50 per cento

di kianeko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io, lui e... la sbornia (1) ***
Capitolo 2: *** Io, lui e... la sbornia (2) ***
Capitolo 3: *** Un allenamento da schifo ***
Capitolo 4: *** E convivenza sia ***
Capitolo 5: *** Un’altra idea geniale ***
Capitolo 6: *** Semplice, psicologia! ***
Capitolo 7: *** Inizio della terapia ***
Capitolo 8: *** Come a scuola ***
Capitolo 9: *** Shanghai ***
Capitolo 10: *** Il ring ***
Capitolo 11: *** Fare l'amore ***
Capitolo 12: *** Disagio ***
Capitolo 13: *** Solo, soli ***
Capitolo 14: *** Film, alcol e chiacchiere ***
Capitolo 15: *** Potete ancora scegliere ***
Capitolo 16: *** Ho una cotta per te! ***
Capitolo 17: *** Sii sincero ***
Capitolo 18: *** Tornare come prima ***
Capitolo 19: *** Proviamoci ***
Capitolo 20: *** Non siamo amici ***
Capitolo 21: *** 50 per cento ***



Capitolo 1
*** Io, lui e... la sbornia (1) ***


Note: Primo esperimento di questo tipo! Chiedo venia!
Spero solo di non diventare prolissa con questa ff! ^_^
Odio dare i titoli ai capitoli (fosse per me darei solo numeri), quindi chiedo scusa!


Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto.
Dalla tapparella semi abbassata filtrava flebile il sole della nuova giornata che stava nascendo.
Non aveva molta voglia di chiedersi come sarebbe stata, voleva solo non rendersi conto troppo in fretta che quella era una nuova giornata.
Ultimamente le sue nuove giornate gli riservavano solo cose poco piacevoli.
Per cominciare quella mattina lo attendeva l’allenamento e non ne aveva proprio voglia.
Si era ritrovato più volte a pensare con disprezzo ai compagni in campo, come se fossero troppo felici per stare insieme a lui.
Era stanco e spossato, le vicende dell’ultimo periodo non erano state di certo favorevoli.
Prima suo padre che lo voleva assolutamente in patria, poi sua madre che dava man forte al marito.
Dopo che quei due idioti dei suoi fratelli si erano defilati alla grande dalle responsabilità, era rimasto solo lui a cui affidarsi.
Se non fosse stato per quella convocazione, non avrebbe mai messo piede fuori dalla Germania.
Quella terra fredda, come il suo clima, era ormai la sua casa. Gli piaceva sapere che lì era un semplice giocatore e non il figlio di suo padre.
Si trovava lì e si chiedeva come ci fosse finito. Non ricordava molto della notte prima a parte che erano finiti in quel posto.
Non il bar dove era abituato ad andare tutto lusso e mondanità, sembrava più un incrocio tra un locale per motociclisti ed un fight club.
Non era neanche certo che fosse un locale in fondo.
Sedie e tavoli messi alla rinfusa, musica per lo più metal e hard rock, tanto fumo di sigarette nell’aria e dulcis in fundo di cameriere nemmeno l’ombra.
Si girò a guardare il dispaly della radiosveglia e non si stupì poi molto dell’ora.
Aveva preso da tempo l’abitudine di svegliarsi presto e oramai lo faceva ancora prima che quell’aggeggio suonasse. La cosa non gli pesava affatto ma alcune volte lo trovava piuttosto fastidioso.
Aveva un pessimo sapore in bocca, la saliva impastata e per giunta una sete pazzesca, insomma i classici postumi di una sbronza.
Proprio quello che ci voleva in quel momento, se solo non fosse stato in ritiro.
Erano giorni che pensava che se avesse bevuto poi sarebbe stato meglio, solo che ora stava da schifo.
Il suo intento all’inizio era quello di scacciare via i pensieri, ma in fondo bere di più non gli era affatto dispiaciuto.
In mezzo al buonismo dei suoi compagni si sentiva una nota stonata e bere gli era sembrato un modo sufficientemente carino per farsi odiare.
Si portò un braccio sotto la nuca e si mise a pensare.
Com’era arrivato in camera da solo in quello stato?
La sua idea di fare la figura del coglione era sfumata.
Il Sig. Mikami non sarebbe andato su tutte le furie e quindi non sarebbe stato cacciato.
“Peccato!” pensò stizzito.
La testa tamburellava forte, e quell’insistente desiderio di ricordare non era certo una cosa piacevole in quelle condizioni.
Dopo aver varcato quella porta e dopo i primi 2 o 3 bicchieri cominciava ad essere tutto annebbiato.
Si ricordava di lui e di una figura conosciuta che però non riusciva a mettere a fuoco.
Era forse un compagno di squadra ficcanaso con un po’ di buon cuore?
No, sapeva per esperienza che in quello stato con lui ci volevano le palle quadrate ed i suoi compagni non davano affatto quell’impressione. A parte uno, ma erano lì insieme.
Sospirò stancamente.
Suo padre e le sue fisse lo avevano portato a quel punto.
Se solo lo avesse lasciato in pace non si sarebbe sentito così.
Era come se fosse stato sballottato nella tempesta in balia delle onde. Si sentiva inerme.
Voleva prendere a pugni tutto e tutti, se stesso compreso.
Si tirò su a sedere e un violento conato di vomito si fece sentire. Lo trattenne a stento e d’istinto si portò una mano alla bocca.
“Troppo veloce!” pensò tra se e se.
Dovette aspettare qualche secondo che tutto tornasse alla normalità prima di fare qualunque cosa.
Sapeva per esperienza che se non si fosse mosso più cautamente non sarebbe arrivato in bagno.
Stava iniziando a chiedersi quanto avesse bevuto per ridursi così, o forse avessero?
Già perché ieri sera a bere erano in due.
Non era poi così sicuro che fosse l’unico sbronzo, aveva la netta sensazione che anche lui ci avesse dato parecchio dentro.
Aveva iniziato a contare i suoi bicchieri più per distrarsi dai propri che per vero interesse.
Non gli importava di quello che faceva e di sicuro la cosa era reciproca.
C’era qualcosa di strano in lui, non era il solito.
Sembrava distante, perso in chissà che pensieri e quando si allenava sembrava che quasi trascinasse le gambe.
Voleva proprio vederlo quella mattina con i postumi della bevuta della scorsa notte in aggiunta ai problemi che aveva.
Si sarebbe divertito di certo nel vederlo annaspare.

Note di chiusura: Mi sono incartata con le virgolette dei dialoghi e dei pensieri! ^_^; Alla fine ce l'ho fatta!

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Capitolo 2
*** Io, lui e... la sbornia (2) ***


Note: Come per il primo odio dare i titoli! ^_^;

La testa china tra le mani e la bocca distorta in una smorfia di dolore.
Da quanto stesse seduto su quel water non lo ricordava più, era solo indeciso se cacciarsi due dita in gola oppure no.
Se avesse vomitato sarebbe stato di sicuro meglio ma l’idea gli faceva troppo schifo. Era un duro, non un masochista.
Si era ubriacato come un moccioso e non si ricordava nemmeno come avesse fatto.
Era piacevole non pensare in quei momenti, portarsi il bicchiere alle labbra e bere era così semplice.
Il sapore, il calore e le sensazioni che ti da un bel bicchiere di vodka te le può dare solo l’adrenalina, finché non decidi che soffrire è meglio.
Aveva iniziato a trangugiare un bicchiere dopo l’altro, con il solo scopo di sentire l’alcol bruciargli in gola.
Voleva farsi più male che poteva, voleva stare lontano dalla tanto amata/odiata nazionale, almeno per quella volta.
Era a dir poco adirato con se stesso.
Non doveva sbronzarsi ma, purtroppo, lo aveva fatto. In fondo non cercava altro, non pensare a niente almeno quella sera.
Non aveva intenzione di finire così, o almeno non così ubriaco, ma la serata all’improvviso aveva preso una piega strana.
Vederlo seduto di fianco a bere, lo aveva stranito. Il suo rivale più agguerrito che si ubriacava, in un posto come quello per giunta.
Sembrava una vecchia palestra da boxe convertita in bar: in un lato della stanza c’era un ring e non era convinto che non fosse più usato.
L’odore delle sigarette, la musica a palla e l’uomo dietro il bancone che li guardava di sbieco, strano posto anche per se.
Si era risvegliato in camera sua e come c’era arrivato era un’incognita.
Dubitava fortemente che l’altro in un gesto d’amore fraterno l’avesse riportato in stanza, perché fosse stato in lui non l’avrebbe fatto.
Forse non era così carogna come immaginava.
Rimaneva il fatto che non ne aveva idea e la sensazione di vomito gli impediva di pensare.
Se solo avesse avuto la forza avrebbe spaccato tutto.
Da quando aveva ricevuto quel pacco, non faceva che allenarsi.
All’improvviso aveva avuto la stupidissima idea di telefonargli ed era scoppiato il macello.
Non si rendeva ancora conto di come avesse fatto a mandare a quel paese il Mr. Kira.
Come si era permesso il lusso di fare quella stronzata ancora non si capacitava.
Perché non si tappava mai quella fogna che aveva per bocca? Dannato vizio di non collegarla al cervello.
In quel periodo ne combinava una dietro l’altra, come la sua idea di ieri sera.
“Tanto un goccio non mi farà male!” aveva pensato davanti alla porta del bar ed invece le ultime parole famose.
Il suo istinto infallibile ieri sera aveva fallito, o più semplicemente se n’era andato da un’altra parte, sempre che non l’avesse lasciato in stanza di sua spontanea volontà.
- Merda! – imprecò a mezza voce.
Periodo da schifo quello.
Le sue gambe non avevano la minima intenzione di eseguire i comandi impartiti.
Tutto era cominciato con quel pacco maledetto. Se non fosse mai arrivato sarebbe stato meglio.
Continuare la sua esistenza tranquillo non gli faceva di certo schifo.
Gli dolevano le cosce e non era più così sicuro che il suo tiger shot funzionasse a dovere. Ogni volta che ci metteva più forza del dovuto le sentiva bruciare.
Si alzò lentamente ed andò al lavandino per sciacquarsi la faccia.
L’acqua gelata scivolò più nell’orgoglio che sulla pelle e quando alzò la testa, vedendo il riflesso nello specchio, ebbe un moto di stizza e riluttanza.
Vistose occhiaie nere, segno inconfondibile di una notte di bagordi, rendevano il suo sguardo più truce del solito.
“Meglio!” pensò “Così nessuno romperà le scatole!”.
Affrontare una giornata in quelle condizioni non era il massimo.
Si buttò stordito sul letto senza neanche asciugarsi il volto.
Il soffitto bianco e la fioca luce, che entrava dalle fessure delle tapparelle, facevano strani giochi.
Avrebbe fatto volentieri a meno di vedere quelle facce da santarellini dei suoi compagni. Voleva solo starsene a dormire.
Doveva ammettere però, che voleva verificare come stava l’altro superstite della notte brava.
“Chissà se lui sta peggio?” pensò ed un sorriso sghembo si disegnò sulle labbra.
Aveva bevuto quanto lui se non di più, non si aspettava che reggesse così.
Non che lui fosse un gran bevitore, certo era che non lo aveva mai visto brillo in vita sua.
L’uomo freddo e distante di sempre, ieri sera, aveva lasciato il posto ad un amante delle scorrerie notturne di prima classe.
A quanto sembrava, almeno, non era la sola testa calda in quel gruppo.
Se il Sig. Mikami avesse scoperto il suo pupillo in quelle condizioni lo avrebbe sbattuto fuori, chissà magari l’aveva già fatto.
L’unico modo per saperlo era uscire di lì.
Voleva sfotterlo per bene, lo avrebbe torturato fino a farlo scoppiare.

Note di chiusura: Anche qui mi sono incartata con le virgolette!

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Capitolo 3
*** Un allenamento da schifo ***


Note:hmm... non so che pensare di questo capitolo!
Spero sia apprezzabile!



Quella mattina stava da schifo, tutto faceva schifo: lui, gli altri, il tempo soleggiato, tutto.
Non era riuscito a combinare molto a causa del suo stato di salute.
Il voltastomaco ed il mal di testa lo stavano rendendo impacciato e per un attimo aveva rischiato di collassare in campo.
Sarebbe stato un bello spettacolo, il Super Great Goal Keeper steso a terra in balia dei postumi di una sbronza.
Per sino le palle facili sembravano dei bolidi sparati da un cannone.
L’unica consolazione stava nel fatto che almeno non era solo lui a fare schifo.
Consolazione fino ad un certo punto; se stavano male insieme, ed il mister se ne fosse accorto, sarebbe stato difficile spiegare la fortuita coincidenza.
Già di per se il fatto che non stavano combinando molto era una più che una fortuita coincidenza.
Trovava molto strano il fatto che fino a quel momento nessuno gli avesse fatto una ramanzina, strano davvero.
La potenza di Hyuga era veramente ridicola, quasi dimezzata, per quanto impegno ci mettesse non riusciva a fare molto.
Da quando era iniziato quel dannato ritiro era già in brutto stato, adesso era ulteriormente peggiorato.
Si vedeva chiaramente che le gambe non andavano per niente.
Ogni volta che uno di quei tiri gli finiva, docile, tra le mani provava quasi sollievo.
Lui che gli dava sollievo, bella questa.
Erano passati dall’ignorarsi cordialmente, al bere insieme.
Qual era il livello successivo?
Andare d’accordo?
Se glielo avessero raccontato non ci avrebbe creduto.
Se fossero riusciti ad andare d’accordo sarebbe stato davvero un bello spettacolo da non perdere.
Non si rendeva nemmeno conto che, a quel pensiero, sul suo viso si dipingeva un sorriso di piacere.


Ogni passaggio era così difficile da raggiungere, sembrava che tutti corressero più veloci di lui, persino Jito.
Faceva una fatica mostruosa a stare dietro alla palla.
Il dolore alle gambe si era acuito, era stato davvero geniale bere a quel modo.
Non stava combinando niente di buono, tanto per cambiare.
Che cosa pretendevano gli altri da lui?
Doveva sempre essere un bravo figlio, un bravo fratello, un bravo giocatore e ora?
Si era rotto le palle di quella situazione, persino il calcio stava diventando un peso enorme.
Le gambe gli dolevano da fargli vedere le stelle e per giunta gli veniva da vomitare.
Sbornia maledetta.
Con chi avrebbe dovuto prendersela se non con se stesso?
Voleva solo buttarsi a letto e dimenticare quel periodo di merda.
Doveva ammettere che vedere il rivale di sempre in difficoltà come quella mattina, non aveva prezzo.
Uno spettacolo improvviso e piacevole, se non fosse stato nelle medesime condizioni.
Calciare il pallone a rete gli provocava sempre un moto di adrenalina e cattiveria, oggi gli provocava indifferenza.
I suoi tiri placidi, come quelli di un gattino, finivano senza troppa convinzione addosso al portiere.
Più calciava la palla e più quella non faceva il suo dovere: i passaggi erano troppo corti e lenti.
Da quando Sawada sparava delle bordate come quella di poco prima?
Come faceva quella faccia da scimmia di Ishizaki a tenergli testa?
Si stava irritando in maniera a dir poco pericolosa e lo sapeva.
E mentre Wakabayashi sorrideva, lui aveva solo voglia di sbattergli quella cazzo di testa contro il palo.


Con passi lenti e misurati si diresse verso la porta.
- Che cazzo hai da ridere? - chiese furioso.
- Cos’è ci siamo alzati male? - rispose l’altro serio.
La mano abbronzata del bomber corse veloce al collo della maglia e si strinse con forza attorno ad essa.
- Non mi piacciono quelli come te! - sibilò tra i denti.
- La cosa è reciproca! - fece il portiere spingendolo via.
D’improvviso la mano chiusa a pugno si levò ma Wakabayashi fu più veloce a scansarsi.
- Se è la rissa che vuoi, la rissa avrai! - disse sferrando un montante a Hyuga.
Un paio di colpi andarono a segno da ambo le parti, barcollarono, poi ricominciarono a colpire.
- ADESSO BASTA! - gridò mister Gamo parandosi in mezzo.



Note di chiusura: Ringrazio davvero di cuore chi mi ha letto!
Non può che farmi piacere!
Vedere poi dei commenti mi rende ancora più felice!
Desidero davvero fare del mio meglio con questa storia!
Grazie ancora!

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Capitolo 4
*** E convivenza sia ***


Note: Una piccola nota che nel capitolo precedente non avevo messo: i nomi dei personaggi originali li ho presi dai credits di un videogioco!
Fantasia zero! Che tristezza!

Quello che Genzo e Kojiro pensano nel momento in cui avvengono i fatti non necessariamente corrisponde a come voglio rendere io i personaggi, è solo il momento in cui avvengono le cose a farli reagire in quel modo!



Gamo e Mikami se ne stavano in un angolo in silenzio, mentre loro due stavano seduti sul divano.
Uno di fianco all’altro Kojiro Hyuga e Genzo Wakabayashi si guardavano le scarpe con l’espressione di due bambini colpevoli.
- Grazie signorina Fujita! - disse il signor Katagiri, seduto di fronte a loro mentre la sua segretaria serviva il tè.
- Vi sembra questo il modo di comportarvi? - esordì Mikami - Dov’è finito lo spirito di squadra? -
Nella stanza aleggiava il silenzio.
- Perché voi due dovreste voler dire qualcosa? - chiese Gamo furioso.
Mikami si sedette mentre Katagiri se ne stava seduto a sorseggiare il suo tè indifferente.
- Siete due imbecilli! Non bastava la sbornia di ieri sera? No dobbiamo anche fare i coglioni in allenamento! - continuò Gamo sempre più furente.
Il divano sotto il sedere dei due inizio a bruciare e ad essere piuttosto scomodo.
- Non vi cacciò solo perché mi fate pena! Ma la testa ve la raffreddo io!- disse ancora l’uomo.
- Se mi permetti io avrei un’idea! -
Gamo grugni voltandosi in direzione della voce.
- E quale? - chiese Mikami.
- Convivenza! - rispose Katagiri posando la tazza sul tavolino.
Genzo e Kojiro fissarono l’uomo con aria sconvolta: con convivenza parlava veramente di dividere la stanza per tutto il ritiro?
- Cioè vorresti mettere questi due idioti nella stessa stanza? - chiese Gamo incredulo.
- Esatto! Le cose sono due o vanno d’accordo o s’ammazzano! -
I due giovani sgranarono gli occhi increduli: loro nella stessa stanza? Non era vero.
- Tu la fai facile! Già me li immagino che si scannano per andare in bagno! -
- Però potrebbe funzionare! - esordì Mikami.
A quella frase gli occhi di Genzo guardarono torvi l’uomo che per anni era stato il suo mentore.
- Voi siete fuori di testa! - fece all’improvviso Hyuga - Non intendo dividere la stanza con lui per niente al mondo! -
- Una volta tanto la penso come lui! - disse il portiere.
- Oh ma voi non avete diritto di pensare! Io decido e basta! - sibilò Gamo - Dopo che ieri sera la signorina Fujita vi ha riportato qui sbronzi, è già tanto se vi faccio vivere! -
Mister Mikami si tolse gli occhiali e butto la testa all’indietro, mentre il signor Katagiri si complimentava con la sua segretaria per il buon tè.
- E’ deciso adesso voi starete insieme e siccome sono cattivo non finisce qui! - disse l’uomo con un sorriso beffardo.


“Che situazione di merda!” pensò tra se e se Kojiro.
Lo sguardo torvo non era solo il segno della notte prima, ma anche di qualcosa che stava per esplodere.
Lo sapevano i suoi amici che si guardavano bene dal rivolgergli la parola in quelle circostanze.
Fino a quel momento aveva diviso la stanza sempre con Wakashimazu adesso si ritrovava insieme a quel borioso pallone gonfiato.
Il povero borsone, che stava riempiendo, aveva avuto solo la sfortuna di essere tra le sue mani, ma per un arcano motivo veniva maltrattato.
Che colpa aveva lui? Era stato lui a cominciare.
Più ci pensava più gli veniva in mente il sorriso della mattina.
- Sbruffone! - disse a mezza voce.
Davvero una situazione da non credere.
Adesso si che avrebbe spaccato volentieri qualcosa, il culo di quei tre che avevano preso quella decisione del cavolo.
Almeno aveva scoperto chi lo aveva riportato in camera la notte scorsa.
“Come sapeva quella che eravamo lì?” si chiese grattandosi la testa.


Genzo se ne stava seduto sul letto ad osservare Morisaki prendere le sue cose e uscire dalla stanza con un mesto - In bocca al lupo! - ed un sorriso sulle labbra.
Un sospiro gli scivolò dalle labbra quando la porta si chiuse alle spalle del terzo portiere della nazionale.
- Ma tu guarda che situazione! - disse stendendosi.
Un altro sospiro gli uscì dalla bocca, senza rendersene conto quel ritiro era diventato una seccatura maggiore del previsto.
- D’accordo? E come pensano possa funzionare? - si chiese stizzito.
Perché volevano a tutti i costi che lui e Hyuga fossero amici? Perché in quella cavolo di squadra bisognava essere per forza perbenisti?
Si ritrovava in quella situazione solo perché a quell’idiota era venuta voglia di rissa ed era stato più forte di lui non era riuscito a trattenersi dal non rispondere.
Ora che era ad un passo dal farsi cacciare, doveva ammettere che, la voglia gli era passata.
La figura del coglione quella però l’aveva fatta.
L’unica cosa che non aveva ancora capito era come facesse un tipo come la signorina Fujita a frequentare un bar del genere.
La sbornia, in compenso, gli era quasi passata ma i segni rimanevano comunque: le occhiaie, la nausea ormai leggera e Hyuga i stanza con lui.
- Mi sa tanto che ci vuole di più di un semplice in bocca al lupo per uscirne vivi! -



Note di chiusura: Stavolta posto velocemente e senza intoppi (vedi blocchi creativi e quant'altro)!
Ringrazio sempre chi mi legge e chi mi leggerà, lo stesso vale per chi mi ha recensito e mi recensirà!
Spero di divertire! ^_^

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Capitolo 5
*** Un’altra idea geniale ***


Note: Ringrazio di cuore chi mi recensisce e chi mi legge!
Spero di continuare a divertire!
Grazie mille! ^_^



Si conoscevano dalle elementari e da allora c’era questo rapporto conflittuale; doveva ammettere, però, che se tutto era iniziato la colpa era la sua.
Piazzarsi sopra la traversa della sua porta e sfidarlo, falciando i suoi compagni, era stata una cosa divertente.[1]
Quella sera a cena erano stati obbligati a stare seduti allo stesso tavolo e lontano da tutti.
Mangiava in silenzio sotto lo sguardo attento dei compagni di squadra.
“Mi sento come se fossi allo zoo!” pensò Kojiro.
Non poteva fare a meno di immaginarsi gli altri parlare di loro come di due fenomeni da circo.
Lui ne aveva di fantasia, ma quella situazione superava addirittura qualsiasi idea.
Di fronte a lui Wakabayashi se ne stava con il suo eterno berretto calato sugli occhi e non diceva una parola.
Non che volesse fare quattro chiacchiere con lui, sia chiaro, ma si aspettava almeno un commento acido.
- Che rottura! - borbottò tra se e se.

- Cos’è che ti rompe? - chiese Genzo.
Il suo compagno di tavolo non rispose si limitò ad alzare spalle e riprendere a mangiare.
Non aveva intenzione di intavolare una discussione con lui, ma voleva distrarsi dai suoi pensieri.
Perché era venuto in Giappone?
Per fare contenti i suoi e per la nazionale.
Non potevano fare come sempre che Wakashimazu faceva tutto il lavoro e lui si prendeva gli onori?
Anche se questa cosa lo avvantaggiava doveva ammettere di sentirsi un po’ in colpa a togliere il posto al portiere karateka.
Lui non si sentiva lo stronzo che tutti dipingevano, era capace anche di gesti di grande generosità se c’era bisogno.
Chissà per quanto ancora sarebbe andata avanti quella farsa: Gamo aveva tutta l’intenzione di rendere la vita impossibile ad entrambi e il signor Mikami lo ignorava completamente.
Eppure non aveva fatto nulla di male, sera prima a parte.

- Sono stati in stanza insieme 2 ore e per poco non si ammazzano! Ha dovuto dividerli Misaki - disse Gamo furioso - Io li sbatto a pulire i palloni, se continuano così! -
- Non pensi di esagerare? - chiese Mikami.
- Assolutamente no! La squadra la gestisco io ed io decido se quando finirla! - rispose serio.
Lo sguardo dell’uomo sputava letteralmente fuoco, non era un tipo da farsi mettere i piedi in testa lui.
- Lo sanno anche i muri che quei due non sono in grado di andare d’accordo! -
- Vero, ma devono imparare a fare squadra! Con questo chiudo il discorso! - disse in tono perentorio.
- Se mi è permesso… - fece titubante la signorina Fujita.
- Prego dica pure! - disse il signor Katagiri.
- Perché non dare una mano alla convivenza? - chiese la donna - Mi spiego meglio! E se aggiungessimo un supporto? -
- Se si tratta di mettere un compagno di squadra con loro non se ne parla proprio! - fece Gamo.
- Oh no, non mi riferivo a questo! Intendevo qualcosa di più specifico! -
- Cioè? - chiese Gamo incuriosito.
La donna sorrise sorniona.

- Secondo te come fa una come la signorina Fujita a conoscere un bar come quello di ieri sera? - chiese Kojiro all’improvviso.
- Me lo sono chiesto anch’io! Sembra il tipo da bar di lusso! - fece Genzo voltandosi verso di lei.
- Si, insomma quella è una bambolina! - constatò l’attaccante.
- Di un po’ e tu come ci sei finito in quel bar ieri sera? -
- Per puro caso! Stavo facendo un giro e mi sono ritrovato lì davanti! -
- Già! Ho fatto la stessa cosa! Non so perché ma qui mi sento soffocare! - fece il portiere senza pensarci.
- Ma come non sono tuoi amici? - chiese Hyuga beffardo.
- Si, ma ora come ora mi danno l’orticaria! Li trovo troppo… buoni! -
- Vi voglio nel mio ufficio appena fatta cena e non voglio sentire storie! - disse Gamo avvicinandosi al tavolo dei due giocatori.
- E ti pareva! - disse Kojiro sottovoce.

- Cos’è non siamo stati umiliati a sufficienza? - chiese Genzo sarcastico.
Gamo dava loro le spalle intento ad osservare fuori dalla finestra, Mikami stava seduto sul divano serio e pensieroso mentre Katagiri, di fianco a quest’ultimo, sfogliava distrattamente una rivista.
- Qui non si tratta di voi due, ma del rendimento di una squadra intera! - disse serio l’uomo voltandosi - Se il mio miglior portiere e il miglior attaccante fanno pena ne risentono tutti! -
Il tono di voce del mister non faceva presagire niente di buono, sembrava voler dire “il fatto che non vi abbia cacciati vi costerà caro”.
- Quindi a qualcuno di voi è venuta un’altra idea geniale? - chiese Kojiro.
- Si! - rispose Gamo con un sorriso beffardo sulle labbra - Da domani miei cari, sarete seguiti da uno psicologo! -
- COSA? - gridarono insieme i due giocatori.



Note di chiusura:

[1] Capitolo 10 del manga

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Capitolo 6
*** Semplice, psicologia! ***


Note: Ringrazio tutti dell'infinita pazienza che dimostrate riguardo ai miei mostruosi ritardi!
Ringrazio tutti quelli che mi leggono e mi recensiscono e quelli che mi leggono soltanto!
Grazie di cuore!

Quella mattina Gamo ci stava dando dentro con l’allenamento, li stava letteralmente massacrando.
Hyuga e Wakabayashi erano ancora in mezzo al campo mentre il resto della squadra se ne stava in un angolo all'ombra a prendere il fresco.
- Secondo voi sta tentando di ammazzarli? - chiese Ishizaki.
- Non lo so, ma di sicuro vuole fargliela pagare! - rispose Izawa.
- Se continua in questo modo li sfiancherà più del necessario! - intervenne Misugi.
Poco distante da loro mister Mikami ed il signor Katagiri osservavano la scena parlando tra loro.
- E quei due come mai non dicono niente? - chiese Matsuyama.
- Voglio mantenere la linea dura! - fece Misaki.
- Per ora basta! Potete riposarvi! - disse Gamo hai due in campo.
Hyuga e Wakabayashi non se lo fecero ripetere e si gettarono, esausti, anche loro all'ombra vicino i compagni.

La macchina nera parcheggiò e con molta calma ne uscì una donna.
La prima cosa che fece fu accendersi una sigaretta, poi si voltò e guardò lo stabile alle sue spalle.
- Sembra troppo delicata per quei due! - disse Gamo da dietro la finestra.
- Non si faccia ingannare, la si può definire in molti modi ma non delicata! - rispose la signorina Fujita.
- Se lo dice lei! -

Genzo se ne stava seduto sul letto buttando un occhio distratto al libro che aveva tra le mani, di tanto in tanto sbirciava il compagno steso sul letto a pancia sotto che sonnecchiava.
Quando dormiva aveva la sensazione che avesse un non so che di diverso, era veramente rilassato ed il suo viso, perennemente imbronciato, assumeva un'espressione quasi infantile.
Si stupì di come fosse diverso dal solito.
Si rimise a leggere, senza troppa convinzione.
Lesse tre volte la stessa riga prima di capirne il senso reale, così decise che era giunto il momento di chiudere il libro e di lasciar perdere.
Non gli era mai passata neanche per la testa l'idea di dividere la camera con lui, non credeva sarebbe mai potuto succedere.
Doveva però constatare che a differenza sua Hyuga era molto ordinato: appena arrivato in stanza come prima cosa aveva disfatto il borsone mettendo a posto la sua roba e come seconda cosa avevano litigato.
Si volto a guardarlo di nuovo, aveva abbracciato il cuscino come si fa con un orsetto di pezza e stava completamente sbracato sul letto.
I capelli neri sparsi qua e la, il respiro calmo e tranquillo, gli occhi chiusi e la bocca semi aperta.
Aveva un non so che di rassicurante vederlo dormire, si sentiva stranamente in pace, forse perché finalmente poteva abbassare la guardia.

- Capisce il mio problema dottoressa? - chiese Gamo.
- Sì, capisco perfettamente! - rispose la donna seduta davanti a lui.
- Dottoressa Kinoshita lei deve fare in modo che quei due non si ammazzino! - fece Gamo deciso.
La donna chiuse per un attimo gli occhi come se stesse meditando, poi li riapri.
- Farò quanto in mio potere, ma voglio carta bianca! - disse ferma - Voglio poter gestire il tempo a loro disposizione quando non si allenano a mio piacimento! -

I due si sedettero su quello, orami, scomodo divano.
- Vi presento la dottoressa Kinoshita! - fece il mister.
Dai due non ci fu risposta.
Gamo sbuffo nervoso.
- Loro sono... - disse Katagiri, ma fu zittito con un gesto dalla donna.
- Non hanno bisogno di presentazioni! Ora lasciateci soli! -
I tre uomini si guardarono perplessi, poi si voltarono verso la signorina Fujita che fece segno di si con la testa.
- Per qualunque cosa... - provò a dire il signor Mikami, ma la donna zittì anche lui.
Si diressero verso la porta, seguiti dalla signorina Fujita.
- Vi porto subito del tè Ah dimenticavo ti prego Na-chan apri la finestra! -
- Si, si! Che palle! E non chiamarmi Na-chan! - disse la dottoressa.
Quando finalmente la porta si chiuse alle spalle dei quattro la donna si stravaccò sul divano, con poca grazia.
- Sia chiaro il vostro tempo libero da adesso lo gestisco io e farò di tutto per farvi andare d'accordo, o quanto meno per non farvi scannare! -
- Crede davvero che sia un'impresa facile? - chiese Wakabayashi.
La donna prese dalla tasca il pacchetto delle sigarette e si diresse verso la finestra.
- No, al contrario! Però mi piacciono le sfide! -
- Sembra molto sicura di se! - disse ancora il portiere con un sorriso ironico.
- E come pensa di fare, di grazia? - chiese Hyuga con aria di sfida.
- Semplice, psicologia! - disse con un sorriso beffardo.

Note di chiusura: P.S.: spero di non farvi aspettare troppo per il prossimo capitolo! ^_^

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Capitolo 7
*** Inizio della terapia ***


Note: Titolo da schifo proprio! ^_^;
Ammetto che non sono stata in grado di trovare un titolo migliore!

Uscirono tutti e tre dalla stanza, la donna con la sigaretta in bocca e le mani nella giacca del tallieur, i due giovani che la precedevano avevano l’aria di chi sta per essere torturato.
Il signor Mikami li guardò dirigersi verso il corridoio delle camere da letto dei giocatori.
- Na-chan dove vai con quella sigaretta? - chiese la signorina Fujita.
La donna si limitò a girare l’angolo senza una risposta.
- Adesso deve appestarci la camera? - chiese Hyuga entrando.
- Quanto siamo delicati! - rispose la donna osservando la stanza.
- Siamo sportivi, il fumo ci fa male! - disse Wakabayashi aprendo la finestra.
- Vero! - confermo la dottoressa - Ma anche l’alcol vi fa male! - continuò lei guardandolo fisso negli occhi.
I due giocatori si guardarono piccati, mentre la donna andò alla finestra e spense la sigaretta sul davanzale esterno.
- Dunque, dunque… - la donna si appoggiò al davanzale con la schiena e chiuse gli occhi con aria pensierosa.

Kojiro osservava il suo compagno di stanza che pensieroso guardava la donna.
Aveva sempre quell’aria seria quando studiava un avversario e si stupiva sempre nel vedergli quella luce di sfida negli occhi.
Aveva un non so che di magnetico in quel dannato sguardo.
Quella dottoressa invece era indecifrabile: occhi neri e vivaci, capelli neri tagliati corti e un sorriso strafottente.
Aveva l’aria di una con le palle e soprattutto di una con un pessimo carattere.

Genzo dal canto suo non si perdeva un singolo movimento di quella donna.
Girava per la stanza esaminando tutto, persino il bagno.
Aveva un fisico snello ed asciutto e dimostrava certamente meno dell’età che aveva.
Non riusciva ad inquadrarla bene era un soggetto strano, era una che di certo sapeva quello che voleva.
Se fosse stata un avversario di gioco sarebbe certamente stato un problema per lui.

- Bene, bene! - disse la donna dopo la perlustrazione - Che ne dite di iniziare la terapia? -
I due giovani non dissero nulla.
- Lo prendo per un si! - fece ancora lei.
Nessuno dei due disse niente, si limitarono ad osservarla.
- Vediamo se ci prendo! Non vi va di andare d’accordo e men che meno di essere finiti sotto le mani di uno psicologo! - disse - Quindi scommetto che non avete nessuna intenzione di collaborare! -
Wakabayashi si mise in un angolo a braccia conserte, mentre Hyuga si era seduto sul letto.
Le espressioni dei loro volti erano piuttosto eloquenti.
- Per l’appunto! -
La dottoressa prese un’altra sigaretta e con molta calma si avviò alla finestra per accenderla.
Inspirò la prima boccata e si mise a fumare senza dire una parola.

“Dimmi tu che razza di situazione!” pensò il SGGK.
Se ne stava appoggiato al muro e distrattamente osservava la donna e Hyuga.
La tigre non sembrava aver voglia di aprir bocca e la dottoressa fumava pigramente senza parlare.
La cosa lo irritava, non era un gran parlatore di certo, ma si stava veramente innervosendo.
In qualche modo dovevano uscire da quella situazione.

“Dottoressa un corno,” si disse Kojiro “questa è l’inquisizione!”
Non voleva stare con quello e non aveva intenzione di parlare di se con una sconosciuta.
Se le immaginava già le teorie sulla sua famiglia, su suo padre e sulla sua vita.
No non avrebbe fatto nulla per agevolarle il lavoro.
Senza considerare poi che iniziavano a giragli sonoramente.

- Si può sapere quali sono le sue intenzioni? - chiese l’attaccante in un moto di stizza.
La donna non rispose, continuò a fumare guardando fuori dalla finestra.
- Vorremmo una risposta! - incalzò il portiere.
Lei non fece una piega, continuò con il suo mutismo.
- Voi psicologi siete dei presuntuosi pensano di sapere tutto! - rimbrotto Hyuga.
- Concordo, credete di capire ed invece non conoscete nulla! - continuò Wakabayashi.
La dottoressa Kinoshita spense la sigaretta e si girò a guardarli.
- Non mi lascio provocare da semplici illazioni! - disse calma - Io non so niente di voi e non ci tengo a saperlo, mi pagano per non farvi ammazzare quindi delle vostre faccende personali non me ne frega un cazzo! -
Quegli occhi neri erano calmi e senza il minimo accenno di cedimento.
- E comunque mi pare che ci riesca a farvi andare d’accordo! - disse mentre usciva dalla stanza.

Note di chiusura: Soliti ringraziamenti di routine, ma sinceri!
Grazie veramente tanto a tutti!

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Capitolo 8
*** Come a scuola ***


Note: Dopo un secolo eccomi di nuovo qui ad allietarvi di nuovo! ^_^
Non chiedetemi come, ma la vena creativa si è rifatta viva per cui ne approfitto finché c'è!
Spero di arrivare alla fine con questo spirito, per ora beccatevi questo capitolo! :D

- Quella dannata donna! - sbottò Kojiro a mezza voce - Mi dà sui nervi! -
Genzo seduto davanti a lui lo osservò di sottecchi, il suo compagno di cena non aveva tutti i torti, dava sui nervi anche a lui.
Per quanto ancora doveva durare questa farsa?
Gamo che continuava a massacrarli agli allenamenti ed adesso anche una sconosciuta a pesarli e misurarli.
Il portiere alzò lo sguardo per osservarla.
Stava lì in piedi che parlava con il signor Katagiri che rideva di gusto, mentre la signorina Fujita imbarazzata diceva qualcosa.
- Si divertono pure! - disse d’impulso.

Si era ritrovato di nuovo a cenare solo con lui, distanti da tutti come due appestati.
La cosa lo irritava come non mai, ma quelli che se la ridevano erano peggio.
- Oddio! - esclamò all’osservazione di Genzo - Come mi prudono le mani! -
Ed era vero.
Se avesse potuto avrebbe preso tutti a calci in culo a cominciare proprio da quella donna, poi Katagiri con le sue idee di merda.
Non sapeva cosa passasse per la mente di Wakabayashi, ma di certo nella sua c’erano scene di morte.

- Non riuscite a sopportarmi, vero? - chiese la donna.
I due sul divano non risposero: Kojiro se ne stava a braccia conserte con il broncio, mentre Genzo tamburellava con le dita sul bracciolo del divano.
Dovevano sopportare questo supplizio anche dopo cena.
- Non condivido questa storia dell’unità di squadra ma, come vi ho già detto, vengo pagata per cui a me sta bene! - disse con noncuranza - Se vi ubriacate non mi frega niente, se vi scannate me ne frega ancora meno! -
- Che razza di psicologa è lei? Non dovrebbe pensare di più ai suoi pazienti? - chiese Hyuga.
- Vedi la differenza sta nel fatto che i miei pazienti in genere vengono da me di loro iniziativa con l’intenzione di risolvere un problema, mentre voi due siete stati costretti! -
- Noi non abbiamo bisogno di lei! - puntualizzò Wakabayashi.
- Sarà, ma voi avete comunque un problema: Mr. Gamo! -
Sedevano agli opposti del divano come se volessero ribadire maggiormente che non fossero amici e che non avevano voglia di esserlo.
- Visto che con me non volete parlare, farete un piccolo test! - disse la dottoressa porgendo loro dei fogli - Compilerete questi fogli in ogni singola parte e me li riconsegnerete! Niente di troppo difficile o estremamente personale si tratta solo di qualche domanda per conoscervi meglio! -
- E se non volessimo farlo? - chiese il portiere.
- Avete tempo fino a domani mattina per riempirli con le buone, dopo di che vi assicuro che Mr. Gamo sarà ben felice di aiutarmi! - detto questo si alzò e uscì dalla stanza portandosi alla bocca l’ennesima sigaretta.
- Un test! Cosa crede che siamo a scuola? - fece Hyuga indispettito.
- A quanto pare non abbiamo scelta, o lo facciamo oppure Gamo ci massacra agli allenamenti! - disse Genzo porgendogli i suoi fogli.
- Se ci troviamo in questa situazione è solo colpa tua! - fece il bomber strappandoglieli dalle mani.
- Questa poi! Sei tu quello a cui prudevano le mani! -
- Ehi, eri tu quello che sfotteva! -
- COSA AVREI FATTO? - gridò Genzo scattando in piedi - SEI SOLO UN VIGLIACCO! -
- Come ti permetti! - sibilò tra i denti Kojiro alzandosi a sua volta - PALLONE GONFIATO CHE NON SEI ALTRO! -

- Come va? - chiese Misaki al portiere vistosamente acciaccato.
- Non può andare peggio! - rispose Genzo.
Nonostante se le fossero date di santa ragione, nessuno era intervenuto, nessuno li aveva puniti, nessuno li aveva rimproverati.
- Forse se tu e Kojiro provaste… -
- Cosa? - lo interruppe il portiere - Ad andare d’accordo? Ad essere amici? - fece stizzito.
- Esatto! - sbottò Taro - Credi che sia facile stare sempre dietro ai vostri capricci? - fece arrabbiato andandosene.

- Cavolo Misaki è nervosetto! - disse Sorimachi.
Kojiro seguì il compagno con lo sguardo, non capiva come mai tutti li volessero amici.
- Ti trovi bene con Morisaki? - chiese all’improvviso Hyuga a Ken.
- Non è ordinato come te, ma si sa tra portieri c’è una certa affinità! - rispose scherzoso il portiere karateka.
- Una certa affinità… - ripeté Kojiro soppesando le parole.

Lui e le sue dannate passeggiate, era finito un’altra volta in quel posto.
Odore di sigarette, musica a palla e lo sguardo sbieco del barista, era una storia già vista, già vissuta.
Guarda caso erano di nuovo loro due.
“Cos’è adesso siamo amici ?” pensò Kojiro schifato.
Poi con un gesto secco buttò giù la sua vodka.

Ci era cascato di nuovo, si era ritrovato ancora in quel bar.
Ancora musica rock-metal, ancora fumo di sigarette, ancora alcol nel bicchiere.
E lui c’era anche questa volta.
Come poteva essere che all’improvviso non riuscissero a stare lontani per un momento?
Per giunta stava di nuovo contando i suoi bicchieri.
“Che palle!” pensò Genzo sospirando.

- Guarda un po’ chi abbiamo qui! - esclamò una voce conosciuta alle spalle dei due - I miei due pazienti ! -
La donna si sedette proprio nello sgabello vuoto tra i due.
- Una birra per favore! - disse al barista.
Il barman sorrise e fece un segno di assenso alla donna.
- Cos’è adesso ci segue? - chiese Genzo scazzato.
- No! Sono una cliente abituale -
- Di questo posto? - fece Kojiro sorpreso.
- Si! – rispose secca.
- Viene in questo posto da quando era ancora una palestra! - fece il barista poggiando la birra sul bancone - C’era anche l’altra sera! Se non sbaglio hai chiamato tu Fujita! -
- Si! – disse la dottoressa sorseggiando la birra – Piuttosto voi due, avete fatto il test? Gamo ci tiene molto ad aiutarmi e non vorrei deluderlo! -

Note di chiusura: Faccio notare che Morisaki è finito in camera con Wakashimazu, se quei due combiano qualcosa non è colpa mia! XD
Ringrazio come sempre chi mi legge e mi commenta, chi mi legge soltanto e chi mi segue (con tanta ed infinita pazienza)!

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Capitolo 9
*** Shanghai ***


Note: Come al solito ringrazio chi mi legge e mi commenta, chi mi legge soltanto e chi mi segue!
Spero che questa storia vi piaccia! ^_^


Il signor Katagiri osservava la dottoressa intenta a leggere dei fogli.
Aveva l’aria pensierosa e di tanto in tanto prendeva degli appunti con una penna rossa, era così concentrata in quello studio che non si era nemmeno accorta della sua presenza.
- Lettura interessante? - chiese curioso.
La donna scattò spaventata facendo un vistoso segno di penna sulle sue carte.
- Signor Katagiri, le giuro che se lo rifà un’altra volta le sguinzaglio Hyuga e Wakabayashi! - disse la donna con aria truce - E posso assicurarle che non hanno gradito la sua idea della convivenza! -
- Mi scusi! E’ stato più forte di me, non ho potuto resistere dal farle uno scherzo! - fece l’uomo ridendo di gusto - Comunque non ha risposto alla mia domanda! -
- Sto facendo i profili di quei due! Sono tipi davvero molto interessanti! -

- Come prima cosa vi ringrazio, per aver fatto i test! Come avete notato non era nulla di eclatante! - disse la donna ai due seduti sui rispettivi letti - Come seconda cosa ho deciso di fare un gioco tutti e tre insieme! -
- Non siamo all’asilo! - sentenziò caustico Genzo.
- Giocheremo a shanghai! - disse ignorandolo - Voi non parlate con me e mi sta bene, io mi annoio e non mi sta bene! Siccome in questo gioco non si parla siamo tutti accontentati! - spiegò tirando fuori una scatola di legno dalla borsa.
La donna si sedette per terra e fece cenno ai due di avvicinarsi.
Prese i bastoncini dalla loro custodia e li lasciò cadere.
I due si guardarono titubanti, ma quella donna stava già armeggiando con quei cosi.
Si sedettero entrambi a terra.
Era maledettamente seria e sembrava avere tutta l’intenzione di impegnarsi a fondo.
Prese due bastoncini, ma il terzo si mosse.
- Cavolo! - esordì – Forza Hyuga tocca a te! -
- Perché proprio io? - chiese schizzinoso.
- Muoviti! Non fare il bambino! - ordinò la donna.

Genzo sbirciò Kojiro da sotto il cappello: gli veniva da ridere, voleva proprio vedere come avrebbe fatto con il suo carattere a non arrabbiarsi.
Si stupì molto quando prese il primo bastoncino senza troppe difficoltà, poi il secondo ed il terzo.
Doveva ammetterlo era piuttosto bravo, forse ci giocava con i suoi fratelli.
In viso aveva un’aria seria, quella di quando tentava di mettergli a segno un goal.
Troppo preso dal non farsi segnare, non lo aveva mai osservato veramente: era concentrato e contemporaneamente distante.
Si stupì dei suoi gesti decisi, ma allo stesso tempo delicati.
Si era imbambolato a guardarlo.

- Non guardarmi mi emoziono! - disse Kojiro spostando il bastoncino dello shanghai.
- Oddio, questa poi non me l'aspettavo! - fece Genzo sornione.
Il bomber lo guardò per storto e continuò ad armeggiare con quei dannati bastoncini.
Come diavolo si era lasciato convincere, uno come lui, a fare un maledetto gioco di pazienza ancora se lo chiedeva.
- Ecco lo sapevo che mi facevi sbagliare! Non devi fissarmi! - disse scocciato Kojiro sbuffando.
- Ti faccio vedere come si fa! - fece l'altro saputo.
Quando il portiere era concentrato aveva sempre la faccia seria di quando doveva parare un rigore e puntualmente si ritrovava a fissarlo incantato.
Sguardo deciso ed aria di sfida, come chi deve dimostrare al mondo che è il migliore.
Non faceva altro che ribadire la sua bravura, anche in questo stupido gioco.

Il terzo bastoncino del portiere fece muovere quello accanto ed il bomber sogghignò.
- Cos’hai da ridere? - gli chiese piccato.
- Cos’è non posso ridere? - lo rimbeccò l’altro.
La dottoressa sbuffò sonoramente.
- Calmate gli animi voi due! - disse la donna - Voi due siete come i bastoncini dello shanghai: se si toccano iniziano a rotolare! - disse mettendosi ad armeggiare di nuovo con quei bastoncini.
- Nel vostro mestiere siete quelli più distaccati da tutti: uno solo tra i pali in attesa dell’attaccante, l’altro solo davanti al portiere in attesa della palla! Le vostre difficoltà sono simili! -
I due si scambiarono delle occhiate sorprese e perplesse.
La dottoressa prese un altro bastoncino che fece rotolare quello subito sotto.
- E che cazzo! - esclamò seccata - Dover segnare o dover parare, carica entrambi di responsabilità e rabbia che poi dovete gestire! -
La donna si alzò, andò alla finestra e si accese una sigaretta.
- Se, come quei bastoncini, per puro caso venite in contatto, come quei bastoncini, rotolate travolgendo gli altri! - inspirò una boccata dalla sigaretta - E’ questo il problema che Mr. Gamo ha con voi! Dovete affrontare la realtà che i vostri ruoli vi dividono, ma che allo stesso tempo vi uniscono! -
- Vuole dirci che siamo uguali? Ma lei ha mai visto una partita di calcio? - chiese Genzo ironico.
La donna alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
- No, non siete uguali! E si, ho visto più di una partita! -

Per certi versi capiva, per altri si sentiva preso per il culo.
Non era un fottuto bastoncino dello shanghai, ma afferrava perfettamente cosa voleva dire con quel rotolare: dare fuori di matto.
Quindi come quei cosi loro erano due cose separate, ma comunque unite dal gioco?
Entrambi davano di matto per via di responsabilità affini difficili da gestire?
- Hmm… - mugugnò Kojiro - Responsabilità affini… - continuò tra se e se.
- Giusto! - disse la donna sorridendo.

Wakabayashi guardò Hyuga stupito.
“Responsabilità affini?” si chiese contrariato.
Era impazzito anche lui.
Non potevano avere responsabilità affini, uno era portiere e l’altro attaccante: Hyuga partecipava attivamente al gioco, mentre lui al massimo dirigeva la difesa.
E poi cosa c’entrava questo con gli shanghai? Che razza di metafora era?

- Dalla tua faccia, Wakabayashi, non hai capito nulla! - fece la donna.
Il portiere la guardò perplesso.
- Provate a ragionarci su, poi, sia chiaro se volete, ne riparliamo! - disse inspirando un’ultima volta dalla sigaretta - Nel frattempo ricominciamo a giocare! -


Note di chiusura: Mi piaceva l'idea di metterci i pezzi di "Amarti è più facile che odiarti", in questo modo spero di rendervela più chiara!
Qui c'è la drabble N!

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Capitolo 10
*** Il ring ***


Note: Sono tornata?
Non lo so per ora godiamoci quello che viene. ^_^


Genzo aveva passato il resto del pomeriggio cercando di capire le parole del compagno di quadra, come potevano loro due avere delle "responsabilità affini"?
Ci aveva rimuginato per tutto il tempo ma la nella sua testa non c'era davvero niente di affine, anche adesso che ce l'aveva davanti a cena non vedeva le somiglianze.
- Non ci ho capito niente! - esordì all'improvviso.
- Sembra complicato, ma in fondo è semplice! - disse semplicemente Kojiro.
- Oh! Davvero? - incalzò Wakabayashi sarcastico.
L’attaccante sospirò.
- E’ come dire che i bastoncini sono la squadra e che rotolare è litigare! Quindi se rotoliamo cioè litighiamo travolgiamo gli altri distruggendo gli equilibri di squadra! - spiegò semplicemente il numero 9.
- E fin lì c'ero arrivato, ma da dove escono le responsabilità affini? - chiese il SGGK.
Kojiro guardò nella sua ciotola di zuppa come a cercare le parole.
- Dunque, possiamo dire… - fece una pausa e tornò a guardare il compagno di squadra - se tu pari ed io segno siamo dei grandi, ma se tu prendi un gol ed io vengo parato siamo due schiappe! -
- E tu come ci sei arrivato? Senza offesa ma io non lo vedo il nesso fra quelle dannate responsabilità affini e quei cazzo di bastoncini! - fece il portiere stizzito.
- Ad essere sincero mi ci ha fatto pensare Wakashimazu! - disse voltandosi a guardare l'amico chiacchierare con Izawa - Ha detto che lui e Morisaki vanno d'accordo perché tra portieri ci sono certe affinità, ma io e lui non abbiamo lo stesso ruolo eppure non litighiamo e questo perché siamo amici! - tornò a guardare il compagno di tavolo - Siccome io e te non siamo amici dobbiamo trovare ciò che ci unisce per andare d'accordo e quindi le responsabilità affini! - e detto questo si alzò andandosene.

Quella notte non riusciva a prendere sonno la spiegazione di Hyuga era stata illuminante, se non erano amici avrebbero almeno potuto trovare dei punti in comune ed arrivare ad un compromesso.
Come aveva fatto a non arrivarci prima?
In fondo non era difficile, sarebbe stato in grado di trovare la soluzione anche da solo.
Non aveva mai considerato le capacità cognitive dell’attaccante, non che lo ritenesse stupido ma di certo credeva di essere più sveglio di lui.
Lo conosceva bene o male dalle elementari e siccome non gli era simpatico non si era mai impegnato veramente a capirlo di più di quello che vedeva in campo, loro erano stati più tempo avversari che compagni di squadra.
Che sapeva?
Aveva 3 fratelli più piccoli, aveva perso suo padre quando era molto piccolo e faceva lavori part-time per aiutare la madre con le spese di casa, insomma solo quello che gli aveva detto Misaki.
Sapeva per certo che Sawada e Sorimachi erano suoi amici, ma sicuramente con Wakashimazu lo era di più.
Genzo si girò su un fianco e si mise ad osservare il compagno di squadra dormire, era composto e ordinato anche nel letto: per essere alto quasi quanto lui occupava davvero poco spazio, era come se si facesse piccolo per ingombrare di meno, per lasciare spazio ad altri.
Non lo capiva.
Non erano simili in niente eppure avrebbe dovuto trovare dei punti di contatto per andarci d'accordo, si ma quali?
 
La mattina seguente Gamo si sentì buono con i due giocatori ed anche gli animi in squadra sembravano più distesi.
Hyuga e Wakabayashi non erano stati massacrati e la partita d'allenamento non era finita tra pugni e insulti come succedeva ultimamente.
- Mi complimento con lei! - fece Mikami alla donna intenta a guardare il campo da calcio.
- Davvero siamo piacevolmente stupiti! - continuò Katagiri.
- Il fatto che abbiano fatto una chiacchierata non vuol dire nulla! - disse la dottoressa Kinoshita inspirando dalla sigaretta - Quei due sono come canne al vento finché c'è bonaccia tutto va bene, ora bisogna trovare il modo di farla durare! -
- Come sei poetica Na-chan! - disse la signorina Fujita.
- Concordo con lei signorina! - fece eco Katagiri.
- La smettete di flirtare voi due? - chiese la dottoressa - Non crediate che la terapia sia finita siamo solo all'inizio, è adesso che viene il bello! -

Quel giorno il tailleur era rimasto nell’armadio, in compenso erano sbucati jeans, t-shirt e anfibi.
I due osservavano la donna che così vestita sembrava poco più di una ragazzina e senza tacchi era davvero una nanerottola.
- Voi ancora non avete intenzione di parlare con me, vero? - chiese la dottoressa.
I ragazzi chiusi nel loro mutismo avevano tutta l’intenzione di continuare con la loro linea dura.
- Faremo una passeggiata! - esordì la dottoressa - Sapete nel mio lavoro ne vedo di cose strane, ma è la prima volta che mi capita un tipo come Gamo! - disse accendendosi una sigaretta e iniziando a camminare davanti a loro - Perché uno deve per forza far essere amici due che non si sopportano? -
- E’ quello che mi chiedo anch’io! - esordì il portiere.
- La competizione e la rivalità sono cose importanti soprattutto nel vostro mestiere! Effettivamente, però, voi eccedete in questo! - constatò la donna - E pensare che avete molti più punti in comune di quanto pensiate! -
- E l’ha capito da quei 4 fogli che ci ha fatto compilare? - chiese l’attaccante ironico.
- Anche! La cosa che più vi rende simili è il modo in cui reagite a questa faccenda! - continuò espirando una grossa nuvola di fumo - Siete irritabili e irascibili allo stesso identico modo, siete identici! -
- Per sparare questa stronzata le sono serviti i bastoncini dello Shanghai? - chiese acido Genzo.
- No! L’ho dedotto dai commenti della gente che vi sta intorno! - rispose senza scomporsi - Sapevate che alcuni vostri compagni sono stanchi di voi? -
Nessuno dei due rispose.
- Da quello che ho capito Misaki è una specie di cuscinetto fra di voi ed a loro modo lo sono anche Matsuyama e Misugi, ma li state esasperando, non ne possono più di voi due! - ed un'altra nuvola di fumo le uscì dalla bocca - L’unica cosa che posso consigliarvi di fare è di appianare le vostre divergenze, almeno finché state in squadra insieme, e di far contento Gamo! -
- E come dovremmo fare? Facendo qualche altro stupido gioco? - chiese ironico il portiere.
La donna si girò e gli sorrise.
- No, vi ho portato qui per questo! - disse maliziosa indicando lo stabile alla loro destra.
 
Genzo sgranò gli occhi, era ancora quel dannato posto.
- Vengo qui da almeno 15 anni, da prima che fosse convertito in bar! - disse entrando passando sotto la serranda aperta - A quel tempo ne girava davvero di gente strana qui dentro! - disse sorridendo a quel ricoro.
Il portiere osservò il locale, senza tutto quel fumo e senza la musica era davvero una palestra da boxe: il bancone ed i tavoli occupavano solo la parte della stanza più vicina alla porta, mentre sul fondo c'era un ring.
- Non sembrava così spazioso! - constatò.
“Possibile fossi così ubriaco da non accorgermi delle dimensioni?” si chiese il portiere.
- Solo se si accendono tutte le luci, o si viene qui di giorno, ci si rende conto di quello che in realtà è questo posto! - disse la donna prendendo un posacenere da uno dei tavoli e spegnendo la sigaretta.
Questa frase lo consolò, almeno non si era fatto fuori tutti i neuroni con la vodka.
 
Kojiro guardò la grande stanza e dovette ammettere che era completamente differente dalla palestra dei Wakashimazu, sapeva che le due discipline erano distanti ma non si aspettava di trovarsi davanti la palestra di Rocky: poster di pugili attaccati alla parete in fondo e c'era persino un sacco appeso al soffitto.
- Viene usato ancora quel ring? - chiese alla donna.
- Si a volte capita! Quando il signor Honda vede che qualche situazione degenera allora sbatte i malcapitati lì sopra! A lui non piacciono le grane! -
“E allora noi che ci facciamo qui?” si domandò l’attaccante.
Quella situazione con Wakabayashi lo innervosiva.

- Salite sul ring! - disse la donna - Sarò il vostro arbitro! -
I due si guardarono perplessi.
- Forza! - li spronò la dottoressa - Non fate i bambini! -
Eseguirono l’ordine titubanti e si posizionarono al centro aspettando che la dottoressa continuasse.
- Una sfida non deve essere per forza combattuta con i pugni ma con voi la questione è differente, voi capite solo le botte! - disse salendo a sua volta - Finché non vi piacchiate non riuscite ad esprimervi, è come se per voi le parole valgano meno dei fatti, solo un pugno ben assestato è un valido argomento discussione! -
Kojiro e Genzo si guardarono confusi.
- Cominciate! - disse - Chi perde offre da bere! -
La donna spostava lo sguardo da uno all’altro come se si aspettasse qualcosa da loro.
- Ho capito, per voi la questione è molto più complicata! - fece Kinoshita grattandosi la testa - E' come fare l'amore, ha i suoi tempi! -
- Fare l'amore? - chiese Genzo stupito.
- Si, senza preliminari non è eccitante! - precisò la dottoressa.
- Che diavolo sta dicendo? - incalzò Kojiro.




Note di chiusura: Come sempre grazie a tutti, per la pazienza, per avermi letto e per avermi recensito.

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Capitolo 11
*** Fare l'amore ***


Note: Ho notato che siete in tanti a leggere ma solo in pochi a recensire, nonostante tutto vi ringrazio e spero che riusciate un giorno a palesarvi, perché ricordate che le vostre recensioni, le vostre critiche e persino le vostre bandierine rosse sono la mia crescita.


La dottoressa scese dal ring sbuffando e si diresse al frigo dietro al bancone, prese una birra la stappò e lascio i soldi sul piano.
- Voi due avete una ragazza? - chiese prendendo una sedia e portandola vicino al ring.
I due ragazzi scossero la testa come a dire di no.
- Siete stati a letto con una ragazza? - domandò sedendosi a cavalcioni con lo schienale rivolto verso il petto.
Non risposero.
- Allora? - li incalzò la donna facendo un lungo sorso.
- Si! - rispose il portiere mentre l'attaccante annuiva.
- Bene, cercate di seguirimi! - disse sorseggiando di nuovo dalla bottiglia - Se una ragazza vi vuole, si insomma vuole fare l'amore con voi, le piacete e se poi la fanciulla in questione piace anche a voi volete che sia il più appagante possibile! - la dottoressa bevve di nuovo, poi posò la bottiglia a terra - Ora immaginate state per fare l'amore e come volete che sia? Speciale! Non intendo quelle romanticherie da quindicenni ma il più godibile possibile, da rifarlo! Allora che fate? Vi dedicate ai preliminari che rendono il dopo molto più piacevole! -
Silenzio, nessuno dei due disse una parola.
- Cazzo ma vi devo fare un disegno? - esplose lei.

- Noi non facciamo sesso! - esordì Hyuga piccato.
Stavolta Genzo l'aveva capita, oh si ci era arrivato prima di lui.
- E' una metafora, genio! - rispose Wakabayashi strafottente.
- Sta zitto stronzo, l'avevo capito! - sibilò Kojiro.
Ora che era lui ad aver capito l'altro si sentiva offeso, povero come gli dispiaceva.
- Perché sennò che fai? - lo rimbeccò ironico.
Adorava vederlo andare su tutte le furie, trovava divertente minare il suo poco autocontrollo.
"Se questi sono i preliminari, allora sono davvero spassosi!" pensò con un sorriso sornione.
 
Faceva di tutto per prenderlo per il culo, ma chi si credeva di essere?
"Per una volta che gli funziona il cervello fa lo spavaldo?" pensò Hyuga.
- Cosa cazzo ridi, bastardo? - disse avvicinandosi rabbioso.
- Non mi provocare, pezzente! - fece Genzo truce.
Come aveva osato quello stronzo borioso?
Lo avrebbe rimesso in riga una volta per tutte, in fondo non erano lì per quello?
 
La dottoressa era tornata alla sua birra come se nulla fosse.
- Finalmente siamo arrivati ai preliminari! - disse prima di bere - Se volete farvi una scopata, fatela non ci girate troppo intorno o cala l'attrazione! -
- Dottoressa dei miei coglioni, lo sa che lei ha rotto davvero il cazzo? - sbottò il numero 9.
- Hyuga hai studiato ad Oxford, vero? - lo punzecchiò il portiere.
- Sta zitto riccone da strapazzo! - continuò l'attaccante.
- Io almeno non mi comporto come un moccioso offeso! - rispose caustico il portiere.
- Oddio che palle! - fece la dottoressa - Volete scopare una buona volta? -
Genzo si staccò da Hyuga e scese dal ring avvicinandosi alla donna.
- Mi stia bene a sentire mi sono stufato di questa farsa, veda di smetterla! - disse gelido.
La dottoressa si alzò in piedi come se nulla fosse.
- Il tuo problema Wakabayashi è che tu vuoi fare a pugni con lui, ma non vuoi essere il primo a cominciare e così non fai altro che stuzzicarlo fino a farlo uscire di testa! Se vuoi dargli un pugno daglielo, fa la prima mossa! -
La donna si spostò di lato fino a vedere l'attacante.
- Tu, Hyuga dal canto tuo, aspetti di essere infastidito per poter avere una giustificazione per attaccare! Ti fa incazzare? Non cercare una scusa dagli sto benedetto cazzotto! - continuò facendo segno a Kojiro di scendere - E' come se vi corteggiaste, ci girate intorno fino a che il vostro rito non è compiuto, solo a quel punto ve le date di santa ragione! -
Kojiro si mise di fianco a Genzo, entrambi con la faccia arrabbiata e pronti a scagliarsi come due cani rabbiosi.
- Quello che fate non è diverso dall'avere una relazione! Wakabayashi chiudi il becco! - disse al portiere pronto a controbattere - Vi cercate, vi volete, desiderate il momento di fare a pugni ed al dunque ci girate intorno facendo un sacco di complimenti! Volete picchiarvi fatelo, dannazione! -
La donna scrollò la testa sconsolata.
Nella stanza calò il silenzio, in sottofondo si avvertiva impercettibile il rumore del frigo.
- Perché litigate? Perché non andate d'accordo? - domandò a brucia pelo guardando negli occhi prima l'uno e poi l'altro - Ve lo siete mai chiesti perché? Se vi analizzate, se vi guardate dentro, qual è la questione a monte? -

- E' passato troppo tempo, credo! - disse Genzo mesto.
Si sentiva come se qualcuno l'avesse preso a calci.
Se ci pensava davvero non se lo ricordava più perché non andassero d'accordo, era per quella stronzata del gol da fuori area?
No, non lo era più da tanto tempo.
Allora cos'era? Perché come diceva quella donna cercava sempre di fare a pugni con lui? Qual era il senso?
Non lo capiva.
- Lo sai anche a tu che non è così! - rispose lei.
 
Kojiro si sentiva ferito.
Non ci aveva mai pensato, sapeva solo che qualcosa lo mandava in bestia.
Si, ma cosa? E perché soprattutto?
- Forse le differenze che ci sono tra noi! - disse torvo.
- Non credo sia questo il punto! - fece seria.
A dire il vero non ci credeva neanche lui, sapeva solo che tutto era iniziato alle elementari.
Stava passando in rassegna tutti i motivi e non riusciva a trovarne uno che valesse veramente la pena da portare avanti per tutto questo tempo.
Non lo trovava.

- In realtà ragazzi, il motivo non c'è! Lo fate solo per quella corazza che vi siete costruiti! Anche se avete percorso strade diverse siete molto simili, ma non volete accettarlo! Ragionate con il carattere, non con il cuore o con il cervello! - disse la donna pacata - Litigate perché siete abituati a fare ciò che gli altri si aspettano da voi! E cosa si aspettano gli altri? Che voi non andiate d'accordo! -
La dottoressa li guardava cercando di capire le loro reazioni: le facce corrugate dalla rabbia erano sparite, ma erano state sostituite da espressioni disorientate e quasi sofferenti.
Genzo con il suo perenne berretto calato sugli occhi cercava di mascherare disagio, mentre Kojiro si limitava a guardarsi le scarpe con la faccia di chi fosse stato preso in fallo.
- Analizzate il perché vi rifugiate in questa scusa, ma soprattutto analizzate voi stessi, quello che sentite veramente per l'altro! Per una volta in questo "non-rapporto" cercate di vedere al di là della corazza che vi circonda, potrebbe stupirvi quello che si cela fuori dal vostro normale campo visivo! - la donna continuava a far rimbalzare lo sguardo da uno all'altro - Le risposte le avete dovete solo trovarle! Io non voglio sapere dove arriverete con i vostri ragionamenti, e se per trovare ciò che cercate avete bisogno di picchiarvi fatelo senza girarci intorno! - fece decisa.
- E comunque per una volta lasciate questa cosa che c'è tra voi fuori dal campo di gioco! Farete contenti quei 3 rompi palle e starete meglio voi! -



Note di chiusura: Chiedo scusa per gli eventuali errori, ma a forza di rileggere i capitoli mi ci abituo e non li vedo più. v_v

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Capitolo 12
*** Disagio ***


Note: Grazie ancora a chi mi legge e mi recensisce, spero vi stiate divertendo.



Genzo e Kojiro non si parlarono per tutto il resto del giorno e quando all'ora di cena mangiarono mesti ed in silenzio, la squadra ed i mister ebbero un brivido di terrore.
Le uniche che sembravano non essere preoccupate erano la dottoressa Kinoshita e la signorina Fujita: se ne stavano in un angolo a parlottare mentre mangiavano da un bento.
- Dottoressa, cosa diavolo ha fatto a quei due? - chiese Gamo indispettito.
- Niente! Ci ho solo fatto quattro chiacchiere! - rispose tranquilla.
- Se secondo lei quello è il risultato di "quattro chiacchiere" stiamo freschi! - continuò il mister.
- Senta quei due hanno molti problemi e se vuole la sua squadra unita, devo scuoterli un po'! Se per lei è una preoccupazione smetto e me ne vado senza risentimenti! - disse semplicemente.
Gamo grugnì qualcosa del tipo faccia come crede e se ne andò.
- Mikami la smettà di guardare Wakabayashi come se fosse un cucciolo bastonato! E' un uomo e come tale deve affrontare la sua vita, da solo! - continuò guardando l'uomo brizzolato.
- Non mi intrometterò, non si preoccupi! - e detto questo si allontanò.
- Na-chan non essere dura con lui, è come se fosse suo figlio! - 
- Figlio o no, deve lasciarlo andare o resterà per sempre intrappolato! E non parlo di Wakabayashi! - rispose all'amica - Katagiri se si azzarda di nuovo a fregarmi un takoyaki le faccio male! - disse poi truce all'uomo.
- Ma i takoyaki della madre della signorina Fujita sono davvero buoni! - cinquettò l'uomo sorridendo serafico.

A Genzo era venuto un gran mal di testa.
La logica di quella donna era più che sensata, lui non ricordava minimamente quando fosse iniziato tutto e più ci pensava più gli scoppiava il cervello.
La storia del gol da fuori area era morta da anni quindi non era quello il problema, eppure ogni volta qualcosa gli faceva ribollire il sangue.
Non capiva.
Forse era davvero solo una questione di carattere, eppure non era certo fosse quella la risposta.
Non credeva alla stronzata dell'estrazione sociale anche se lui lo chiamava pezzente, Hyuga era più orgoglioso che invidioso.
Tuttavia il problema rimaneva.
Aveva la sensazione di sbattere la testa al muro.
"Litigate perché siete abituati a fare ciò che gli altri si aspettano da voi!" era dannatamente vero.
I compaggni li guardavano sempre come se stessero sul punto di esplodere, anche i mister erano convinti di questo e loro si limitavano a dare in escandescenza senza mai un vero motivo.
Ma perché?
Perchè non riuscivano a distaccarsi da quel maledetto ruolo?
 
Kojiro non aveva mai pensato al perché litigassero, sapeva solo che voleva farlo.
Sentiva come una forza misteriosa che gli faceva muovere lo stomaco e non capiva cosa fosse.
Era per quella cosa dell'elementari?
Gli sembrava una scemenza per essere vera, quanto tempo era passato? Nove, dieci anni?
No, troppo anche per lui.
Erano le differenze sociali?
Non ne era convinto, in fondo con Misugi andava d'accordo ed anche lui era ricco da fare schifo, ma forse era solo per il cuore di vetro o perché il Principe del calcio era davvero un principe dentro.
Era per difendere Wakashimazu?
No, sapeva proteggersi efficacemente anche da solo e lo sapeva bene, un paio di volte era arrivato alle mani con l'amico e gli era piaciuto ancora meno che con Wakabayashi.
Più ci pensava più andava in crisi, si sentiva a disagio; quella domanda gli martellava la testa senza sosta.
Perché non si sopportavano?
Doveva esserci un motivo, per forza.
Forse aveva ragione quella dannata dottoressa.

- Le devo parlare! - disse secco Genzo alla dottoressa - In privato! -
La donna alzò lo sguardo dalla cartella che stava leggendo, la chiuse mettendo un post-it per tenere il segno e la ripose nella sua borsa.
- Andiamo! - disse alzandosi - Prendiamo una boccata d'aria, ho bisogno di una sigaretta! -
I due uscirono dallo stabile e la notte li avvolse in silenzio.
La dottoressa appena fuori si accese una sigaretta e subito una nuvola di fumo grigio si levò a mezz'aria fra i due.
Camminarono intorno al campo da calcio, poi il portiere si sedette su di una panchina e la donna lo imitò.
Per un po' le nuvole di fumo della dottoressa furono le uniche cose ed a Genzo sembrò che il tempo non si muovesse.
Altro silenzio.
- Io non capisco! - sbottò nervoso.

- Cosa di preciso? - chiese la dottoressa senza distogliere lo sguardo dagli alberi di fronte a loro.
- Se gli altri si aspettano che litigiamo é perchè noi diamo l'impressione di volerlo fare, ma perché? -
- Voi continuate a fare gli stessi passi per proteggere voi stessi, e le persone che sono abituate a questo vostro comportamento, da un eventuale cambiamento! -
La donna si voltò a guardarlo negli occhi.
- Questo vuol dire che è colpa nostra? - domandò titubante il portiere.
- E' colpa di un bambino se quando ha paura piange? No è colpa della sensazione che sta provando in quel momento, così voi! Vi caricate di emozioni, sensazioni e stati d'animo che vi rendono irrequieti e vi scontrate, ma non è detto che debba essere direttamente l'altro a suscitare quelle reazioni! - poi tornò a guardare gli alberi che aveva davanti.

Sentiva lo sguardo della donna su di se, era certo che lo stesse guardando.
Si era trovato lì per caso voleva solo allenarsi un po', per sfogarsi, per trovare quelle maledette risposte, per stare solo.
Non smetteva di rimuginare sul fatto di avere una relazione con lui che in realtà era un “non-rapporto”.
Che cazzo significava, non aveva senso.
Si sentiva come un senso di pesantezza sullo stomaco, a disagio.
Poi li aveva visti seduti in silenzio sulla panchina, non voleva origliare.
- Vi è mai capitato che qualche vostro compagno vi dicesse ad esempio guarda Hyuga che fa oppure guarda Wakabayashi come si comporta? - lo stava chiedendo anche a lui ne era certo, lo fissava.

- Bhe... si a volte capita! - rispose il SGGK.
- E a te? - chiese risolta agli alberi.
Kojiro uscì dal suo nascondiglio.
- Si anche a me! - rispose l'attaccante avvicinandosi alla panchina con il pallone sotto braccio.
- Quelle domande che i vostri compagni di squadra vi fanno, inconsciamente sono volte a farvi prestare attenzione l'uno all'altro anche quando non vi considerate! Questo non significa che la colpa sia di chi vi sta intorno perchè potreste evitare certi comportamenti, sto dicendo che siete suggestionabili dall'ambiente circostante! - inspirò un'ultima volta dalla sigaretta e la spense.
- Ma lei ha detto che ci cerchiamo! - fece Hyuga corrucciato.
- Ed è così! Una volta carichi a quel punto partite! La domanda è perché, se tra di voi non cè nulla allora non avete bisogno di litigare! La realtà è che siete a disagio! Amate la nazionale perché il calcio è la vostra vita ma vi sentite fuori luogo in mezzo agli altri! -
Genzo guardò Kojiro e l'altro ricambiò lo sguardo.
- Ve l'ho già detto anche se avete percorso strade diverse siete molto simili! Voi due vi siete creati delle pesanti e dure corazze, ma dentro rimanete due bambini soli! Ora vi lascio, me ne vado al bar ad ubriacarmi! - disse alzandosi - Voi due da bravi tornate in camera e cercate di dare un nome, un volto o quello che volete al motivo che vi fa sentire a disagio! Se non mi ubriaco troppo domani mattina ci vediamo! -
I due rimasero a guardare la donna di spalle che se ne andava.
 
- Allora Katagiri, è soddisfatto del mio lavoro? - chiese la dottoressa mentre usciva all'uomo che fumava sulla porta.
- A pieno! - rispose asciutto.
- Quindi sono promossa? -
- Direi di si! -
- Bene! - fece scendendo i gradini che la conducevano al vialetto - Ah, dimenticavo! Kimiko non è il tipo di donna tutta cuoricini e fiori come appare, se ha intezione di farsi avanti si accomodi! E non le tenga nascosto nulla ha un fiuto infallibile per scoprire segreti e bugie! -
- Me ne ricorderò! - rispose sorridendo maliziosamente.



Note di chiusura: Credo di essermi perdutamente innamorata di Katagiri.

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Capitolo 13
*** Solo, soli ***


Note: Vi anticipo che da domani (29/05) il mio pc sarà in assistenza e non so quando potrò essere di nuovo online, vi prego abbiate pazienza.



Per lui era facile dare un volto al proprio disagio, anzi erano quattro i volti che aveva in mente: suo padre ed i suoi 2 fratelli in primis, poi sua madre.
Perché? Perchè a suo padre era venuta voglia di fare il pensionato.
Non riusciva proprio ad immaginarselo senza fare niente tutto il giorno, l'uomo che aveva sempre preferito la sua azienda a lui che finalmente se ne stava in famiglia.
Rimaneva il fatto che l'aveva richiamato a casa per chiarire la questione, Genzo aveva fatto delle resistenze ma sua madre, come sempre, lo aveva convinto a tornare.
Sapeva come prenderlo e sapeva esattamente quali tasti toccare, così ci aveva messo davvero poco a farlo capitolare: faceva leva sul suo amore di figlio, sul fatto che voleva rivederlo, insomma diventava melensa ed alla fine si ritrovava a cedere, era davvero imbattibile.
Era arrivato in Giappone una settimana prima dell'inizio del ritiro ed aveva avuto abbastanza tempo per mandare tutta la sua famiglia a fanculo, a partire dal padre seguito dai suoi fratelli.
Cosa costava a quei due cretini prendersi anche la sua quota della compagnia? Non voleva neanche i soldi per la cessone, ed invece avevano già deciso che non si sarebbero accollati le sue responsabilità.
Quali responsabilità poi non lo capiva, che ne sapeva lui di come si gestiva una multinazionale?
Loro avevano la "vocazione" come diceva sempre il maggiore, ed allora perché facevano tante storie? Erano nati per fare i manager, invece lui era nato per il calcio.
Era questo il disagio che sentiva?
Non lo sapeva, l'unica certezza era che non voleva fare quel ritiro: si sentiva fuori luogo in mezzo a tutti quei "bravi" ragazzi dei suoi compagni, sempre pronti a fare la cosa giusta, a sorridere anche quando avevano le palle girate perché "non è colpa del mondo se sono incazzato" ma a lui questo non riusciva, se aveva la luna storta non faceva nulla per nasconderlo.
Non riusciva a prendere sonno, ma sentiva che neanche il compagno di stanza poteva dormire.

Si rigirava nel letto senza trovare pace.
Qual'era il nome del suo disagio?
Kojiro ecco qual'era, era arrabbiato con se stesso per quel perido di merda, era stanco e stressato, l'unica cosa che lo rincuorava era che almeno sua madre ed i suoi fratelli stessero bene.
Il pacco di Mr. Kira era stato la ciliegina sulla torta; all'inizio aveva pensato che come sempre il mister ci avesse visto lungo ma stavolta era diverso e quando aveva provato a dirglielo era scoppiata la lite.
Con quell'uomo non si poteva parlare, soprattutto dopo che aveva bevuto.
In realtà non capiva da cosa provenisse quel senso di inqueitudine che lo accompagnava da qualche tempo, sapeva solo che era come uno strano peso sul cuore, un nodo alla bocca dello stomaco che non gli permetteva di essere "abbastanza cattivo", insomma se stesso.
Aveva la testa sempre piena di domande non si sentiva più adeguato a nulla, come se il mondo che si fosse costruito fino a quel momento non gli andasse più bene, fosse stretto.
Si poteva ritenere un bravo figlio? Certo, faceva di tutto per non pesare sulle spalle di sua madre che, povera donna, si barcamenava tra fare la mamma ed i due lavori che faceva.
Si poteva ritenere un bravo fratello? Eccome, si sarebbe buttato nel fuoco per quei tre piccoletti se fosse servito, cercava in tutti i modi di gudagnare più soldi possibili per non farli sentire a disagio nei confronti degli altri e faceva di tutto per essere come un padre per loro.
Si poteva ritenere un buon giocatore? Doveva ammetterlo non era tecnico come Tsubasa o Misugi, ma sicuramente in potenza non lo batteva nessuno e soprattuto in dedizione.
Allora cosa aveva che non andava? Tutto era iniziato quando aveva saputo di quella convocazione.
In nazionale era stonato, tutti perfetti, tutti calmi e tranquilli, tutti migliori di lui, nessuno escluso. Per quale motivo i suoi compagni dovevano essere sempre così schifosamente felici?
Li invidiava, Dio solo lo sapeva quanto li invidiava.

Kojiro sbuffò rigirandosi per l'ennesima volta nel letto.
- Neanche tu riesci a dormire? - chiese Genzo nella semioscurità.
- Già! - rispose l'attacante.
- Il fatto è che quella dannata donna ha ragione! - disse il portiere.
Wakabayashi si tirò a sedere sul letto, appoggiando la schiena alla testiera.
- Accidenti! - imbrecò Hyuga - E' che non riesco a trovare il perché siamo arrivati a questo punto! -
- Eppure lo facciamo sempre, finiamo sempre per litigare! - constatò il SGGK.
Nella penombra della stanza sembrava che le loro parole rimbombassero.
Rimasero in silenzio per un tempo che non seppero quantificare, potevano sentirsi respirare a vicenda.
- Hai mai pensato a noi? - esordì l'attaccante - Si insomma a come saremmo potuti essere se non ci fossimo mai scontrati così duramente? -
- A volte! - rispose il portiere - Credo che forse saremmo potuti anche essere amici, non come te e Wakashimazu magari! -
Flebile filtrava un raggio di luna dalla tapparella e si proiettava a terra davanti ai loro letti, Genzo rimase a fissarlo per un po' mentre Kojiro guardava intensamente il soffitto.
- Il fatto è che noi due siamo troppo distanti! Veniamo da due realtà diverse e forse anche questo ha i suoi effetti! - fece Wakabayashi.
- Non credere che io sia così veniale! - rispose Kojiro - E' vero i soldi mi avrebbero reso più felice, ma ho la mia famiglia! -

Perché lui non riusciva a dire "ho la mia famiglia" con la stessa leggerezza del compagno di squadra? Perchè, anche se a differenza sua un padre l'aveva, era come se fosse orfano: i suoi genitori avevano passato più tempo fuori che dentro casa e lui, soprattutto perché era il più piccolo, era stato cresciuto dalla tata e dal signor Mikami.
Quando Kojiro parlava della sua famiglia ai suoi occhi sembrava un'altra persona. 
Era felice e pieno di cose da raccontare, si vedeva chiaramente la devozione per la madre e l'amore profondo per i suoi fratelli. 
Genzo non poteva fare a meno d'invidiarlo, era più forte di lui. 
Gli era capitato più di una volta di ascoltare una sua telefonata a casa: lui era tenero e paterno con i fratelli e dolce con la madre. 
Non poteva fare a meno sentirsi solo in quelle occasioni. 
- Tu non sai quanto t'invidio! Vorrei essere al tuo posto almeno una volta! - disse tristemente serio.
Quelle parole gli uscirono di bocca senza pensarci, era vero però, lo aveva sempre ammirato per quel rapporto di amore che aveva con i suoi.

Kojiro non poteva credere alle sue orecchie, Wakabayashi lo invidiava. Cosa diavolo poteva invidiargli un riccone come lui?
- Al mio posto? - domandò l'attaccante mettendosi a sedere e fissando il compagno - Nessuno vuole essere al mio posto! -
- Tu hai una bella famiglia, siete uniti, vi amate! - fece il SGGK malinconico.
Non aveva mai considerato il portiere da quel punto di vista, eppure se ci pensava non lo aveva mai sentito nominare i suoi parenti una sola volta da quando si conoscevano; non ci aveva mai prestato troppa attenzione in realtà ma era più che certo che non ne avesse mai parlato, neanche con Takasugi o Taki.
A dire il vero non era al corrente di niente di lui, non sapeva neanche se fosse figlio unico o meno.
- Hai fratelli? Sorelle? - si trovò a chiedere incuriosito.
- Due fratelli maggiori! - rispose torvo - Ma non siamo in sintonia, siamo totalmente diversi! -
Kojiro si stupì molto, aveva sempre pensato che il portiere fosse figlio unico.
- Ed i tuoi genitori? - domandò ancora l'attacante.
- Hanno sempre passato gran parte del loro tempo all'estero! All'inizio sono voluto andare in Germania solo perché c'erano loro! - disse avvilito - Ho passato molto tempo a rincorrerli, alla fine ho deciso che Amburgo sarebbe stata la mia casa! -
Erano davvero simili dopo tutto: era solo come lui, soltanto che lo era in maniera diversa.

Genzo si sentiva strano, in qualche modo leggero; parlare di se così liberamente lo faceva stare bene.
Perché proprio con lui? Cosa aveva di speciale?
- Che tipo era tuo padre? - domandò il portiere.
- Era un uomo orgoglioso, un gran lavoratore ma sempre disponibile! A volte giocava a calcio con noi, a volte noi giocavamo a baseball con lui! - rispose Hyuga sorridendo - Il primo pallone me lo regalò lui, quel giorno! -
Le ultime parole del compagno avevano uno strano suono, straziato.
Aveva la sensazione che, pur non cadendo lacrime dai suoi occhi, stesse piangendo.
- Quanti anni avevi? - chiese ancora.
- Nove! - disse il bomber - Avevo giocato la mia prima partita con il Meiwa e avevo anche segnato ma avevamo perso, ho giurato che non sarebbe più successo! -
- Ed hai iniziato a lavorare! - fece il portiere.
- Non subito, quando i soldi finirono! Ci trasferimmo in una casa più piccola, che potevamo permetterci, e cominciai a fare dei lavoretti! Mia madre non voleva sapeva che ci avrei rimesso le gioie di essere bambino, che sarei stato solo ma io feci di testa mia! -
Quelle parole avevano un sapore amaro.
Determinazione era l'unico aggettivo che davvero lo rappresentava, Wakabayashi adesso sapeva cosa avevano veramente in comune.



Note di chiusura: Come per il capitolo 9 "Shanghai" ho messo un pezzo di "Amarti è più facile che odiarti", la drabble in questione è la Q!

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Capitolo 14
*** Film, alcol e chiacchiere ***


Note: Finalmente il mio amato pc è tornato e posso finalmente aggiornare, scusate l'attesa. Quella che all'inizio sembrava una sciocchezza si è rivelata essere un problema più complicato e per un attimo sono quasi svenuta quando mi hanno detto che poteva essere irreparabile, poi per mia fortuna l'allarme è rientrato. Grazie ancora. ^_^



Avevano avuto la loro prima vera chiacchierata, con tranquillità senza insulti ne venire alle mani, eppure il giorno seguente non si erano rivolti la parola tutto il tempo come a voler rimettere della distanza fra loro o almeno una distanza "pubblica".
Si erano allenati, avevano pranzato, fatto un noioso briefing e si erano allenati di nuovo, il tutto senza che tra loro succedesse niente, neanche un ciao.
Erano riusciti in qualche modo a schivare anche le "frecciatine" che i compagni mandavano: al primo "Hai visto Wakabayashi?" di Sorimachi, Kojiro lo aveva zittito dicendo che aveva di meglio da fare e lo stesso fece Genzo quando Kisugi aveva provato a fargli notare che "Hyuga ha davvero uno sguardo truce!".
Se ciò che diceva quella donna era vero, loro avrebbero fatto di tutto per non ricadere negli stessi errori o se non altro avrebbero fatto di tutto per limitarli non l'avrebbero data facilmente vinta agli altri.
Per tutto il giorno la dottoressa Kinoshita non si era vista ed avevano dedotto che forse si era ubriacata davvero.
Quando all'ora di cena si presentò con una busta della spesa, i due ragazzi ebbero paura che avesse in serbo qualche altro gioco.
Chiacchierava animatamente con la signorina Fujita e sembrava stesse cercando di convincerla a fare qualcosa.
- Cosa dovrà combinare adesso? - chiese Wakabayashi sospettoso al compagno di tavolo.
- Non mi ispira niente di buono! - rispose Hyuga titubante osservandola.

- Stasera guardiamo un film! - esordì la donna allegra.
- Na-chan perché devo esserci anch'io? - chiese la signorina Fujita che era stata trascinata nella loro stanza e sembrava piuttosto contrariata.
- Non rompere sempre e goditi la serata, o hai altro da fare? - chiese maliziosa all'amica - Kimiko cara, vuoi che vada a chiamare Katagiri? -
I due ragazzi guardarono la signorina Fujita diventare rosso fuoco e cercare di tirare un pugno alla dottoressa che nel frattempo si era nascosta dietro di loro ridendo.
- Sei una scema! - disse la segretaria - Devi sempre fare la cretina! -
Kinoshita rideva come una bambina nell'osservare l'imbarazzo dell'altra.
- Questo ragazzi è il tipico esempio di donna navigata che cerca di darsi un contegno! - disse la dottoressa sbucando con la testa fra loro due.
- Navigata sarai tu! - ribadì la signorina Fujita.
- Puoi dirlo forte! - fece la dottoressa - Non ho intenzione di tenerla in naftalina per la gloria dell'anima! Ce l'ho e mi ci diverto! -
- NA-CHAN! - le urlò dietro la segretaria - Sei indecente! -
E mentre si consumava questo siparietto comico, Wakabayashi e Hyuga si guardarono perplessi sull'effetiva età anagrafica di quelle due donne: si comportavano come due adolescenti.
- Cosa c'è nella busta della spesa? - chiese Kojiro cercando di riportare un po' di ordine in quella stanza.
- Dunque... - iniziò la donna frugandoci dentro e tirando fuori di tutto - ...patatine, pop corn, birra, sake, cola... ah un pacchetto di caramelle e sigarette ovviamente! -
La donna prese la sua borsa e tirò fuori un dvd che lanciò al portiere.
-Tieni infilalo nel lettore e divertiamoci! - disse la dottoressa su di giri.
Genzo eseguì l'ordine senza farselo ripetere, la serata aveva preso già un piega piuttosto bizzara per mettersi a controbattere.

Quella che aveva portato la dottoressa non era una pellicola d'autore o da oscar, ma era un gran bel film di sicuro.
Era uno dei pochi che ricordava per certo di aver visto, da piccolo, seduto sul divano insieme a suo padre ed i suoi fratelli.
"Yippee Ki-Yay pezzo di merda!" era la frase che più lo gasava di "Die Hard" non poteva fare a meno di amare un personaggio come John McClane, Genzo non capiva perché ma ci si rispecchiava. 
- Perché avete lo stesso modo di fare sbruffone! - gli disse Kojiro sgranocchiando i suoi pop corn. 
- Io non ho un modo di fare sbruffone! - rispose punto sul vivo - Semmai quello sei tu! - 
- Non raccolgo le tue provocazioni! Non quando guardo il mio film preferito! - fece l'attaccate vago. 
Non immaginava davvero che avessero gli stessi gusti in fatto di film: quello era anche il suo film preferito.

Se non fosse stato troppo preso dalla visione gli avrebbe risposto per le rime ma non ora, nossignore non durante "Die Hard": anche se sapeva tutte le battute a memoria, anche se sapeva cosa sarebbe successo, anche se l'aveva visto mille e mille volte.
Non avrebbe accettato commenti negativi per niente al mondo e scoprire che appassionasse anche il portiere lo stupì, almeno si sarebbe evitato un inutile cineforum sui suoi gusti personali.
Comunque doveva ammetterlo John McClane era davvero un'icona per lui, non un esempio da seguire ma da bambino nei sui giochi si immaginava sparare ai cattivi del film insieme al suo beniamino: anche per colpa di quel film era nato il suo poco amore per i tedeschi di nome Hans e Karl o tutti e due insieme.

- Zitti li davanti! Stiamo cercando di ascoltare! - esordì una ormai alticcia dottoressa Kinoshita.
Le due donne si erano bellamente svaccate sul letto di Wakabayashi e così loro due si erano ritrovati a sedere su quello di Hyuga.
I primi 10 minuti erano stati tutto un "A me questo film non piace" della signorina Fujita, poi anche lei abbastanza brilla aveva iniziato ad apprezzarlo, in realtà di più Bruce Willis che la pellicola in se.
A fine film entrambe si erano profuse in commenti da pseudo scaricatore di porto sulle presunte capacità amatorie dell'attore: i ragazzi si erano trovati a scoprire una signorita Fujita più sboccata di quello che credevano.
- I vostri commenti al film si riducono a come sarebbe Bruce Willis a letto? - chiese Wakabayashi un po' schifato.
- Si! - risposero in coro le due donne.
I titoli di coda in tv scorrevano, insieme alla canzone di chiusura.
- Certo che a vedervi da fuori non si direbbe che siete così amiche! - constatò Hyuga.
- La colpa è la sua! Ha sempre questa faccia da stronza, - disse la segretaria dando dei pizzichi sulle guance dell'altra -  in realtà è un orsacchiottina tenerona! - concluse mentre la dottoressa faceva finta di vomitare.
- E come vi sareste conosciute voi due? - chiese il portiere curioso.
- Da adolescenti, non la sopportavo anche se frequentavamo la stessa scuola da sempre! Era una kogal sempre precisina e… rosa! Che schifo! - disse la dottoressa con una faccia disgustata.
- Sta zitta tu! Indossavi sempre il chiodo ed andavi in giro in moto come una pazza, eri una yankee e pure di quelle stronze e cattive! - precisò Fujita. 
Kojiro e Genzo si scambiarono un occhiata sorpresa.
- Fammi finire! Comunque io e lei ci conoscevamo dall’asilo ed era davvero una rompicoglioni piagnucolona, roba da spaccarle la faccia a pugni! - continuò la donna sovrastando le proteste dell'altra - Quando mi spedirono dalla psicologa quella cercò in tutti i modi di conformarmi alla media ed in men che non si dica mi ritrovai circondata da kogal ovunque perché secondo quella psico-deficiente dovevo iniziare a comportarmi più come loro! -
I due ascoltavano la donna che mentre chiacchierava beveva sake e fumava a più non posso, nella fioca luce della tv si vedevano fili di fumo salire al soffito come se fossero tele di ragno.
- In mezzo a quelle matte c’era anche lei che mi si appiccicò al culo! -
- Per forza mi avevi salvato la vita, ero in debito con te! - puntualizzò la segretaria bevendo la sesta o settima birra.
- Ma va, ho solo dato un calcio nei testicoli di... come cazzo si chiama? Vabbè un tizio! -
- Si ma come fanno due come voi ad essere amiche? - domandò l'attaccante.
- Ci piacciono le stesse cose, per cominciare! - rispose la segretaria - Non tutte sia chiaro, ma questo all'inizio è servito ad avvicinarci! Poi lei aveva sempre le sigarette! -
- Si, è una scroccona del cazzo! - precisò la dottoressa - Quando poi abbiamo trovato cosa ci accomunava abbiamo lavorato sul "noi": facevamo cose assurde! -
- Che significa cose assurde? - chiese Genzo.
- Abbiamo iniziato ad uscire insieme, andavamo a bere per locali fino a tardi e non vi potete immaginare che combinavamo! - fece la dottoressa guardando l'amica che iniziava a ridere - Per divertimento dicevamo di essere fidanzate e la gente ci chiedeva se ci baciavamo per soldi! -
- E lo facevate? - domandò Kojiro stupito.
- Certo! - rispose punta sul vivo la segretaria - Tu non avresti accettato dei soldi per un bacio con la lingua con il tuo amico? - indicando il portiere.
I due sgranarono gli occhi stupiti.
- Calmati Kimiko, questi non sono amici neanche se li pesti a sangue! - intervenne la dottoressa - Comunque tiravamo su bei soldoni a furia di baciarci! -
- Cioè vi baciavate con la lingua per soldi? - chiese Wakabayashi sbalordito.
- Non ti immagini i vecchi porci che ci sono in giro disposti a sborsare quattrini per guardare due adolescenti, femmine, che si baciano! - disse la dottoressa facendo nuvole di fumo - Per noi la cosa, comunque, non ci dava minimamente problemi l'importante era continuare a stare insieme! -
Genzo non era certo di essere proprio in se, immaginare quelle due che si baciavano gli fece uno strano effetto.
Kojiro dal canto suo non stava meglio, non capiva se lo disorientasse di più il pensiero che lo facessero o il pensiero che lo facessero per soldi.
- Che poi Na-chan bacia meglio ti tanti uomini con cui sono stata! - precisò la segretaria.
Nella semi oscurita i visi delle due donne apparivano più complici, come se avessero molto da dire ma poca voglia di far uscire le parole.
- Lo facevate solo da ragazzine o... ? - chiese il portiere.
Le due donne si guardarono e non risposero, un sorriso d'intesa si dipinse sui loro volti.
- Lo fate anche adesso? - domandò l'attaccante sorpreso.
- Volete vedere? - chiese la segretaria con fare provocante.
- Certo che vogliono! - rispose la dottoressa in modo sensuale.
I due ragazzi deglutirono visibilmente agitati da quella situazione imprevista.
I titoli di coda e la canzone erano finiti, dalla tv il menù del lettore dvd spandeva una luce azzurrina tutto intorno.
Le due donne si guardarono negli occhi, poi Kinoshita allungò una mano dietro la nuca dell'amica intrecciando le dita fra i suoi capelli; Fujita sfiorò con le proprie labbra quelle dell'altra ed entrambe le bocche si schiusero.
La distanza tra le due si era azzerata e le loro bocche si toccarono in un bacio che lentamente si trasformò in passionale.
Kojiro e Genzo le fissavano a bocca aperta come se le vedessero per la prima volta, avevano il cuore a mille ed erano più che certi che tutto il sangue fosse sceso nelle parti basse.
Kinoshita mordeva il labbro all'altra mentre Fujita passava la lingua sulla bocca dell'amica, il tutto nella maniera più eccitante possibile.
I due non respiravano più, il passo successivo era che si togliessero il vestiti.
- Credo che basti così per stasera! - disse la dottoressa fronte a fronte con l'altra.
- Lo credo anch'io! - rispose la segretaria carezzandole i capelli.



Note di chiusura: Anche qui ho messo una drabble di "Amarti è più facile che odiarti", per la precisione è la Y!

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Capitolo 15
*** Potete ancora scegliere ***


Note: grazie a tutti per le letture e per le recensioni, sono felice che la storia piaccia.



- Sono fuori di testa, ecco che sono! - sentenziò l'attaccante.
- Hai pienamente ragione! - confermò il portiere.
Per tutta la colazione e per tutto il tempo dell'allenamento il tono delle loro conversazioni era stato questo: per sino durante la partitella di allenamento, quando Hyuga arrivava davanti a Wakabayashi per segnare, avevano continuato su questa linea.
Quella discussione sembrava essere la cosa più importante della loro giornata visto che stava proseguendo anche nello spogliatoio.
- Ma come diavolo gli è venuto in mente a quelle due! - ribadì Genzo.
- Sono malate, ecco come! - puntualizzò Kojiro.
La squadra li guardava parlare senza credere ai propri occhi, era tutta la mattinata che chiacchieravano fra loro senza che qualcuno ci capisse nulla.
Nessuno di loro ebbe l'idea di mettersi in mezzo, Ishizaki a parte ma fu liquidato con un sonoro "Fatti i cazzi tuoi!".
Persino Gamo, Mikami e Katagiri rimasero sbalorditi: discutevano tra loro, ad essere precisi solo tra loro.
- Vorrei sapere se in quelle teste c'è un cervello o cosa! - fece il SGGK uscendo dallo spogliatoio.
- Oh no! Io non ci tengo a scoprirlo, potrei non sopportare il trauma! - disse il numero 9 seguendolo.
Nella stanza calò un silenzio irreale: i più si fissavano increduli.
Da quando la nazionale giocava insieme, nessuno dei giocatori aveva mai avuto il piacere di sentire quei due avere un dialogo che non finisse a urli, insulti e cazzotti.
- Che diavolo è successo a quei due? - chiese Matsuyama rivolto ai tre della Toho rimasti nella stanza.
- Non chiedetelo a me! - rispose Sorimachi alzando le mani.
- Davvero non saprei! - fece uno shockato Sawada.
Tutti si voltarono verso Wakashimazu che fissava ancora la porta a bocca aperta.
- Non tiratemi in mezzo! - esordì il portiere karateka - Eravate voi a volerli così! -

Erano seduti sui rispettivi letti e non riuscivano a guardare la dottoressa dall'imbarazzo.
- Che vi prende? - chiese lei aspirando dalla sigaretta.
- E ce lo chiede pure? - rispose Hyuga con un tono di voce più alto del normale.
- A lei sembra normale? - fece eco Wakabayashi fuori di sè.
- Scusate ma alla vostra età non avete mai visto un porno dove due donne si baciano? - domandò la donna stupita - E' la stessa cosa, non vedo la differenza! -
- Come sarebbe a dire non vede la differenza? - incalzò l'attaccante - Quello di ieri sera non era un film porno! -
- Che poi che diavolo centrano i porno adesso? - continuò il portiere - Insomma lei e la signorita Fujita... insoma mancava poco e vi sareste spogliate! -
La donna scoppiò in una risata di cuore, stava letteralmente piangendo.
- Come siete carini! - disse cercando riprendere fiato - Vi siete eccitati! -
I due divennero color porpora e cercando di mormorare qualcosa di sensato, fecero scoppiare di nuovo la dottoressa in un attacco di riso.
- Oddio sto morendo! - fece guardandoli spegnendo la sigaretta.
La donna rise per cinque o sei minuti ed ogni volta che alzava lo sguardo su di loro scoppiava di nuovo in una risata.
Ci volle un po' perché ritornasse in se, poi prese una sedia e si mise a sedere davanti a loro.
- Da quanto tempo non fate sesso? - chiese senza malizia, ma con un tono quasi materno.

"Da quanto?" pensò tra se e se Kojiro "Non me lo ricordo!"
Non gli mancavano le donne di certo, ma in quel periodo non ne voleva nessuna intorno: era come se fosse diventato improvvisamente schizzinoso.
Troppo alte, troppo basse, troppo magre, troppo grasse, troppo questo, troppo quello, insomma era insoddosfatto.
Non aveva mai disdegnato i piaceri carnali, ma non facevano per lui ultimamente.
Cercava davvero di ricordarsi come si chiamasse l'ultima tizia con cui era stato a letto ma nulla, e pensare che l'aveva pure fatto eccitare solo guardandolo tanto era porca.
- Adesso non mi viene in mente! - disse massaggiandosi il mento.

Erano due mesi o forse tre, Genzo proprio non riusciva a ricordare.
Doveva essere una cosa semplice per lui: non faceva altro che prenderne una e lasciarla per un'altra, invece ora il vuoto.
In quel momento della sua esistenza voleva stare solo, aveva un malessere strano che gli faceva vedere le cose in maniera strana: la tizia, che magari prima si sarebbe fatto senza troppi pensieri, adesso non gli faceva ne caldo ne freddo.
Una volta aveva pensato di essere addirittura un malato di sesso da quanto spesso si ritrovasse ad essere arrapato, ma ultimamente niente calma piatta.
- Davvero non saprei! - disse semplicemente.

- E l'amore? - chiese ancora lei - Intendo il sesso che si fa con la persona amata! - aveva un tono stranamente morbido.
- Non credo di averlo mai fatto! - rispose tristemente il portiere.
- No, nanche io! - gli fece eco l'attacante pensieroso.
- Sapete a volte capita di essere innamorati e di non saperlo! - disse la donna voltandosi a guardare fuori dalla finestra - Si cerca lontano dove il cuore vuol guardare, solo per evitare di sapere che l'amore quello vero è vicino a noi da sempre! -
I due ragazzi osservavano il profilo della donna: guardava il cielo al di là della finestra con un sorriso dolce sulle labbra.
- Lo dico per esperienza personale, non professionale! Cercavo in tutti modi di essere cieca e sorda, mi stordivo di tutto il sesso che riuscivo a fare ma non era quello che volevo! Ero sempre insoddisfatta, poi mi sono accorta che qualcosa era diverso in me! - il sorriso le si fece tirato - Avevo l'amore di fianco e la paura mi mangiava ogni volta che stavamo insieme: il rifiuto più di tutto! -
Parlava con affanno come se quelle parole fossero ancora una ferita aperta.
- Io e Kimiko, eravamo un po' come voi due: ci prendevamo in giro, ci infastidivamo e litigavamo, continuamente! Poi ci accorgemmo che questo nostro rapporto non ci bastava più! - fece un lungo sospiro e tornò a guardarli sorridendo - Il nostro è un amore difficile da gestire, tra noi mancano dei pezzi eppure non possiamo pensare le nostre vite separate! -
- Voi due state insieme? - chiese Hyuga piano come se non volesse rompere quel momento con le parole.
- No! - rispose guardandolo negli occhi - Io sono sposata e lei si fidanzò con un ragazzo di buona famiglia, che poi lasciò! Abbiamo scelto l'amore che gli altri definirebbero normale! Non sto dicendo che non amo mio marito non fraitendetemi ma... Kimiko è il mio più grande amore! -
- Perché non avete lottato per stare insieme? - domandò Wakabayashi incerto se fosse giusto indagare.
- Ci abbiamo provato, molto! - disse sorridendogli teneramente - Ma i tempi erano differenti da ora e la paura del diverso che si era creata intorno a noi ci costrinse a separarci! Abbiamo passato più di 5 anni lontane ma non è servito! -
La donna sorrideva ma il suo sguardo era triste, i due ragazzi ebbero una straziante fitta al cuore.
- Fu in quel periodo di lontananza che per puro caso riallacciai i rapporti con Satoru, quello che poi è diventato mio marito! Con lui l'amore è diverso non è come con Kimiko: è più cuore e mente che cuore e spirito! -
- Ieri sera voi due... - provò a chiedere il portiere.
- Vuoi sapere cosa è successo dopo? - disse senza togliere gli occhi dai suoi - No, non siamo andate a letto insieme, se lo avessimo fatto riprendere la vita di sempre sarebbe stato più difficile! -
- Perché? - domandò l'attaccante.
- Perché abbiamo scelto di vivere così ed ora non possiamo tirarci indietro! - rispose decisa ma dolce - Voi non avete ancora trovato il vostro amore, prima di guardare altrove siate sicuri di guardare vicino a voi; non avete ancora scelto e potete essere tutto quello che volete! -

All'ora di cena erano seduti al loro solito tavolo: Gamo, Mikami e Katagiri non avevano ancora deliberato se potessero o meno tornare con il resto della squadra.
Stavano mangiando in silenzio e pensierosi e, visto come era iniziata la giornata, il resto del gruppo si sentì quasi sollevato nel vederli tornare alle loro vecchie abitudini.
- Eppure se le guardi da fuori non sembra che soffrano! - esordì Hyuga guardando le due donne chiacchierare.
- Già! - constatò Wakabayashi - Forse come noi avranno una corazza! -
La dottoressa e la segretaria stavano chiacchierando con il signor Katagiri e la discussione sembrava anche essere molto seria.
- Secondo te cosa voleva dire con: siate sicuri di guardare vicino a voi? - chiese l'attaccante tornando a mangiare.
- Non lo so davvero! - rispose il portiere - Ora come ora vicino a me non c'è proprio nessuno, a parte te ovvio! -
- Lo stesso vale per me, ma noi non siamo come loro! - disse Kojiro - Insomma per noi la questione è diversa! -
- Si, lo credo anch'io! - fece Genzo convinto tornando alla sua ciotola di riso - Noi siamo diversi! -

La testa della signorina Fujita sbucò da dietro la porta.
- Per caso avete visto Na-chan? - chiese la donna sorridendo loro.
I due scossero la testa per dire di no.
- Come al solito starà fumando da qualche parte! Grazie! - rispose facendo per uscire.
- Aspetti signorina Fujita! - disse Hyuga all'improvviso.
- Le possiamo parlare? - continuò Wakabayashi.
- Certo! - rispose la segretaria entrando nella loro stanza.
I due si guardarono incerti da quale parte iniziare, su cosa dire.
- La dottoressa ci ha detto di voi! - esordì il portiere.
- Oh! - esclamò soltanto la donna.
- Quanto è passato dall'ultima volta che... si ecco... voi... - chiese il portiere cauto.
- Quasi 5 anni! - rispose anticipandolo e guardando per terra - Se dovesse ricapitare potremmo rischiare di non tornare indietro! -
- Non vi mancate? - domandò ancora il portiere.
- Ogni giorno! Vorrei buttarmi fra le sue braccia ogni singolo istante, lo desidero più di quanto non immaginate! - un sorriso amaro si dipinse sul volto della donna - Ma se siamo così è colpa mia, ho scelto io la via più facile! -
I due ragazzi sentivano di voler sapere di più ma guardare il dolore sui visi di quelle donne li uccideva.
- I miei genitori non approvavano ed io ero sempre stata una figlia devota, non sono riuscita ad avere abbastanza forza per ribellarmi! - riprese a parlare senza mai alzare lo sguardo - L'ho allontanata dalla mia vita, pensavo che così me ne sarei dimenticata, ma ogni giorno che passava mi sentivo morire, ed alla fine erano 5 anni e 7 mesi! -
- E cos'è successo? - chiese l'attaccante.
- In quel periodo io mi sono fidanzata con un ragazzo che mio padre reputava un buon partito ma non è andata bene, lei ha iniziato la relazione con Kaneda ed ora è suo marito! -
- Ed il marito della dottoressa sa di voi? - domandò ancora l'attaccante.
- Si, sa tutto! E' davvero un brav'uomo! A lui non importa di noi, è felice con Nanase! - la segretaria sospirò - Se solo quando me lo ha chiesto fossimo scappate, ora probabilmente saremmo felici, insieme! -
La signorina Fujita iniziò a piangere, senza singhiozzi, senza scossoni, solo lacrime.
- Quando ci siamo riviste, dopo tutto quel tempo, sapevo che non seremmo più potute tornare indietro, era tutto diverso! Io, lei le nostre vite, tutto! - strinse forte gli occhi - Ci siamo amate un'ultima volta e poi abbiamo deciso di non farlo più! Io non ho mai lottato e lei non più la forza di combattere anche per me! -
Si sentivano il cuore scoppiare, non capivano perché.
- Amo Nanase, la amo più della mia stessa vita... ma io... Scusatemi! - disse uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.



Note di chiusura: non ve l'aspettavate questa svolta vero? ^_^

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Capitolo 16
*** Ho una cotta per te! ***


Note: ho scritto questo capitolo di getto e, tanto per cambiare, l'ho riletto velocemente. Spero di non aver lasciato troppi errori che come al solito non ho visto. ^_^;



- Per sino gli animali nati in cattività si reintroducono in natura! - disse la dottoressa - Suvvia Gamo un po' di elasticità! -
- Ho detto di no! - affermò deciso l'uomo, se ne stava seduto sul divano a braccia conserte e teneva il broncio come un bambino.
- Accidenti, lei è testardo come un mulo! - fece Kinoshita arrabbiata - Mi prendo la completa responsabilità di quello che può succedere, così è contento? -
Gamo non aveva intenzionone di cedere il passo l'ultima venuta.
- Mi sembra un buon compromesso! - disse Mikami - Potremmo fare una prova! -
- Si, sarebbe divertente! - esordì Katagiri.
- Hmm... - mugugnò l'allenatore - E va bene, ma la convivenza resta! -
- Ovvio! - disse la dottoressa - Lei pensi ad allenarli che al resto ci penso io! -

Finalmente sarebbero tornati a mangiare con il resto della squadra.
Genzo si sentiva sollevato e felice ma allo stesso tempo disorientato: la routine che si era creata fra loro in quel periodo, in un certo senso lo rassicurava.
Aveva scoperto di avere molto in comune con Hyuga e non se lo aspettava di certo: avevano gli stessi gusti in fatto di film, anche se in maniera diversa erano entrambi soli ed ad entrambi piaceva la vodka per ubriacarsi.
Quella mattina a colazione, però, avrebbe ripreso il posto di sempre quando era in nazionale.
- Wakabayashi, come ci si sente a tornare nella vecchia Nankatsu? - chiese Ishizaki.
- Direi bene! - rispose il portiere sedendosi fra Misaki e Izawa.
- Finalmente potrai fare una chiacchierata seria! - disse Kisugi.
Wakabayashi non rispose, si limitò ad annuire sorseggiando il suo succo di frutta: stava osservando l'altro tavolo dove il quartetto della Toho scherzava e rideva affiatato.
- Kojiro e Wakashimazu sono amici da sempre! - fece Misaki seguendo il suo sguardo - Non spero che diventiate così ma almeno che siate meno litigiosi! -
- Già! Quando litigate siete davvero insopportabili! - aggiunse Tsubasa.
Il portiere si voltò verso di loro stava per dire qualcosa, ma la risata di Hyuga lo fece girare di nuovo.
Aveva una strana sensazione, era come se qualcosa all'improvviso non quadrasse: si sentiva come un peso sullo stomaco.
Non capiva perché ma si stava innervosendo: vederlo ridere e scherzare con Wakashimazu gli dava fastidio, si sentiva come messo da parte.

L'allenamento era finito e la squadra era tutta nello spogliatoio.
- Wakabayashi tutto ok? - chiese Misugi.
- Si, perché? - rispose il portiere spogliandosi.
- Durante la partita eri strano, distante! - spiegò il prinicipe del calcio.
- Solo dei pensieri di poca importanza! - disse il SGGK tagliando corto e buttandosi sotto la doccia.
Era vero, era distante: per tutta la partita la sua mente era stata nella metà campo avversaria, incollata al numero 9 con cui divideva la stanza.
Non capiva perché ma non riusciva a togliersi dal cuore quella sensazione che lo opprimeva.
L'acqua bollente della doccia avrebbe dovuto far scivolare via i cattivi pensieri che si erano impossessati di lui, invece questi avevano deciso di rimanergli attaccati addosso.
- Oggi Wakabayashi non è tra noi! - sentì dire dalla doccia di fianco.
Se il secondo portiere della nazionale cercava rogna, lui di certo non si sarebbe tirato indietro.
- Wakashimazu smettila! Non ho intenzione di sentire critiche! - ribattè Hyuga deciso.
Essere difeso da lui in qualche modo lo faceva sentire bene: non ne aveva certo bisogno ma sapere di poter contare su di lui lo sollevava.
- Va bene capitano calmati! - fece il portiere - Stavo solo dicendo che oggi sembrava strano tutto qui! -
- Si certo! - rispose Hyuga sarcastico.
- Se il tuo amico ha qualche problema possiamo sempre risolverla! - si trovò a dire stando ancora sotto l'acqua.
- Wakabayashi non ti ci mettere anche tu! - disse Kojiro dalla sua doccia.
- Hai ragione mai mettersi contro il gruppetto Toho, voi vi spalleggiate a vicenda! - continuò acido.
Nella stanza scese il silenzio.
Il resto dei giocatori rimase fermo in attesa di una reazione, pronti a sentire sputare fuoco e fiamme dalla bocca dell'attaccante.
Hyuga chiuse l'acqua, uscì con indosso un asciugamano e si diresse al suo armadietto per rivestirsi.
- Non qui e soprattutto non ora! - disse fermandosi davanti alla doccia di Wakabayashi - Ne parliamo in camera! -
Genzo non disse una parola, rimase sotto il getto d'acqua bollente, mentre intorno a lui il vociare dei compagni riprese.

- Cosa cazzo vi dice il cervello? - gridò la donna ai due - Perché come rientrate in squadra non riuscite a stare senza scannarvi? -
- Non ho iniziato io! - fece Hyuga contrariato.
- Wakabayashi è vero? - chiese la dottoressa su tutte le furie.
- Si! - rispose asciutto.
- Hyuga sei salvo, ma rimani sotto osservazione! - disse la donna poi si voltò verso il portiere - Tu! Con me! - aggiunse puntandogli l'indice contro.
Genzo seguì Kinoshita fuori dalla stanza in silenzio.
- Na-chan ti cerca Gamo! - disse la signorina Fujita interccettandoli.
- Digli che ho da fare e se controbatte mandalo a fanculo! - rispose continuando a camminare.
Fuori dallo stabile il cielo era terso e la giornata calma, Kinoshita non aveva intenzione di fermarsi e con lunghe falcate raggiunse il campo da calcio, arrivati alla porta si fermò di colpo.
- Qual è il problema? - chiese la dottoressa arrabbiata guardandolo fisso.
- Nessun problema! - rispose il portiere acido.
- Stammi bene a sentire, stupido vasetto di yogurt scaduto, - esordì furiosa - per il culo ci prendi uno di quei tre dementi o uno dei tuoi compagnetti di giochi, non me! Chiaro? - continuò perentoria - Ora o tu sputi il rospo o te ne faccio pagare le conseguenze e sta sicuro che saranno carissime! -
Wakabayashi rimase un attimo in silenzio poi sospirò.
- Sono invidioso! - disse d'un fiato.
La dottoressa sbuffò, prese le sigarette dalla tasca e se ne accese una.
- Fumi? - chiese con un tono più tranquillo, il portiere fece no con la testa - Fai bene, mia madre mi dice sempre di smettere ma io non le do mai retta! - disse riprendendo a camminare.
Genzo la seguì tra le nuvole di fumo fino ad arrivare a bordo campo.
- Cos'è successo? - gli chiese calma.
- Non voglio che Wakashimazu prenda il mio posto! - sbottò serio.
Un'altra persona, uno dei suoi compagni di squadra ad esempio, avrebbe pensato che stesse parlando del posto in nazionale ma non lei, era più che certo che quella donna avesse dei poteri soprannaturali.
- Dividete la stanza da solo 6 giorni, non puoi pretendere che tutti quegli anni di amicizia vengano cancellati! - fece la dottoressa guardandolo negli occhi - E soprattutto non puoi chiederlo! -
Lui lo sapeva ma nonostante tutto era invidioso ed il vero problema era che non  ne capiva neanche il perché.
Aveva realizzato che non sopportava di vederli insieme solo quella mattina ed ora non riusciva a pensare ad altro.
- Me ne rendo conto ma sono invidioso lo stesso! - fece deciso.
- Wakabayashi non si chiama invidia quello che senti ma gelosia! - gli disse la donna continuando a guardarlo.
- Gelosia? - chiese stupito - Cosa diamine sta dicendo? -
- La verità che da anni ti nascondi, sei geloso! - ribattè decisa.
- Questa è bella, adesso sarei geloso? - disse ironico - Non dica stronzate! -
- Stammi ad ascoltare ragazzino, cosa credi che stia cercando di dirvi da giorni? - gli chiese fredda puntando gli occhi nei suoi - Sei geloso fin nel midollo e l'unico modo che hai imparato per avere un contatto è prendervi a pugni! -
- Cazzate! - rispose inviperito.
- Davvero? Allora dimostrami che sbaglio! - lo sfidò lei espirando una nuvola di fumo - Fammi vedere che il grande Genzo Wakabayashi non è uno smidollato! -
Non poteva, non sapeva come fare: come si dimostrava una cosa del genere?
Rimase in silenzio.
- Il vostro limite, siete solo voi! - inspirò di nuovo dalla sigaretta - Tu non vuoi ammettere quello che sai e quindi ti limiti a venirne travolto, con gli esiti che ben conosci! - espirò il fumo che, come le sue parole, si fermò tra loro.
- Sta insinuando che... insomma vuole dire che io... - ma le parole gli morirono in gola.
La sua testa aveva un pensiero ma la sua bocca si rifiutava di esprimerlo: per la prima volta aveva paura.
- Riesci a giocare in un campo da calcio circondato da migliaia di occhi pronti a giudicare un tuo errore ma non riesci a finire una semplicissima frase! - disse la donna alzando gli occhi al cielo - Su avanti finisci questa "Sta dicendo che..." -
- Che ho una cotta per... Hyuga! - disse con un fil di voce.
Come poteva essersi reso conto all'improvviso di avere un'infatuazione per un uomo, Hyuga per giunta.
- Si sto dicendo questo! - rispose la donna sorridendogli dolcemente - Parare un rigore al novantesimo alla finale dei mondiali sarebbe stato più facile, vero? -
- Si rende conto che Hyuga è un uomo? - chiese il portiere agitato.
Si sentiva come se lo avessero picchiato fino a farlo rimanere senza respiro, era certo che il cuore gli stesse per saltare fuori dalla gola.
- Te ne sei invaghito tu non io! - gli rispose semplicemente la dottoressa - Chiediti cosa vuoi, come ti comporterai adesso! Guardati dentro, le tue risposte non posso dartele io perché non le conosco! -
 
Non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo quel pomeriggio: aveva realizzato di avere una cotta per Hyuga.
Tutto il resto della giornata non era riuscito a guardarlo in faccia una sola volta ed ogni volta che l'attaccante cercava il suo sguardo si sentiva morire dentro.
Come poteva uno come lui, circondato continuamente da donne, avere una cotta per un uomo?
Non Schneider, non Kaltz, no. Hyuga.
"Dannazione!" imprecò fra se e se.
Come poteva essere successo? Quando?
Non ricordava neanche cosa avesse mangiato a colazione figurarsi se poteva riuscire a ricordare quando si era invaghito di Hyuga.
"E se quella maledetta donna si sbagliasse?" si chiese dubbioso.
Eppure si sentiva sempre ribollire quando era insieme a lui ed era più che certo che quando era arrabbiato si sentiva completamente diverso.
Con tutti i problemi ed i casini che aveva in quel periodo ci mancava solo questa nuova folgorazione a complicargli l'esistenza.
Gli scoppiava la testa per i troppi pensieri o forse era colpa della terza vodka che aveva buttato giù, ultimamente diluire le sue inquietudini nell'alcol era la sola cosa che riuscisse a fare.
- Cos'è questo posto è diventato come una calamita? - chiese una voce alle sue spalle.
- Mi sembra che cia sia anche tu! - rispose freddo senza scomporsi.
Non aveva molta voglia di fare conversazione, soprattutto con lui.
- Sono venuto a cercarti! - disse l'altro mettendosi a sedere sullo sgabello di fianco e fissandolo.
- Cos'è sentivi la mancanza? - gli chiese acido senza togliere lo sguardo dal bicchiere che aveva in mano.
Hyuga era lì accanto e lui si sentiva in subbuglio aveva uno strano nodo alla gola e le mani sudate "Dannazione, che mi succede!" pensò arrabbiato con se stesso.
Aveva avuto tante donne ma mai aveva avuto una sensazione come quella, con nessuna.
- Che diavolo ti prende oggi? - chiese l'attaccante fissandolo.
- Chiedilo a Wakashimazu, è così bravo! - rispose acido.
- Non provocarmi! - sentenziò l'attaccante - Non ho nessuna intenzione di litigare con te! -
Aveva ragione, lo stava provocando, stava facendo lo stronzo solo perché voleva mettere più distanza possibile tra loro: voleva tornare a prima di quello schifoso ritiro.
- Dimenticavo non si può toccare il tuo amichetto! - fece in tono cattivo.
Kojiro non rispose.
L'attaccante non sembrava avere la voglia di reagire, di rispondere: la cosa lo infastidiva non poco.
- Uno come te come pensa di capire i problemi degli altri? Semplice, non può! - continuò sempre più stronzo.
Il numero 9 si alzò in piedi.
- Sei solo un coglione, Wakabayashi! A parole sei bravo ma con i fatti sei solo un codardo! - gli sibilò l'attacante all'orecchio, poi uscì dal locale.
Come si permetteva di dirgli certe cose? Chi si credeva di essere?
Non aveva nessuna intenzione di farsi insultare, gliela avrebbe fatta pagare.
Se voleva fare a pugni non si sarebbe di certo tirato indietro, non l'aveva mai fatto non avrebbe cominciato quel giorno.
Poggiò i soldi sul bancone e con passi rapidi uscì dal bar.
Hyuga era qualche metro davanti a lui: era di spalle e camminava mani in tasca, poi si fermò e svoltò in un parchetto lì vicino.
Si avviò ed in men che non si dica arrivò all'ingresso del parco dove lui lo attendeva a braccia conserte: ci mise un secondo a colmare la distanza che li divideva e si ritrovò viso a viso.
- Allora? - chiese l'attacante.
Ora che lo aveva davanti, occhi negli occhi, all'improvviso sentì le gambe farsi molli.
- Cos'è che stavi dicendo? - continuò il numero 9.
Genzo sentì il cuore iniziare a correre all'impazzata e, come non gli era mai successo, dovette distogliere lo sguardo dall'altro voltandosi.
- Che diavolo ti prende Wakabayashi? - domandò sopreso il bomber.
Non riusciva a regire a quella sensazione, ne era completamene travolto: il battito era così accelerato che aveva paura che il cuore gli stesse per uscire  dal petto.
Quando Kojiro gli appoggiò una mano sulla spalla ebbe un fremito.
- Wakabayashi... - iniziò l'attaccante.
- Ho un problema che non posso affrontare! - rispose semplicemente il portiere.
- Posso aiutarti? - domandò Hyuga.
- Aiutarmi? - fece il SGGK voltandosi - Sei tu il problema! -
- Io? - chiese stupito il numero 9 - Come sarebbe a dire? -
Genzo sospirò ed abbassò lo sguardo facendosi serio.
- Sarebbe a dire che sei tu che occupi i miei pensieri! - rispose con un fil di voce.
Il collo, le orecchie e la testa tamburellavano a più non posso, sentiva il suangue bruciargli nelle vene.
- Non riesco a capire! Che stai dicendo? - continuò il bomber.
- Sto dicendo che... - sentiva le parole morirgli in gola - ... dico che... -
Lo aveva davanti da tutta una vita, si erano insultati e picchiati tante volte, avevano condiviso il campo da calcio da avversari e compagni, condividevano lo spogliatoio in nazionale e adesso anche a stanza, eppure in quel preciso momento non riusciva a dire una sola parola.
Hyuga era fermo davanti a lui che lo osservava con sguardo indagatore e lui non aveva una briciola di coraggio per dire ciò che sentiva di dover dire.
Chiuse gli occhi.
- Hyuga, io ho... - iniziò cercando la forza - ... ho una cotta per te! - finì aprendo gli occhi.
Lui era lì davanti senza un'espressione precisa in viso, senza mostrare una reazione, voleva qualcosa: un urlo, un insulto, un pugno, insomma qualsiasi cosa.
Solo silenzio.
Quegli occhi così neri all'improvviso sembravano essere diventati pesanti come il piombo, ma si fece coraggio e non vi staccò i suoi.
- E da quando? -  domandò secco l'attaccante.
- Non lo so! - rispose semplicemente - Ho capito solo oggi di essere geloso di te e Wakashimazu! -
Kojiro si voltò e si mise a sedere sulla panchina li vicino, Genzo non si mosse ma non perse d'occhio nessun movimento.
Mai come in quel momento, il portiere, aveva desiderato prendersi a pugni con lui pur di stemperare quella situazione, invece silenzio.
- Hai una cotta per me e sei geloso! - disse l'attaccante senza alzare gli occhi da terra - Cosa dovrei fare adesso? -
- Non avevo intenzione di dirtelo, non volevo lo sapessi! - rispose il SGGK.
- Ho bisogno di stare solo! - esordì Kojiro fissando il vuoto - Vattene! -



Note di chiusura: grazie tante per le recensioni, per le letture. Grazie di cuore.

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Capitolo 17
*** Sii sincero ***


Note: grazie a tutti della pazienza e scusate il ritardo, ma ho preso la tonsillite (un malanno invernale in estate è davvero fantastico   -_- ) e sono stata a letto con la febbre quindi non sono riuscita ad ultimare il capitolo e revisionarlo in tempo. Spero sia valsa la pena aspettare.



Wakabayashi non si mosse, rimase a fissarlo.
- Hyuga, non volevo... - iniziò il portiere - ... non era mia intenzione... -
- Non era tua intenzione cosa? - domandò l'attaccante arrabbiato voltandosi a guardarlo.
"Ho una cotta per te!" lo aveva lasciato frastornato: aveva dovuto fare l'analisi grammaticale e l'analisi logica di quella frase, poi cambiare "una cotta" con "un'infatuazione" e finalmente il suo cervello era riuscito a realizzare il peso di quelle parole: "Io, Wakabayashi, ho un'infatuazione per te, Hyuga".
- Non volevo arrivare a questo! - rispose il SGGK triste - Volevo rimettere distanza tra noi come prima di questo schifoso ritiro! -
Era vero quel dannato ritiro era uno schifo: lo stava distruggendo emotivamente da prima che iniziasse e quando era cominciato si era sentito diverso dal solito fin dal primo giorno.
Soffriva e non sapeva il perché: gli dava fastidio vedere il gruppo della Nankatsu così unito e Wakabayashi, lì in mezzo, amico di tutti come se le distanze contassero solo fra loro.
In tutti quegli anni che si conoscevano, non erano mai stati vicini una sola volta ed ora che avevano iniziato a costruire una sorta di amicizia lui voleva allontanarsi, come sempre d'altronde.
- E adesso la vuoi ancora quella distanza? - chiese sempre più arrabbiato.
- Non lo so! - rispose malinconico.
Genzo si era sempre comportato così con lui, non voleva la sua amicizia o la sua vicinanza, no.
- Lo so io! - disse Hyuga - Vattene! -
Genzo sospirò sconsolato.
- Come vuoi! - disse triste il portiere voltandosi per andarsene - Mi dispiace! -
Kojiro lo seguì con lo sguardo e lo vide riprendere la strada che portava al ritiro.
Rimase seduto in quella posizione per un tempo indefinito, aveva parole a caso che gli rimbalzavano nella testa: amore, Wakabayashi, calcio, amicizia, Wakabayashi, rigore, gelosia, Wakabayashi, fuori area...
Stava delirando.
Poi arrivò lei, e le sue dannate sigarette, a sedersi di fianco.
- Tieni! - gli disse porgendogli una bottiglia - Il signor Honda non ha voluto darmi la vodka allora ho preso le birre! -
Kojiro allungò la mano e prese la bottiglia senza dire una parola, fece una lunga sorsata e si voltò a guardarla.
- Lei lo sapeva? - gli chiese asciutto.
La dottoressa annuì inspirando una grossa boccata dalla sigaretta.
- Lui se ne è reso conto solo oggi! - iniziò lei, poi espirò - Quando me l'ha detto non sapeva neanche cosa provasse, cosa sentisse, aveva solo paura! -
Lui rimase in silenzio a soppesare le parole, come se dovesse trovarci un senso nascosto in mezzo a tutto quel fumo.
"Il brucaliffo!" pensò Kojiro osservandola "Ti sputa addosso le parole con il solo intento di creare confusione!" ed in quel momento lui si sentiva davvero come Alice.
- Tu hai lo stesso problema se non sbaglio! - fece la donna.
- COSA? - domandò gridando.
- Non ti rendi conto di cosa in realtà provi per lui! - rispose semplicemente Kinoshita.
Era vero, da sempre provava emozioni contrastanti per il portiere: lo ammirava come giocatore perché si era messo in gioco per migliorare andando all'estero e lo odiava perché rappresentava tutto quello che lui non poteva avere, tuttavia ogni volta che si allenava immaginava di avere lui davanti, sempre e solo lui.
- Puttanate! - disse acido - Lei non sa un cazzo! -
- Tu attacchi troppo in fretta per i miei gusti! - disse la donna sorseggiando la sua birra per nulla intimorita - Fai silenzio e ogni tanto ascolta il cuore invece della testa! -
Doveva fare silenzio per sentire cosa? Quello che già sapeva?
Lui non aveva nulla da ascoltare, sapeva perfettamente cosa voleva e non voleva.
Eppure in quei giorni aveva scoperto di avere con lui una singolare sintonia, qualcosa che andava oltre l'amicizia, qualcosa che con Wakashimazu non c'era.
- Io non provo niente! Niente! - disse serio - Non sono come lui! -
- Cioè non sei cosa? Gay? - chiese la dottoressa ironica - Se lo vuoi sapere neanche lui lo è ed è per questo che è pieno di dubbi! - disse facendo un tiro dalla sigaretta - E comunque non preoccuparti, se anche ammetti che ti piace non sarai meno virile! -
- Cosa centra la mia virilità - domandò stizzito.
- Sto dicendo che Wakabayashi con questo outing non ha perso una briciola del suo essere uomo, quindi puoi anche smetterla di nasconderti! - rispose in una nuvola di fumo.
- Non è come dice, non mi nascondo! - disse l'attaccante punto sul vivo.
- Allora cosa staresti facendo? Aspetti l'occasione giusta per dichiararti? - lo incalzò ironica.
- Come si permette? - domandò Hyuga piccato.
- Non fare la verginella con me, si vede lontano un chilometro che lui ti piace! - rispose la donna.
- Sto frequentando una donna, in questo momento! - disse l'attaccante caustico.
- Ma davvero? E come si chiama la gentil pulzella? - chiese la dotteressa sarcastica.
- Maki Akamine, è di Okinawa! - rispose sprezzante.
Non era certo che abbracciarsi una volta e telefonarsi ogni tanto fosse proprio frequentare una persona.
Si conoscevano a malapena e, anche se lei gli piaceva, tra loro non c'era una vera e propria relazione, in realtà non era molto diverso che con Wakabayashi.
- Sono felice per te! Questo dovrebbe aiutarti a comprendere allora! Anche se, a questo punto, non capisco il motivo per cui ne stiamo ancora parlando! - continuò la donna fintamente pensierosa. 
Hyuga non rispose.
Kinoshita rimase in silenzio a fissarlo sorseggiando la birra e fumando, odiava quella sua espressione di sfida: quella donna vedeva più in là di altri, più in là di quanto vedessero loro stessi e lui lo sapeva.
Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto? Cosa avrebbe dovuto dirle?
Forse se avesse ammesso che poteva nutrire qualcosa per Wakabayashi, quella avrebbe smesso di assillarlo, ma il fatto era che lui non sapeva cosa provasse.
Stava impazzendo.
- Fanculo! - disse stizzito, poi si scolò mezza bottiglia.
- Perché credi di stare così male? - gli chiese la donna con un tono estremamente dolce - Ti massacri di allenamenti extra per solo per sfogare la frustrazione! -
Frustrazione? Avrebbe detto agonia.
Non capiva più cosa volesse da se stesso e dagli altri.
Sentiva il sangue iniziare a bruciargli nelle vene.
- Non mi piacciono gli uomini! - rispose secco - Io non sono... diverso! -
- Infatti ho detto che ti piace lui, non gli uomini! - insistè lei - Ed essere diversi non è poi così male se si è innamorati, senza contare che sei anche venuto a cercarlo al bar! -
Per tutta la gioranta quell'idiota era stato distante e lui si era preoccupato.
Ma era certo che quello non fosse amore.
Per un attimo vide il volto triste del portiere ed il cuore accelerò un battito. 
- Lui non mi piace! - esordì deciso.
- Lo stai dicendo a me o a te stesso? - chiese la dottoressa - Perché nel primo caso puoi risparmiarti queste stronzate e nel secondo devi essere più convincente! -
- Lei pensa di sapere tutto? - domandò arrabbiato.
- Io non so proprio niente ma tu hai qualcosa che non va! - rispose lapidaria - Se ne sono accorti anche i tuoi compagni di squadra meno svegli! -
Aveva ragione, stava male e non sapeva il perché.
Che fosse davvero Wakabayashi la causa del suo malessere?
Era strano ma da quando si erano avvicinati avvertiva effettivamente di essere più leggero, aveva finalmente trovato quella tranquillità che gli mancava da settimane.
Non poteva essere come diceva quella donna, non doveva.
Il suo cuore accelerò due battiti stavolta.
- Non può essere come dice! - disse triste.
- Perché non può? Solo perché siete uomini? - gli chiese in tono materno - Se non guardi al vostro sesso, vedrai solo due persone che hanno molto in comune, vedrai due persone che si possono completare! -
Non sapeva come sentirsi era arrabbiato ed allo stesso tempo si sentiva triste: aveva sperato in un certo senso di potersi avvicinare a lui, avere di più da quella loro strana amicizia ed ora tutto era cambiato.
Voleva di più ed allo stesso tempo non voleva.
- Non può essere perché quando siamo insieme mi sento più... più... - iniziò a dire.
Più arrabbiato? Non era rabbia, quella gli faceva vedere rosso e partiva in quarta.
Più irascibile? Sua madre diceva sempre che lui irascibile ci era nato, quindi no.
Il suo cuore iniziò a correre.
- Mi sento più nervoso! - finì convinto.
- E quando sei con Akamine non ti senti più nervoso? - lo incalzò lei.
"Maledizione!" imprecò fra se e se.
Possibile che quella donna dovesse sempre fare centro? La odiava, no anzi la trovava irritante.
Però doveva darle ragione: il nervosismo che lo prendeva quando era con Akamine o Wakabayashi era identico, ma Akamine era una donna.
Eppure se ci pensava bene aveva sempre trovato Wakabayashi interessante: forse era la diversità che c'era fra loro o il maledetto beretto che teneva sempre calato sugli occhi, non lo sapeva.
"Lui non è interessante!" si disse incazzato "Tuttavia i suoi occhi..."
Ora il cuore correva all'impazzata.
- Merda! - esplose nervoso.
La donna di fianco a lui giocherellava soffiando il fumo della sigaretta nella sua bottiglia di birra ormai finita.
- Per quale motivo lei mi deve fare tutto questo? - le chiese feroce.
- Io non ho fatto proprio nulla, avete fatto tutto da soli! -  precisò la dottoressa - Vi odiate, vi picchiate e nonostante tutto vi cercate! Vi girate intorno in un corteggiamento senza fine, senza arrivare al dunque solo perché avete paura, paura di dirvi una verità scomoda! -
- Non è vero! - rispose stizzito - Io sono la Tigre, io non ho paura di niente! -
- Allora va da lui e digli che non ti piace, che fra voi non c'è niente e che non ci sarà mai niente! Digli che frequenti Akamine e che questo ti basta! - disse la donna guardandolo negli occhi - A questo punto però dovrai smettere ti picchiarti con lui perché non è giusto mandare via una persona dalla propria vita e poi non essere disposti a smettere di cercarne il contatto fisico! -
A quel pensiero ebbe un fremito: non era il pensiero di dirgli quelle cose, era una sensazione sotto pelle simile a dolore.
Il cuore ora mai al galoppo non gli dava tregua e non capiva cosa avesse.
Finì la sua birra e si alzò.
- Credo che io debba andare! - disse guardando la donna ed incamminandosi.
- Hyuga! Fa la scelta giusta, sii sincero! - fece lei senza muoversi dalla panchina - Per te e per lui! -



Note di chiusura: siccome come dicevo non sono stata bene, sono un po' indietro con la lavorazione. Probabilmente per il prossimo vi farò attendere (spero vivamente di no). Mi hanno fatto notare che è piccolo il font quindi l'ho ingrandito, fatemi sapere se va bene. Grazie ancora a tutti per le visite e la pazienza.

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Capitolo 18
*** Tornare come prima ***


Note: grazie mille a tutti per le letture e le recensioni, sono felice che nonostante il mio ritardo mi stiate aspettando. Grazie di cuore.



Si fermò sulla soglia della porta il tempo utile perché la lama di luce, che entrò dal corridoio, illuminasse la schiena del compagno di stanza che dormiva.
Quando il buio tornò nella camera, gli ci volle qualche secondo per metterlo a fuoco di nuovo.
Non era certo sul da farsi anche perché aveva uno strano senso di inquietudine misto a rabbia e tristezza.
Il suo cuore per tutto il tragitto, dal parco al ritiro, aveva continuato a battere furioso senza che lui ne capisse il motivo, o meglio senza che lui volesse provare a capirne il motivo.
Cosa avrebbe dovuto fare? Forse parlargli sarebbe stata la cosa più saggia ma ora non era abbastanza lucido da sapere cosa dire.
Dopo anni di litigi, di pugni e di sfide, all'improvviso Wakabayashi se ne era uscito con quella storia e lui aveva perso ogni certezza.
Lo osservò meglio ed, anche se era su di un fianco, ebbe la sensazione che le sue spalle fossero più curve come chiuse su se stesse.
Iniziò a spogliarsi gettando i vestiti alla rinfusa cosa che non era solito fare ma in quel momento aveva bisogno di tutto fuorché badare a dettagli inutili come quello.
Non sapeva come comportarsi ma sicuramente non aveva intenzione di tornare al "come prima".
Kojiro si infilò nel letto e si mise anche lui sul fianco, con lo sguardo percorse le curve sotto le coperte una, due, tre volte in su ed in giù.
Quello che aveva davanti agli occhi in un certo senso gli piaceva: ampie spalle muscolose e bacino stretto.
"Ma cosa cazzo vai a pensare?" pensò sorpreso "Eppure..."
Tutto quello non aveva minimamente senso lo sapeva ma non riusciva a spiegarlo al suo cuore che scalpitava e al suo sangue che bruciava nelle vene.
Doveva assolutamente dormire.

Sentì la porta aprirsi alle sue spalle, sapeva perfettamente che sarebbe dovuto tornare in camera prima o poi.
Aveva atteso sveglio il suo ritorno, ma quando udì il cigolio della maniglia preferì fare finta di dormire: l'idea che in quel momento loro fossero soli insieme gli fece ripartire il cuore al galoppo.
Aveva pensato molto sul da farsi mentre lo aspettava ed aveva deciso che la cosa migliore da fare fosse rimettere spazio tra loro, tornare al "come prima".
Nel momento in cui aveva avuto quel pensiero era sicuro di una cosa sola: quello sarebbe stato l'unico momento di debolezza con lui, da ora sarebbe ricominciata la linea dura.
Mostrarsi così vulnerabile solo perché forse aveva visto un barlume di qualcosa nei suoi occhi era stato uno sbaglio, uno sbaglio da cui doveva difendersi perché con lui era la sola cosa saggia da fare visto che l'aveva scacciato.
Nonostante tutte le sue certezze, il cuore era impazzito un'altra volta appena l'aveva sentito mettere piede in camera.
Genzo avvertì chiaramente il rumore della fibbia della sua cintura ed il lieve fruscio prodotto dai pantaloni che finivano a terra.
Ebbe un lieve fremito e la sua mente iniziò a vagare per i fatti propri.
"Smettila!" si disse deciso "Non fare la ragazzina alla prima cotta alla tua età!"
Più cercava di convincersi e più l'idea che fra loro ci fossero solo poche decine di centimetri a separli lo faceva surriscaldare, mantenere i suoi propositi sarebbe stato complicato.
Doveva assolutamente dormire.

Quella mattina nello spogliatoio c'era un gran silenzio, Genzo e Kojiro non si guardavano e se per sbaglio succedeva l'aria si riempiva di elettricità.
Entrambi a colazione erano stati taciturni ma ora la situazione era diventata opprimente per tutti: la squadra sapeva che quello era il preludio alla tempesta.
- Capitano tutto ok? - chiese Wakashimazu titubante.
Hyuga si voltò appena e fece un cenno del capo come a dire si.
Dall'altra parte dello spogliatoio questo semplice scambio di parole non sfuggì a Wakabayashi che con la coda dell'occhio osservava i due allacciarsi le scarpe.

La giornata era calda e soleggiata Wakabayashi, Wakashimazu e Morisaki si stavano allenando sotto le direttive del signor Mikami.
Yuzo era in porta mentre gli altri due aspettavano il loro turno per esercitarsi con le parate a terra.
- E' migliorato, vero? - chiese il Karate Keeper osservando Morisaki.
- Si molto! - rispose asciutto il SGGK.
Non aveva dormito parecchio e quel poco che era riuscito a chiudere occhio era stato tromentato dagli incubi, ora tutto voleva fuorché parlare con qualcuno.
Aveva deciso che avrebbe ripreso il suo atteggiamento di sempre, ma quando i loro occhi si erano incontrati a colazione gli era ripresa la tachicardia.
- Cos'è successo con il capitano? - domandò a bruciapelo Ken.
- Chiedilo a lui visto che siete tanto amici! - disse acido.
Non voleva parlare con lui, per niente al mondo: Wakashimazu non lo sapeva ma in un certo senso erano rivali.
- Fai attenzione a quello che fai! - gli sussurò l'altro - Il capitano non si merita la tua cattiveria perché ha sofferto già tanto! -
- Cos'è, sei la sua fata madrina? - chiese sarcastico Genzo.
- No, sono quello che ti spezzerà i polsi dopo Krayfort, Levin e Sho! - rispose Ken con tono minaccioso - Quindi sta attento! -
- Wakashimazu, tocca te! - disse il signor Mikami prima che lui potesse rispondergli per le rime mentre Yuzo ansante e accaldato gli si sedette accanto.

- HYUGA! DOVE DIAVOLO HAI LA TESTA? - gridò Gamo arrabbiato.
- Scusi Mister! - rispose semplicemente.
Non riusciva a seguire l'azione e non era la stanchezza ma i pensieri a non renderlo lucido.
"Non è giusto mandare via una persona dalla propria vita e poi non essere disposti a smettere di cercarne il contatto fisico!" ogni volta che per un qualsiasi motivo passava davanti la panchina, dove erano seduti il signor Katagiri, Fujita e Kinoshita, sentiva sempre la voce della psicologa sussurrargli qualcosa, ma era più che certo che fosse la sua mente a giocargli un brutto tiro.
- ADESSO BASTA! - urlò Gamo arrabbiato all'ennesimo passaggio sbagliato - HYUGA VATTI A SEDERE! -
- Merda! - imprecò furioso mentre prendeva posto vicino alla signorina Fujita.
- Hyuga oggi sei davvero pensieroso! - affermò Katagiri scherzoso - Si potrebbe credere che tu sia su un altro pianeta! -
Se quel coglione patentato cercava guai lui era più che pronto a darglieli, in fondo era grazie alla sua idea del cazzo se ora si trovava in quella situazione.
- Non sfidi la sorte, non oggi! - disse seria Kinoshita espirando una nuvola di fumo - Lei non ha la ben che minima idea di cosa avete smosso con le vostre stronzate sull'unità di squadra! -
Kojiro rimase stupito, lo stava difendendo.
- Na-chan! - la riprese la segretaria.
- E' la verità! - disse stizzita la dotteressa - Un sasso gettato in uno stagno crea onde che allargandosi coinvolgono ciò che incontrano; allo stesso modo le parole e le azioni provocano reazioni a catena che coinvolgono i sensi, i ricordi, i sogni e le aspettative, a dover intervenire a quel punto è la mente, per accettare o respingere, provare a collegare, costruire ed a volte distruggere! - continuò con molta calma la donna - Senza contare che quel sasso, quelle parole e quelle azioni rimarrano per sempre sul fondo anche quando le onde saranno terminate! Quindi non sfidate la sorte! - concluse alzandosi ed andandosene.
- Signor Katagiri, la prego di scusarla! - disse la signorina Fujita imbarazzata.
- Non si preoccupi! Credo che la sua amica abbia perfettamente ragione! - fece l'uomo alzandosi e stiracchiandosi - Abbiamo smosso troppo questa volta! Vero Hyuga? - chiese al calciatore vicino a loro.
Il numero 9 annui pensieroso: Kojiro non si era perso una sola parola di quel discorso, era rimasto in silenzio a soppesare ogni singolo vocabolo e come sempre quella dottoressa aveva centrato l'obbiettivo.
Era certo che stesse discutendo con quei due ma aveva imparato che non poteva escludere che forse in realtà stesse parlando proprio a lui.
Lui il suo "sasso" lo aveva ricevuto la sera prima con quel "Ho una cotta per te!" ed aveva lanciato il suo allontando il portiere.

Genzo in posizione fra i pali, aspettava Kojiro che stava arrivando di corsa come una furia, a pochi centimetri dall'area si mise in posizione di tiro, ma all'ultimo secondo passò la palla a Sawada in zona rigore.
Stupito da quella decisione improvvisa, il portiere si getto sui piedi del centrocampista e fermò la palla con le mani.
"Non ha neanche il coraggio di affrontarmi in campo!" si disse arrabbiato Wakabayashi rialzandosi "Razza di stronzo!" ed in un moto d'ira lanciò la palla con tutta la forza che aveva nelle braccia su quel maledetto numero 9.
- WAKABAYASHI! - urlò Gamo - TI SEI BEVUTO IL CERVELLO? -
La squadra stupita da quel gesto, si mise in allerta pronta a separarli in caso di rissa.
Kojiro di spalle, si voltò al colpo con lo sguardo inferocito.
Genzo voleva la tigre, voleva tornare a quel "come prima" che serviva per rimettere distanza, per dimenticare.
Lo vide chiudere gli occhi e inspirare profondamente, quando finalmente li riaprì aveva un'espressione estremamente seria.
- Tieni Matsuyama! - disse calciando la sfera al difensore - La palla è vostra! - aggiunse tornando in centro campo.
Wakabayashi completamente fuori di sè per quella reazione si sfilò i guanti, lo raggiunse, lo afferò per una spalla facendolo girare e gli sferrò un montante al mento.
Hyuga barcollò e fece un passo indietro per non cadere.
Jito e Takasugi erano scattati per dividerli.
- Me lo merito! - disse Kojiro nello stupore generale passandosi il dorso della mano sinistra sulla bocca - In fondo sono io il tuo problema! -
Genzo era furioso e quella risposta gli fece ribollire il sangue e scalpitare il cuore: voleva fare a pugni con lui, doveva fare a pugni con lui, ne aveva bisogno.
- Sei solo un codardo! - disse furibondo il portiere.

No, lui non era un codardo stava solo cercando in tutti i modi di evitare il suo cuore: quando si era trovato davanti a lui per tirare all'improvviso non ci era riuscito perché questo aveva iniziato a battere come un matto.
Si fissavano negli occhi ed aveva la sensazione che Wakabayashi lo stesse provocando per farsi del male.
- Smettila di provocarmi perché non ci casco! - disse Kojiro serio.
Aveva il cuore che correva ma non aveva intenzione di distogliere lo sguardo dagli occhi neri e furenti del portiere anche se quel giorno per lui era davvero una cosa complicata.
Non si sarebbe difeso se gli avesse dato un altro colpo, aveva deciso che avrebbe subito pur di non tornare al prima.
- Cosa fai mi prendi in giro? - sibilò Genzo afferrandolo per la maglia e strattonandolo.
Hyuga non mosse un muscolo, rimase fermo senza reagire "Smettere di cercare il contatto fisico!" ripeteva la voce della dottoressa nella sua testa.
- No, sto solo iniziando a capire! - rispose semplicemente.
Era vero stava comprendendo cosa provava Wakabyashi, sentiva il cuore esplodergli nel petto e non riusciva a staccare i suoi pensieri da lui.
Il portiere lo guardò stupito mentre le mani lasciarono la presa, Kojiro non si mosse non voleva allontanarsi per nessun motivo.

Wakashimazu non vedendo reazioni da parte del suo capitano era accorso in suo aiuto ma la dottoressa Kinoshita gli si era parata davanti.
- Si sposti! - intimò Ken alla donna.
- No! - rispose lei lapidaria - Queste non sono cose che vi riguardano quindi ne dovete restare fuori! -
- COME SI PERMETTE? - gli gridò il Karate Keeper.
- Smettila Wakashimazu! - disse Kojiro voltandosi - La dottoressa ha ragione, è solo una cosa fra noi due, niente che vi riguardi! -
- Ho sbagliato io a cercare lo scontro! - continuò Genzo - Ciò che succede fra noi deve restare lontano dalla squadra! -
- Scusateci! - disse l'attaccante facendo un'inchino.
- Non succederà più! - continuò il portiere imitando il compagno.
Gli altri giocatori si guardarono stupiti fra loro, non potevano credere ai loro occhi ed alle loro orecchie.
- Si... va bene... - esordì incerto Gamo - Cioè... volevo dire scuse accettate! - poi si voltò a guardare Mikami - Credo che adesso sia il caso di continuare l'allenamento! -
- Si Mister! - risposero Wakabayashi e Hyuga in coro sotto lo sguardo sempre più sorpreso del resto dei compagni che stavano ritornando in posizione.

Kinoshita tornò lentamente verso la panchina, vicino a Katagiri e Fujita.
- Credo di aver finito con quei due! - disse la dottoressa infilando le mani nelle tasche e prendendo un pacchetto di sigarette - Le farò pervenire a breve la mia parcella! - continuò verso Katagiri porgendogli il pacchetto.
- Sarò ben lieto di saldare il conto! - fece l'uomo prendendo una sigaretta offerta dalla donna - Se dovessi aver bisogno di qualcosa posso contare di nuovo su di lei? -
- Ovvio! - rispose lei con un sorriso sornione.



Note di chiusura: la frase del sasso nello stagno è ispirata da un aforisma di Gianni Rodari che recita così:
“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carte e il galleggiante del pescatore.
Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie di infinita di reazione a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.”

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Capitolo 19
*** Proviamoci ***


L’amore intraducibile
Vorrei iniziare chiedendo scusa per aver fatto passare tanto tempo, ma a un certo punto avevo perso di vista i miei personaggi e senza che me ne accorgessi erano cambiati.
Ho passato troppo tempo su questa storia e alla fine non sapevo più come gestirla, mi è sfuggita di mano. Ho provato a riprenderla l’anno scorso, e credevo di esserci riuscita, ma non avevo fatto bene i conti.
Questo che seguirà sarà il primo degli ultimi tre capitoli di chiusura, manca davvero poco alla sudata fine ma eccoci arrivati.
Vorrei ringraziarvi tutti per la pazienza e augurarvi buona lettura.
Kojiro si sentiva come se avesse scalato una montagna con un enorme peso sulle spalle e invece aveva soltanto fatto un normalissimo allenamento. La sua stanchezza non era fisica ma emotiva: sotto il getto d’acqua bollente della doccia percepiva i muscoli diventare sempre più pesanti e voleva solo andarsene a dormire. Il lato sinistro della mandibola gli doleva e sapeva che, di certo, gli sarebbe venuto un livido bello grosso. Se l’era meritato e non aveva voluto difendersi perché voleva fargli capire che era davvero dispiaciuto: non sapeva cosa fare adesso, ma sapeva cosa non avrebbe dovuto fare la sera prima. Sospirò sconsolato.
«Capitano…» iniziò titubante Wakashimazu dalla doccia a fianco.
«Va tutto bene» rispose senza troppa convinzione.
«Sei sicuro?»
«Sì» tagliò corto, non sarebbe riuscito a intavolare una discussione neanche se si fosse sforzato. Cosa doveva fare? Si era fatto mille discorsi, aveva pensato a mille cose da dirgli eppure se chiudeva gli occhi e vedeva il volto del portiere, si sentiva morire dentro. Era un codardo, aveva ragione: non aveva le forze per affrontarlo. Perché quando litigavano era tutto semplice? Perché urlargli in faccia gli insulti non gli creava problemi? Il getto d’acqua calda in testa non aiutava: tamburellava i dubbi e gli annebbiava la ragione con il vapore che emanava. Non era riuscito a fare un passo avanti con Akamine in tutto quel tempo, nonostante fosse una donna, come avrebbe potuto farlo con Wakabayashi che era un uomo? Era spaesato e frastornato, ma non si sarebbe mai tirato indietro: avrebbe affrontato questa situazione alla sua maniera, seguendo l’istinto anche se non sapeva ancora come.

I compagni intorno a lui si stavano rivestendo quasi in silenzio, solo bisbigli appena o così gli sembrava. Genzo se ne stava seduto sulla panchina con lo sguardo fisso a terra immerso nei suoi pensieri. Cosa aveva voluto dire con quel “sto solo iniziando a capire”? Capiva quello che lui stava provando? Gli era venuto un gran mal di testa per i troppi pensieri. Ci aveva provato con tutte le sue forze a rimettere quella maledetta distanza, ma quando era stato occhi negli occhi con lui il suo cuore era ripartito al galoppo senza che potesse fermarlo: aveva sempre avuto quella strana sensazione con lui, ma solo ora gli aveva dato il nome giusto. Si era messo in quell’assurda situazione senza neanche che se ne rendesse conto, lentamente.
«Wakabayashi,» lo chiamò piano Taro «noi andiamo. Vieni?»
Alzò lo sguardo e rispose semplicemente «Tra un po’».
«Come vuoi. Mi raccomando» aggiunse con uno dei suoi sorrisi dolci, avviandosi verso l’uscita.
“Perché non mi sono preso una cotta per Misaki?” pensò guardando la schiena dell’amico che si chiudeva la porta alle spalle. Semplice, perché si era accorto che l’unico con cui non aveva mai dovuto essere diverso da quello che era, era proprio Hyuga. Poteva essere scurrile quanto voleva, poteva rispondergli male, insultarlo e dare in escandescenza e lui non si sarebbe mai scandalizzato. Era quella la verità, loro due erano diversi dagli altri e solo fra loro potevano rapportarsi senza filtri, menzogne o facciate di cortesia, venendo anche alle mani. Sospirò sconsolato mentre lo spogliatoio si era svuotato e anche Wakashimazu se ne era andato guardandolo come se volesse ammazzarlo.

Quando uscì dalla doccia, si stupì molto nel trovarlo ancora lì: non aveva ancora finito di rivestirsi e se ne stava seduto sulla panchina a torso nudo. Kojiro si fece vicino e si sedette all’estremità opposta rispetto a dov’era l’altro. Non sapeva da dove cominciare, ma doveva fare come la dottoressa gli aveva suggerito: essere sincero. Si prese del tempo per osservarlo meglio: il profilo marcato e deciso, i capelli neri arruffati e le labbra serie.
“È davvero un bell’uomo” pensò senza staccargli gli occhi di dosso.
Non capiva come fosse arrivato a quel punto, ma aveva capito che il suo cuore ci era arrivato prima di lui: sentì la solita sensazione che gli faceva bollire il sangue, eppure non era rabbia, lo sapeva, era calda e scivolava sottopelle lentamente, per certi versi lo agitava, ma in fin dei conti era molto piacevole.
«Mi dispiace per ieri,» iniziò piano continuando a osservarlo «sono stato uno stronzo».

Aveva percepito il fuoco di quegli occhi su di sé non appena l’altro era uscito dalla doccia. Non poteva farci niente avvertiva la sua presenza, come sempre. Genzo rimase in silenzio mentre si voltava verso di lui. Si stava scusando e lo sapeva benissimo che probabilmente, per lui, era uno sforzo davvero enorme.
«Credo che la colpa sia soprattutto mia.» ammise fissando le iridi nere di Hyuga «Se mi fossi mosso più cautamente non ci saremmo impantanati così».
Dopo il loro scontro in campo, si era chiesto come avrebbe reagito se la rivelazione di una cotta così “diversa” fosse stata fatta a lui e si era risposto che sicuramente avrebbe reagito peggio. Non sapeva come definirsi in quel momento ma quel peso sul cuore si stava sciogliendo piano e sentiva la morsa allo stomaco farsi leggera. Da quando era tornato in patria era la prima volta che provava un sentimento di tale quiete.

Kojiro prese un respiro profondo e chiuse gli occhi mentre espirava quasi sbuffando.
«Credo anch’io di provare qualcosa per te. Non so che diavolo è: è quello che era prima, solo che non so che nome ha.» disse scandendo le parole come a volersi far capire meglio «Però… io …» quella era la parte più difficile «… mi vedo da un po’ con una ragazza».
Genzo sentì il cuore mancargli diversi battiti e non sapeva se fosse per la pseudo dichiarazione o per la rivelazione di una presenza femminile nella sua vita. Lo vide aprire gli occhi e fissarlo di nuovo.
«Fra me e lei non c’è molto a dire il vero: ci sentiamo per telefono e qualche volta siamo usciti insieme, ma sento qualcosa di molto simile a quello che provo per te».
Rimasero fermi a scrutarsi in cerca di una reazione qualunque: erano emozioni nuove per entrambi, anche se in realtà erano più vecchie e profonde di quanto si erano aspettati.
«Pensi di voler stare con lei?» domandò Genzo con una nota di tristezza.
«Penso di sì, ma…» rispose titubante Kojiro «… ma penso di voler stare anche con te, o almeno provarci».
Avevano entrambi la sensazione che il cuore stesse per esplodere: due caratteri estremamente duri e difficili da gestire stavano cercando di aprirsi: per Genzo la possibilità di far entrare un’altra persona nella sua vita, non era mai stato pensabile; per Kojiro aprirsi e mettersi così a nudo non era mai stato possibile.
«Provarci…» soppesò la parola il portiere «Come puoi pensare di provarci se già sai che vorrai stare anche con un’altra persona?».
«Questo non lo so, ma la Kinoshita ha detto che se ti rifiuto, poi non posso più avere dei contatti fisici con te neanche per fare a pugni. Io non voglio rinunciare a poterti toccare».
Genzo avvertì un brivido lungo la schiena: era piacere? Non lo sapeva di preciso ma sentì il cuore fare mille capriole.
Kojiro dal canto suo sudava freddo per la tensione: come suo solito non riusciva a mettere tutte le carte in tavola senza incartarsi.
«Allora facciamolo,» iniziò il portiere alzandosi in piedi «proviamoci». Il tono di voce non era convinto ma non era riuscito a fare di meglio. «Solo che io non sono mai stato con un uomo, in vita mia».
L’attaccante si sollevò a sua volta e si avvicinò a lui «Neanche io sono mai stato con un uomo, ma credo funzioni come con le ragazze».
«Quindi chi deve fare la prima mossa?».
«Segui l’istinto» rispose Kojiro in un soffio azzerando la distanza.
Nessuno dei due capì davvero chi fece il primo passo, ma come guidate da una forza invisibile, le loro labbra si sfiorarono: furono folgorati da quel semplice tocco, fu così forte che non riuscirono più a fermarsi e si baciarono. Non si resero neanche conto quando le loro braccia finirono le une sulla schiena dell'altro e non si accorsero neppure delle dita che iniziarono ad intrecciarsi fra i capelli: i desideri mai detti e l'istinto, ebbero la meglio sulle loro teste sempre piene di pensieri e quando si staccarono rimasero abbracciati in silenzio.
Vorrei fare un ringraziamento speciale a Sakura chan che ha letto la prima stesura di questo capitolo e mi ha fatto capire come sbloccarmi; e a Fafanella che con i suoi messaggi mi ha spronato a finire questa storia, probabilmente senza di lei resterebbe incompiuta.
Il ringraziamento più sentito di tutti, però, va a quell’anima santa di mio marito che nei miei momenti di sclero mi ha sopportata e amata lo stesso.

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Capitolo 20
*** Non siamo amici ***


Non siamo amici
Vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno letto e soprattutto tutti quelli che mi hanno recensito.
Siamo quasi in diruttura d'arrivo, questo è il penultimo capitolo. I "miei ragazzi" mi hanno fatto un po' penare ma alla fine ci sono arrivati. Con il prossimo chiuderemo il cerchio.
Vi auguraro buona lettura.
Genzo osservava il suo compagno di tavolo come se lo vedesse davvero solo in quel momento: si erano baciati e non era stato facile staccarsi. Si sentiva lo stomaco in subbuglio: era emozionato come alla sua prima cotta. Non sapeva bene come comportarsi, ma era certo che quel “Io non voglio rinunciare a poterti toccare” volesse dire molte cose anche se non aveva la più pallida idea di dove questo li avrebbe portati. Il livido del pugno, che gli aveva dato in allenamento, stava diventando sempre più violaceo eppure in quel momento lo trovava così dannatamente sexy.
«Te l’ho già detto non guardarmi fisso che mi emoziono, poi faccio cazzate» disse Kojiro leggermente imbarazzato.
«Del tipo?»
«Potrei farti piedino sotto il tavolo».
Genzo rise di gusto e l’altro lo seguì a ruota divertito. Non ci avrebbe mai creduto se glielo avessero raccontato: stava ridendo a una battuta di Hyuga.

Kojiro si sentiva stranamente bene mentre scherzava con il suo più grande “rivale”, prima non l’aveva mai preso in considerazione fuori dal campo da calcio se non per litigarci. Era certo che fosse solo borioso e invece era lui quello con il paraocchi: il suo cuore ci aveva visto lungo.
«Non ne saresti capace» lo sfidò Genzo.
Assottigliò lo sguardo e lo fissò divertito «Non provocarmi, potresti ritrovarti in una situazione imbarazzante».
L’altro rimase sbalordito per un attimo, poi scoppiò in un’altra risata: era dannatamente affascinante quando non si nascondeva dietro quella maschera da gradasso. Voleva baciarlo di nuovo, ma non era tanto scemo da farlo in pubblico e comunque avevano tutta la notte per approfondire. Sorrise compiaciuto.

«Come ha fatto?» chiese Gamo alla dottoressa Kinoshita.
«A fare cosa?»
«Quello» continuò il mister, indicando il tavolo dove Kojiro e Genzo all’ora di cena si erano messi seduti distanti dagli altri di loro iniziativa: avevano mangiato in silenzio, scambiandosi qualche parola ogni tanto e ora ridevano pure.
La donna sorrise compiaciuta voltandosi a guardarli «Che devo dirle, so fare il mio lavoro meglio di quanto lei creda».
«Effettivamente, non le davo un briciolo di fiducia».
La dottoressa alzò gli occhi al cielo sbuffando, mentre la signorina Fujita rideva estremamente divertita. «Te l’ho sempre detto Na-chan, hai la faccia troppo da stronza».
Anche Mikami e Katagiri erano stupiti da quella situazione: a inizio punizione, i due calciatori, avevano fatto fuoco e fiamme pur di non stare insieme, invece ora avevano fatto tutto di loro spontanea iniziativa. Persino la squadra era sbalordita.
«Che diavolo è successo a quei due?» chiese uno dei gemelli Tachibana.
«Forse sono impazziti?» domandò l’altro.
«O forse,» intervenne la dottoressa avvicinandosi «sono solo rinsaviti. Non crediate che non si picchieranno o insulteranno più, loro non potranno mai essere amici».
«Quindi cosa sono di preciso?» intervenne Misugi.
La donna spostò lo sguardo su Genzo e Kojiro «Sono due persone estremante complicate, rese dure dalla vita. Saranno loro, col tempo, a definire i passi che faranno per andare avanti. A voi deve solo interessare il fatto che non avrete più problemi».
«Lei, però, ha detto che continueranno a picchiarsi» disse astioso Wakashimazu.
«Non sono affari che vi riguardano,» iniziò fissandolo negli occhi «non più. Tutti voi avete alimentato inconsciamente l’inimicizia dietro cui si nascondevano, ora che hanno trovato uno spiraglio, dietro le corazze che portano addosso, voi dovete imparare a starne fuori qualunque cosa accada».
«Ci ho pensato molto in questo periodo,» intervenne Mikami «forse se non avessi mai chiesto a Genzo di fare lo stronzo tempo fa, non sarebbero mai arrivati a questo punto».
«Forse, ma non possiamo averne la certezza. Sono due teste dure con lo stesso caratteraccio, probabilmente avrebbero trovato un altro motivo per arrivare a essere rivali».
«Se lo dice lei» ammise sconsolato l’uomo.
«Cosa dobbiamo fare adesso?» domandò Katagiri fissando Hyuga e Wakabayashi.
«Niente. Hanno trovato un punto di contatto, ora sta a loro riuscire ad andare oltre: potrebbero instaurare una pseudo amicizia, come arrivare a una situazione di pace in vostra presenza.» rispose tirando fuori le sigarette dalla tasca «Ripeto, non smetteranno mai di essere quello che sono e sono pronta a giurare che continueranno a litigare, ma di una cosa sono certa: non più sono affari vostri».
La dottoressa si voltò verso la squadra «Smettetela di giudicarli in base a ciò che pensiate loro siano e iniziate a capirli per come sono».

«Come sarebbe a dire che se ne va?» chiese Genzo sorpreso scattando in piedi.
«Significa esattamente quello che ho detto.» rispose la dottoressa fumando alla finestra «Oggi siete stati bravissimi anche da soli quindi con voi ho finito e questa è l'ultima seduta».
«Ma che sta dicendo, siamo solo all'inizio» affermò Kojiro stupito.
«Certo che siete all'inizio, ma di voi e quello che accadrà da ora in poi lo dovete costruire da soli. Non posso tenervi per mano come dei bambini».
«Si rende conto che noi non siamo amici?» domandò Hyuga deciso.
«Certo che non lo siete, voi non potrete mai esserlo.» rispose lei sicura inspirando dalla sigaretta, con un sorriso dolce sulle labbra «Me ne sono resa conto fin dal primo giorno che sarebbe stato impossibile, poi il test mi ha fatto capire il perché».
«Quello stupido test aveva davvero un'utilità?» chiese Wakabayashi scettico.
«Ho mai fatto qualcosa che non avesse senso? Sono strana lo riconosco, ma sono brava nel mio lavoro. Vedere più in là dei pazienti è il mio mestiere e voi siete due libri aperti e senza filtri, facili da leggere».
La lieve brezza che entrava dalla finestra, riportava nella stanza le nuvole bianche prodotte dalla donna fumando.
«Questa sarà la nostra ultima chiacchierata, per cui abbiamo cominciato con un gioco e finiremo con un gioco.» continuò spegnendo la sigaretta ed avvicinandosi a loro con una sedia «Faremo il gioco della verità: dovete capire che per poter andare avanti insieme qualunque sia la verità, anche se può far male, dovete dirvela sempre e comunque».
Kinoshita si sedette sulla sedia e Genzo si rimise sul letto lanciando un'occhiata perplessa al compagno di stanza che ricambiò.
«Comincio io.» fece decisa «Fra me e Kimiko non c’è mai stato nulla, vi abbiamo preso un po’ giro per darvi una spinta. Lo so non è stato onesto da parte nostra, ma da soli non avreste mai fatto nulla e, francamente, io non ho tutto il tempo per stare dietro a voi due che vi corteggiate come degli adolescenti».
I due si scambiarono uno sguardo sbalordito senza sapere bene cosa dire.
«Kimiko è un’attrice fantastica non trovate? Piange a comando».
«Lei è una grandissima stronza!» esordì Kojiro inviperito «Si rende conto di quello che ci ha fatto?».
«Certo, vi ho spinti l’uno nelle braccia dell’altro».
«Era tutta una trappola per farci uscire allo scoperto?» aggiunse offeso Genzo «Lei è davvero una brutta persona».
«Ovvio che lo sono, altrimenti chi vi avrebbe sopportato?» constatò sorridendo divertita «Però dovete ammettere che con voi sono stata brava. E poi siete così carini insieme».
I due avvamparono per l’imbarazzo, mentre la dottoressa sorrideva di gusto «Se non ci avessi messo un po’ di pepe non vi sareste mai aperti».
«Lei è una stronza» ribadì sempre più piccato Kojiro mentre Genzo faceva segno di sì con la testa.
«Comunque, non fate troppo gli spavaldi perché adesso tocca a voi dire la verità. Vai Wakabayashi spiegaci perché sei così giù di tono».
«Perché devo cominciare io?» domandò il portiere incrociando le braccia al petto ma lo sguardo della dottoressa lo fulminò «Va bene, va bene» disse in segno di resa mentre Hyuga sghignazzava.

Genzo sospirò pesantemente come a cercare le parole giuste, quelle che dette lo avrebbero fatto soffrire di meno.
«Mio padre va in pensione e vuole che rilevi una quota della compagnia» disse triste.
Kojiro rimase sbalordito «E tu vuoi farlo?» domandò titubante.
«No, ma quell'uomo ha i mezzi per far fare alle persone ciò che pretende».
Lui un padre non l'aveva più da anni ormai ma era più che certo che il suo non gli avrebbe mai fatto una carognata del genere: sapeva essere duro ma era un uomo buono. Era stato lui a spronarlo perché diventasse il miglior calciatore del Giappone, e lui gliel’aveva promesso.
«E il calcio?»
«Non abbiamo definito la questione quindi non ne ho idea» rispose Genzo serio.
Non credeva alle sue orecchie da come la stava mettendo suo padre poteva anche creargli problemi con la carriera. Non riusciva davvero a capacitarsi di come si potesse fare una cosa del genere al proprio figlio.
«E tua madre?» domandò speranzoso.
«Lei non si esprime mai, è la classica moglie giapponese dedita al marito» rispose asciutto.
All'improvviso ebbe la voglia di abbracciarlo, di stringerlo a sé per non farlo sentire solo, ma una forza lo tratteneva dal farlo. Il cuore stava battendo fortissimo: di rabbia per quello che aveva appena sentito eppure anche di gioia perché si stava confidando con lui.
«Cosa pensi di fare?».
«Non ne ho la più pallida idea. Vedrò sul momento».
Voleva aiutarlo ma non sapeva come fare, non era nelle sue possibilità. Anche se aveva sua madre ed i suoi fratellini, lui aveva smesso i panni di figlio da tempo, non aveva la più pallida idea di cosa andava fatto. Era arrabbiato con quell'uomo, sentiva che stava per esplodere.
«Forse se fossi nato povero, se la mia famiglia non avesse avuto un soldo, forse se fossi stato come te, sarei stato felice» concluse amaro Genzo.

Kojiro scattò in piedi afferrandolo feroce per la polo e sollevandolo di peso «UNO COME TE CHE NE SA CHE SIGNIFICA NON ARRIVARE A FINE MESE? NIENTE QUINDI STA ZITTO!» gli gridò arrabbiato.
Genzo stava lì fermo immobile, lo sguardo basso a terra, il collo della maglia tra le mani furiose dell'attaccante.
«Mi spiace. Non avevo intenzione di offenderti» disse remissivo.
Hyuga lasciò la presa e si allontanò da lui come se fosse una cosa lurida.
«Volevo solo dire che in qualsiasi occasione puoi sempre contare su qualcuno che ti ama».
In quel momento le mani di Kojiro si strinsero di nuovo sulla sua maglia «Idiota tu puoi sempre contare su di me» disse in tono minaccioso.
Genzo lo fissò negli occhi stupito: nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere era sempre stato abituato a risolvere i problemi da solo. All'improvviso sentì gli occhi bruciare, gli veniva da piangere.
«Grazie» disse solamente.
In questo capitolo è presente la drabble di "Amarti è più facile che odiarti" lettera U.

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Capitolo 21
*** 50 per cento ***


50 per cento
Siamo alla fine, questo è l'ultimo capitolo di quella che è diventata quasi un epopea.
Sono passati 9 anni e svariati mesi dalla pubblicazione del primo capitolo (era il 10 marzo del 2010) a questo che è l'ultimo e, finalmente, mi vede mettere la parola fine. La colpa di questa lungaggine è solo mia e dei miei continui blocchi e per un po' ho davvero creduto che non sarei mai arrivata a questo momento.
Vorrei ringraziare tutti: quelli che mi hanno letto e rencensito, quelli che mi hanno letto soltanto e quelli che mi hanno sostenuto. Spero che vogliate ancora avere il piacere di farmi compagnia nella prossima storia e che vogliate continuare a seguire Kojiro e Genzo nel mio modo di vederli.
Per l'ultima volta vi auguraro buona lettura.
La dottoressa Kinoshita sorrise soddisfatta: non si erano resi conto di quanto le loro parole potessero essere in realtà una vera e propria dichiarazione d’amore, alla loro maniera erano arrivati finalmente a incontrarsi. Erano davvero carini mentre si guardavano in cagnesco, ma vederli così come in quel momento erano davvero belli. Di tutte le verità che poteva dire a quei due, l’ultima sarebbe stata che quel pomeriggio li aveva spiati mentre si baciavano: Hyuga le sarebbe saltato sicuramente alla gola.
Uscì piano chiudendosi la porta alle spalle: presi com’erano dalla loro “discussione” non si accorsero di niente. Si appoggiò per un attimo alla porta e prese un profondo respiro: ora doveva affrontare un altro problema. Si diresse verso l’ufficio dei mister, bussò e la risposta non si fece attendere.
«Perché urlavano adesso?» chiese Gamo burbero.
«Non le è ancora chiaro che non sono affari suoi?» domandò incrociando le braccia al petto «Prima apprenderete tutti questo concetto, prima smetterete di avere problemi».
«Sì, sì» rispose l’uomo con gesto della mano.
«Signor Mikami, potrei parlarle in privato?» domandò poi.

Era la prima volta che Kojiro vedeva Wakabayashi tanto scosso da avere gli occhi lucidi e rimase un attimo a guardarlo sorpreso. Senza rendersene conto in quell’impeto di rabbia gli aveva detto che per lui ci sarebbe stato sempre.
«Mi spiace, non volevo aggredirti» disse Kojiro lasciando la presa stupito da quel “grazie”. «È che sapere che tuo padre vuole farti del male mi ha fatto imbestialire. Insomma, i genitori ci sono per proteggere i figli, non per farli soffrire».
Genzo si passò una mano sul viso, sentiva le lacrime pungere e non aveva intenzione di farsi vedere tanto debole, eppure non riusciva a trattenersi così chiuse gli occhi. Si sentiva come se dentro di sé qualcosa fosse esploso senza preavviso, inarrestabile.
All’improvviso avvertì le braccia di Hyuga avvolgerlo e stringerlo: lo stava abbracciando.
«Non fraintendermi, è che non sono abituato a stare dall’altra parte, non mi viene molto naturale ragionare da figlio. Davvero non volevo sembrare prepotente» gli disse piano all’orecchio.
«No, cioè… sì hai ragione.» iniziò cercando di usare un tono più naturale possibile «È solo che nessuno aveva mai preso le mie difese con tanta veemenza, sono stato abituato ad affrontare le cose da solo».
«So che non vale molto, ma posso difenderti. In fin dei conti sono la Tigre, dovrà pur valere qualcosa questo soprannome».
Genzo sorrise, non si aspettava tanta decisione nelle sue parole. Era una sensazione davvero rilassante. «Stai già facendo più di quanto immagini, dopo molto tempo non mi sento solo» gli disse abbracciandolo a sua volta. Aveva avuto diverse ragazze, ma nessuna gli aveva fatto provare quella sensazione di quiete.
Stretta fra le braccia di Kojiro la schiena di Genzo, ampia e muscolosa, sembrava fatta per sostenere il peso degli altri e delle loro decisioni: ci si rivedeva, non erano diversi in quello. I suoi problemi erano dati dalla mancanza di un padre, ma per entrambi crescere era stato più faticoso che per gli altri.
«Te lo ripeto, puoi sempre contare su di me per qualunque cosa».
Genzo si staccò appena da quella stretta per poterlo guardare dritto negli occhi. Era la prima volta da quando si conoscevano che non doveva nascondersi, non che l’avesse mai fatto in realtà, ma aveva sempre preferito non mostrarsi davvero per quello che era.
«Se qualcuno mi avesse detto che sarei finito fra le braccia della Tigre gli avrei dato un pugno sui denti,» iniziò Genzo convinto «invece eccomi qui a farmi consolare da te come un ragazzino» terminò sorridendo.
«Guarda che sei stato tu a fare la prima mossa, non io» lo canzonò Kojiro.
«Non ricordarmelo, ti prego».
«Ho voglia di baciarti» lo sorprese Hyuga.
Wakabayashi sorrise «Allora fallo».
La Tigre non se lo fece ripetere due volte e gli passo una mano fra i capelli: come nello spogliatoio, fu folgorante e si lasciarono andare. Labbra su labbra e fu fuoco.
Genzo si sentiva completamente trasportato: era così che ti faceva sentire l’amore? Era l’amore e la sua potente e destabilizzante determinazione a fargli provare quel desiderio.
Kojiro non aveva mai baciato una donna tanto intensamente da perdere la testa, ma lui riusciva a trascinarlo a fondo e sentiva il sangue andare a fuoco nelle vene.

«Capisco molte cose adesso.» disse Mikami «Non mi resta che parlare con suo padre e cercare di sistemare le cose. Però non capisco cosa sia preso a Hyuga a questo punto».
«Quei due, in un certo senso, sentono la tensione l’uno dell’altro. La meccanica è complicata da descrivere, ma credo che sia perché sono, a loro modo, un tutt’uno» spiegò la dottoressa.
«Cosa intende dire?».
La donna aspirò una grossa boccata dalla sigaretta e fece uscire una grossa nuvola dalla bocca, «Senza che ve ne siate mai resi conto, quei due hanno sviluppato una dipendenza che li ha uniti, per cui se uno è nervoso lo è anche l’altro. Per Hyuga, Wakabayashi, è l’avversario per l’eccellenza, quello per cui si allena fino allo stremo; per Wakabayashi, Hyuga, è la sfida più importante della sua vita, quella che si ripresenterà fino alla fine.» alzò gli occhi al cielo a guardare le stelle «Caratterialmente parlando sono esattamente il 50 per cento l’uno dell’altro, è solo in termini calcistici che sono opposti».
«Sta dicendo che in fondo non si sono mai odiati?» domandò Mikami perplesso.
«Forse una volta, ma ora sono adulti e i loro sentimenti sono diversi.» abbassò lo sguardo a guardare l’uomo «Si sono evoluti così tanto che, a un certo punto, nelle loro teste tutto si è confuso e hanno continuato a fare solo quello che gli altri si sono sempre aspettati da loro senza riuscire ad andare avanti con le proprie gambe».
«Quindi cosa consiglia di fare?».
«Lasciarli andare, fateli crescere a modo loro anche se sbaglieranno ancora.» sollevò di nuovo lo sguardo, ma stavolta verso il primo piano dello stabile, verso la finestra di una camera precisa «Sono convinta che prima o poi inizieranno a chiamarsi per nome, allora saranno davvero il 100 per cento di loro stessi».

Se ne stavano stesi abbracciati sul letto di Wakabayashi a guardare la luce della luna che si proiettava sul soffitto. Non sarebbero andati oltre i baci, almeno per quel ritiro: con le ragazze era un discorso, ma fra loro non avevano la minima idea da che parte cominciare.
«Io la femmina non la faccio» esordì Kojiro all’improvviso.
«Quindi dovrei farla io?» chiese Genzo voltandosi a guardarlo «Te lo puoi scordare».
«Sarai anche più grosso, ma sotto io non ci sto di certo».
«Lo vedremo».
Scattarono in piedi guadandosi in cagnesco.
«Idiota» disse Kojiro indispettito.
«Imbecille» ricambiò Genzo piccato.
«Sei solo un borioso pallone gonfiato».
«E tu uno stupido pezzente».
«IO TI SPACCO LA FACCIA» urlò Kojiro.
«AVANTI FAMMI VEDERE» gridò a sua volta Genzo.

«Diceva?» fece il signor Mikami guardando la finestra del primo piano da dove venivano le urla.
«Che prima o poi inizieranno a chiamarsi per nome, ma forse è meglio poi» constatò la dottoressa sconsolata mentre l’uomo scoppiava a ridere.
Fine, per ora...
Vorrei fare un ringraziamento a una persona speciale che come me ama questi due in maniera viscerale e che, soprattutto, mi tiene compagnia in chattate che a volte sfociano in situazioni di dubbio gusto per i poveri malcapitati. XD So che tu capirai.
Le avventure di Kojiro e Genzo non finiscono qui, sto lavorando ad altro e stavolta non ho nessuna intenzione di incappare in blocchi: sono già a buon punto e spero di pubblicare presto.
Se volete continuare a leggere di loro per come li scrivo io, ho pubblicato, al momento, due raccolte di drabble che si pongono esattamente dopo "50 per cento": "L'amore intraducibile" e "L'amore tra le mani".
Grazie di cuore a tutti.
KiaNeko

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