare forzatamente un sadico addio e non certo il mio rocambolesco e umiliante commiato.

 

 

Sbagli di valutazione, io ne ho fatti, A ne aveva fatti, B ne aveva fatti.

Immagino che tutti e tre dal nostro canto ci sentissimo convinti delle nostre certezze.

E' un classico, mentre si sbaglia c'è la dannata percentuale di sicurezza e auto convincimento, che fa perdere totalmente la bussola del giusto.

Io ho sbagliato ad anteporre il mio amore su tutto e ne ho subito tutti i maltrattamenti che poteva subire un cuore innamorato.

A, ha sbagliato gettando via la sua vita senza tentare di colmare il suo vuoto con l'amore per B.

Beyond, ha sbagliato a credere nella sua ossessione mancando l'occasione di diventare migliore, anche più di L; si è sporcato di sangue in maniera insensata e irreparabile.

Ed L, beh... malgrado quella sua ammissione, non ha sbagliato poi molto o meglio, ha solo sottovalutato la natura umana, l'imprevedibilità degli individui o forse solo la mia. Da egoista ha perseguito il suo obiettivo, ha usato le persone per catturare B senza affrontarlo faccia a faccia. A volte  non bastano i profili psicologici per capire gli esseri che abbiamo attorno, ci vuole dell'altro. L, dovrebbe impiegare i suoi metodi investigativi anche sui sentimenti altrui e forse un giorno si avvicinerà a qualcosa che lo renderà totalmente perfetto.

Dopo questa storia, ora, analizzando a sangue freddo la mia personalità, posso dire che ho una parte di tutti i personaggi di ciò che vi ho narrato.

Ho la pazzia che mi ha accomunato a Beyond Birthday, ho una strana componente dolce e ribelle che mi rende simile ad A, ho quella componente menzognera e arguta che mi rende simile ad L, ho l'incoscienza e impulsività di Dawson White, ho la sensibilità di Rose Summers, ho la capacità di dare tanto affetto di Jesse Knowles, ho l'attrazione sfrenata per il muovermi in situazioni poco tranquille e il ficcanasare, come Weddy, ho la rabbia e la quiete che smuovono l'animo di Abel.

Ma solo io posseggo il dono e la caratteristica del sacrificio. Ho sacrificato la mia vita, ho sacrificato il mio primo vero ed eterno amore, sopportandone tutt'ora le conseguenze, ho immolato per sempre la mia innocenza nel modo meno consono di come farebbe una persona normale. La verità è che io ho sempre voluto e cercato la diversità, se anche un giorno mi andasse bene con un Richard Hill, oppure un Abel, col quale non ho mai approfondito l'aspetto di una vera e propria relazione, perché io ero comunque stata la metà di B, ero infetta, probabilmente auspicherei sempre per qualcosa fuori dalle righe e dai canoni. Ho provato sulla pelle cos'è un amore sospeso e ne posso solo concludere, che anche se l'ho apprezzato nel senso più stretto e anche se ho cambiato idea un po' più negativamente su questo concetto, continuo comunque a trovarlo irresistibile.

Proprio come è successo con B, lui era sbagliato, io lo volevo. Voglio confortare e amare, chi potrebbe non essere mai amato, amarlo perché è diverso e per questo vulnerabile.

Perfino adesso, dopo due anni che il mio Beyond Birthday è davvero morto, la scia dell'amore che provo per lui è persistente.

Se t'innamori di Beyond Birthday, non c'è niente di paragonabile al mondo dopo di lui.

 

 

 

                                                                    Fine

 

 

 

 

* Per chi non ha letto il libro Another Note: The Los Angeles BB Murder Case’, qui mi riferisco all’incontro di L con Naomi Misora, dove poverino prende un bel calcione dalla Misora.

 

 

Eccomi qua dopo mesi di assenza, e me ne scuso profondamente, ma tra il lavoro con il disegno, preparativi per celebrazioni, vedi imminente matrimonio della sorellina, ho un po' subito la crisi d'astinenza da scrittura ( e spero non si sia visto vergognosamente, e se sì, chiedo scusa e perdono).

Ad ogni modo, spero tanto che questo ultimo capitolo sia stato di vostro gradimento (ma dubito, credo sia un disastro letterario, ahahahah). Vi dico solo che avrò nostalgia di questa storia, forse molto più della mia prima fan fiction 'SunShine' ( di cui, se avrete notato e se avrete letto la storia, ho inserito alcuni accenni nelle battute finali di L, che si riferisce a Belle), mentre ultimavo questo capitolo ho avuto la lacrima facile ed ero davvero dispiaciuta. Perché alla fine ho voluto bene alla mia versione di  B,  di L (ma il mio amore con lui è sconfinato, ahahah),  di Weddy,  di Aiber ( con il suo special guest ahahaha) e poi ancora più amore  ai miei personaggi originali, alla mia Leonor, alla mia Jesse, alla  mia Rose, al mio Dawson, al mio Abel e infine alla mia Molly, ispirata da una vera gattina di miei amici, che si chiama per davvero così.

Lascio a voi il giudizio su questa storia, ma il mio unico obiettivo, come sempre, era quello di divertirvi ed emozionarvi, come l'ho fatto io mentre la scrivevo, sopratutto il mio l'intento è quello di migliorarmi sotto il punto di vista della scrittura, ma so che ho ancora molto da imparare.

Penso di rifarmi viva presto con qualche altra storia, perché come ho detto prima, non posso stare senza scribacchiare qualcosa.

Quindi vi saluto tanto e vi ringrazio per aver seguito fino alla fine questa storia.

Avete e avrete sempre tutto il mio affetto.

 

Baci baci Claire Piece

 

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