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Autore: Miyaki    06/11/2006    4 recensioni
[Partecipante al 21° Concorso]La ragazza sospirò, lanciando un occhiata a Remus Lupin, che tenendo fisso lo sguardo dinanzi a se pareva non aver udito una sola parola. Chiuse gli occhi con la stessa attesa di chi attende il colpo mortale. In attesa che Ginny finisse di parlare, dopo aver acceso l’ennesima sigaretta.
Genere: Triste, Dark, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Addio - non ci sono parole

Nelle mie mani
Un retaggio di memorie
Riesco a sentirti dire il mio nome
Quasi vedo il tuo sorriso
Sento il calore del tuo abbraccio
Ma c'è solo silenzio ora
Fra me e colei che ho amato
Questo è il nostro addio?

Within Temptation – Our Farewell

Aprì gli occhi, sbattendoli più volte. La stanza era piena di una luce sferzante, candida e morbida. Irreale. La luce di un’alba pallida, appena accennata, come quando un raggio giocherellone entra vivacemente preannunciando l’inizio della giornata.
Non sentiva più dolore, il corpo sembrava galleggiare, inerte. Non sentiva neanche il peso della coperta sulla sua pelle.
- Ti sei svegliata. – disse una voce gentile.
Si puntellò sui gomiti, mettendosi seduta sul letto, con gesti lenti. Guardò il ragazzo di fronte a se, incerta su come reagire.
Quando si fu posata sui cuscini, lasciò le mani inerti sul grembo.
- Sono morta? – domandò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Il ragazzo la guardò a lungo dietro gli occhiali tondi, con un’espressione indecifrabile sul viso. Quando iniziò a parlare la sua voce era calda e gentile.
- Credi di esserlo? -
Scosse le spalle.
- Credo di si. -
Il ragazzo si sedette sul letto accanto a lei ed annuì, con cautela. Fu in quel momento che si rese conto che non c’era calore nella sua vicinanza. Si tastò il polso. Nulla. Si muoveva, ma è come se stringesse l’aria.
- Sono proprio morta. – concluse, con semplicità – E’ così che ci si sente quando si è morti? -
- Tu come ti senti? -
Scosse di nuove le spalle.
- Non saprei. – lo guardò e sorrise – Sono contenta di rivederti. -
- Cominciavo a pensare che mi avessi dimenticato – commentò il ragazzo, sdraiandosi accanto a lei, sul pizzo del letto. Lei si scostò e gli fece spazio, sdraiandosi di nuovo. Rimasero l’uno accanto all’altra, guardando il soffitto.

- Non ti ho mai dimenticato – rispose, scostando la testa per guardare il suo viso assorto e le parve che fosse tanto vicino quanto lontano milioni di chilometri – Non potevo. -
Girò la testa e tornò ad osservare il soffitto, bianco come il resto della stanza.
- Mi sono sentita sola. -
- Non lo sei stata. – rispose lui, ancora una volta senza guardarla, e lei ebbe la sensazione che la sua voce provenisse da un luogo troppo lontano. Allungò una mano e cercò il suo polso, lo prese fra le dita, ma non ne percepì né il calore né la sensazione della sua pelle sotto la sua. Sospirò, sconfortata.
- Non mi piace. Non riesco a sentirti. Ci sei veramente? -
Il ragazzo era scomparso. Si alzò di scatto, spaventata. Era di nuovo in piedi, vicino alla finestra e guardava di fuori, assorto.

- Harry. – disse la ragazza, stringendo senza sentirlo il lenzuolo che la ricopriva – Non andartene mai più. Non avreste dovuto lasciarmi. -
- Non hai ancora capito? -.
Hermione si girò verso l’altra voce. Un ragazzo dai capelli rossi e le lentiggini se ne stava seduto sul tavolo, con la punta del piede appoggiata alla sedia davanti a se, e le mani in tasca.
- Noi dovevamo andarcene. – disse, senza guardarla – Non è stata una nostra scelta. -
Nessuno dei due la stava guardando. Hermione si mise in ginocchio, sul letto.
- Noi eravamo un trio! Ve ne siete andati insieme e mi avete lasciata sola! -
Harry si voltò e guardò Ron, prima di cominciare a parlare. Di nuovo, sentì come se loro fossero lontani miglia e non nella sua stessa stanza.
- Noi siamo morti Hermione. – disse semplicemente, poi si girarono verso di lei nel medesimo momento. Non dissero altro.
- Anch’io lo sono. – disse – Perché siete così lontani? -
- Tu non sei morta. – disse Ron, spingendo con il piede la sedia che traballò un po’, poi tornò dritta. Harry si voltò verso il suo migliore amico e Ron fece lo stesso.
Siete andati dove non vi posso raggiungere.
- Ho bisogno di voi. Ne ho sempre avuto. – chinò la testa e chiuse gli occhi, quando li riaprì c’era solo Harry, ma non era quello di prima. Era un ragazzino di undici anni che la guardava dai piedi del letto.

Non ancora.
- Abbiamo avuto un destino difficile, Hermione. – disse, con aria seria.
La porta sul fondo si aprì e Ron entrò. Anche lui, undicenne.
- E il nostro è compiuto. – aggiunse il bambino dagli occhi color mare, con la stessa espressione. Hermione strinse gli occhi e si accorse di non riuscire a definire i loro contorni, sfumati e persi in un mare di luce.
Ci fu un lampo di luce: Hermione si coprì gli occhi di scatto, portando le mani davanti al viso. Quando lì riaprì la stanza era vuota.
- Ti è rimasto ancora un po’ di tempo. – disse la voce di Harry. Era terribilmente lontana. Hermione scese di corsa dal letto, rischiando quasi di cadere.
- Dove siete? – gridò, guardando verso l’alto.
- C’è una porta, Herm. – rispose la voce divertita di Ron, lontana – Per essere la strega più brillante di tutte sei strana. -
- Non sono la strega più brillante – rispose lei sconsolata, mentre si dirigeva alla porta – Altrimenti le cose sarebbero state diverse. -
Scivolò attraverso la porta da cui era entrato Ron, e quando fu fuori non si trovò in un’altra stanza. Era sul treno per Hogwarts.
Si guardò. Indossava la divisa di Hogwarts senza colori, come quando si avviava allo smistamento e non aveva ancora assunto i colori porpora e oro. Con naturalezza camminò per i vagoni, senza incontrare nessuno. S’infilò d’istinto in uno scompartimento, e vide due ragazzini chiacchierare, mentre uno agitava una bacchetta. Ron.
L’altro osservava il compagno con un certo interesse. Harry.
Sembrava un fotogramma della prima volta che si erano visti. Sentì la sua voce parlare a raffica, ma non era lei a parlare: improvvisamente non era più nella bambina di undici anni, era fuori di lei, di nuovo donna ventiquattrenne, e osservava la bambina spiegare di aver studiato tutti i libri a memoria.
Vide gli sguardi attoniti dei due ragazzini e le scappò un sorriso.
- Io sono Ron Weasley – disse il ragazzino, con tono burbero.
Ron, sempre così scorbutico, ma indispensabile.
Il bambino accanto a lui sembrava intimidito, e borbottò piano.
- Harry Potter. -
Improvvisamente i tre bambini si fermarono, come fermi in una foto babbana. Hermione fece un passo in avanti, evitando la se stessa bambina e si sedette accanto ad Harry, guardò Ron, immobile in un espressione corrucciata, poi si voltò e vide il viso dolce di Harry intimidito.
- E’ stata la prima volta che ci siamo conosciuti. -
Ron. Seduto sul sedile, accanto al se stesso da bambino.
- Speravo con tutte le mie forze di non finire in casa con te, eri così saputella che dubitavo che ti avrei sopportata a lungo. – Ron si voltò verso la piccola Hermione, con un sorrisetto beffardo – Le cose sono andate diversamente da come speravo allora. -
- Ti sei mostrata provvidenziale. –

Harry. Stava poggiato allo stipite della porta scorrevole, con un sorriso divertito.
- Senza di te non avremmo potuto molto. All’inizio non mi piacevi. – sorrise allegramente – Eri così ficcanaso. Ma poi ho cominciato ad avere bisogno di te. Harry Potter non poteva allacciarsi le scarpe senza Hermione Granger. -
- Non avremmo mai creduto – continuò Ron, lanciando uno sguardo ai presenti, sia bambini che cresciuti – Che le cose sarebbero andate così. Ma non mi pento di nulla. –.

- Abbiamo sofferto molto. – intervenne Harry, con un sorriso amareggiato – Ma ho trovato in voi la migliore famiglia che potessi chiedere. -
Hermione sorrise indulgente, guardando la se stessa di un tempo.

- Ero così insicura e nervosa. Volevo sapere tutto perché nessuno mi dicesse che non ne ero degna. Ero così spersa… - sorrise con una punta di nostalgia – Nascondevo la mia insicurezza dietro un muro incrollabile di studio e regole. -
- Ma poi ti sei sciolta dalla tua severità – continuò per lei Harry, con un sorrisetto divertito e dolce.
- Anche se sei sempre stata un po’ saputella – completò Ron.

- Con voi mi sentivo sicura. – disse, stringendo le dita sul grembo.
Ci fu un lungo momento di silenzio e i tre ragazzi contemplarono i tre ragazzini immobilizzati nel tempo. Immagine di una passato che non sarebbe tornato, con promesse che non avrebbero avuto risposta.
- Il trio delle meraviglie. – disse poi Hermione, con un sorriso trasognato e nostalgico.
Harry scoppiò a ridere e Ron non fu da meno.
- Potter, lo sfregiato con le turbe psichiche – disse Harry fra una risata e l’altra, con un sorriso.
- Weasley, l’amico stupido di Potter – continuò Ron, con l’ultimo rivolo di risata.
- E Granger, la mezzosangue so-tutto-io. – completò Hermione. I tre si guardarono a lungo, con un sorriso.
- Nessuno era come noi – disse l’ex portiere di Grifondoro, stiracchiandosi - E nessuno lo sarà mai. -
Il sorriso di Hermione si smorzò.
- Mi sento persa. Ho dovuto chiudermi in un guscio di ghiaccio. – mormorò, stringendosi le mani in grembo con maggiore vigore, mentre le fissava ostinatamente.
Harry e Ron si voltarono verso di lei, con espressione grave. I tre bambini svanirono in un esplosione di polvere e restarono solo loro tre. Hermione lì guardò.
- Io ho ventiquattro anni. Voi ventidue.- disse, con la voce che le tremava - Ne avrete per sempre ventidue. -
- Sei sempre stata più grande di noi di un anno. – il sorriso di Ron era abbozzato, e si spense del tutto in fretta – Non c’è nulla che possa cambiare quello che è stato. Noi avremo per sempre ventidue anni. -
Hermione chiuse gli occhi e poggiò le dita contro le tempie, massaggiandosele. Un fruscio di vento. Seppe che erano scomparsi di nuovo. Quando riaprì gli occhi c’era di nuovo la se stessa da bambina che la guardava negli occhi. Trasalì un momento. Poi la bambina che era stata parlò.
- Cos’è che ti fa paura? -
- La solitudine. – rispose, nascondendo il viso fra le mani, il vagone sembrò ruotarle intorno, in una sensazione fuggente, come se il mondo si fosse messo a ruotare su se stesso troppo velocemente, quasi fosse impazzito.
Il mondo si fermò.
Riaprì gli occhi di scatto e fu di nuovo sola. Grimmauld Place. Il numero 12.
Avanzò lentamente verso la finestra, senza saperne bene la ragione. Alle sue spalle, dei rumori di passi. Non si girò subito, e quando raggiunse la finestra i rumori si erano fermati. Alle sue spalle era sopraggiunta una presenza, ferma all’entrata del salone.
- Se ne sono andati tutti. -
Era di nuovo Harry. Aveva di nuovo ventidue anni.
- Anche tu. – rispose la voce di Hermione, mentre la ragazza posava la mano, spingendo il palmo contro il vetro: avrebbe dovuto essere freddo, ma lei non sentì nulla.
- Tutti. Abbiamo perso molto. I membri dell’E.S. : Calì, Lavanda, Padma, Seamus…Dean. I membri del vecchio ordine della fenice. Silente. Tutti. Non è rimasto nessuno. – continuò lui. Hermione singhiozzò, amaramente.
- Perché mi fai questo? Perché? – mormorò, spingendo con più forza il palmo sul vetro.
- Sono morti per nulla? -
Hermione tacque.
- Siamo morti per nulla? -
- No. -
Harry si girò verso di lei e le accennò un sorriso.
- C’è ancora speranza. -
Hermione annuì, poi si massaggiò un occhio.
- Sono stanca.-
Harry annuì e le tese la mano.
- Ti riposerai presto. – si voltò e guardò verso la porta.
- Ti stanno chiamando. -


Aprì gli occhi, lentamente. Non percepì nulla: né il calore del braccio di Neville che la sosteneva, né il dolore. Nulla.
- Ho fallito. – mormorò, osservando i bordi sfocati di Ginny, vicino a Neville – Perdonami. -
- No, che non ti perdono! – soffiò Ginny, con la voce tremolante.
Hermione chiuse gli occhi, e continuò a parlare, senza avere la forza di riaprili.
La voce era ridotta ad un soffio.
- C’è speranza. -
Mormorò. Mentre la figura dei suoi migliori amici si focalizzava nella sua testa.
- C’è sempre. -
- Cosa faremo senza di voi? – singhiozzò Ginny. Hermione ebbe la vaga percezione di altre presenze a lei sconosciute, che si agitarono dietro Ginny, ma non ci fece caso.
Si girò verso Ginny, sforzandosi di aprire gli occhi, senza comunque vederla.
- Vivete. – soffiò, e i suoi occhi si richiusero.
– Sono stanca.-

Neville e Ginny la chiamarono a gran voce, quando il suo viso cadde di lato, inerte.
Ma lei non rispose, né parlò. Era già andata.

Neville abbracciò la ragazza e Ginny singhiozzò, silenziosamente. Il bambino la raggiunse e la abbracciò, nascondendo il viso infantile nell’incavo delle spalle.

- Non cederò mai. – mormorò fra i singhiozzi – Non importa quanto ci vorrà. Io non perderò. -
Neville annuì e non disse altro. Non ce ne era bisogno.

Calpestò i fili d’erba con i piedi nudi, mentre avanzava verso l’albero a lei tanto familiare, dove aveva trascorso diversi assolati pomeriggi. La veste candida le danzò intorno, accarezzandole la pelle perfetta, libera dalle numerose cicatrici che la guerra le aveva lasciato. Raggiunse il ragazzo seduto sotto l’albero, con la schiena poggiata al tronco e un libro fra le mani, l’aria assorta. Lui si girò, e le sorrise con dolcezza mentre chiudeva il libro. Una folata di vento gli accarezzò i capelli, sollevandoli.
- Ti aspettavo. -
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[endif]


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[endif]
 
Liberi Fatali
Excitate vow e somno, liberi mei.
Cunae non sunt.
Excitate vow e somno, liberi fatali.
Somnus non eat.
Surgite.
Invenite hortum veritatis.
Ardente veritate
Urite mala mundi.
Ardente veritate
Incendite tenebras mundi.
Valete, liberi,
[if !supportLineBreakNewLine]
[endif]
Diebus fatalibus.
 
 
Wake up from your dream, my children.
There is no cradle.
Wake up from your dreams, fated children.
The dream is not going.
Arise.
Discover the truth of the Garden.
Burn with truth
Scorch the world of evil.
Burn with truth
Set fire to the world of darkness.
Goodbye, children,
From the days of destiny.
 

  
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