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Autore: ___MoonLight    25/03/2012    5 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Parte Prima


FLAMES

.

"L’uomo non è fatto per la sconfitta.
Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto."
E. Hemingway

.

-

.

.

.

-.

1


It could've been worse




"On this bed I lay
Losing everything
I can see my life passing me by
Was it all too much?
Or just not enough?
Wake me up,
I'm living the nightmare..."


[Time Of Dying – Three Days Grace]



5 Gennaio 2009, L.A. General Hospital

Dove sono?”
La prima cosa che percepì fu un'intensa ondata di freddo che gli attraversò fastidiosamente il corpo. Poi la sensazione – più una supposizione che una certezza – di essere sdraiato, forse su un letto – ed in quel caso era anche piuttosto scomodo. Un odore acre lo prese alla gola, e solo allora si rese conto di respirare a stento e che ogni respiro era una stoccata nei polmoni.
Un irritante
bip risuonava in sottofondo, lontano...
Aprì di scatto gli occhi, senza ben sapere come avesse fatto e nemmeno se l'avesse davvero voluto. Venne subito accecato dalla luce troppo forte per le sue retine sensibili, così fu costretto a sbattere più volte le palpebre prima di mettere a fuoco dove fosse. Si ritrovò a fissare uno spazio bianco e indefinito. Gli ci volle qualche secondo per riconoscere un soffitto.
Non fu un bel risveglio, perché a breve distanza gli si rovesciarono addosso in un sol colpo tutte le sensazioni rimaste sopite fino a quel momento: un forte senso di oppressione al petto, un vago prurito al braccio e alla gamba destra, l'ago di una flebo nell'incavo del gomito e una zona d'ombra sull'occhio sinistro...
Capì di avere una fasciatura intorno alla fronte che passava anche sotto il collo, impedendogli così di muoversi e rendendolo cieco da un lato. Si sentiva girare la testa e faticava a restare cosciente: doveva essere l'effetto dei sedativi. Percepiva il bordo fastidioso di una mascherina per l'ossigeno premergli sul naso, ma non aveva la forza per spostarla.
Ruotò l'occhio scoperto – anche quello era uno sforzo titanico – fino a scorgere una figura seduta nella poltroncina accanto al letto. La riconobbe all'istante, con un indicibile sollievo.

Pepper”, provò a chiamare, ma emise solo un gemito roco e incomprensibile; bastò a far alzare di scatto la testa alla donna, con un'espressione a metà tra lo speranzoso e il diffidente, come se avesse già vissuto troppe volte quella scena. Quando incrociò i suoi occhi rimase interdetta, e Tony, incapace di parlare, si limitò a forzare un lieve sorriso, un po' sghembo per via del labbro spaccato.
«Tony!»
Gli fu subito vicina, come rianimata, e si aspettò che iniziasse a tempestarlo di domande su come si sentisse e su ogni minimo doloretto che provava, invece gli poggiò solo una mano sulla fronte, con uno sguardo che gli trasmise la sua inquietudine. Invece delle mille domande intelligenti che avrebbe potuto porre, si limitò a gracidare un'unica parola, soffocata dalla mascherina:

«Acqua.»
Si sentiva la gola secca e la lingua di carta vetrata: quando parlò ebbe la netta sensazione che le sue corde vocali stessero per spezzarsi.
«È sotto sedativo: non può ancora bere,» rispose Pepper con voce tremante.
«Ah. Bene. Cioè male.» Tossì forte e gli sembrò di avere del sangue in bocca.
Pepper gli scostò i capelli dalla fronte, sempre con uno sguardo indecifrabile, come se stesse aspettando una catastrofe che tardava ad arrivare, e questo non faceva che agitarlo di più. Possibile che fosse stato così male?
«Pepper?»
Il sorriso con cui la donna tentò di rispondere assomigliava più a una smorfia di dolore. Decise di sdrammatizzare come solo lui sapeva fare: si sarebbe irritata a morte, ma almeno avrebbe capito che adesso stava bene. Si scostò la mascherina dal volto, concludendo che riusciva a respirare abbastanza bene anche senza.
«Devo aver mangiato pesante ieri sera... » esordì con un mezzo ghigno.
“Ahia,” protestò dentro di sé, quando una decina di muscoli si tesero dolorosamente insieme al sorriso.
«... perché ho fatto un sogno tremendo. Era assurdo e assolutament–»
Si bloccò, interdetto.

Non si era ben reso conto di cosa l'avesse fatto interrompere, poi capì: aveva cercato di sistemarsi la benda sull'occhio con la mano destra, e l'aveva fatto... ma la benda era rimasta al suo posto, come se non l'avesse mai toccata. Provò ancora, e stavolta si accorse di non percepire la stoffa sotto ai polpastrelli. Pepper lo stava fissando con occhi lucidi, come se capisse quello che stava accadendo, al contrario di lui. Spostò lo sguardo verso il suo braccio e fu travolto da un'ondata di gelo.

Vuoto. Il suo braccio non c'era.
Pepper iniziò a piangere sommessamente.

«Merda


***

«Pepper...» rantolò, cercando di issarsi sui cuscini con un braccio solo.
"No. No.
No."
«Stia fermo!»
Pepper tentò di farlo sdraiare nonostante le sue proteste, ma Tony era ora smanioso di sapere cos’altro lo aspettasse; lei gli coprì l’occhio, ma scostò bruscamente la sua mano, sollevando il lenzuolo che avrebbe dovuto nascondere la gamba destra.

Vuoto. La gamba era troncata sopra il ginocchio.
Si lasciò ricadere all’indietro, portandosi la mano al moncherino inferiore nonostante il dolore che gli causava anche solo sfiorarlo. Respirava affannosamente, mentre Pepper cercava di catturare il suo sguardo vacuo, parlandogli senza che lui riuscisse davvero a sentirla.
«Cos’è successo?» si sentì dire come da molto lontano.

Non è possibile. È impossibile. Sto sognando. È ancora un sogno, vero?”
«È stata colpa... di Stane, lui ha... ha fatto questo,» cercò di evitare la domanda, e si interruppe non volendo scendere nei dettagli che sembrava ricordare ancora così bene.
«Che cos’è successo?» ripetè Tony, più forte, chiedendosi come facesse a rimanere ancora così calmo.
«Penso che sia meglio rimandare la...»
«Mi dica che diavolo è successo!» inveì infine, e fece come per sbattere il pugno destro sulla brandina... gesto che non avrebbe mai più potuto compiere e che gli inviò solo una scarica di dolore in tutto il corpo.
Pepper sussultò, colpita dalla sua veemenza e dai suoi occhi lucidi di frustrazione che esigevano una spiegazione. Da lei, non dal medico di turno.
«Si calmi. Lo so che è sconvolto, ma non ho passato qui le ultime due settimane per vederla stare male di nuovo,» ribattè, in un tono più duro di quanto intendesse.

«Due settimane!»
«Sì...»
Tony lanciò un’occhiata ai due arti mancanti, ancora in stato confusionale.
“I conti tornano.”
Il suo sguardo era come calamitato dalle sue ferite, ma lui non voleva guardare. Non doveva, perché quel sogno era già abbastanza vivido senza doversi imprimere nella memoria ogni particolare.
"Questo è un sogno," si ripetè disperato, ma le fitte di dolore che lo tormentavano erano più che reali.
Un pensiero più definito degli altri emerse dalla massa confusa che gli ottenebrava il cervello, e risuonò nella voce di Pepper: doveva rimanere calmo. Lasciare che quel panico che sentiva occludergli il petto trapelasse non l'avrebbe aiutato. Serrò il pugno, l'unico che gli rimanesse, respirando a fondo e a fatica.
Si sentiva come quando si era svegliato in quella grotta, terrorizzato, al freddo e attanagliato da un dolore accecante, con dei cavi che sporgevano dalla macchina infernale che era diventata suo cuore di fortuna. All'epoca non aveva lasciato che il panico avesse la meglio su di lui, anche se era circondato da uomini armati che lo volevano morto. Aveva combattuto ed era riuscito a trovare una soluzione a ciò che avrebbe dovuto ucciderlo nonostante la situazione tutt'altro che favorevole.
Adesso era in un ospedale, al sicuro, assieme all'unica persona al mondo che tenesse a lui – e alla quale tenesse. Riusciva a percepire i suoi occhi cerulei che lo trapassavano mentre gli stringeva la mano, che l'aveva cercata inconsciamente aggrappandosi a lei con forza, quasi potesse aiutarlo a uscire dal turbinio dei suoi pensieri e strapparlo da quell'incubo.

Guardò di nuovo i moncherini, bendati strettamente, e di nuovo non capì. Gli sembrava che i suoi arti fossero lì, ancora attaccati al suo corpo. Piegò il gomito, ne percepì il movimento, ma c'era solo aria al suo posto. Fece lo stesso col ginocchio, provò a sollevare il piede, ma il lenzuolo rimase al suo posto, immobile.
Scosse la testa, chinando il capo fattosi pesante come piombo. Il suo cervello si stava rifiutando di elaborare quello che era successo e non riusciva a far combaciare le discrepanze tra ciò che sentiva e ciò che vedeva. Si sentiva sprofondare in una sensazione di vuoto confuso, come se fosse sollevato a qualche metro da terra sul punto di schiantarsi, ma ci fosse ancora un esile filo a trattenerlo che lo faceva ondeggiare qua e là.
Strinse la presa su quella calma momentanea e sulla mano di Pepper, rimasta in silenzio fino ad allora. Si voltò a guardarla e notò solo allora i segni delle lacrime sulle sue guance. Quel dettaglio gli sembrò improvvisamente molto più preoccupante delle sue condizioni fisiche. L'unica volta che l'aveva visto sul punto di piangere era stato al suo ritorno dall'Afghanistan. E quelle, si rammentò con una stretta al petto, erano state lacrime di gioia, arrivate dopo non sapeva quante lacrime di paura e preoccupazione per lui. Non riuscì a celare il suo turbamento nel guardarla, ma si sforzò di ricacciare indietro la disperazione che sentiva premere dentro di lui, pronta a traboccare.
Non poteva farla preoccupare ancora con le sue scenate. Si limitò ad ancorarsi nei suoi occhi, cercando di riprendere il controllo del suo corpo e dei suoi pensieri. Lei restituì il suo sguardo con fermezza, facendogli capire con quel semplice silenzio che non era solo.
Sentì sciogliersi uno dei mille nodi di tensione stretti nel suo stomaco.

"Respira. Quello puoi ancora farlo, almeno."
E respirò, per molti minuti, fino a sentirsi la testa leggera e il corpo pesante, o forse il contrario. Aveva sicuramente incamerato troppa aria, ma Pepper rimase lì, a fargli da àncora per evitare che iniziasse a fluttuare per davvero. Si concentrò su quel semplice atto meccanico, estraniandosi da tutto il resto, preferendo le fitte acute alle costole al dolore sordo ai moncherini. Quando iniziò a credere di poter percepire ogni atomo d'ossigeno che entrava nei suoi polmoni e ogni molecola di anidride carbonica che ne usciva, si convinse di essere abbastanza padrone di sé stesso per aumentare il suo raggio di percezione, e si accorse di quanto fosse fredda la stanza, con solo la sottile veste ospedaliera a coprirlo. Avvertì la pelle d'oca sulle... sul braccio, e represse un piccolo brivido. Strinse le dita e, oltre alla pelle liscia di Pepper, avvertì il tessuto ruvido delle lenzuola contro i polpastrelli. A quel punto mise a fuoco anche la propria vista, rimasta annacquata fino ad allora, e perse altri lunghi minuti a contare i fitti pois che decoravano la stoffa del suo abito. Deglutì, concludendo che non voleva concentrarsi troppo sullo sgradevole sapore di medicinali e sangue che aleggiava sulla sua lingua, e raccolse il coraggio per procedere col check-up attivo del proprio corpo, dopo quello passivo. Il suo secondo cuore gli sembrava un ottimo punto di partenza. Portò subito la mano al petto, sul reattore, grato di poter indirizzare i suoi pensieri su qualcosa di familiare:
«E tu? Almeno ci sei ancora,» osservò, allentando la veste fino a scoprirlo per poi estrarlo cautamente dal supporto; lo squadrò in controluce, sotto gli occhi ancora arrossati di Pepper.
Il blu illuminò fievolmente il suo palmo, rasserenandolo almeno in parte. Era vivo, Pepper era viva, il suo cuore batteva ed era ancora Tony Stark. Non era cambiato nulla.

Poteva far finta di star bene ancora per un po'.

Calmo. Doveva stare calmo.
«L’ha fatto sostituire... almeno stavolta non l'ha dovuto fare lei,» articolò a fatica, riuscendo a strapparle un sorriso sottile al ricordo della prima,improvvisata sostituzione del reattore.

«
Rhodey ha recuperato uno dei prototipi dal laboratorio,» la sua voce tremolò, ma non si ruppe.
«
E quello vecchio? Dopotutto è un suo regalo. Un regalo molto utile,» aggiunse, realizzando che Pepper gli aveva inconsapevolmente salvato la vita.
Se non fosse stato per quel vecchio e obsoleto reattore, sarebbe morto d'infarto. Si trovò a serrare il pugno nel pensare a Stane e a come l'avesse lasciato agonizzante nel suo salotto, condannandolo a morte certa. I suoi pensieri tornarono a farsi burrascosi. Lo "zio Obie" l'aveva pugnalato alle spalle. Chissà da quanto tempo progettava di farlo fuori, dietro tutti quei sorrisi amichevoli e quella sorta di atteggiamento paterno... si era lasciato raggirare come un bambino.
Fu lieto che la voce di Pepper lo distogliesse da quelle riflessioni:
«
Mi ha sempre detto di non essere un tipo nostalgico,» disse piano, forse per non far tremare ancora la sua voce «Ma ho tenuto il reattore vecchio, giusto per sicurezza,» concluse in tono lievemente canzonatorio.
Tony volle dimenticarsi per un momento dell’orribile situazione in cui si trovava per soffermarsi sul timido sorriso Pepper, forse rincuorata dal suo sfoggio di spavalderia. Si limitò a stringerle un poco la mano, in un gesto grato, per poi farsi più serio quando lo sguardo gli cadde inevitabilmente sul moncherino della gamba. Rughe di preoccupazione tornarono a disegnarsi sul suo volto.
«Posso ritenermi fortunato?» esalò, temendo di perdere il controllo da un momento all'altro.
«Direi di sì. Mi creda,» replicò lei, senza guardarlo.
«Non so se ritenerlo rassicurante,» appoggiò la testa al braccio rimasto ed iniziò a parlare come se pensasse ad alta voce, mascherando non seppe come il tremito della sua voce e dei suoi pensieri. «Ricapitoliamo: ho perso una gamba, e anche un braccio. Grandioso. Non ricordo assolutamente nul– anzi! Un lampo blu. Questo lo ricordo... ma non mi dice niente.»
“Memoria offline. Ci mancava questa."
«Non ho idea di quanto ancora resisterà il reattore, visto che è un prototipo mal riuscito, e probabilmente ho una ventina di lesioni interne. E ho ancora sete. Conclusione medica: prognosi riservata. Conclusione personale: sono finito in un letamaio, e sto cercando di essere delicato. Ma tutto sommato... poteva andare peggio,» sospirò infine, senza fiato e con una fitta alle costole probabilmente rotte.
«Poteva diventare ancora più irritante, scansafatiche ed egocentrico di quanto non fosse già,» concordò Pepper, in un debole tentativo d'ironia.
«
Quello sarebbe stato un guaio,» le diede corda lui, sollevato che si fosse ripresa, anche se aveva ancora gli occhi rossi e sembrava celare la sua preoccupazione nello stare al suo gioco: fingere, finché possibile, sarebbe stato meglio per tutti e due.
Scese un silenzio assoluto, ma non teso. Un silenzio necessario.
In quel mentre entrò di corsa nella stanza un medico; si bloccò così in fretta sulla soglia che quasi gli traboccò il caffè dalla tazza che teneva in mano.
«Salve,» salutò Tony con un debole cenno della mano buona.
Il medico ebbe un’attimo di esitazione, interdetto dall'apparente vitalità del paziente.
«Bentornato tra noi, signor Stark,» esordì con fare professionale.
Poggiò il caffè sul comodino e si avvicinò al letto.
«Oh, grazie.» Tony fece per prendere la bevanda, ma Pepper gliela soffiò appena in tempo sotto al naso.
«Questo è per me,» specificò lei, ringraziando il medico con un cenno del capo, che lui ricambiò appena.
«Sono il dottor Ian Mitchell, l’ho seguita durante la sua permanenza qui, anche se non può saperlo,» si presentò intanto l'uomo, piuttosto alto, con corti capelli grigio ferro e le lenti degli occhiali a schermargli gli occhi chiari induriti dalle rughe.
Tony gli tese la mano:
«Sa già chi sono. E scusi la sinistra,» borbottò, mentre il medico gliela stringeva con delicata fermezza.
«Ma le pare... si faccia dare un’occhiata,» disse infilandosi lo stetoscopio, lanciandogli uno sguardo vagamente sospettoso.
«Non mi sembra che ci sia molto da dire...» commentò lui, rassegnato, ma acconsentì a farsi visitare.
Fece cenno a Pepper di rimanere; dopotutto, l'aveva vegliato da incosciente per due settimane e poteva sopportare di farsi vedere senza quell'orrendo camice da ospedale. Sperò solo che il medico non dovesse scoprirgli le ferite, ma questi sembrava solo voler constatare le sue condizioni generali. Mitchell sembrò contrariato quando gli auscultò il respiro, e spostava in continuazione lo sguardo sul reattore.
«Non sto per andare in autocombustione, Doc,» sbottò infine, irritato anche per i mille dolori che scopriva di avere su tutto il corpo.
«Quel coso ci ha causato non sa quanti problemi con la risonanza magnetica,» borbottò lui, lanciando un'occhiata astiosa al congegno.
«Risonanza?!
Questo "coso" svolge il ruolo di un magnete! È un miracolo che non si sia guastato...» s'interruppe con un lamento quando gli sfiorò l'ennesima contusione.
Pepper intanto fissava assente il pavimento, persa nei suoi pensieri che molto probabilmente lo riguardavano. Anche lei aveva rischiato la vita, ma non sembrava ferita, a parte qualche cerotto superstite sulle mani.
Non ricordava nulla dello scontro... ma l'aveva salvata, di questo era certo. E poteva forse considerarla l'impresa migliore che avesse mai compiuto in vita sua. Si sentì talmente felice nell'averla lì con lui, sana e salva, che gli si formò un groppo in gola al solo pensiero di non averla lì.
Per una volta in vita sua non aveva fallito, anche se aveva pagato un caro prezzo. Aveva la consapevolezza di quanto sarebbe stata difficile e dolorosa la propria vita d'ora in poi, ma sapeva anche che non avrebbe mai rimpianto di aver sacrificato ciò che aveva perso per proteggerla. L'aveva messa in pericolo lui, in fin dei conti. E glielo doveva, almeno per averlo sopportato nel corso di tutti quegli anni invece di abbandonarlo in una pozza d'alcol e sangue. Le doveva la volontà che l'aveva spinto a uscire da quella grotta un anno prima.
Senza un paio d'arti poteva ancora cavarsela. Senza di lei... non ne era così convinto. Ma era , con lui.
Il panico allentò finalmente la sua morsa.

***


Finalmente Michell pose fine a quella tortura legalizzata e si piantò di fronte a lui a braccia conserte, serio.
«Per quanto riguarda la gamba e il braccio non c’è molto da fare, ma con l'aiuto di un chirurgo plastico potremmo riuscire a sistemare l'occhio, almeno dal punto di vista estetico,» annunciò, monocorde.
«
L’occhio?»
«Sì, l’occhio.»
«
Anche l’occhio?»
«Anche l’occhio,» confermò mestamente Mitchell, abbassando il capo.
Tony tastò rassegnato la benda e sentì con un sobbalzo lancinante l’orbita vuota sotto le dita, assieme alla sensazione di qualcosa che si lacerava da qualche parte nel suo addome.
«Anche l’occhio,» sospirò.
«Mi dispiace.»
«Non si preoccupi, il sinistro è sempre stato il mio profilo peggiore,» commentò assente, sentendosi distruggere da quell'ultima scoperta ma deciso a non mostrarlo al medico, e soprattutto a Pepper, che continuava a mantenere un religioso silenzio.
Mitchell gli scoccò un'occhiata dubbiosa, come se temesse che gli antidolorifici gli avessero dato alla testa. Tony non reputava la cosa improbabile; era sicuro che se non fosse stato sedato avrebbe come minimo avuto un attacco isterico. O forse sarebbe solo svenuto per il dolore, che per ora rimaneva un'ombra tagliente conficcata al posto dei suoi arti mancanti, impossibile da ignorare ma sopportabile. Si trovò a ringraziare la sua soglia del dolore decisamente più alta in seguito alla prigionia, prima di rendersi conto che ciò non era comunque un fatto positivo.
«Dicevo, dovremmo poter ricostruire senza troppi problemi la parte di viso sfregiata dalla scheggia,» riprese Mitchell, quasi con cautela.
Tony sussultò nel sentirsi definire
"sfregiato", ma resistette all'impulso di portarsi di nuovo una mano al volto. Si limitò ad annuire rigidamente.
Prima che Mitchell potesse aggiungere altro, un infermiere si affacciò nella camera.
«Dottor Mitchell, la attendono in corsia.»
«Arrivo.»
«No, no, aspetti!» Tony si agitò sul letto, suscitando la preoccupazione di Pepper «Tra quanto potrà dimettermi?»
«Ha così fretta di morire ancora?» replicò secco il medico, senza scomporsi.
«Voglio solo uscire da qui. Subito,» sottolineò Tony, sollevando appena il busto nonostante l'urlo di protesta della sua schiena contusa.
«Signor Stark, la prego, ascolti il dottor Mitchell,» intervenne Pepper, ora chiaramente messa in allarme dalla sua irrequietezza.
«Non sarà in grado di lasciare l'ospedale per almeno un mese: le servono le nostre attrezzature,» le venne in aiuto il medico, già sulla soglia.
«Mi prende in giro? Le produco io, le vostre attrezzature; mi basta un attimo per trasferirle a casa mia,» s'incaponì l'altro.
«
Vedremo. Per ora stia buono e non stressi la povera signorina Potts con richieste assurde. Sì, mi ha avvertito del suo caratteraccio,» lo anticipò Mitchell, uscendo dalla stanza.
A quel punto Tony si abbandonò sui cuscini, sentendo che parlare lo aveva stancato molto più di quanto aveva previsto. Chiuse gli occhi – l'occhio, in effetti. Aveva solo una gran voglia di dormire e fingere per qualche ora che non fosse successo niente.

Sentì la mano di Pepper sfiorare la sua, come per controllare se fosse ancora sveglio, e sospirò sfinito. Gli era rimasta accanto per due settimane; aveva notato le profonde occhiaie che le solcavano il viso, e nonostante le proprie condizioni fossero ben più gravi non riusciva a fare a meno di sentirsi in colpa per averla fatta preoccupare.
Avrebbe dovuto ringraziarla, ma era così stanco...

***



Un gran trambusto nel corridoio lo riscosse dal dormiveglia. Pepper s'incupì all'istante.
«Di nuovo,» disse, visibilmente irritata.
Si rivolse poi a Tony:
«Permette?»
«Tutto quel che vuole,» replicò lui, assonnato.
Aveva appena finito di parlare che la donna gli sistemò il lenzuolo in modo da coprire del tutto le ferite, per poi spiegarvi sopra anche la coperta.
«Non si muova e non si lasci vedere. E stia calmo.»
La guardò senza capire, ora un po' più presente a se stesso. Da fuori arrivò la voce furibonda di Mitchell:
«Questo non è un reality-show! Via di qui! Ho detto
via
Si sentì ancora un tramestio di passi, poi la porta si spalancò, vomitando un fiume di telecamere e giornalisti che invasero la stanza.
«È sveglio!» esclamò qualcuno, la cui voce acuta gli trapassò i timpani sensibili.
Subito fu inondato da una sfilza di domande ininterrotta, che gli fecero tornare il cattivo – ovvero pessimo – umore rimasto sopito fino a quel momento e gli fecero anche comprendere la preoccupazione di Pepper nel coprire il suo corpo mutilato. Badò bene a rimanere ben sotto lo strato di stoffa che lo copriva e piegò la gamba sana, così da non rendere troppo evidente la mancanza dell'altra. Non aveva mai avuto problemi ad offrirsi a foto e telecamere in circostanze più che scandalose, anzi, ma in quel momento avrebbe voluto avere di nuovo addosso l'armatura per polverizzare ogni obbiettivo nel raggio di dieci metri. E anche i giornalisti, visto che c'era.
«Come sta, signor Stark?»
«Cos'è successo?»
«Sente dolore?»
«Quando riprenderà il suo ruolo nelle Stark Industries?»
«Lei è davvero l' "Iron Man"?»
«Che fine ha fatto Stane?»
Pepper cercava come poteva di scacciarli, bombardata anche lei di domande che non intaccarono minimamente la sua cordiale compostezza, ma una decina di giornalisti erano troppi anche per lei e sembrava sul punto di usare i tacchi come armi improprie. Mitchell era impegnato a confabulare con una guardia della sicurezza, che sembrava convinta di non poter fare niente per respingerli, e Tony si trovò a chiedersi quante mazzette gli avessero passato.
Domande... domande...
ancora domande. Si sentiva scoppiare la testa. E neanche lui aveva la più pallida idea di cosa diavolo ci facesse su un maledetto letto d'ospedale col proprio corpo ridotto a metà.
Chiuse gli occhi, ignorò il mondo contando fino a diec–
cinque, e poi esplose:
«FUORI DI QUI!»
Tutti tacquero per qualche istante e lui si sentì girare la testa per lo sforzo. I suoi polmoni protestarono debolmente.

Silenzio.
«È in diretta,» azzardò una giornalista imprudente.
«È così divertente mandare in diretta persone in coma?»
«Ma...»
«Signor Stark...»

«Sparite.»
Il suo tono fu così secco e glaciale da far sprofondare di nuovo la stanza nel silenzio. Stava per dire qualcos'altro, ma un lampo blu gli esplose in testa e il reattore, per ora celato agli occhi dei giornalisti, tremolò emettendo un sibilo preoccupante, strappandogli un lamento di dolore che lo costrinse a sprofondare di nuovo la testa nel cuscino.
Pepper diventò una furia. Non ricordò mai con esattezza cosa avesse detto, ma di sicuro
non doveva essere mandato in diretta. Sentì un miscuglio indefinito di grida, proteste e qualche sporadica domanda lanciata nel vuoto. Percepì una voce maschile che parlava sommessamente con Pepper. Non sembrava quella di Mitchell, ma aveva un che di familiare. Le sue orecchie erano rintronate e gli arrivava solo un mormorio ovattato e indistinguibile.
Percepì un ago affondargli nel braccio e subito dopo i suoi muscoli si rilassarono. Scivolò in un quieto dormiveglia, cullato dal chiacchiericcio di fondo ininterrotto. Rinunciò a cercare di cogliere le parole, preferendo concentrarsi sulla voce pacata di Pepper.
Poi tornò la calma. Il dolore gli annebbiava la mente, in un flusso incessante che scaturiva dalle sue ferite.
Alzò lo sguardo stanco su Pepper, ancora rossa di rabbia, e sentì di ammirarla immensamente.
Sospirò, pensando ad un altro mese su quello scomodo lettino, con una flebo nel braccio e orde di giornalisti da tenere a bada...
«Andiamo a casa,» riuscì a mormorare.
Poi il mondo sfumò intorno a lui e cadde in un sonno profondo.




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Revisione effettuata l'11/02/2018

Note Delle Autrici:

Ordunque... ecco il primo capitolo vero e proprio!
Iniziamo subito col dire che l'apparente "leggerezza" con cui Tony accetta quel che è successo è, appunto, apparente.
Volevamo mantenerci IC, ispirandoci anche alla sua reazione quando ha scoperto di avere un magnete impiantato nel petto. Pensiamo che, conoscendo il suo carattere, l'avrebbe probabilmente buttata sul ridere, o almeno mascherato ciò che provava.
Aspettatevi prossimamente un crollo emotivo!

A parte questo... siamo sadiche, sì; Tony soffre, sì; Pepper si dispera e Mitchell è importante.
Speriamo che vi sia piaciuto e ringraziamo alliearthur e sofy96 che hanno aggiunto la storia alle seguite (un commentino ci farebbe piacere per sapere che ne pensate ;)

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