Il tuo corpo trema lievemente, nel buio grigio che lo avvolge, impercettibili spiragli di luce filtrano dalle tapparelle e si riversano sul tuo viso.
Ti guardo negli occhi. Il tuo animo è un fiume in piena, nelle tue iridi grige c'è il mare in burrasca, c'è un uragano che vorrebbe spazzar via tutto. Ma non è solo quello, la cosa più importante, più tangibile, è la luce che ti illumina lo sguardo, che ti infiamma le guance di un tenue rosso. Sa di dolce, di pioggia appena caduta, di terra bagnata. Sa di lacrime versate per amore.
Muovo i miei passi, in due falcate ti raggiungo. Vorresti allontanarti, premerti contro al muro, ma ti limiti a rimpicciolirti a mano a mano che mi avvicino, fino a che non devo abbassar la testa per guardarti. Sei sempre stato così piccolo.
Ti guardo, ti fisso, so che lo farai anche tu. È gioco che non abbiamo mai sperimentato, ma di cui entrambi già conosciam le regole: io comando, e tu non opporrai alcuna resistenza. Perchè lo vuoi anche tu.
Ti accarezzo -oh, come sei sottile e fresco- e nei tuoi occhi balena un'implorazione, ma è fermarmi o dirmi di continuare, Augustine?
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La penombra della stanza non fa che farti apparire più alto.
Ti stagli contro la porta aperta, gli stipiti che faticano a contenere le tue spalle, che gloriose li sfidano, parendo ogni volta più grandi. Mi fissi dall'alto, e non c'è modo, per me, di sottrarmi ai tuoi occhi. Potrei scappare - il bagno non è lontano, solo qualche passo di corsa alle mie spalle e tu spariresti - eppure non lo faccio. Non c'è solo l'inutilità del gesto a fermarmi, sei abbastanza cocciuto da aspettarmi per l'eternità, c'è un sentimento molto più struggente e fastidioso, che dovrebbe saper di miele e primavera ma sa soltanto di terra bruciata. Le sue ustioni mi scottano ancora sulla pelle.
Ti avvicini e prego che tu te ne vada, perchè non ho speranze, e non ho intenzione di soccombere. La tua figura è enorme, nella semioscurità, i tuoi occhi due pezzi di ghiaccio che ardono, ardono per me. Ma è lo stesso anche per il tuo cuore, Elisio?
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