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Autore: ___MoonLight    26/03/2012    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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In dream



"I don't know what to take,
Thought I was focused but I'm scared.
I'm not prepared.
I hyperventilate, looking for help somehow somewhere,
But no one cares.
I'm my own worst enemy."

[Given Up – Linkin Park]




15 Febbraio, Villa Stark

Si risvegliò con il mormorio lontano del mare che si infrangeva sulla spiaggia. Non aprì ancora gli occhi, cullato da quel suono familiare. Percepiva la penombra in cui era avvolta la stanza e una fievole lama di luce che filtrava dall'ampia finestra elettronica scaldandogli appena il volto. Doveva essere l'alba. Socchiuse gli occhi, ancora assonnato e senza la minima voglia di alzarsi.
Quell’incubo l’aveva distrutto ed era molto rassicurante svegliarsi a casa sua come ogni mattina e non in un qualsiasi letto d’ospedale.
Il mio braccio?”
Era lì. Lo sentiva.
“La gamba?”
Anche la gamba.

Sospirò: erano lì. Era tutto come prima.
E l’occhio?”
La parte sinistra era ancora buia.

Ho una fasciatura: è ovvio che non veda.”
Era solo un taglio doloroso, ma era ancora in grado di vedere perfettamente.
Si tirò su a sedere un po’ indolenzito, girandosi subito verso la finestra. Si voltò per alzarsi, a sinistra – perché a sinistra, poi? Scendeva sempre a destra...
No. Oggi scendo a sinistra,” si disse, suonando poco convincente persino a se stesso.
Poggiò il piede per terra e si alzò senza sforzo; mosse un passo... ma gli mancò il secondo appoggio e rovinò a terra di peso. Parò le mani – la mano –avanti, ma urtò comunque la testa dal lato ferito e fu come se un petardo gli esplodesse nel cervello. Lanciò un gemito soffocato sentendo un bruciore atroce in tutto il corpo e i moncherini che pulsavano violentemente per l’impatto. La voce elettronica di JARVIS risuonò nella stanza, spiacevolmente squillante:
«Signor Stark, è ancora troppo debole per...»
«
Muto!» ordinò tra i denti, stringendo il pugno fino allo spasmo per non mettersi a urlare dal dolore.
Percepiva ogni muscolo del suo corpo in tensione, come sul punto di spezzarsi. La mandibola gli cigolò per quanto era contratta. Poggiò la fronte per terra con le lacrime che gli appannavano la vista, incapace di muoversi.

Rimase a terra con i muscoli contratti e gli occhi serrati per un tempo che gli sembrò infinito, finchè il dolore non iniziò a scemare. Non scomparve: la sua stretta continuava a torturargli le ferite, ma divenne sopportabile quel tanto che bastava per permettergli di formulare un pensiero coerente che non fosse il desiderio di svenire.
Ora doveva rialzarsi. Si sentì mancare, tanto che rimase bocconi qualche altro minuto prima di osar muovere un dito.
Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto. Era sicuro di non essere solo a casa; sicuramente c'era qualche infermiere a prendersi cura di lui. Si trovò a stringere nuovamente il pugno, sentendosi avvampare.
Le settimane trascorse in ospedale stavano riemergendo dalla sua memoria annebbiata, scuotendo il suo orgoglio già ferito. Non si sarebbe fatto accudire come un bambino anche in casa propria. Fece appello a tutte le proprie forze e si trascinò penosamente ai piedi del letto, facendo leva sul gomito come un soldato che striscia tra il filo spinato; da lì vi salì con uno sforzo immane, aggrappandosi con un braccio solo alle coperte e sentendosi svenire. Un'improvvisa debolezza lo assalì e fu sul punto di lasciare la presa e ricadere a terra, ma con un debole colpo di reni riuscì finalmente a issarsi sul letto. Si abbandonò stremato sul materasso, boccheggiando in cerca d'aria e percependo un acuto dolore al petto, dove era incastonato il reattore. Era assolutamente incapace di muoversi ancora, anche solo per raggiungere il cuscino.
Fu solo allora che la verità lo colpì come uno schiaffo.
Era stato rassicurante fingere che non fosse successo nulla. Finché era rimasto in ospedale tutto quello che gli era accaduto aveva mantenuto dei contorni irreali, come di un miraggio che per quanto sembri avvicinarsi rimane sempre ancorato all'orizzonte. Fingere era stato facile. Bastava ignorare tutto ciò che accadeva attorno a lui, inclusi gli sguardi colmi di preoccupazione di Pepper.
Aveva finto fino ad allora, cosciente o meno, ma non poteva negare ciò che era successo: aveva perso un braccio, una gamba e un occhio. Se lo ripeté mentalmente più volte e quelle parole, da spaventose e ineluttabili, sembrarono perdere pian piano di senso, come una filastrocca recitata troppe volte fino a diventare una semplice sequenza di suoni privi di significato. La sua mente si stava chiudendo a riccio, respingendo i concetti nascosti dietro a quel mantra monocorde. Li respingeva con violenza, negando, e negando ancora; e mentre la vera proporzione di ciò che gli era accaduto continuava a sfuggirgli, altre riflessioni si facevano largo tra le fitte di dolore.
Forse quella era la punizione per aver stroncato tanto vite nel corso della propria: quante persone erano rimaste mutilate, o peggio, a causa sua? Portò d'istinto la mano al reattore, avvertendone il lieve ronzio.
Allora non era quella, la sua punizione. Doveva aver sbagliato qualcos'altro anche quando pensava di aver finalmente imboccato la strada giusta. Forse si era solo voluto convincere di ciò.
Ma adesso? Non doveva sprecare la sua vita, ma come avrebbe potuto anche solo pensare di
viverla in quelle condizioni?
Quei pensieri non fecero che acuire la sua disperazione. Non voleva rinunciare all'unica cosa che avesse dato un senso alla sua esistenza futile. Non voleva abbandonare la sua nuova immagine di ferro.
Rimase a fissare il soffitto, una mano ancora sul reattore, e gli sembrò che le ombre che si allungavano pian piano col sorgere del sole scorressero come un diorama, proiettandogli ciò che avrebbe dovuto affrontare da allora in poi. Probabilmente non sarebbe più stato neanche in grado di camminare. Non avrebbe più potuto lavorare senza sosta in laboratorio, con un braccio solo. Non sarebbe riuscito a guidare le macchine d'epoca che amava tanto. La sua fama di dongiovanni sarebbe diventata una macchietta risibile, così mutilato e sfigurato. Non riusciva neanche a immaginarsi di indossare l'armatura, di volare e combattere, di fare l'unica cosa giusta che sentiva di aver fatto.
Chiuse l'occhio e gli sfuggì un sospiro tremante di frustrazione.
Che senso aveva sprecare così la sua vita?


***


Si riscosse dal dormiveglia, frastornato. Era così sfinito che si era addormentato senza accorgersene. Era più calmo adesso, o forse solo più rassegnato.

Si tirò a sedere sul letto, lisciandosi i capelli scompigliati con un'espressione ferrea sul volto. Tutto era cambiato. Ma tutto doveva continuare ad essere come prima.
Era abituato a portare maschere che non gli appartenevano. L'aveva fatto per anni, così a lungo che ormai erano diventate parte di lui. Non sarebbe stato difficile farlo anche adesso.
Rialzò lo sguardo, incontrando quello del suo riflesso nello specchio di fronte al letto. Si costrinse a non distoglierlo.
La benda sull'occhio era una chiazza bianca sul suo volto, picchiettata di rosso. Gli arti amputati erano bendati strettamente e spuntavano brutalmente dalla t-shirt e dai pantaloncini, impossibili da celare. Aveva ancora una loro vaga percezione, nonostante la sua parte razionale gli dicesse che era impossibile. Mosse la gamba destra e gli sembrò di sentire l'articolazione del ginocchio piegarsi, il muscolo che si tendeva, i legamenti che scivolavano tra le ossa. Il moncherino si limitò a un fremito doloroso che lo fece sobbalzare, scacciando quell'illusione.
Il suo riflesso lo fissava smarrito, e si chiese se apparisse davvero così indifeso, così
spoglio. La luce del reattore trapelava sotto la maglietta scura, ma non lo rassicurò.
"Come faccio a vivere così?"
Avrebbe dovuto affidarsi totalmente a qualcuno, diventare un peso...
Non poteva sopportarlo. Si accorse di essere scosso da brividi: la sola idea della vita che lo attendeva annientava la sua determinazione e incrinava la maschera che aveva appena deciso di indossare.
G
uardò ancora lo specchio, e vide solo il corpo di un... non sapeva come definirsi. Un mezzo uomo?
Fu un pugno nello stomaco: lui, sempre così sicuro di sé e con un ego smisurato, ora incapace anche di camminare e descriversi. Non riusciva a ricordare com’era prima. Sapeva come sarebbe dovuto apparire, ma non riusciva a cristallizzare l'immagine, sfuggiva alla sua vista pronta ad essere dimenticata.
Esitò, colpito da un’idea improvvisa, un’idea così poco sensata da accettarla a braccia aperte... si incupì per quell’espressione. Mormorò un ordine preciso a JARVIS, che obbedì dopo un paio di obiezioni atone. Persino lui si rendeva conto che non era una buona idea.

L’immagine riflessa nello specchio cambiò. Il suo gemello gli restituiva ancora il suo sguardo disperato, ma con una gamba, un braccio e un occhio in più, creati da un reticolo olografico proiettato sul suo corpo. Fece più male di quel che si sarebbe aspettato; vedersi così, normale. Fece per toccare il braccio virtuale, ma le dita passarono attraverso la proiezione aumentando l’intenso senso di perdita. Cercò la forza di sfuggire a quella forma di masochismo, senza però voler realmente sottrarsi a quella tortura.
Vide un movimento nello specchio dietro di lui e la porta si aprì con uno scatto metallico. Pepper fece capolino nella stanza esitante, come temendo di svegliarlo. Nel vederlo seduto sul letto, avvolto da quelle proiezioni azzurrine e con lo sguardo fisso davanti a sé, si bloccò sulla soglia.
«Signor Stark?»
Lui n
on rispose, continuando ad ammirare il suo spettacolino autolesionista. Voleva davvero mostrarsi così debole e incapace di accettare la realtà? Era ancora in tempo per annullare l'ordine a JARVIS, per dire "basta".
Ma Pepper ormai era entrata e potè vedere i suoi occhi intristirsi sulla superficie lucida dello specchio. Abbassò lo sguardo, colpevole e conscio di averla delusa.
Non aveva la minima idea di come avrebbe reagito; sperava che non lo trattasse come un bambino bisognoso di comprensione. Era una cosa che non avrebbe sopportato: almeno lei doveva rimanere se stessa, se lui non ne era in grado.
La sentì avvicinarsi e fermarsi accanto a lui, scrutando gli arti olografici che tremolavano leggermente. Tony avrebbe voluto dire qualcosa, tirar fuori una delle sue osservazioni sarcastiche come aveva ininterrottamente fatto durante il suo ricovero, ma le parole si persero prima che potesse pronunciarle.

«JARVIS, basta così,» ordinò lei al posto suo.
Gli ologrammi si dissolsero, scoprendo nuovamente i moncherini.

Tony
rialzò la testa, incontrando i suoi occhi e notando che erano leggermente velati, ma si mantenne ferma accanto a lui, senza parlare.
«Il signor Stark ha attentato alla sua incolumità,» intervenne a sproposito JARVIS, rompendo però quel silenzio pesante.
Pepper si accigliò e guardò interrogativamente Tony.
«Sono caduto,» mormorò lui, riprendendo una parvenza di autocontrollo.
«E quella?» gli indicò qualcosa accanto al letto che prima gli era sfuggito.
Una sedia a rotelle?”
Un guizzo di vitalità lo rianimò, riscuotendolo dallo stato catatonico in cui era scivolato. Alzò la testa verso Pepper, con sguardo gelido.
«Quel trabiccolo infernale?» lo apostrofò «Io non ci salgo,» s'impuntò, assumendo la sua solita espressione da “neanche per sogno”, ma con una voce tetra che non gli apparteneva.
I cupi pensieri di prima si erano d'un tratto tramutati in una fiera ostinazione che gli impediva categoricamente di abbassarsi a tanto. Essere scarrozzato in giro senza la minima libertà era troppo
.
«E come pensa di muoversi?»

Tony parve pensarci, spiazzato da quella domanda così banale e dando fondo alla sua inventiva per trovare una risposta adeguata. Cercò di smorzare il suo tono troppo serio per non destare sospetti. Si stampò in faccia un'espressione che sperò fosse neutra e si schiarì la gola prima di parlare.
«Con...» l’immagine di se stesso con un solo stivale dell’armatura gli attraversò la mente. «Con il mio...» l’immagine si tramutò in lui che sbatteva dolorosamente la testa al soffitto. «Come non detto. Un paio di– una stampella andrà bene,» sbottò infine.
Pepper lo fissò un momento, dubbiosa di fronte alla sua improvvisa leggerezza e indecisa se accontentarlo o meno, ma vinse il suo senso del dovere. Avvicinò con un gesto perentorio la carrozzella al letto in modo da permettergli di scendere, ma Tony continuava a pretendere la sua stampella, insistendo di "non essere un invalido". Dopo una lunga ed estenuante discussione Pepper dovette quasi sollevarlo di peso per farlo sedere sull'"infernale trabiccolo" per accompagnarlo al bagno.

«Signor Stark, almeno per i primi tempi dovrebbe cercare di abituarsi.»
«Non voglio abituarmi,» mormorò lui di rimando.
Pepper non seppe come ribattere; Tony non era mai stato molto collaborativo, ed era un lato del suo carattere estremamente difficile da sopportare, ma in quella circostanza era sicuramente giustificato.
Arrivati in bagno, uno sguardo glaciale da parte sua le fece capire che,
no, non aveva bisogno di aiuto anche per quello e, no, anche se ne avesse avuto bisogno, non lo avrebbe chiesto né accettato. Pepper chiuse la porta alle sue spalle sperando che riuscisse a destreggiarsi per conto suo senza troppi danni.
Tutta quella situazione le era assolutamente estranea e non sapeva assolutamente come interagire con lui. In ospedale le era sembrato il solito irriverente, sboccato e arrogante Tony Stark. La cosa l'aveva inizialmente turbata, ma poi aveva voluto accettarla senza porsi altre domande. Non era sicura di poter gestire anche quell'improvviso cambiamento. Era peggio, molto peggio di quando era tornato dall'Afghanistan. Almeno allora si era costruito qualcosa per cui vivere, ma adesso anche quello era distrutto.
Non era in grado di prevedere cosa sarebbe successo, ma volle convincersi che non sarebbe stato peggio di ciò che era già accaduto.


***


«Oggi ha un paio di visite da fare: tra poco arriverà il dottor Mitchell.»
«Grandioso, immagino che passerò la mattinata a sentirmi dire tutto ciò che non posso fare.»
«Il dottor Mitchell è altamente qualificato e troverà di certo il modo migliore per...»
Tony si passò una mano tra i capelli mentre perdeva le parole che Pepper pronunciava. Che cosa avrebbe potuto dirgli Mitchell che già non sapeva?
Signor Stark, si sta riprendendo molto bene...” scimmiottò mentalmente.
In quel momento, disperato com’era, l'addolcire la pillola non avrebbe fatto altro che irritarlo ancor di più. Aveva sempre pensato che avere un reattore nel petto fosse la cosa peggiore che potesse capirargli, ma evidentemente si era sbagliato. Questo era di gran lunga peggiore.
Si era sempre reso conto di essere un egocentrico con un'autostima sproporzionata e lo aveva accettato quasi con orgoglio, tanto per ribadire il concetto di amor proprio. Il fatto di non essere più normale lo metteva in difficoltà, costretto a scontrarsi col suo corpo e con la sua mente, ed era una guerra persa in partenza. Per vincerla non poteva far altro che inculcarsi in testa la realtà, e nonostante tutto non la capiva.
Non poteva essere altrimenti, ma una parte di lui doveva per forza accettarla come una nuova legge a cui non poteva opporsi neanche lui. D'altra parte, seduto su quella carrozzella, sentiva di non potersi opporre proprio a nulla.
Si guardò intorno con frustrazione, sentendosi opprimere dalle mura della sua stanza nonostante l'ampia parete di vetro affacciata sul mare.
Era una giornata ventosa, a giudicare dalle foglie delle palme che si agitavano come fruste nelle folate improvvise, ma il cielo era terso e luminoso. Avrebbe potuto essere un
giorno qualunque di gennaio, ma non lo era, almeno non per lui.
Tony distolse lo sguardo dal mondo esterno apparentemente immutato, realizzando che lo faceva solo sentire più impotente.
Pepper era impegnata a dare un'occhiata alle sue cartelle mediche, un numero spropositato, prima della visita. Ne approfittò per sbirciare ancora nello specchio, ben sapendo quanto poco saggia fosse quella mossa.
Click.
La stanza sprofondò di colpo nel buio.
"Cosa?"
Non vedeva assolutamente nulla.
"Anche i blackout mentali? No, grazie," sospirò, rassegnato e inquieto.
Gli bastavano i disturbi motori, senza aggiungerci pure quelli psichici.
Lo specchio c'era ancora. Ed era assolutamente certo di essere ancora seduto sulla sua maledetta sedia a rotelle, ma il suo riflesso era in piedi, e sorrideva col suo solito sogghigno beffardo e con tutti gli arti al posto giusto.
Era un'allucinazione? Quanti sedativi gli avevano somministrato?

Fece appena in tempo a focalizzare l'immagine che il suo clone alzò un braccio, come in un cenno di saluto. Ammiccò con complicità e fece un giro su se stesso, mettendo ben in vista gli arti che dovevano essere mutilati nel suo corpo reale. Gli si mozzò il respiro in gola, mentre imprimeva a fuoco nella mente quell'immagine, in ogni suo dettaglio. Percepì chiaramente le sue sinapsi, apparentemente sedate fino a quel momento, riavviarsi e mettere in moto un treno di pensieri. Da qualche parte vicino al reattore percepì un'orma di calore, come scintille che si levano da un fuoco morente.
La figura fece infine un mezzo inchino, come di un presentatore che saluta il proprio pubblico, e fu come risucchiata in un tunnel alle sue spalle. Tony chiuse l'occhio, sentendo crescere uno strano senso di eccitazione del tutto irrazionale che lo investiva a ondate. Poco ci mancò che scendesse di corsa dalla sedia a rotelle; la sua mente stava lavorando a velocità febbrile.
Solo dopo un po' si accorse di essere di nuovo nella sua stanza, con Pepper che lo scuoteva il più delicatamente possibile per farlo rinvenire da qualunque limbo onirico l'avesse risucchiato.
«Tony? Tony, la prego, risponda!»

«Pepper!» gridò, quasi non riconoscendo la propria voce rotta dall'emozione.
«Mi ha fatto prendere un colpo!» esplose Pepper, perdendo definitivamente la propria compostezza «Sembrava svenuto e...»
«Ascolta! Ascoltami!» le afferrò il polso per bloccare i suoi movimenti agitati e per la prima volta dopo anni spazzò via ogni formalità tra loro, in uno stato di esaltazione che non aveva mai provato.
«Tony?» lei s'interruppe, presa in contropiede da quel gesto «Ma che le...»
«Un foglio! Mi servono un foglio e una matita! Sa disegnare?! No, no, non importa, ma faccia presto prima che...»
"Ora, maledizione!" imprecò, sentendo i dettagli sfumare nella sua memoria e formule e calcoli che si sovrapponevano e rimescolavano rischiando pericolosamente di perdere senso, di svanire nell'oblio confuso della propria mente.
Non gli importava se fosse stato un colpo di genio, un lampo di follia o l'effetto dei sedativi: sapeva cosa fare.
Sapeva cosa fare!




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Revisione effettuata il 12/02/2018

Note delle Autrici:

Rieccoci! Con sommo anticipo, di solito pubblichiamo... sì, praticamente ogni mai.
Ma questa storia ci sta prendendo più delle altre... colpa di Light marvel-fanatica, ovviamente. Ed grazie anche a
 sofy96 e a alliearthur che continuano a seguirci e che hanno recensito lo scorso capitolo.Ci ha fatto davvero molto contente ricevere dei pareri e sapere che siamo sulla retta via verso l'IC!
A presto!

Moon&Light

P.S.: Altre storie scritte individualmente le trovate sulle nostre rispettive pagine di EFP :)
P.P.S. (Light): Il titolo è stato scelto per due motivi: 1) È il titolo di un altro film in cui ha recitato Robert Downey Jr., 2) Ci sembrava adatto perché, come avrete notato, il confine tra realtà e sogno, o allucinazioni, se vogliamo, è piuttosto vago e continuerà ad esserlo sporadicamente.



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