Parte Prima
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"L’uomo
non è fatto per la
sconfitta.
Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto."
E. Hemingway
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1
It could've been worse
"On
this bed I lay
Losing everything
I can see my life passing me
by
Was it all too much?
Or just not enough?
Wake me up,
I'm
living the nightmare..."
[Time
Of Dying – Three Days Grace]
5
Gennaio 2009, L.A. General Hospital
“Dove
sono?”
La
prima cosa che percepì fu un'intensa ondata di freddo che
gli
attraversò fastidiosamente il corpo. Poi la sensazione
– più una
supposizione che una certezza – di essere sdraiato, forse su
un letto – ed in quel caso era anche piuttosto scomodo.
Un odore acre lo prese alla gola, e solo allora si rese conto di
respirare a
stento
e che ogni respiro era una stoccata nei polmoni.
Un irritante bip
risuonava
in sottofondo, lontano...
Aprì
di scatto gli occhi, senza ben sapere come avesse fatto e nemmeno se
l'avesse davvero voluto. Venne subito accecato dalla luce troppo
forte per le sue retine sensibili, così fu costretto a
sbattere più
volte le palpebre prima di mettere a fuoco dove fosse. Si
ritrovò a
fissare uno spazio bianco e indefinito. Gli ci volle qualche secondo
per riconoscere un soffitto.
Non
fu un bel risveglio, perché a breve distanza gli si
rovesciarono addosso in un sol colpo tutte le sensazioni rimaste sopite
fino a quel
momento: un forte senso di oppressione al petto, un vago prurito al
braccio e alla gamba destra, l'ago di una flebo nell'incavo del gomito
e una
zona d'ombra sull'occhio sinistro...
Capì
di avere una fasciatura intorno alla fronte che passava anche sotto
il collo, impedendogli così di muoversi e rendendolo cieco
da un
lato. Si sentiva girare la testa e faticava a restare cosciente:
doveva essere l'effetto dei sedativi. Percepiva il bordo fastidioso di
una mascherina per l'ossigeno premergli sul naso, ma non aveva la forza
per spostarla.
Ruotò l'occhio scoperto – anche quello era uno
sforzo titanico – fino a
scorgere una figura seduta nella poltroncina accanto al letto. La
riconobbe all'istante,
con un indicibile sollievo.
“Pepper”,
provò a chiamare, ma emise solo un gemito roco e
incomprensibile;
bastò a far alzare di scatto la testa alla donna, con
un'espressione a metà tra lo speranzoso e il diffidente,
come se
avesse già vissuto troppe volte quella scena. Quando
incrociò i
suoi occhi rimase interdetta, e Tony, incapace di parlare, si
limitò
a forzare un lieve sorriso, un po' sghembo per via del labbro
spaccato.
«Tony!»
Gli fu subito vicina, come rianimata, e si aspettò che
iniziasse a
tempestarlo di domande su come si sentisse e su ogni minimo doloretto
che provava, invece gli poggiò solo una mano sulla fronte,
con uno
sguardo che gli trasmise la sua inquietudine. Invece delle mille
domande intelligenti che avrebbe potuto porre, si limitò a
gracidare un'unica parola, soffocata dalla mascherina:
«Acqua.»
Si sentiva la gola secca e la lingua di carta vetrata: quando
parlò
ebbe la netta sensazione che le sue corde vocali stessero per
spezzarsi.
«È sotto sedativo: non può ancora
bere,» rispose
Pepper con voce tremante.
«Ah. Bene. Cioè male.» Tossì
forte e gli sembrò
di avere del sangue in bocca.
Pepper gli scostò i capelli dalla fronte, sempre con uno
sguardo indecifrabile, come se stesse aspettando
una catastrofe che tardava ad arrivare, e questo non faceva che
agitarlo di più. Possibile che fosse stato così
male?
«Pepper?»
Il sorriso con cui la donna tentò di
rispondere assomigliava più a una smorfia di dolore. Decise
di
sdrammatizzare come solo lui sapeva fare: si sarebbe irritata a
morte, ma almeno avrebbe capito che adesso stava bene. Si
scostò la mascherina dal volto, concludendo che riusciva a
respirare abbastanza bene anche senza.
«Devo aver
mangiato pesante ieri sera... » esordì con un
mezzo ghigno.
“Ahia,”
protestò
dentro di sé, quando una decina di muscoli si tesero
dolorosamente
insieme al sorriso.
«... perché ho fatto un sogno tremendo. Era
assurdo e assolutament–»
Si bloccò, interdetto.
Non
si era ben reso conto di cosa l'avesse fatto interrompere, poi
capì:
aveva cercato di sistemarsi la benda sull'occhio con la mano destra,
e l'aveva fatto... ma la benda era rimasta al suo posto, come se non
l'avesse mai toccata. Provò ancora, e stavolta si accorse di
non
percepire la stoffa sotto ai polpastrelli. Pepper lo stava fissando
con occhi lucidi, come se capisse quello che stava accadendo, al
contrario di lui. Spostò lo sguardo verso il suo braccio e
fu travolto
da
un'ondata di gelo.
Vuoto.
Il
suo braccio non c'era.
Pepper
iniziò a piangere sommessamente.
«Merda.»
***
«Pepper...»
rantolò, cercando di issarsi sui cuscini con un braccio solo.
"No.
No.
No."
«Stia
fermo!»
Pepper
tentò di farlo sdraiare nonostante le sue proteste, ma Tony
era ora
smanioso di sapere cos’altro lo aspettasse; lei gli
coprì l’occhio,
ma scostò bruscamente la sua mano, sollevando il
lenzuolo che
avrebbe dovuto nascondere la gamba destra.
Vuoto.
La
gamba era troncata sopra il ginocchio.
Si
lasciò ricadere all’indietro, portandosi la mano
al moncherino inferiore
nonostante il dolore che gli causava anche solo
sfiorarlo. Respirava
affannosamente, mentre Pepper cercava di catturare il suo sguardo
vacuo, parlandogli senza che lui riuscisse davvero a sentirla.
«Cos’è
successo?» si sentì dire come da molto lontano.
“Non
è possibile. È
impossibile.
Sto sognando. È ancora un sogno, vero?”
«È
stata colpa... di Stane, lui ha... ha fatto questo,»
cercò di evitare la
domanda, e si interruppe non volendo scendere nei dettagli che
sembrava ricordare ancora così bene.
«Che
cos’è successo?» ripetè Tony,
più forte, chiedendosi come
facesse a rimanere ancora così calmo.
«Penso
che sia meglio rimandare la...»
«Mi
dica che diavolo è successo!» inveì
infine, e fece come per
sbattere il pugno destro sulla brandina... gesto che non avrebbe mai
più potuto compiere e che gli inviò solo una
scarica
di dolore in tutto
il corpo.
Pepper sussultò, colpita dalla sua veemenza e dai suoi
occhi lucidi di frustrazione che esigevano una spiegazione. Da lei,
non dal medico di turno.
«Si calmi. Lo so che è sconvolto, ma non ho
passato qui le ultime
due settimane per vederla stare male di nuovo,»
ribattè, in un
tono più duro di quanto intendesse.
«Due
settimane!»
«Sì...»
Tony lanciò
un’occhiata ai due arti mancanti, ancora in stato
confusionale.
“I
conti tornano.”
Il
suo sguardo era come calamitato dalle sue ferite, ma lui non voleva
guardare. Non doveva,
perché quel sogno era già abbastanza vivido
senza doversi imprimere nella memoria ogni particolare.
"Questo
è
un sogno," si
ripetè disperato, ma le fitte di dolore che lo tormentavano
erano
più che reali.
Un pensiero più definito degli altri emerse dalla
massa confusa che gli ottenebrava il cervello, e risuonò
nella voce di Pepper: doveva rimanere calmo. Lasciare che quel panico
che sentiva occludergli il petto trapelasse
non l'avrebbe aiutato. Serrò il pugno, l'unico che gli
rimanesse, respirando a fondo e a fatica.
Si
sentiva come quando si era svegliato in quella grotta, terrorizzato,
al freddo e attanagliato da un dolore accecante, con dei cavi che
sporgevano dalla macchina infernale che era diventata suo cuore di
fortuna. All'epoca non aveva lasciato
che il panico avesse la meglio su di lui, anche se era circondato da
uomini armati che lo volevano morto. Aveva combattuto ed era riuscito a
trovare una soluzione a ciò che avrebbe dovuto ucciderlo
nonostante la situazione tutt'altro che favorevole.
Adesso era in un ospedale, al
sicuro, assieme all'unica persona al mondo che tenesse a lui
– e alla
quale tenesse. Riusciva a percepire i suoi occhi cerulei che lo
trapassavano
mentre gli stringeva la mano, che l'aveva cercata inconsciamente
aggrappandosi a lei con forza, quasi potesse aiutarlo a uscire dal
turbinio dei
suoi pensieri e strapparlo da quell'incubo.
Guardò di nuovo i
moncherini, bendati strettamente, e di nuovo non capì. Gli
sembrava che i suoi arti fossero lì, ancora attaccati al suo
corpo. Piegò il gomito, ne percepì il movimento,
ma c'era solo aria al suo posto. Fece lo stesso col ginocchio,
provò a sollevare il piede, ma il lenzuolo rimase al suo
posto, immobile.
Scosse la testa, chinando il capo fattosi pesante come piombo. Il suo
cervello si stava rifiutando di elaborare quello che era successo e non
riusciva a far combaciare le discrepanze tra ciò che sentiva
e ciò che vedeva. Si sentiva sprofondare in una sensazione
di vuoto confuso, come se fosse sollevato a qualche metro da terra sul
punto di schiantarsi, ma ci fosse ancora un esile filo a trattenerlo
che lo faceva ondeggiare qua e là.
Strinse la presa su quella calma momentanea e
sulla mano di Pepper, rimasta in silenzio fino ad allora. Si
voltò a guardarla e notò solo allora i segni
delle lacrime sulle sue guance. Quel dettaglio gli sembrò
improvvisamente molto più preoccupante delle sue condizioni
fisiche. L'unica volta che l'aveva visto sul punto di piangere era
stato al suo ritorno dall'Afghanistan. E quelle, si rammentò
con una stretta al petto, erano state lacrime di gioia, arrivate dopo
non sapeva quante lacrime di paura e preoccupazione per lui. Non
riuscì a celare il suo turbamento nel guardarla, ma si
sforzò di ricacciare indietro la disperazione che sentiva
premere dentro di lui, pronta a traboccare. Non poteva farla preoccupare
ancora con le sue scenate. Si limitò ad ancorarsi nei suoi
occhi, cercando di riprendere il controllo del suo corpo e dei suoi
pensieri. Lei restituì il suo sguardo con fermezza,
facendogli capire con quel semplice silenzio che non era solo.
Sentì sciogliersi uno dei mille nodi di tensione stretti nel
suo stomaco.
"Respira.
Quello puoi ancora farlo, almeno."
E respirò, per molti minuti, fino a sentirsi la testa
leggera e il corpo pesante, o forse il contrario. Aveva sicuramente
incamerato troppa aria, ma Pepper rimase lì, a fargli da
àncora per evitare che iniziasse a fluttuare per davvero. Si
concentrò su quel semplice atto meccanico, estraniandosi da
tutto il resto, preferendo le fitte acute alle costole al dolore sordo
ai moncherini. Quando iniziò a credere di poter percepire
ogni atomo d'ossigeno che entrava nei suoi polmoni e ogni molecola di
anidride carbonica che ne usciva, si convinse di essere abbastanza
padrone di sé stesso per aumentare il suo raggio di
percezione, e si accorse di quanto fosse fredda la stanza, con solo la
sottile veste ospedaliera a coprirlo. Avvertì la pelle d'oca
sulle... sul braccio, e represse un piccolo brivido. Strinse le dita e,
oltre alla pelle liscia di Pepper, avvertì il tessuto ruvido
delle lenzuola contro i polpastrelli. A quel punto mise a fuoco anche
la propria vista, rimasta annacquata fino ad allora, e perse altri
lunghi minuti a contare i fitti pois che decoravano la stoffa del suo
abito. Deglutì, concludendo che non voleva concentrarsi
troppo sullo sgradevole sapore di medicinali e sangue che aleggiava
sulla sua lingua, e raccolse il coraggio per procedere col check-up
attivo del proprio corpo, dopo quello passivo. Il suo secondo cuore gli
sembrava un ottimo punto di partenza.
Portò subito la mano al
petto, sul reattore, grato di poter indirizzare i suoi pensieri su
qualcosa di
familiare:
«E tu? Almeno ci sei ancora,» osservò,
allentando la veste fino a scoprirlo per poi
estrarlo cautamente dal
supporto; lo squadrò in controluce, sotto gli occhi ancora
arrossati di Pepper.
Il blu illuminò fievolmente il suo palmo,
rasserenandolo almeno in parte. Era vivo, Pepper era viva, il suo
cuore batteva ed era ancora Tony Stark. Non era cambiato nulla.
Poteva
far finta di star bene ancora per un po'.
Calmo.
Doveva stare calmo.
«L’ha fatto sostituire... almeno stavolta
non l'ha dovuto fare lei,» articolò a fatica,
riuscendo a
strapparle un
sorriso sottile al ricordo della prima,improvvisata sostituzione del
reattore.
«Rhodey ha recuperato uno dei
prototipi dal laboratorio,» la sua voce tremolò,
ma non si ruppe.
«E quello vecchio? Dopotutto
è un suo regalo. Un regalo molto
utile,» aggiunse,
realizzando che Pepper gli aveva inconsapevolmente salvato la vita.
Se non fosse stato per quel vecchio e obsoleto reattore, sarebbe morto
d'infarto. Si trovò a serrare il pugno nel pensare a Stane e
a come l'avesse lasciato agonizzante nel suo salotto, condannandolo a
morte certa. I suoi pensieri tornarono a farsi burrascosi. Lo "zio
Obie" l'aveva pugnalato alle spalle. Chissà da quanto tempo
progettava di farlo fuori, dietro tutti quei sorrisi amichevoli e
quella sorta di atteggiamento paterno... si era lasciato raggirare come
un bambino.
Fu lieto che la voce di Pepper lo distogliesse da quelle riflessioni:
«Mi ha sempre detto di non
essere un
tipo nostalgico,» disse piano, forse per non far tremare
ancora la sua
voce «Ma ho tenuto il reattore
vecchio,
giusto per sicurezza,» concluse in tono lievemente
canzonatorio.
Tony volle dimenticarsi per un momento dell’orribile
situazione in cui si trovava per soffermarsi sul timido sorriso Pepper,
forse
rincuorata dal suo sfoggio di spavalderia. Si limitò a
stringerle un poco la mano, in un gesto grato, per poi farsi
più serio quando lo sguardo gli cadde inevitabilmente sul
moncherino della gamba. Rughe di preoccupazione tornarono a disegnarsi
sul suo volto.
«Posso ritenermi
fortunato?» esalò, temendo di perdere il controllo
da un momento all'altro.
«Direi di sì. Mi creda,»
replicò lei, senza guardarlo.
«Non so se ritenerlo
rassicurante,» appoggiò la testa al braccio
rimasto
ed iniziò a
parlare come se pensasse ad alta voce, mascherando non seppe come il
tremito della sua voce e dei suoi pensieri. «Ricapitoliamo:
ho perso una gamba, e anche un braccio. Grandioso. Non ricordo
assolutamente nul– anzi! Un lampo blu. Questo lo ricordo...
ma
non mi dice niente.»
“Memoria
offline. Ci mancava questa."
«Non
ho idea di quanto ancora resisterà il reattore, visto che
è un prototipo mal riuscito, e probabilmente ho una ventina
di
lesioni interne. E ho ancora sete. Conclusione medica: prognosi
riservata. Conclusione personale: sono finito in un letamaio, e sto
cercando di essere delicato. Ma tutto sommato... poteva
andare peggio,» sospirò infine, senza fiato e con
una fitta alle costole probabilmente rotte.
«Poteva
diventare ancora più irritante, scansafatiche ed egocentrico
di
quanto non fosse già,» concordò Pepper,
in un debole tentativo d'ironia.
«Quello
sarebbe
stato un guaio,» le diede corda lui, sollevato che si fosse
ripresa, anche se aveva ancora gli occhi rossi e sembrava celare la
sua preoccupazione nello stare al suo gioco: fingere, finché
possibile, sarebbe stato meglio per tutti e due.
Scese un silenzio assoluto, ma non teso. Un silenzio
necessario.
In quel
mentre entrò di corsa nella stanza un medico; si
bloccò così in
fretta sulla soglia che quasi gli traboccò il
caffè dalla tazza che
teneva in mano.
«Salve,» salutò Tony con un debole cenno
della mano buona.
Il medico ebbe un’attimo di esitazione,
interdetto dall'apparente vitalità del paziente.
«Bentornato tra
noi, signor Stark,» esordì con fare professionale.
Poggiò il caffè sul comodino e si
avvicinò al
letto.
«Oh, grazie.» Tony fece per prendere la bevanda, ma
Pepper gliela soffiò appena in tempo sotto al naso.
«Questo è
per me,» specificò lei, ringraziando il medico con
un cenno del capo, che lui ricambiò appena.
«Sono il dottor Ian Mitchell, l’ho seguita durante
la sua permanenza qui, anche se non può saperlo,»
si presentò intanto l'uomo, piuttosto alto, con corti
capelli grigio ferro e le lenti degli occhiali a schermargli gli occhi
chiari induriti dalle rughe.
Tony gli tese
la mano:
«Sa già chi sono. E scusi la sinistra,»
borbottò, mentre il medico gliela stringeva con delicata
fermezza.
«Ma le pare... si
faccia dare un’occhiata,» disse infilandosi lo
stetoscopio,
lanciandogli uno sguardo vagamente sospettoso.
«Non mi sembra che
ci sia molto da dire...» commentò lui, rassegnato,
ma acconsentì a farsi visitare.
Fece cenno a Pepper di rimanere; dopotutto, l'aveva vegliato da
incosciente per due settimane e poteva sopportare di farsi vedere senza
quell'orrendo camice da ospedale. Sperò solo che il medico
non dovesse scoprirgli le ferite, ma questi sembrava solo voler
constatare le sue condizioni generali. Mitchell sembrò
contrariato quando gli auscultò il
respiro, e spostava in continuazione lo sguardo sul reattore.
«Non
sto per andare in autocombustione, Doc,» sbottò
infine,
irritato anche per i mille dolori che scopriva di avere su tutto il
corpo.
«Quel coso
ci ha causato non sa quanti problemi con la
risonanza magnetica,» borbottò lui, lanciando
un'occhiata astiosa al congegno.
«Risonanza?!
Questo
"coso"
svolge
il
ruolo di un magnete! È un miracolo che non si sia
guastato...» s'interruppe con un lamento quando gli
sfiorò l'ennesima
contusione.
Pepper intanto fissava assente il pavimento, persa nei suoi
pensieri che molto probabilmente lo riguardavano. Anche lei aveva
rischiato la vita, ma non sembrava ferita, a parte qualche cerotto
superstite
sulle mani.
Non ricordava nulla dello scontro... ma l'aveva salvata, di questo era
certo. E poteva forse considerarla l'impresa migliore che avesse mai
compiuto in vita sua. Si sentì talmente felice nell'averla
lì con lui, sana e salva, che gli si formò un
groppo in gola al solo pensiero di
non averla lì.
Per una volta in vita sua non aveva fallito, anche se aveva pagato un
caro prezzo. Aveva la consapevolezza di quanto sarebbe stata difficile
e dolorosa la propria vita d'ora in poi, ma sapeva anche che non
avrebbe mai rimpianto di aver sacrificato ciò che aveva
perso per proteggerla. L'aveva messa in pericolo lui, in fin dei conti.
E glielo doveva, almeno per averlo sopportato nel corso di tutti quegli
anni invece di abbandonarlo in una pozza d'alcol e sangue. Le doveva la
volontà che l'aveva spinto a uscire da quella grotta un anno
prima.
Senza un paio d'arti poteva ancora cavarsela. Senza di lei... non ne
era così convinto. Ma era lì, con
lui.
Il panico allentò finalmente la sua morsa.
***
Finalmente Michell pose fine a quella tortura legalizzata e si
piantò di
fronte a
lui a braccia conserte, serio.
«Per quanto riguarda la gamba e
il braccio non c’è molto da fare, ma con l'aiuto
di un chirurgo
plastico potremmo riuscire a sistemare l'occhio, almeno dal punto di
vista estetico,»
annunciò, monocorde.
«L’occhio?»
«Sì,
l’occhio.»
«Anche
l’occhio?»
«Anche
l’occhio,» confermò mestamente Mitchell,
abbassando il capo.
Tony
tastò rassegnato la benda e sentì con un sobbalzo
lancinante
l’orbita vuota sotto
le dita, assieme alla sensazione di qualcosa che si lacerava da qualche
parte nel suo addome.
«Anche
l’occhio,» sospirò.
«Mi dispiace.»
«Non si preoccupi,
il sinistro è sempre stato il mio profilo
peggiore,» commentò
assente, sentendosi distruggere da quell'ultima scoperta ma deciso a
non mostrarlo al medico, e soprattutto a Pepper, che continuava a
mantenere un religioso silenzio.
Mitchell gli scoccò un'occhiata dubbiosa, come se temesse
che gli antidolorifici gli
avessero dato alla testa. Tony non reputava la cosa improbabile; era
sicuro che se non fosse stato sedato avrebbe come minimo avuto un
attacco isterico. O forse sarebbe solo svenuto per il dolore, che per
ora rimaneva un'ombra tagliente conficcata al posto dei suoi arti
mancanti, impossibile da ignorare ma sopportabile. Si trovò
a ringraziare la sua soglia del dolore decisamente più alta
in seguito alla prigionia, prima di rendersi conto che ciò
non era comunque un fatto positivo.
«Dicevo, dovremmo poter ricostruire
senza troppi problemi la parte di viso sfregiata dalla
scheggia,» riprese Mitchell, quasi con cautela.
Tony sussultò nel sentirsi definire "sfregiato",
ma
resistette all'impulso di portarsi di nuovo una mano al volto. Si
limitò ad
annuire rigidamente.
Prima che Mitchell potesse aggiungere altro, un infermiere si
affacciò nella
camera.
«Dottor Mitchell, la attendono in corsia.»
«Arrivo.»
«No,
no, aspetti!» Tony si agitò sul letto, suscitando
la preoccupazione di Pepper «Tra quanto potrà
dimettermi?»
«Ha così fretta di
morire ancora?» replicò secco il medico, senza
scomporsi.
«Voglio solo uscire da qui. Subito,»
sottolineò Tony, sollevando appena il busto nonostante
l'urlo di protesta della sua schiena contusa.
«Signor Stark, la prego, ascolti il dottor
Mitchell,» intervenne Pepper, ora chiaramente messa in
allarme dalla sua irrequietezza.
«Non
sarà in grado di lasciare l'ospedale per almeno un mese: le
servono
le nostre attrezzature,» le venne in aiuto il medico,
già sulla soglia.
«Mi prende in giro? Le produco io, le
vostre attrezzature; mi basta un attimo per trasferirle a casa
mia,» s'incaponì l'altro.
«Vedremo.
Per ora stia buono e non stressi la povera signorina Potts con
richieste assurde. Sì, mi ha avvertito del suo
caratteraccio,» lo
anticipò Mitchell, uscendo dalla stanza.
A quel punto Tony si abbandonò sui cuscini,
sentendo che parlare lo aveva stancato molto più di quanto
aveva
previsto. Chiuse gli occhi – l'occhio, in effetti. Aveva solo
una gran voglia di dormire e
fingere per qualche ora che non fosse successo niente.
Sentì
la mano di Pepper sfiorare la sua, come per controllare se fosse
ancora sveglio, e sospirò sfinito. Gli era rimasta accanto
per due
settimane; aveva notato le profonde occhiaie che le solcavano il
viso, e nonostante le proprie condizioni fossero ben più
gravi non
riusciva a
fare a meno di sentirsi in colpa per averla fatta
preoccupare.
Avrebbe dovuto ringraziarla, ma era
così stanco...
***
Un gran trambusto nel corridoio lo riscosse dal
dormiveglia.
Pepper s'incupì all'istante.
«Di nuovo,» disse, visibilmente
irritata.
Si rivolse poi a Tony:
«Permette?»
«Tutto quel che
vuole,» replicò lui, assonnato.
Aveva appena finito di parlare
che la donna gli sistemò il lenzuolo in modo da coprire
del tutto le ferite,
per poi spiegarvi sopra anche la coperta.
«Non si muova e non si
lasci vedere. E stia calmo.»
La guardò senza capire, ora un po' più presente a
se stesso.
Da fuori arrivò la voce furibonda di Mitchell:
«Questo non è un
reality-show! Via di qui! Ho detto via!»
Si
sentì ancora un tramestio di passi, poi la porta si
spalancò,
vomitando un fiume di telecamere e giornalisti che invasero la
stanza.
«È sveglio!» esclamò
qualcuno, la cui voce acuta gli trapassò i timpani sensibili.
Subito fu inondato
da una sfilza di domande ininterrotta, che gli fecero tornare il
cattivo – ovvero
pessimo – umore rimasto sopito fino a quel
momento e gli fecero anche
comprendere la preoccupazione di Pepper nel coprire il suo corpo
mutilato. Badò bene a rimanere ben sotto lo strato di stoffa
che lo
copriva e piegò la gamba sana, così da non
rendere troppo evidente
la mancanza dell'altra. Non aveva mai avuto problemi ad offrirsi a foto
e telecamere in circostanze più che scandalose, anzi, ma in
quel momento avrebbe voluto avere di nuovo addosso l'armatura per
polverizzare ogni obbiettivo nel raggio di dieci metri. E anche i
giornalisti, visto che c'era.
«Come sta, signor Stark?»
«Cos'è
successo?»
«Sente dolore?»
«Quando riprenderà il suo ruolo
nelle Stark Industries?»
«Lei è davvero l' "Iron
Man"?»
«Che fine ha fatto Stane?»
Pepper cercava come
poteva di scacciarli, bombardata anche lei di domande che non
intaccarono minimamente la sua cordiale compostezza, ma una decina
di giornalisti erano troppi anche per lei e sembrava sul punto di usare
i tacchi come armi improprie. Mitchell era impegnato a
confabulare con una guardia della sicurezza, che sembrava convinta di
non poter fare niente per respingerli, e Tony si trovò a
chiedersi quante mazzette gli avessero passato.
Domande... domande... ancora
domande. Si
sentiva scoppiare la testa. E neanche lui aveva la più
pallida idea di cosa diavolo ci facesse su un maledetto letto
d'ospedale col proprio corpo ridotto a metà.
Chiuse gli occhi, ignorò il
mondo
contando fino a diec– cinque,
e poi esplose:
«FUORI
DI QUI!»
Tutti
tacquero per qualche istante e lui si sentì girare la testa
per lo
sforzo. I suoi polmoni protestarono debolmente.
Silenzio.
«È
in diretta,» azzardò una giornalista imprudente.
«È
così divertente mandare in diretta persone in
coma?»
«Ma...»
«Signor
Stark...»
«Sparite.»
Il
suo tono fu così secco e glaciale da far sprofondare di
nuovo la
stanza nel silenzio. Stava per dire qualcos'altro, ma un lampo blu gli
esplose in testa e il reattore, per ora celato agli occhi dei
giornalisti, tremolò emettendo un sibilo preoccupante,
strappandogli
un lamento di dolore che lo costrinse a sprofondare di nuovo la testa
nel cuscino.
Pepper diventò una furia. Non ricordò mai con
esattezza cosa avesse detto, ma di sicuro non
doveva
essere mandato in diretta. Sentì
un miscuglio indefinito di grida, proteste e qualche sporadica
domanda lanciata nel vuoto. Percepì una voce maschile che
parlava
sommessamente con Pepper. Non sembrava quella di Mitchell, ma aveva un
che di familiare. Le sue orecchie erano rintronate e gli arrivava solo
un mormorio ovattato e indistinguibile.
Percepì un ago affondargli nel braccio e subito dopo i suoi
muscoli si rilassarono. Scivolò in un quieto dormiveglia,
cullato dal chiacchiericcio di fondo ininterrotto. Rinunciò
a cercare di cogliere le parole, preferendo concentrarsi sulla voce
pacata di Pepper.
Poi
tornò la calma. Il dolore gli annebbiava la mente, in un
flusso incessante che scaturiva dalle sue ferite.
Alzò lo sguardo stanco su Pepper,
ancora rossa
di rabbia, e sentì di ammirarla immensamente.
Sospirò,
pensando ad un altro mese su quello scomodo lettino, con una flebo
nel braccio e orde di giornalisti da tenere a bada...
«Andiamo
a casa,» riuscì a mormorare.
Poi il mondo
sfumò intorno a
lui e cadde in un sonno profondo.
Note Delle Autrici:
Ordunque... ecco il primo capitolo vero e proprio!
Iniziamo subito col dire che l'apparente "leggerezza" con cui Tony accetta quel che è successo è, appunto, apparente.
Volevamo mantenerci IC, ispirandoci anche alla sua reazione quando ha scoperto di avere un magnete impiantato nel petto. Pensiamo che, conoscendo il suo carattere, l'avrebbe probabilmente buttata sul ridere, o almeno mascherato ciò che provava.
Aspettatevi prossimamente un crollo emotivo!
A parte questo... siamo sadiche, sì; Tony soffre, sì; Pepper si dispera e Mitchell è importante.
Speriamo che vi sia piaciuto e ringraziamo alliearthur e sofy96 che hanno aggiunto la storia alle seguite (un commentino ci farebbe piacere per sapere che ne pensate ;)
Moon&Light
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_Lightning_ & MoonRay
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