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Autore: kianeko    24/06/2019    4 recensioni
Questa storia partecipa alla "Parole Intraducibili Challenge" indetta sul gruppo facebook "Il Giardino di Efp".
Genzo e Kojiro si alternano fra le parole intraducibili dando un senso tutto loro a ciò che li lega nel profondo. L'amore visto in piccole sfumature che spesso non riusciamo a cogliere davvero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark, Maki
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Kojiro e Genzo: l'amore è complicato'
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L’amore intraducibile
Dopo molto tempo che non scrivevo, ho deciso di cimentarmi nella challenge de "Le parole intraducibili" indetta sulla pagina facebook de "Il Giardino di EFP". Il tema mi è piaciuto così tanto, che ho deciso di tornare alle origini della mia OTP preferita con una raccolta di drabble.
Genzo e Kojiro si alternano fra 30 parole intraducibili e in mezzo a loro c'è Maki con la numero 16. Dopo i molti sforzi di questi ultimi anni per migliorarmi, e soprattutto migliorare il mio stile, finalmente mi butto in questo nuovo progetto che altro non è che il proseguimento di "Amarti è più facile che odiarti" e di "50 per cento" (che sto cercando con tutte le mie forze di portare a termine) e se l'ispirazione mi accompagna ancora per un po' di tempo, vedrà un seguito molto diverso da quello che ho fatto finora. Alcune delle drabble qui presenti saranno nebulose per voi in quanto ancora non hanno una collocazione definita, ma sappiate che mi sto davvero impegnando per mettere finalmente un punto a questa storia.
Vi ringrazio in anticipo per questa lettura e spero che lasciate una recensione, perché ogni vostra critica o correzione vogliate darmi sono per me la migliore fonte di apprendimento.


Nota importante prima della lettura:
Viste le diverse collocazioni geografiche di queste drabble, vi faccio presente che quando oltre a Genzo, Kojiro e Maki c'è qualche altro personaggio di nazionalità diversa dalla giapponese, i dialoghi si svolgono in inglese. Ovviamente se Genzo si troverà solo con Schneider o Kaltz si parlerà in tedesco.
L’amore intraducibile
1) Sehnsucht. Dal tedesco: nostalgia profonda di qualcosa.
Da quando la loro relazione era iniziata, la lontananza si era fatta sempre più intensa e a volte quasi insopportabile: per la prima volta in vita sua capiva davvero la nozione di sehnsucht. Genzo non era mai stato un tipo troppo attaccato al concetto di coppia, ma ora sentiva fortemente la mancanza di quei semplici momenti che trovavano per loro durante i ritiri: niente di particolare, ma anche solo lo sfiorarsi delle mani era una cosa preziosa. Per fortuna, Kojiro, si sarebbe trasferito presto in Italia e, forse, quella maledetta nostalgia della nazionale se ne sarebbe andata via per sempre.
2) Kilig. Dal tagalog: avere le farfalle nello stomaco.
Non aveva mai capito i suoi compagni di squadra fino a che “le farfalle nello stomaco” non erano venute anche a lui: roba da non credere la Tigre, persa dietro a baggianate come l’amore. Eppure, era esattamente quello che provava quando pensava a quel borioso di Genzo: la testa partiva per gli affari suoi, il cuore batteva all’impazzata e, dannazione, sentiva lo stomaco in subbuglio. Fregato con le sue stesse mani e non riusciva a capire come fosse successo. Si era ritrovato a sorridere da solo come un deficiente e a farsi prendere in giro da sua madre e Naoko.
3) Tsundoku. Dal giapponese: comprare libri su libri senza leggerli.
«Mi spieghi cosa te ne fai di tutti questi libri se poi non li leggi?» chiese Genzo curioso, osservando distrattamente la libreria.
«E chi ti dice che non li leggo?» domandò a sua volta Kojiro.
«La polvere che ci si è accumulata sopra».
«Il solito esagerato» bofonchiò piccato l’altro.
Per quanto amasse quell’uomo, Genzo non avrebbe mai capito cosa lo spingesse a comprare libri su libri per poi lasciarli intonsi su quel mobile. Se ci pensava bene, però, sul comodino non aveva mai visto due volte lo stesso volume: che li cambiasse per non farsi prendere in giro da lui?
4) Pochemuchka. Dal russo: persona che domanda troppo.
«Ma voi due non vi odiavate?» chiese Hermann, mentre sorseggiava la sua birra.
«Ora mai è storia vecchia» rispose Genzo simulando disinteresse.
Da quando giocava in Italia, gli era capitato più volte di andare a trovare Genzo ad Amburgo e spesso passavano la serata con i suoi amici tra cui quel ficcanaso di Kaltz. Di base il tedesco era anche simpatico, ma aveva il vizio, per i suoi gusti, di fare troppe domande.
«Storia vecchia, dici? Per me siete diventati troppo amici».
Se non avesse promesso che si sarebbe comportato bene, gli avrebbe risposto per le rime e non solo.
5) Fylleangst. Dal norvegese: paura di aver fatto cose di cui non ci si ricorda durante un’ubriacatura.
Essere giapponese nella patria della birra, non era il massimo: quello stupido difetto genetico di non reggere l’alcol unito a quella spugna di Schneider, era quanto di più controproducente potesse esserci. Ogni volta che si vedevano, finiva sempre per ubriacarsi. Senza contare che, con Karl in vena di chiacchiere finiva per dire tutto quello che gli passasse per la testa. Quella mattina si era svegliato con quello schifoso mal di testa e il terrore di aver fatto il coming-out più becero della storia. Sperava fortemente di aver dato il “peggio” di sé in giapponese o Kojiro lo avrebbe ucciso malamente.
6) Tarab. Dall’arabo: estasi nell’ascoltare musica che incanta.
Kojiro amava il rock, il metal e tutte le sfumature di musica che non fossero melense e troppo da donnetta, eppure, si trovava sempre incantato a sentire parlare Genzo: la sua voce era una melodia che lo stregava ogni volta. Sarebbe stato ore e ore ad ascoltarlo raccontare, anche cazzate, pur di non farlo stare zitto: solo quando lo prendeva per il culo gli veniva voglia di tappargli quella boccaccia a forza di cazzotti, ma succedeva sempre più raramente. Nonostante quei pensieri fossero una delle cose più romantiche che c’erano nella sua testa, non glielo avrebbe detto neanche sotto tortura.
7) Sisu. Dal finlandese: determinazione di fronte alle avversità.
Se c’era una cosa che invidiasse di Kojiro, dopo la famiglia, era la cieca e furiosa determinazione di fronte agli ostacoli della vita: non cedeva mai. Aveva imparato ad ammirarlo prima per questo e poi era venuto tutto il resto: solo quando era cominciata la loro storia aveva realmente compreso ciò che lo aveva sempre spinto avanti. Aveva una forza incrollabile e niente lo avrebbe abbattuto, al confronto si sentiva sempre un bambinetto dell’asilo. Tutta questa determinazione aveva un prezzo: andava su tutte le furie per un nonnulla solo quando gli si toccava una delle sue faticose conquiste, lui compreso.
8) Mamihlapinatapei. Dall’yaghan: sguardi tra due persone che si piacciono, ma non hanno il coraggio di fare il primo passo.
Kojiro osservava i suoi compagni di squadra che, come lui, erano seduti sotto l’ombra a godersi il fresco dopo che Gamo li aveva spremuti.
«Morisaki e Izawa si piacciono» sussurrò all’orecchio di Genzo.
«Che diavolo dici?» chiese stupito voltandosi a guardare i due interessati «Come ti viene in mente una cosa del genere?»
«Si sbirciano come la Nakazawa prima che Tsubasa si accorgesse di lei. Io una spintarella fossi in te gliela darei».
«E perché proprio io?» domandò sospettoso Genzo.
«Perché sono amici tuoi» e detto questo si alzò stiracchiandosi, lasciandolo a rimuginare. La sua parte da cupido l’aveva fatta.
9) Eleutheromania. Dal greco: desiderio di sentirsi liberi.
Genzo non aveva mai avuto una relazione più importante e duratura di quella con Kojiro, ma mentre quest’ultimo riusciva ad avere una storia seria anche con Maki, lui non voleva cedere il suo desiderio di sentirsi libero per un legame sentimentale con il gentil sesso. Aveva le sue “storielle da copertina”, ma niente che durasse più di qualche mese e che fosse più sentimentale del sesso. Non si sentiva pronto, e forse non lo sarebbe mai stato, per fare come il suo compagno: dividere il cuore in più pezzi e, soprattutto, lasciare andare definitivamente il suo status di scapolo incallito.
10) Gjensynsglede. Dal norvegese: felicità nel rivedere qualcuno dopo molto tempo.
Quando tornava dalla sua famiglia in Giappone la terza persona che chiamava per vedersi, dopo Genzo e Maki, era sempre Wakashimazu. La felicità di ritrovare il suo più caro amico e passare del tempo con lui non cambiava mai. Per quanto Genzo facesse e dicesse, lui non avrebbe mai rinunciato a quell’amicizia: anche se gli aveva ripetuto mille mila volte che Ken non gli era simpatico, se ne doveva fare una ragione. La cosa che più lo infastidiva era quando quell’insensata gelosia colpiva anche Maki e finiva sempre che si coalizzavano contro di lui facendolo ritrovare sempre fra due fuochi.
11) Orenda. Dall’urone: volontà di cambiare il destino.
La vita aveva messo Kojiro di fronte a molte difficoltà e lui, nonostante tutto, non si era mai arreso: con forza e cocciutaggine aveva cambiato le sorti del suo destino. Genzo lo ammirava per tanta caparbietà e si sentiva in difetto nei suoi confronti: ora aveva deciso che avrebbe finalmente preso in mano la sua vita e non sarebbe stato da meno. Tutto quello che era successo nell’ultimo periodo, aveva ridimensionato le sue priorità: era il momento di cambiare.
Osservò la pesante porta di mogano che aveva davanti, appoggiò la mano sulla maniglia, l’aprì ed entrò dicendo «Papà devo parlarti».
12) Cafuné. Dal portoghese: passare le dita tra i capelli di una persona a cui si vuole bene.
Dopo l’amore, Kojiro adorava passare le dita fra i capelli di Genzo. Era uno di quei piccoli gesti a cui non avrebbe mai potuto rinunciare per nulla al mondo: gli dava pace e quiete, lo facevano sentire davvero appagato per tutto. Poteva sembrare una stupidaggine ma aveva la sensazione di trasmettere molto di più così che soltanto a parole.
«Adoro quando lo fai» disse Genzo, con la testa appoggiata sul suo petto.
«Cosa?» chiese Kojiro continuando a carezzargli la testa.
«Questo» rispose l’altro sollevandosi appena e, guardandolo negli occhi, prese a far scivolare le dita fra i capelli della Tigre.
13) Bakku-shan. Dal giapponese: splendida ragazza, finché non si vede il suo viso.
Genzo aveva sempre sentito parlare di Maki ma non l’aveva mai vista: giocava a softball, aveva i capelli corti e castani ed era originaria di Okinawa. Kojiro gli aveva riempito la testa con quella ragazza al solo scopo di fargliela piacere a tutti i costi: ne decantava le lodi e diceva sempre che se ne sarebbe innamorato anche lui. Quando la incontrò la prima volta rimase senza parole: era bella. Sapeva che Kojiro aveva davvero buon gusto in fatto di ragazze ma a furia di sentirne parlare si era fatto tutta un’altra opinione su di lei, temeva fosse una bakku-shan.
14) Gigil. Dal filippino: impulso di stringere chi si ama.
Per quanto a prima vista Kojiro sembrasse un duro, la realtà che celava dentro di sé era estremamente differente: quando voleva bene a qualcuno provava sempre il forte desiderio di abbracciarlo per non farselo scappare. Sua madre, i suoi fratelli e, soprattutto, sua sorella lo sapevano bene, ma chi non lo conosceva davvero ignorava questo suo lato e lo credeva insensibile: lui non era insensibile era troppo spaventato dagli addii.
«Perché al mattino sei sempre così appiccicoso?» domandò Genzo davanti ai fornelli, mentre Kojiro lo abbracciava da dietro.
«Controllo che tu ci sia ancora» rispose stringendosi di più a lui.
15) Jayus. Dall’indonesiano: barzelletta che fa ridere per il suo non essere divertente e venire raccontata male.
Kojiro continuava a guardarlo storto, ma lui non riusciva proprio a smettere di ridere: non poteva farci niente. Quando Ishizaki raccontava le sue “barzellette” la cosa più divertente era vedere l’amico che non riusciva a farsi capire e Urabe sfotterlo nel peggiore dei modi. Trovava troppo divertenti quelle stupide scenette comiche: lo sapevano tutti che Ryo era pessimo nel raccontare storielle divertenti ma il suo modo di provarci lo faceva sbellicare.
«Non dargli corda o si crederà divertente» sentenziò caustico Kojiro.
«Ehi!» esclamò il difensore piccato.
Era inutile non riusciva davvero a smettere di rotolare dal ridere, e niente piangeva.
16) Nunchi. Dal coreano: capacità di interpretare sguardi ed emozioni altrui.
La prima volta che Maki si era trovata Genzo davanti, era rimasta sbalordita da quanto fosse molto meglio che in foto. Kojiro aveva passato un sacco di tempo a raccontarle di questo suo amico compagno di nazionale, che aveva iniziato a stancarsi nel sentirselo nominare e non vedeva l’ora di vedere la sua faccia dal vivo. Ora che li aveva davanti e li osservava parlare, però uno strano brivido, un dubbio, si stava impossessando di lei: quegli sguardi, quel modo di parlarsi, le stavano facendo uno strano effetto. Nel loro rapporto c’era qualcosa di strano.
«Ma voi due state insieme?»
17) Cynefin. Dal gallese: luogo in cui ci si sente a casa.
Amburgo era casa di Genzo. Anche dopo tutto quello che era successo con la società e il trasferimento a Monaco, non c’era posto al mondo in cui si sentisse così bene e Kojiro lo capiva perfettamente: non era solo il luogo che l’aveva visto nascere calcisticamente, era anche la città che l’aveva fatto crescere e l’aveva fatto diventare uomo. Il suo cuore era rimasto così fortemente legato ad Amburgo che quando se ne era andato aveva tenuto la casa che aveva lì.
«Credo di capirti,» esordì, osservando il panorama dal campanile della Hauptkirche Sankt Michaelis[1] «è davvero una città meravigliosa».
18) Ilunga. Dal tshiluba: persona che la prima volta perdona, la seconda tollera e la terza non ha pietà.
Per quanto desse l’apparenza di un tipo che dava in escandescenza per tutto, Kojiro in realtà era davvero molto paziente: Genzo aveva imparato a conoscere questo lato di lui solo dopo che si erano messi insieme. Se la Tigre arrivava ad attaccare, era perché esasperata: non si vedeva dall’esterno ma il suo compagno in realtà perdonava e tollerava più di quando non trasparisse. In realtà era più paziente di quanto potesse sembrare. Non si poteva negare che però, a volte, era proprio lui l’attaccabrighe che iniziava una disputa e non sempre accadeva perché aveva terminato la pazienza, semplicemente amava farlo.
19) Voorpret. Dall’olandese: felicità nell’attesa di qualcosa di bello.
Erano poche le cose che rendevano Kojiro veramente felice: una di quelle era rivedere Genzo. Aspettava con trepidante attesa le partite europee per poter avere un motivo per stare insieme senza troppe chiacchiere. Visto da fuori sembrava che fosse pronto per andare in guerra, tanta era la foga con cui si allenava: i suoi compagni di squadra credevano fosse la rivalità che li aveva sempre contraddistinti, la realtà è che doveva sfogarsi per sopportare quei momenti. Ora che aveva capito che nome dare a quella strana sensazione nel petto, sapeva che quei battiti erano la cosa più bella del mondo.
20) Shinrin-yoku. Dal giapponese: rilassamento dovuto a un bagno all’aperto nella foresta.
«Ti ha fatto bene questa vacanza in patria,» gli aveva detto Schneider dopo l’allenamento «sembri molto rilassato».
«Sì, è stato davvero piacevole» rispose sorridendo, ripensando ai giorni appena trascorsi. Maki aveva trascinato lui e Kojiro, in un’escursione in montagna e pensando bene di sorprenderli affittando una casa. Si erano divertiti tantissimo: avevano fatto grigliate e lunghi bagni nel piccolo laghetto termale dietro l’abitazione. Immersi tra gli alberi e il silenzio avevano passato il tempo a parlare di loro e di quello strano e intricato rapporto.
«La prossima volta ti accompagno,» continuò Karl «chissà che non faccia bene anche a me».
21) Backpfeifengesicht. Dal tedesco: un volto che va preso a pugni.
«Quando lo vedo mi viene un gran prurito alle mani».
«Di chi parli?» domandò Genzo continuando a guardare la partita in televisione.
«Napoleon».
Non capiva perché quell’uomo gli stesse così sulle palle, rimaneva il fatto che aveva proprio una faccia che doveva essere presa a cazzotti. Se per il suo compagno all’inizio c’era stata antipatia, per il francese c’era proprio odio profondo: gli dava l’orticaria.
«Che ti ha fatto?»
«Mi sta sul cazzo».
Genzo lo guardò di sbieco «Devo per caso essere geloso?».
«Che ti viene in mente?»
«Anch’io ti stavo sul cazzo».
«Idiota! Ti amo è diverso» precisò offeso.
22) Desbundar. Dal portoghese: mostrarsi senza inibizioni quando ci si diverte.
Genzo viveva nella sua corazza e permetteva solo a pochi eletti di entrarci per vedere cosa c’era davvero dentro di essa, ma solo Maki e Kojiro l’avevano veramente visto a pieno. Con loro due abbatteva ogni barriera, si scordava del mondo, prendeva a calci le sue inibizioni e si buttava senza remore: si sentiva bene ed era felice.
«Quando ti lasci andare sei davvero splendido» aveva esordito la ragazza ridendo alla sua ennesima battuta.
«E io?» chiese fintamente offeso l’attaccante.
«Siete meravigliosi entrambi senza quei musi lunghi».
Genzo lanciò uno sguardo d’intesa al suo uomo, «Ora va meglio» precisò Kojiro.
23) Tingo. Dal pascuense: chiedere un oggetto in prestito e non restituirlo.
«Stavolta ridammelo» sentenziò Kojiro torvo.
«Sì, sì. Quanto sei rompipalle» rispose Genzo infilandosi nella doccia.
Amava follemente il suo uomo, ma aveva il brutto vizio di prendere le cose in prestito e non restituirle.
«È IL SECONDO BAGNOSCHIUMA CHE MI FREGHI IN QUESTO RITIRO» gli urlò dietro la Tigre «Perché non lo chiedi a Misaki, una volta tanto?».
«Noioso, dopo te li ricompro.» rispose sbucando con la testa dalla doccia «E il tuo mi piace di più» aggiunse facendogli l’occhiolino.
Kojiro avvampò imbarazzato e iniziò a snocciolare una serie indefinita di modi in cui l’avrebbe ucciso, nell’ansia generale della nazionale.
24) Shlimazl. Dall’yiddish: persona sfortunata.
«Qualcuno porta sfiga!» esclamò Kojiro fradicio di pioggia.
«Che vuoi che siano quattro gocce, hai paura di ammalarti?» chiese Genzo rialzandosi dopo l’ennesima parata.
«Non dire scemenze.» precisò piccato «Mi preoccupo per te che sei qui fermo in ammollo» aggiunse piano andando verso il centro campo.
Sorrise calandosi meglio il berretto sugli occhi, lo stupiva sempre con quel tipo di tenerezze. Kojiro era anche questo, piccole perle che solo lui poteva vedere e apprezzare.
«L’avevo detto che avrebbe piovuto!» esclamò Aoi.
«Allora sei tu che porti sfiga! Vieni qui che ti ammazzo!» sbottò Kojiro iniziando a rincorrerlo per il campo.
25) Iksuarpok. Dall’inuit: controllare in continuazione se chi aspettiamo stia arrivando.
Kojiro era sempre puntuale, o per meglio dire era sempre in anticipo. Era stato abituato così fin da piccolo: sua madre gli ripeteva sempre che era meglio aspettare e che farsi aspettare. Quando aveva un appuntamento non faceva altro che guardare l’orologio e guardarsi intorno in attesa: come adesso appoggiato al muro della stazione, continuava a guardare il binario da dove sarebbe arrivata Maki. Con lei e Genzo le cose erano davvero strane, ma lui stava bene: amava Genzo alla follia e Maki era la donna della vita, non sapeva bene come definire tutto questo ma valeva la pena aspettare.
26) Nankurunaisa. Dal giapponese: con il tempo si sistema tutto.
Per Kojiro solo il duro lavoro, la pazienza e il tempo portavano a risultati tangibili. Genzo non era dello stesso avviso e faceva sempre il diavolo a quattro per ottenere quello che voleva subito.
«Sei un bambino viziato e capriccioso» aveva sentenziato l’attaccante.
«Non è vero, è solo che non mi piace aspettare».
Kojiro sospirò sconsolato. Genzo sapeva che se c’era qualcuno che aveva pazienza da vendere quello era proprio il suo compagno: aveva aspettato anni prima di riuscire a chiudere quel capitolo della sua vita e quando finalmente ci era riuscito si era lasciato andare con tutto sé stesso.
27) Schadenfreude. Dal tedesco: godere delle disgrazie altrui.
Doveva ammetterlo, aveva goduto davvero tanto quando Genzo gli aveva detto che Schneider aveva avuto un infortunio e che non avrebbe giocato per alcuni giorni. Non che gli fosse antipatico, ma quei due erano troppo amici e sapere che dividevano lo spogliatoio lo ingelosiva. Kojiro era onesto, con sé stesso e con gli altri, e purtroppo doveva riconoscere che il tedesco era davvero un bell’uomo. Si sentiva sempre in secondo piano se c’era in giro il biondo dallo sguardo di ghiaccio.
«Di’ la verità, stai gongolando».
«Ti sembro il tipo da provare piacere delle disgrazie altrui?».
«Sì Kojiro, lo sei».
28) Waldeinsamkeit. Dal tedesco: sentirsi come soli in un bosco.
Gli ultimi mesi erano stati davvero duri e pesanti per Genzo: molte cose della sua vita erano cambiate e non tutte con esiti positivi. Nonostante la vicinanza di Kojiro e Maki non fosse mai stata in discussione, si sentiva solo e abbandonato a sé stesso. Sentire quel dolore sottopelle che lo faceva svegliare nel cuore della notte, lo rendeva sempre più nervoso e irascibile. Si rigirò nel letto, mettendosi sul lato destro: gli mancava e solo ora aveva capito che non poteva più continuare la sua vita di prima come se nulla fosse, come se tutto quello non fosse successo.
29) Desenrascanço. Dal portoghese: capacità di liberarsi da una situazione difficile.
Kojiro era un maestro nel destreggiarsi in ogni situazione, anche nelle più complesse: razionalizzava e trovava la soluzione migliore per risolvere i suoi problemi. In quel momento però si sentiva impantanato perché, di tutte le persone della sua vita, proprio Genzo era in difficoltà.
«Non è da te arrenderti,» disse Maki guardandolo negli occhi «vedrai che insieme troveremo una soluzione».
Kojiro sospirò esausto «Non credo voglia farsi aiutare».
La donna si batté diverse volte l’indice sulle labbra con fare pensoso. «E se facessimo una grande festa per il tuo compleanno?».
Perché non ci aveva pensato prima? Era un’idea davvero geniale.
30) Aware. Dal giapponese: sensazione dolceamara che si prova quando si sta vivendo un momento bellissimo.
L’unica nota stonata che contraddistingueva la sua relazione con Kojiro, era l’aura della separazione: ogni volta che stavano insieme sentiva sempre incombere quella sgradevole sensazione del doversi “lasciare”. Sopportava la lontananza, il non essere una coppia in pubblico, ma quello strano senso di schiacciamento che aveva sul petto le ultime ore che passavano insieme era quanto di più fastidioso potesse esistere: neanche tutti gli infortuni della sua carriera gli avevano mai fatto tanto male. Eppure, stare con lui era sempre così bello. Si sforzò di sorridere e pensare solo a quell’uomo meraviglioso che il destino gli aveva messo a fianco.
31) Fernweh. Dal tedesco: nostalgia per posti in cui non si è mai stati.
La situazione economica della sua famiglia non gli aveva mai permesso di viaggiare, ma questo non gli aveva mai creato problemi di alcun tipo. Eppure, Kojiro provava una forte nostalgia quando Genzo gli parlava dei luoghi che aveva visitato da bambino: non era né invidia, né la malinconia per l’assenza di suo padre. Aveva razionalizzato che in realtà era il suo desiderio a voler vivere tutto di lui, anche il passato, a fargli provare quella sensazione: sarebbe volentieri tornato indietro nel tempo per potersi gustare Genzo da piccolo. Poi si ricordava dello stronzetto che era e gli passava la voglia.
Note:
[1] Hauptkirche Sankt Michaelis ossia la Chiesa di San Michele ad Amburgo (nota da Wikipedia);
   
 
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