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Autore: Nientenomistupidi_    08/04/2012    0 recensioni
«Mi ricordo benissimo dei miei undici anni: a quell'età si è del tutto impotenti. Ma i bambini hanno un mondo segreto che per gli adulti sarà sempre impenetrabile.» J.K. Rowling
E' la prima fanfiction che scrivo, quindi uhm.. Spero vi piaccia, non siate troppo cattivi! [Si inchina]
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Erano passati pochi giorni da quando avevamo “adottato” Rufy e tutto filava per il meglio; l’uccellino passava le notti a stridere senza lasciarmi dormire, mia madre era sempre arrabbiata e mi minacciava dicendo che un giorno avrebbe deciso di cucinarlo e io trascorrevo quelle solari giornate di inizio luglio a passeggiare per Londra, con Rufy sempre poggiato su una spalla. Una mattina stavo camminando tranquillamente, parlando col gufo del più e del meno e fermandomi a guardare le vetrine, quando notai un pub che non avevo mai visto da quelle parti;  era molto piccolo e sopra la porticina c’era un’insegna mezza scrostata che diceva “Il paiolo magico”. Attraversai la strada per vederlo più da vicino, ma in quel momento una macchina passò velocemente rischiando di investirmi e fui costretto a fare un salto all’indietro, travolgendo una coppia di signori, impigliandomi in un lenzuolo steso ad asciugare fuori da una piccola finestra e cadendo lungo disteso su una pozzanghera, con Rufy che strideva spaventato vicino al mio orecchio. Mi alzai dolorante, tentando di districarmi dal lenzuolo e mi appoggiai al muro, pronto a chiedere scusa alle persone che avevo involontariamente urtato. Tentai di mettere a fuoco le figure che mi si presentavano davanti e quando finalmente ci riuscii rimasi impalato con la bocca aperta: una donna mi osservava severamente, squadrandomi dall’alto del suo metro e ottantacinque (se non di più) con irritazione nei duri occhi marrone scuro; indossava un lungo vestito verde che le scendeva fino ai piedi, le scarpe erano di una strana pelle che sembrava di coccodrillo, ma era molto più lucente, avevano un alto tacco sottile e la punta finiva in un ricciolo. Al braccio portava una grande borsetta rossa e in testa aveva un grosso cappello con sopra un avvoltoio impagliato. La lunga chioma candida era legata in una crocchia dalla quale non sfuggiva un solo capello. Accanto a lei stava un uomo altrettanto alto (anche se non la raggiungeva) che invece mi fissava con gli occhi azzurri spalancati, leggermente sconvolto e confuso, cercando di appiattire i capelli grigi che gli sfuggivano da sotto il cappello rosso a punta come tentando di scappare via. Indossava anche lui un lungo vestito, solo che al contrario di quello della donna il suo era rosso scuro, e aveva un lungo mantello nero poggiato sulle spalle gracili. Ai piedi calzava delle scarpe nere a punta con un piccolo tacco. Facevo con la bocca un movimento simile a quello di un pesce fuor d’acqua, non riuscendo a spiccicare parola. L’alta signora continuò a fissarmi severamente, poi fece un piccolo passo in avanti. Mi appiattii contro la parete, tremando con un gemito di paura, ma lei si limitò a parlare con voce irritata.
   «Ragazzino! Non chiedi neanche scusa? Stavi per rovinare i miei stivali di pelle di drago. È pelle di Ungaro Spinato, sai quanto costa?!» Sembrava davvero arrabbiata, così intervenne l’uomo che la accompagnava.
   «Augusta, basta … È solo un bambino. Per di più Babbano. Saremo costretti a scagliargli un incantesimo di memoria.» Disse con voce sottile e tremante. Sembrava avere paura di quella donna, e a ragione. Lei aveva l’aria di qualcuno che poteva strapparti la testa a morsi se solo la contraddicevi; infatti si girò verso l’uomo con sguardo assassino, facendolo zittire. Poi si voltò di nuovo verso di me.
   «Beh? Cos’hai da dire a tua discolpa?» Deglutii e abbassai lo sguardo, intimorito.
   «Mi scusi tanto. Mi stavo dirigendo verso quel pub» indicai Il Paiolo Magico «quando una macchina mi è passata davanti correndo. Ho indietreggiato e per sbaglio vi sono finito addosso.» Tentai di togliermi il fango dai vestiti, senza troppi risultati. Nel frattempo Rufy mi zampettava sulla testa, fischiando e stridendo felice, ignaro del pasticcio che avevo combinato. I due mi fissarono straniti.
   «Tu … riesci a vedere quel pub, ragazzo?» Chiese l’uomo.
   «Sì. Perché non dovrei?»
   «Sei un mago? Certo che lo sei, non potrebbe essere altrimenti! Ma scusa, non sai chi siamo noi? Sei per caso un Nato Babbano?» Disse la donna con prepotenza, squadrandomi. Io invece, non avevo capito niente di ciò che aveva detto, ma ripensai alla lettera che Rufy mi aveva consegnato due giorni prima.
   «Un mago? No, ho deciso di non iscrivermi al vostro corso di illusionismo. Mi è arrivata la lettera, ma non mi interessa, mi dispiace.»
   «Corso di illusionismo? Non è un corso di illusionismo. Hogwarts è la migliore scuola di Magia e Stregoneria che ci sia!»
   «Magia e Stregoneria? Mi prendete in giro?» dissi, scettico. La donna mi tese una mano, guardandomi seria.
   «Io sono Augusta Paciock, insegnante di Pozioni a Hogwarts e Direttrice della casa di Grifondoro. Mio nipote Neville è molto famoso, sai? Un mago eccellente, degno dei suoi genitori. Piacere, tu sei …?»
   «Io sono Nicholas Cox, signora.» Dissi confuso, stringendole la mano.
   «E io sono Grezzildo Schröder, Vicepreside di Hogwarts, insegnante di Trasfigurazione e Direttore della casa di Tassorosso.»  Disse timidamente l’uomo, tendendo a sua volta la mano ossuta che strinsi con delicatezza, per paura che mi si sbriciolasse tra le dita. La Professoressa Paciock mi prese per un braccio e mi trascinò verso il Paiolo Magico, dicendo:
   «La magia non esiste, eh? Vieni con me, ragazzino, e vedrai! ». Annuii, intimorito, e seguii la donna dentro il pub, girandomi per controllare che il Professor Schröder fosse ancora dietro di me. Dopo che fui entrato mi guardai intorno, curioso. Mi fermai improvvisamente, fulminato. Mi trovavo in una piccola stanza dimessa, con qualche candela sparsa qua e là, ma affollata e illuminata a giorno da una serie di luci fluttuanti multicolore, che sprigionavano dalla punta di alcune bacchette di legno brandite da persone vestite più o meno allo stesso modo di Shröder e Paciock: c’era chi condiva il suo tè con dello zucchero, facendolo levitare in aria con un colpo della bacchetta, chi versava l’acqua nei bicchieri allo stesso modo, chi accendeva piccoli fuocherelli blu, che teneva conservati dentro delle tazzine, chi semplicemente si divertiva a disegnare figure luminose e colorate nell’aria. In un angolo, un uomo alto dai lunghi capelli scuri stava seduto da solo, sorseggiando uno scuro liquido ambrato da una boccetta. Accanto a lui c’era uno strano essere, basso e rugoso, con delle grandi orecchie pelose da pipistrello ed enormi occhi sporgenti, di un grigio profondo. Indossava un guanto rosso e verde sulla mano destra, e ai piedi aveva dei calzini rossi. Tra le orecchie era posizionato, in bilico, un cappellino di lana blu e rosso. La confusione e il rumore erano tali che ebbi la tentazione di scappare via, ma non potei farlo perché dietro di me stava il Professor Schröder, gli occhioni azzurri spalancati. La Professoressa Paciock mi afferrò per il polso, facendomi girare verso di lei.
   «Guarda. Ci credi, ora? Anche tu sei un mago. Hai evidentemente ricevuto la nostra lettera. Grezzildo,vieni qua!» Esclamò la donna. Il pover’uomo si avvicinò lentamente, spaventato.
   «S-sì?»
   «Ti ricordi di aver mandato la lettera a questo ragazzo? Nicholas Cox, si chiama. Vieni qui, bambino!» Mi prese per il mento, stringendomi la faccia e alzandomela per farmi vedere bene dal Professore. Lui mi osservò per qualche secondo, valutandomi.
   «Non so, Augusta. Mi sembra familiare, ma sai, con tutti i Nati Babbani che il Ministero ha trovato negli ultimi anni … Sembrano essere aumentati improvvisamente,  dopo la morte dell’Oscuro Signore.» Disse con voce tremula.
   «Beh, comunque non può essere altrimenti. Probabilmente tra qualche giorno Kingsley manderà qualcuno a casa sua, per assicurarsi che il ragazzo invii l’iscrizione. Provvederò a dirgli che ci abbiamo pensato noi. Povero caro, per ora ha tante cose per la testa …» Alle parole della Paciock, il Professor Schröder parve infastidirsi.
   «Augusta, lui è il Ministro. Non trattarlo come se fosse un bambino, è un uomo responsabile, sa ciò che deve fare per mantenere segreta la nostra società e per fare iscrivere i Nati Babbani nelle scuole di Magia.»
   «Lo conosco da quando era più piccolo di un Folletto, non devi mica essere tu a dirmi cosa sa fare e cosa no! Non mi scorderò mai del giorno in cui, giocando con il mio Frank e con Arthur alla Tana, uno Gnomo gli morse il naso. Gli gonfiò così tanto che cadde a faccia in avanti, non riuscendo a risollevarsi! Risi tanto a lungo che la pancia mi fece male per tutta la giornata, fu esilarante! Nel frattempo Frank, per punizione, fece fare allo Gnomo tanti giri prima di lanciarlo via, che il povero esserino non si fece vedere per anni, raccontando ai suoi amici di quel ragazzino indemoniato che l’aveva torturato per ore (furono solo pochi minuti, ma si sa che gli Gnomi esagerano sempre) facendogli vomitare tutti i succosi mirtilli che era riuscito a rubare dai cespugli.» Scoppiò a ridere al ricordo, una risata possente e allegra, che fece girare la gran parte dei volti all’interno della stanza. L’unico a non girarsi fu l’uomo dai capelli scuri seduto in fondo. Accorgendosi della nostra presenza il barista, un uomo basso e calvo, simile a una noce, si avvicinò, salutandoci.
   «Buongiorno, Professoressa Paciock, Professore …» Ghignò.

   «Tom, salve.» Risposero, quasi in coro, cosa che sembrò innervosire la donna e gratificare l’uomo, che sorrise incerto. Nel frattempo, io stavo pensando. A undici anni, quando si pensa, si pensa per davvero, si fanno riflessioni profonde. Si sa, i bambini sono inclini a credere a ciò che vedono, sono ingenui, ma proprio lì sta la loro unicità. Purtroppo, con il tempo, l’ingenuità si perde, rimpiazzata da statistiche, pregiudizi, squilli di telefono, stress e quant’altro. Non avendo di questi problemi, io stavo cercando di spiegarmi tutto quello che mi era successo negli ultimi tre giorni. Non riuscendoci, ero giunto alla conclusione che la magia esisteva davvero. Era stato facile convincermi! D’altronde, essere un mago è ciò che tutti i bambini desiderano, e ora che la possibilità mi veniva offerta su un piatto d’argento, non potevo (non volevo) rifiutarla. Per cui, sorrisi felice, rimanendo inebetito a immaginare come sarebbe migliorata la mia vita. La Professoressa Paciock se ne accorse, e ghignò.
   «Adesso ci credi, eh?» Sorrisi imbarazzato, abbassando la testa; lei fraintese.
   «Non preoccuparti per tua madre, ci penseremo noi a spiegarle tutto, se solo ci porterai a casa tua.» Annuii e, con l’innocenza di un bambino di undici anni, li condussi a casa mia, sempre seguito da uno svolazzante Rufy che però, dopo essere stato scaraventato via dalla Professoressa Paciock non appena aveva provato a posarlesi sulla spalla, le si teneva alla larga, gettandole di tanto in tanto occhiate truci. Arrivammo a casa mia dopo una mezz’oretta di cammino; suonai alla porta e aspettai, impaziente di comunicare la grande notizia alla mamma. Dopo pochi secondi, la porta si aprì e il volto chiaro di mia padre fece capolino. Mi vide.
   «Oh, Nick, caro, sei tu!» Mi sorrise, facendo comparire le sue adorabili fossette sulle guance cosparse di lentiggini. Spalancò la porta, così che riuscì a vedere anche Augusta e Grezzildo, che quando la videro rimasero fermi, le narici dilatate e la fronte corrugata.
   «Voi … !» esclamò mia madre, indicandoli con l’indice accusatorio. Mi girai a destra e a sinistra, confuso. Si conoscevano? Che cosa stava succedendo?

   
 
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