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Autore: Lily White Matricide    10/04/2012    11 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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33.

Human Behaviour

 

“There's definitely, definitely, definitely no logic

To human behaviour

But yet so, yet so irresistible

And there's no map

They're terribly moody

And human behaviour

Then all of a sudden turn happy

But, oh, to get involved in the exchange

Of human emotions is ever so, ever so satisfying”

Björk - Human Behaviour

 

Severus si avvicinò a quella materia lattiginosa e sfuggente contenuta nel bacile. Gli parve una nebbiolina poco più densa di quella che invadeva i campi circostanti Cokeworth nei mesi più freddi. Esitò, incerto, forse lievemente intimorito da ciò che avrebbe potuto trovare al di là di quella coltre argentea. 

“Coraggio, Severus” lo esortò con una certa gentilezza il Preside, poco più dietro di lui. 

Il ragazzo si chinò sul il Pensatoio e v’immerse il viso, avvertendo istantaneamente un soffio d’aria fredda sulla sua pelle. Poi, si sentì come risucchiato nell’ambiente che si andava delineando davanti ai suoi occhi. Non venne trascinato dentro quella memoria con brutalità, come aveva temuto, ma con una certa gentilezza, come se qualcuno d’invisibile lo stesse strattonando per la manica del mantello. 

Si trovò in quella che sembrava senza ombra di dubbio un villaggio magico, le cui case erano di muri spessi di pietra e talvolta di legno. Ai suoi occhi, era abbastanza evidente che quel tipo di alloggi fossero di un’altra epoca e, a giudicare da come era abbigliato qualche sparuto mago che compariva di tanto in tanto, doveva essere la fine dell‘800, al massimo i primi anni del ‘900. 

Severus si dovette abituare all’idea che attorno a lui ci sarebbero stati rumori e suoni diversi rispetto a quelli della sua epoca. In lontananza, poteva sentire il galoppare dei cavalli che trainavano dei calessi, le cui ruote, a contatto con la strada più sporca e di certo non asfaltata e dalla superficie regolare come negli anni settanta, sollevavano grosse nuvole di polvere. Era estate, probabilmente Giugno o Luglio, guardando i campi di grano oramai dorato e prossimo alla mietitura.

Il ragazzo si rese conto di potersi muovere piuttosto liberamente, pertanto si guardò attorno alla ricerca di un’indicazione che gli mostrasse il nome del villaggio. Trovò un grosso pannello in legno riverniciato di bianco - un bianco oramai sporcato e rovinato dalle intemperie - e una grossa scritta in caratteri piuttosto leggibili: Godric’s Hollow.

Nel momento in cui si avviò verso la piazzetta centrale, costituita da delle semplici panchine e una fontana al centro dei pochi edifici circostanti, una figura incappucciata apparve dietro di lui. Camminava piuttosto rapida, sembrava estremamente di fretta, ma Severus non ci fece caso mentre gli passava di fianco, chiedendosi piuttosto come quell’individuo potesse sopportare la calura del sole, sotto quell’indumento pesante. La persona misteriosa, come se avesse sentito il Serpeverde, si tolse di dosso il mantello ed il relativo cappuccio, ricacciandolo nella bisaccia che si era portato appresso. 

Il ragazzo si accorse che non poteva essere visto dagli abitanti di Godric’s Hollow, per cui si prese la libertà di avvicinarsi a quel mago apparso poco prima, per poterne vedere i lineamenti con esattezza.

Severus si rese conto che era un ragazzo, poco più grande di lui e Lily, sicuramente aveva appena concluso i propri studi a Hogwarts, si era detto. Era molto alto, dalla costituzione non gracile, ma non era neppure troppo grosso. Alla luce del sole, i capelli biondi rilucevano, ed erano esattamente del colore delle spighe di grano nei campi poco distanti; gli sfioravano le spalle, coperte da una camicia chiara ad ampie maniche a sbuffo. La carnagione era molto pallida, a tal punto da sembrargli un po’ malato e fragile, ma gli occhi azzurri gli sembravano molto vigili ed attenti.

Il giovane riprese a camminare, lasciando la piazzetta centrale, e il Serpeverde lo seguì rapidamente. Il biondino s’infilò in un vicolo di poche case a schiera e arrivò all’ultima abitazione della viuzza. A Severus quel silenzio faceva molta specie: poteva sentire il vento estivo soffiare sugli alberi, il trottare in lontananza delle carrozze, ed il rumore degli stivali del giovane davanti a lui, ma poco altro. Niente chiacchiericcio, niente musica, niente di niente. Anche ad un ragazzo quieto e tranquillo come lui, quel nulla parve fin troppo pesante.

Il mago oltrepassò il cancelletto, fatto di assi di legno scalcagnate e da fissare nuovamente con qualche chiodo e pochi colpi di martello, dirigendosi verso la porta della piccola casa, che sembrava socchiusa e leggermente cigolante. In generale, quell’abitazione e quel giardinetto sembrano decisamente trascurati, come se mancasse qualcuno a prendersene cura. Il ragazzo biondo saltò agevolmente i tre gradini che lo separavano dalla porta e vi entrò, facendo ben attenzione a non far troppo rumore. Sev corse verso l’ingresso, temendo di rimanere chiuso fuori, e si trovò in poco nell’atrio della piccola casa. 

Davanti a lui, il giovane biondo stava salutando un suo coetaneo, un po’ più basso di lui, ma con i capelli rossicci e il viso dai lineamenti più puliti e delicati rispetto all’interlocutore.

Severus guardò bene quel ragazzo dal bel viso e si accorse che era nientemeno che Albus Silente da giovane. Si trattenne dal cacciare un urlo di stupore, e si avvicinò agli altri.

“Gellert! Finalmente, ti stavo aspettando” disse il giovane Silente, con l’aria preoccupata di chi ha atteso fin troppo a lungo. 

C’era una luce splendente e sincera nei suoi occhi, come se fosse al colmo della felicità nel rivedere quel ragazzo alto e distinto, come se non avesse atteso che quel pomeriggio, spasmodicamente, per averlo in casa.

A ben pensarci, e a ben osservare Gellert - Sev sperava di aver compreso correttamente il nome del biondino - anche lui non sembrava totalmente nuovo agli occhi del Serpeverde. E quel ragazzo aveva un qualcosa di inquietante e di sinistro, che bruciava lento nelle sue iridi chiare, ed ardeva simile ad una candela lenta a sciogliersi.

“Vieni” disse laconico e con una voce un po’ troppo aspra per essere un giovane mago. Quell’accento metteva in risalto le sue origini tedesche in maniera chiara ed inequivocabile.

I due salirono le scale e Severus li seguì, salendo i gradini rapidamente, continuando ad affannarsi a non fare il minimo rumore sospetto, per quanto non avrebbero mai potuto udirlo.

“Ariana riposa?” chiese Gellert, lanciando un’occhiata alla porta chiusa che dava sull’angusto corridoio del piano di sopra. Albus rispose con un cenno affermativo del capo.

“Dov’è Aberforth?” proseguì duro e guardingo il ragazzo tedesco, stringendo con mani gelose la bisaccia che si portava dietro.

Albus gli sorrise lievemente, nel tentativo di stemperare la tensione, sfiorandogli un braccio con una mano.

“Non temere, lui è fuori e non tornerà prima di sera, forse a notte inoltrata”.

Detto questo, l’altro s’infilò nella stanza del giovane Albus, con passo veloce, che seguì l’amico. Dato che avevano appena socchiuso la porta, Severus poté avvicinarvisi e intravvedere le due figure nella stanza, rimaste in piedi davanti ad un tavolo. La bisaccia di Gellert era stata appoggiata sulla superficie legnosa e sotto di essa sbucava qualche pergamena e un grosso libro aperto, dalla copertina rossastra. 

“Le hai trovate?” chiese con una certa ansia ed anticipazione il giovane Silente, rivolgendo il proprio sguardo sulla borsa, senza osare toccarla, dato che Gellert vi aveva appoggiato una mano sopra, con fare protettivo.

Il tedesco fece un sorrisetto pieno di furba soddisfazione.

“Gellert Grindelwald trova sempre tutto” disse e Sev dovette fare un grande sforzo per non sobbalzare o agitarsi e trattenne il fiato, come si fa sott’acqua. Albus Silente era amico intimo di Gellert Grindelwald? Sembrava in piena adorazione, pendeva dalle labbra del ragazzo. Quello stesso ragazzo che poi, circa quarantacinque anni più tardi, avrebbe sconfitto, condannandolo al buio ed alla miseria del carcere di massima sicurezza di Nurmengard. Severus non riusciva a spiegarsi come potesse essere amico di uno dei maghi oscuri più temuti e potenti della prima parte del secolo. Ma in fondo, si disse, il comportamento degli uomini - maghi o Babbani che fossero - era il più delle volte inspiegabile. Il giovane spettatore si fece coraggio e si avvicinò ai due, oltrepassando la porta d’ingresso.

I vetri e gli specchi sembravano lastre piene di sangue, dato che il sole infuocato stava calando dietro i colli non troppo alti che circondavano Godric’s Hollow e tutto quel rosso intenso inquietava Severus, forse perché si apprestava a scoprire qualcosa di poco piacevole. Non era minimamente paragonabile al rosso dei capelli di Lily, nei quali avrebbe sempre affondato con piacere volto e mani.

Il mago tedesco estrasse dalla borsa due piccole daghe arrugginite, con ancora qualche traccia di terriccio ed erba sull’impugnatura che sembrava finemente decorata. Severus allungò il collo e si spostò freneticamente per vedere, come se si sentisse escluso da quella visione.

Il giovane Albus aveva l’aria estasiata, come se quella fosse una sensazionale scoperta, la cui portata epocale avrebbe cambiato la vita di tutti. Sfiorò con le lunghe dita la lama di uno di quei pugnali, levandone lo sporco e ridandole un po’ di lucentezza. Rivelò tracce di una scritta incisa sul diritto della lama.

“E’ scritto in Rune Antiche” mormorò Silente, cercando di decifrare l’incisione.

Il mio onore si chiama purezza” declamò solenne Gellert Grindelwald “Appartenevano ai membri del Dearg Slèabua. Comunque, ne farò fare delle copie per me e per te, e per tutti coloro che ci vorranno aiutare a riportare in vita la millenaria organizzazione di Nathair...”.

“Per il Bene Superiore” aggiunse Silente con sussiego, afferrando con una mano l’arma ancora troppo sporca per le sue mani delicate, ma lui non ci fece troppo caso.

Genau, mein kleiner Schätzchen” rispose compiaciuto Grindelwald “Domineremo  il mondo e non ci sarà alcun Evocatore, Alchimista, SangueSporco, o mago da strapazzo in grado di contrastarci. Avranno tutti paura di noi e della nostra organizzazione. Ma porteremo il Bene Superiore a tutti coloro che ne saranno degni”. Gellert si mosse verso la finestra e scostò le tende spesse, lasciando che gli ultimi raggi trionfanti di una giornata gloriosa inondassero la stanza, tingendola di arancione, rosso e giallo. Il ragazzo si appoggiò all’intelaiatura della finestra e si beò di quella luce dalle tinte forti. Il giovane Albus lo guardava a distanza, con gratitudine e gioia, come se quel mago venuto da lontano fosse il salvatore che l’avrebbe trascinato fuori da quella miseria fatta di polvere e quattro casupole che rispondeva al nome di Godric’s Hollow. E pareva una creatura mitica, quel ragazzo, avvolto dai fuochi del tramonto, pareva una di quelle divinità discese da un paradiso lontano ed inaccessibile agli umani, che non volevano altro che quell’immortalità e quell’onnipotenza in un luogo al di sopra della terra, al di sopra dell’universo intero. Il biondo dei suoi capelli era divenuto oro, la pelle bianca era una luminosità eburnea. Ma Severus era tutt’altro che affascinato da quel disegno di gloria e non subiva per nulla il fascino inquietante di quel ragazzo straniero. Sapendo chi sarebbe diventato, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di combatterlo in quella stanza. Lo avrebbe fatto davvero, se non fosse stato un intruso in un passato già scritto e già svoltosi. 

“Come ultima cosa” aggiunse Gellert, socchiudendo gli occhi, come se si stesse già immaginando la scena “Arriveremo a controllare l’Albero della Vita, e potremo comandarlo a nostro piacimento, senza che nessun Evocatore protegga i Nove Mondi dell’Oltrevita”.

Così come era stato risucchiato dentro il Pensatoio, uno strattone leggero lo riportò alla realtà. Alzò il capo di scatto, sollevando sbuffi di fumo attorno a sé. Tirò un profondo sospiro di sollievo, e riprese a respirare con regolarità. Sembrava appena tornato da un’immersione nelle profondità del mare, ed in parte era vero: si era immerso nelle profondità della memoria di uno dei maghi più potenti e rispettati del mondo magico, capendo perché era così ossessionato dall’idea di dover combattere il male a tutti i costi. 

Albus Silente aveva accarezzato l’idea di poter diventare potente, molto potente, ma non si era reso conto che avrebbe fatto del male a tutte le persone che aveva attorno. Quella debolezza avrebbe portato dolori e sventure, e in parte era andata così, dando corda a Gellert Grindelwald e rifiutando la realtà che fosse un individuo malvagio. Agli occhi di Sev, un comportamento simile era inconcepibile. Era come se avesse dovuto dire che Lord Voldemort, in fondo, fosse una persona a modo e tanto buona e nobile. Sarebbe stato come ammettere che Mulciber ed Avery fossero due ragazzi per bene.

Il giovane Serpeverde era confuso dal comportamento imprevedibile ed inspiegabile di gran parte del genere umano e forse era anche per quello che aveva difficoltà a rapportarsi con la maggior parte delle persone. Severus cercava la coerenza a tutti i costi, cercava una logica infallibile da adottare in qualsiasi situazione. Preferiva agire a testa bassa, anche a costo di sbagliare, per poi lambiccarsi il cervello affinché potesse comprendere dove la sua logica avesse fallito, piuttosto che illudersi della bontà di un’azione nata male e storta sin da subito, mascherandola di ipocriti nobili intenti e venderla così, malamente infiocchettata ed imbellettata, a tutti coloro che l’avrebbero richiamato al buonsenso.

Albus Silente da ragazzo aveva creduto di poter dominare il mondo dalla cima dell’Albero della Vita, di poter dominare le nove porte che segnavano il passaggio dalla vita ad uno dei mondi ultraterreni. Tutto grazie a quel Bene Superiore che non era altro che malvagità allo stato puro, attorniata da una falsa aura di santità e di nobiltà. E lui stesso aveva provveduto a distruggere quell’impalcatura, proprio lui aveva dato alle fiamme quel castello di carte che aveva contribuito a mettere in piedi.

Severus cercò lo sguardo addolorato di quel mago, che gli parve incredibilmente più vecchio di prima, perché quell’errore gli aveva segnato anima e corpo. Trovò due occhi azzurri pieni di malinconia, lasciando temporaneamente da parte la determinazione, e parvero dirgli di non condannarlo su due piedi, ma di capire il motivo per cui ora lui era quello che era diventato. Vi lesse anche una preghiera: di non diventare come lui, e di perdonarlo qualora avesse sfruttato troppo lui, o qualsiasi altra persona dell’Ordine della Fenice, perché non vi sarebbe stata mai cattiveria, ma semplicemente una volontà irremovibile a riparare una volta per tutte a quell’errore.

Severus lo guardò e si sentì ancora una volta in una posizione di forza. Tuttavia, decise di non giudicarlo, di non puntargli il dito addosso, come forse avrebbe fatto dettato dall’impulso del momento, perché sentì che non sarebbe stato troppo corretto. Sarebbe stato come infierire su una persona già accartocciata nel proprio dolore ed era qualcosa d’infame.

Non seguì il proprio impulso, non seguì il proprio istinto talvolta irascibile ed indomabile, e lo perdonò, capendolo e comprendendo le scelte difficili che aveva dovuto fare tanti anni prima. Comprendere una persona ed i suoi sbagli, rifletté, era estremamente più arduo che condannarla senza possibilità di appello ad espiare le proprie colpe. Tuttavia, i gesti più difficili, si riuscivano a compiere nei momenti più imprevedibili ed inaspettati. In fondo, anche quella era la bellezza e la peculiarità del comportamento umano e non sarebbe mai stato trovata un’altra forma di vita in grado di essere così complessa ed intricata, a volte sorprendentemente abile nel perdersi nel cosiddetto bicchiere d’acqua.

Lasciando lo studio in silenzio, Sev pensò che per comprendere i comportamenti dell’umanità intera, non sarebbe mai bastata una vita. E lui per primo si definì tra i ragazzi più incomprensibili del creato, proprio perché aveva accettato l’errore di una persona che aveva commesso una pecca molto grave. Ma gli andava bene così, si sentiva perfettamente a posto con la sua intricata coscienza.

 

“I'll tip my hat to the new constitution

Take a bow for the new revolution

Smile and grin at the change all around me”

 

Lily non si spiegava tutta quella euforia, intanto che ascoltava “Won’t Get Fooled Again” degli Who, mentre attendeva di poter andare alla cena organizzata da Lumacorno. Aveva appena parlato con Miranda, le aveva rovesciato addosso quella verità bruciante come lava che cola lungo il fianco del vulcano. Si aspettava una reazione sorpresa, forse si aspettava che Miranda si complimentasse con lei per la velocità con la quale aveva indagato e tirato le conclusioni circa le proprie origini. Invece no: la Corvonero si era dimostrata estremamente calma e lucida, certamente molto soddisfatta, ma l’aveva prontamente avvertita che quello sarebbe stato l’inizio di un nuovo cammino, che con ogni certezza l’avrebbe portata lontano da Hogwarts e dalla vita normale di tutti i giorni. Poi, aveva aggiunto che essere Evocatrici avrebbe comportato molto esercizio mentale e magico, e soprattutto molti sacrifici, di cui Lily ignorava la natura. Non sapeva neanche da che parte iniziare ad esercitare quel dono potente e temibile, ma era convinta che Miranda sarebbe stata un’ottima guida, severa ed esigente e che le avrebbe fornito tutte le informazioni necessarie. 

Ancora, non si sentiva spaventata, ma entusiasta di quel nuovo capitolo che si apprestava a scrivere nella sua storia. Si sentiva molto più potente, più sicura di sé, e non si era curata troppo - forse peccando di leggerezza - della Corvonero che  si era allontanata, per scomparire non verso il dormitorio della sua casa, ma verso l’ufficio del Preside Silente.

Lily ignorava che Miranda, trionfante, ma anche con una punta di preoccupazione, aveva adempiuto ad uno dei suoi primi doveri di membro dell’Ordine della Fenice, comunicando al proprio diretto superiore di aver trovato una nuova Evocatrice da addestrare. La Grifondoro non sapeva che il suo nome era stato accuratamente segnato in una pergamena incantata, pronta a viaggiare legata alla zampina di un gufo che avrebbe attraversato la Scozia avvolto e protetto dalle tenebre, in direzione di Inis Mona, sfidando il vento del Mare d’Irlanda, per consegnarla al Maestro Gabriel Lynch. E non poteva sapere che il grande Maestro, profondo conoscitore di un’arte millenaria, avrebbe scosso la testa di fronte alla prospettiva di accogliere una nuova apprendista troppo cresciuta ed esterna alla Confraternita stabilitasi presso l’isola da secoli. Rassegnato, si sarebbe deciso poi a confrontarsi con l’Albero della Vita e gli Spiriti Saggi, tramite una lunga ed attenta meditazione sotto la chioma sempreverde di quell’enorme albero invisibile agli occhi Babbani.

Quello che però la ragazza sapeva nel profondo del suo cuore era che in quel momento, quella sensazione di non essere mai da sola, che ci fosse qualcosa, qualcuno, un’entità attorno a sé che l’aveva sempre protetta e difesa, aveva un nome ed una provenienza, una storia e un motivo d’essere. E ora, le dava una forza incredibile, si sentiva in grado di affrontare qualsiasi cosa, persino quel losco Lucius Malfoy di cui Severus parlava tanto con aria preoccupata, come se costituisse un pericolo quasi mortale. 

Quel cambiamento non le aveva fatto del male, le aveva fatto semplicemente del bene. Era così che ci si sentiva, si era chiesta, quando si aveva un nuovo entusiasmante percorso da attraversare? Allora, si era risposta, avrebbe preferito scoprire prima la sua natura, perché non avrebbe mai più fatto a meno di quell’energia positiva che le scorreva nel sangue.

Già, il sangue. Lily si fermò a riflettere, vicino al giradischi, preso dalla Sala Comune, dato che i ragazzi di Grifondoro continuavano a mettere i soliti vinili che avevano sentito fino alla nausea. L’esuberante Mary si era stufata e ne aveva approfittato per ripassare l’utilizzo del Wingardium Leviosa, facendo levitare l’apparecchio Babbano - opportunamente modificato in modo tale che funzionasse anche tra le mura di Hogwarts - nell’ampia stanza sua e delle altre.

Chi l’avrebbe mai detto che da una SangueSporco - Lily pronunciò con voce appena udibile quell’appellativo spregevole con un nuovo senso di soddisfazione e piena di rivalsa - sarebbe nata un’Evocatrice, una strega con dei poteri millenari? Chi l’avrebbe mai detto che da quella ragazza, da alcuni ingiustamente giudicata per i suoi natali diversi, sarebbe spuntata fuori una maga dai poteri magici temibili e riveriti? Era fiera, fierissima, di essere una sudicia Nata Babbana.

“Ma guardatela, sorride soddisfatta e non condivide il motivo di tanta soddisfazione con noi!”. 

Mary l’apostrofò con il suo solito fare spaccone e vivace, dandole una leggera pacca sulla spalla. Lily rise, e finì di abbottonarsi il vestito grigio chiaro, dalle ampie maniche a sbuffo e dai sottili fili arancioni che si andavano ad intrecciare alla trama del tessuto grigio, e che andavano a colorare gli orli dell’abito. Era stato un regalo di sua cugina Maeve, per il compleanno, fatto in clamoroso ritardo, e per scusarsi le aveva pure regalato da abbinare un paio di buffe scarpe in velluto arancione scuro, dalla punta tonda. Sembravano quelle calzature per le bambine al loro primo giorno di scuola e Lily le aveva trovate sin da subito adorabili. Petunia aveva guardato sprezzante quei doni, soprattutto le scarpe, commentando che una persona per bene non avrebbe mai abbinato il grigio chiaro all’arancione scuro. Maeve le aveva ribattuto con una buona dose di sarcasmo di non sapere che in famiglia ci fosse un’esperta di haute couture e che sicuramente la prossima volta, prima di comprare un qualsivoglia vestito, le avrebbe chiesto consiglio. 

La Grifondoro non era molto sicura se fosse il caso di dire alle proprie compagne quanto scoperto in quelle ultime settimane, mossa soprattutto dal timore che potessero prenderla per matta. Anche se, rifletté, prima o poi l’avrebbero scoperto.

Lily fece un lungo respiro e prese a sistemarsi la gonna, tirandola verso il basso. Era uno dei suoi tanti gesti dettati dal nervosismo.

“Vedi, Mary, è qualcosa di molto importante...” iniziò la ragazza, cauta.

“Oh, Severus ti ha fatto una proposta di matrimonio?” continuò divertita l’altra, sgranando gli occhi sorpresa “Dimmi che ti posso fare da damigella con un vestito che mi farà sembrare una ridicola bomboniera vivente!”.

Lily gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, seguita da Marlene ed Emmeline che lasciarono da parte i libri ed i compiti di Erbologia e si fecero più attente.

“No! No! Merlino, ma ti pare? Non abbiamo neanche sedici anni!” ribatté Lily, che tornò seria “Riguarda... Me”. Con un gesto rapido, alzò il volume delle casse del giradischi, e sistemò la puntina dell’apparecchio in modo tale che potesse nuovamente riprodurre “Who’s Next” nella sua interezza. La leggendaria introduzione di “Baba O’ Riley” fatta al sintetizzatore, con l’arrivo poi della tastiera, riecheggiò nell’aria e la Grifondoro fu certa che nessuno avrebbe osato disturbarle o interromperle, protette da quel muro di suono.

“Venite tutte e tre qua, vicino a me”. Le interpellate si avvicinarono a Lily, decisamente curiose di sentire che cosa avesse da dire.

La ragazza iniziò a spiegare, dapprima un po’ titubante e attenta alla scelta delle parole, una parte di Storia della Magia che non veniva raccontata ad Hogwarts. Passò per le Confraternite e le peripezie che avevano dovuto affrontare per rimanere in vita fino a quel momento. Raccontò loro di come avesse trovato in casa della nonna Babbana il ciondolo appartenente alla Confraternita degli Evocatori, assieme ad un libro di Storia della Magia Irlandese. Spiegò loro di essersi fatta prestare - non poteva confessare loro l’imbroglio fatto a Lumacorno e la preparazione della Pozione Polisucco - un libro della Sezione Proibita, che non fece altro che confermare che nella famiglia Moore vi era stato qualche Evocatore, prima che nascessero persone assolutamente normali e non dotate di poteri magici. O meglio, non erano coscienti di passare di generazione in generazione, quel dono straordinario.

Lily mostrò loro il monile e le amiche lo guardarono con un certo timore reverenziale.

“Tutto questo è straordinario!” esclamò Mary ammirata “Lily, sei una tosta! L’ho sempre detto, io, che noi Nate Babbane abbiamo una marcia in più!”.

Marlene accarezzava il ciondolo con le dita e aveva gli occhi pieni di vivacità e curiosità. Era rimasta colpita dalla figura dell’Albero della Vita.
“Ne avevo sentito parlare di queste Confraternite, in maniera molto vaga, nello stesso modo in cui si racconta una leggenda... Ma Lily, sei certa che questo ciondolo non sia stato comprato da qualche parte o che non sia un falso?”.

“Ci ho pensato, sì” rispose sincera la ragazza, sistemandosi i capelli rossi dietro le orecchie “Ma documentandomi, ho scoperto che chiunque uscisse volontariamente dalla Confraternita degli Evocatori, o commettesse qualcosa tale per cui fosse passabile d’espulsione, o peggio ancora rifiutasse il Dono dell’Evocazione... Beh, a tali persone il ciondolo veniva distrutto personalmente dal Maestro a capo dell’organizzazione, bruciandolo con l’Ardemonio”.

“I tuoi antenati non hanno mai commesso niente di simile, quindi?” chiese Marlene, guardandola negli occhi.

“Non hanno mai rifiutato il Dono. Penso che di fronte a dei discendenti assolutamente normali, si siano limitati a tramandarsi il ciondolo e il bagaglio di conoscenze, nella speranza e nell’attesa che qualcuno manifestasse nuovamente delle facoltà magiche”.

Emmeline aveva rigirato il ciondolo tra le dita e, con il suo consueto fare sognante, disse di aver notato delle piccole incisioni.

“Guarda, Lily, penso che ci sia scritto qualcosa di utile qua sopra”.

La ragazza osservò quelle scritte che le erano sempre sfuggite. Non che non le avesse mai viste, ma non era mai riuscita a decifrarle in maniera sensata. Avere delle amiche in gamba poteva essere una benedizione, pensò Lily, poiché molto spesso erano in grado di far notare cose che lei semplicemente non avrebbe mai percepito.

Aguzzò la vista e tentò di decifrare l’incisione, piuttosto leggera e anche molto rovinata dal passare del tempo.

“Potrebbe essere il nome della mia famiglia secoli fa, ma non ne sono certa” rifletté Lily “Questo confermerebbe che il ciondolo è di possesso di una sola famiglia e basta. Ma non riesco proprio a dare un senso a questi tratti”.

“Se me lo presti, stasera posso tentare di decifrarli per te” propose Emmeline gentile e piena di buone intenzioni.

Lily era diventata molto gelosa del suo ciondolo. Aveva iniziato a portarselo addosso giorno e notte, diventando una strana sorta di feticcio. Tutto sommato, poteva essere una fisima comprensibile, dato che grazie a quell’oggetto aveva capito di essere una Evocatrice. Tuttavia, si fidava molto di Emmeline, che per quanto fosse una persona con la testa tra le nuvole e persa nel suo mondo, non avrebbe mai perso un oggetto di valore di una cara compagna di Casa. Oltretutto, era molto brava in Rune Antiche e in qualsiasi tipo compito comportasse il tradurre o decifrare qualche scritta o carattere agli altri sconosciuto.

Lily prese le mani di Emmeline, vi appoggiò il ciondolo e le gliele strinse forte, chiudendo le sue dita, come a protezione del gioiello.

“D’accordo. Ma non devi lasciarlo incustodito, non devi farlo vedere a nessun altro che non siano Mary e Marlene, non devi dire a nessuno che hai in mano un ciondolo millenario. Intesi?”. 

La ragazza bionda e pallida annuì, e se lo mise al collo, nascondendolo sotto la camicia e al maglione, in modo tale che in nessun modo se lo sarebbe potuto dimenticare da qualche parte.

“Ora devo andare, Lumacorno e un’altra favolosa cena mi attendono” spiegò Lily, che non vedeva l’ora di vedere quel fantomatico Lucius Malfoy. Ed era certa che Severus l’avrebbe pregata fino allo sfinimento di non parlargli, di non incrociare il suo sguardo, di non fare nulla di nulla per attirare l’attenzione di quell’uomo sinistro. Tuttavia, malgrado le ottime intenzioni e ragioni di Sev, tutto quel tenere a distanza la propria ragazza da un personaggio sospetto era paragonabile allo spegnere un fuoco con del Firewhiskey. Ma era sempre stata così, non c’era modo di cambiarla, faceva parte della sua natura: di fronte a ripetuti divieti, Lily aveva sempre compiuto l’esatto opposto di quanto raccomandato.

 

Lucius Malfoy era furibondo.

Il nobile uomo era fuori di sé, non si era mai sentito così umiliato in vita sua. Lui, che aveva sempre tratto giovamento dal trattare tutti in maniera sprezzante, dal sentirsi perennemente superiore al resto delle persone che lo circondavano. 

Non aveva mai tenuto conto di quel circolo di forze che reggevano tutto l’universo, mondo magico incluso, che muovevano tutto e finivano per ripresentarsi con una certa regolarità. Non aveva mai considerato la possibilità che quanto fatto, prima o poi gli sarebbe tornato indietro, con la stessa intensità o, peggio ancora, con forza maggiore.

E così era stato, lasciandolo tramortito, interdetto, furiosamente perplesso, incapace per qualche giorno di parlare, di reagire in qualsiasi maniera, costruttiva o distruttiva che fosse. 

Lord Voldemort aveva nominato Igor Karkaroff Priore del Dearg Slèabua, in assenza del Signore Oscuro, stabilendo a tutti gli effetti la rinascita dell’organizzazione segreta di Salazar Serpeverde.

Uno smacco vergognoso per Malfoy, che desiderava quella carica e voleva più di tutti divenire primo tra i Mangiamorte. Aveva dovuto accettare quella nomina di fronte a tutti, sfoderando un sorriso artefatto, forzato. Fuori doveva mostrare un compiacimento che dentro di sé, chiuse le porte ed i cancelli di Villa Malfoy, era puro acido che gli corrodeva anima e corpo.

Che cosa aveva sbagliato, dove si era mostrato poco degno di essere nominato il migliore di tutti? Aveva tirato pugni contro le pareti, contro il tavolo pregiato, aveva scagliato la sua maschera da Mangiamorte lontano da lui, e non gli sarebbe  dispiaciuto per nulla se si fosse ammaccata, fino a perderne le sembianze, deturpandone le forme perfette e levigate. 

Narcissa, la moglie sempre presente, ferma, discreta e dalle poche parole precise e sagge, lo aveva fatto riflettere; era stata un balsamo perfetto per lenire le ferite nell’orgoglio del marito. Lo aveva ascoltato e lo aveva esortato a studiarsi la mossa perfetta per almeno divenire definitivamente il braccio destro del Signore Oscuro, senza esitazioni. Lucius aveva riflettuto, grato del supporto morale, benché le donne in casa Malfoy avessero il tacito obbligo di starsene al loro posto senza intervenire negli affari importanti degli uomini. Ma Narcissa era sempre stata una piacevole eccezione, e Lucius apprezzava molto la mente brillante ed arguta della moglie, che non parlava mai a sproposito e dimostrava una lucidità talvolta superiore a qualche collega Mangiamorte del marito.

Aveva riflettuto a lungo, rimuginando giorno e notte, giungendo alla conclusione che fosse arrivato il momento di disfarsi dei soliti schemi, delle solite procedure e delle solite consumate pedine in una scacchiera che necessitava di nuovi giocatori. Sarebbe andato ad Hogwarts per trovare qualcuno di straordinario, non un nuovo rozzo e goffo tirapiedi della risma di Mulciber o Avery. Nulla da eccepire sul fatto che fossero ottimi esecutori di ordini, erano delle semplici pedine da spostare qua e là, ma non avevano spirito d’iniziativa. 

Lucius voleva qualcuno di straordinario da portare al cospetto del Signore Oscuro, e quella sera, mentre era seduto al grande tavolo finemente apparecchiato, in attesa degli allievi del Professor Lumacorno, aveva una netta sensazione che sarebbe riuscito nell’intento. Avrebbe stupito il mago oscuro e lo avrebbe fatto ricredere circa le sue abilità e le responsabilità che gli avrebbe potuto e dovuto affidare in futuro. E Karkaroff avrebbe avuto ben da prodigarsi, per recuperare il terreno perduto.

Sorseggiava soddisfatto un bicchiere di acqua tonica, insaporito da qualche goccia di cedro, e masticava svogliatamente dei cubetti di ananas candito, offerti dall’insegnante, che camminava visibilmente elettrizzato su e giù per lo studio, attendendo i suoi pupilli, i suoi fiori all’occhiello.

Farfugliava frasi smozzicate, dettate dall’entusiasmo, dall’attesa spasmodica di poter fare un figurone con i suoi ragazzi. Certo, quei due Mulciber ed Avery non erano ufficialmente dei membri del Lumaclub, ma i loro genitori vantavano una solida amicizia con i Malfoy, per cui un’eccezione alla regola non avrebbe nuociuto a nessuno. 

Vediamo, vediamo cos’ha da mostrare ancora una volta il vecchio Lumacorno nella sua fiera delle vanità!” pensò Lucius Malfoy, che era altrettanto vanitoso.

Sentendo i passi dei ragazzi in arrivo, si sistemò sulla sedia, mettendo in mostra tutta la compostezza che i propri genitori gli avevano imposto di fronte agli ospiti. Dovunque fosse, amava il fatto che fossero sempre gli altri a recarsi da lui, e mai il contrario, ad eccezion fatta del Signore Oscuro. 

Vide dei ragazzetti insignificanti entrare nello studio, forse erano del secondo o terzo anno, e salutarono il professore, per poi avvicinarsi con una certa diffidenza  a quell’uomo elegantissimo e distinto, e gli tesero la mano.

Visi qualunque, anonimi. Strette di mano deboli e senza grinta. 

Non era quello che stava cercando, non erano quelli dei potenziali fedeli del Signore Oscuro. E poi, erano troppo piccoli, ci sarebbe voluto troppo tempo per addestrarli.

Gli studenti in procinto di concludere l’ultimo anno di studi ad Hogwarts gli sembravano già troppo indirizzati verso una strada ben delineata. Non erano plasmabili, erano eccessivamente sicuri, loro.

Vide quei due ragazzi - Lily e Severus - dietro gli adoranti Mulciber ed Avery, che gli strinsero la mano, ma se avessero potuto gli si sarebbero gettati ai piedi. Vide quei due giovani, percependone una forza immensa, un potere magico spaventoso. 

“Miei cari, benarrivati” li accolse Lumacorno, appoggiando una mano sulla spalla del Serpeverde, che fissava con determinazione l’uomo davanti a sé. Gli occhi neri come la notte si scontrarono con quelli gelidi e cerulei di Lucius, ma non ebbero paura di sostenere quello sguardo pieno d’alterigia. 

“Lucius, loro due sono i ragazzi più bravi che io abbia mai visto negli ultimi anni qua ad Hogwarts. La signorina qui presente, poi, ha un talento per le Pozioni innato. Mai vista una pozionista come lei”.

Lily, mossa da grande curiosità e per nulla intimorita dal fatto che Malfoy la stesse letteralmente esaminando, gli tese la mano con un piglio deciso. Aveva la mano molto più piccola di quella dell’uomo, ma la sua stretta non mancava di vigore ed energia. Soprattutto, era molto calda, e si poteva percepire una fortissima forza magica scorrerle nelle vene.

Lucius capì che non si trattava di una ragazzina qualunque, non una di quelle smorfiose viziate dai propri genitori, ma gli sembrava troppo particolare e troppo eclettica per essere una Serpeverde. A giudicare da come si era abbigliata, pareva una giovane a stretto contatto con i Babbani e quella prospettiva lo fece inorridire. Già bastava il cugino della moglie Narcissa, quel Sirius Black, ribelle e totalmente ammaliato dal fascino dei Babbani e del loro mondo, a rovinare un pregiato albero genealogico fatto di purezza di sangue e di legami di assoluta convenienza.

Comunque, quella Lily Evans era decisamente da non perdere di vista, per un motivo o quell’altro.

Ma l’altro ragazzo - “Merlino!” pensò tra sé e sé Malfoy, vedendolo arrivare con passo svelto e sicuro “Questo è quello che stavo cercando!” - era colui che stava aspettando da tempo, ed era certo che Mulciber ed Avery gliel’avessero nominato. 

Severus era pronto, prontissimo a fare ciò che lui e Silente avevano escogitato. Ancora una volta si meravigliò con quale facilità recitò quel copione scritto qualche ora prima con il Preside. Un copione che non era stato messo su pergamena, ma unicamente nella sua mente, abbozzato come un canovaccio da utilizzare in maniera tassativa. 

Non era sciocco e capì perfettamente che Lucius Malfoy stava facendo un grosso sforzo per non avventarsi sulla preda, nello stesso modo in cui un lupo avverte odor di selvaggina e di carne sanguinolenta, ma non può farsi vedere alla luce del sole, onde evitare di finire tra le grinfie dei bracconieri. 

Severus era cosciente che il Mangiamorte lo stesse cercando. E lui era lì per dargli la caccia e per farsi prendere nella morsa metallica di quella trappola che il nobile era convinto di aver messo così bene. Ma non sapeva che Sev, scaltro e attento, avrebbe fatto in modo che in quella trappola ci potessero finire entrambi e chiusi in quella prigione, ognuno vittima dell’altro, si sarebbero potuti sfidare ed affrontare in libertà.

La stretta di mano di quel ragazzo era forte e decisa, malgrado le mani fossero un po’ ossute e dalle dita piuttosto lunghe e sottili.

“Severus Piton, tu sei quello che stavo cercando” pensò Lucius, pregustandosi il momento in cui avrebbe presentato a Lord Voldemort quella mente brillante. Ci voleva un grande brindisi, per acclamare un nuovo futuro Mangiamorte.

“Lucius Malfoy, sei proprio l’allocco vanesio che mi aiuterà a distruggere tutto quello che Lord Voldemort ha creato” si disse il ragazzo, baldanzoso e certo che il fedele servitore del Signore Oscuro sarebbe corso a fare il suo nome a chi di dovere. Ci voleva proprio, quel tintinnare di vetri. Alla caduta ed alla rovina di Lord Voldemort.

"Genau, mein kleiner Schätzchen": esatto, mio piccolo tesoro (o tesorino, come preferite, in tono compiaciuto e crudele, però :D).

* * *

 

Ta-daaaah! Vi sono mancata? Eccomi qua con un nuovo nuovissimo capitolo tutto per voi <3 Grazie ancora per l’attesa, il seguito, l’ammoreh, le recensioni! Spero almeno di tenere una certa regolarità ed una certa precisione negli aggiornamenti! Fortunatamente, il prossimo capitolo ce l’ho già ben delineato nella mia testolina matta! 

Ah, ma trovo che questo Sev bastardello che vuole fregare tutti sia adorabile. Bravo Sev, bravo! Il confronto con lo scornato Lucius andrà avanti brevemente anche nel prossimo capitolo, ma giusto per giustificare l’entusiasmo di Lucius nei confronti di Severus. E dovrà comunicare all’Oscuro Signore la sua bella scoperta. 

Insomma, anche il prossimo capitolo sarà bello nutrito ed intenso! :D Spero come sempre di non deludere nessuno :D 

 

Vi lascio la stramba canzone, di Bjork, che adoro (non come Tori, ma quasi :D) e come di consueto la mia pagina Facebook.

 

P.s. Dimenticavo la leggendaria “Won’t Get Fooled Again” dei The Who!

 

Un abbraccione gigante a tutti e a tutte! 

 

Alla prossima,

 

Vostra Blankette_Girl <3

a.k.a Ale <3

   
 
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