Nelle mie mani
Un retaggio di memorie
Riesco a sentirti dire il mio nome
Quasi vedo il tuo sorriso
Sento il calore del tuo abbraccio
Ma c'è solo silenzio ora
Fra me e colei che ho amato
Questo è il nostro addio?
Within Temptation – Our Farewell
Aprì gli occhi,
sbattendoli più volte. La stanza era piena di una luce sferzante, candida e
morbida. Irreale. La luce di un’alba pallida, appena accennata, come quando un
raggio giocherellone entra vivacemente preannunciando l’inizio della giornata.
Non sentiva più dolore, il corpo sembrava galleggiare, inerte. Non sentiva
neanche il peso della coperta sulla sua pelle.
- Ti sei svegliata. – disse una voce gentile.
Si puntellò sui gomiti, mettendosi seduta sul letto, con gesti lenti. Guardò il
ragazzo di fronte a se, incerta su come reagire.
Quando si fu posata sui cuscini, lasciò le mani inerti sul grembo.
- Sono morta? – domandò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Il ragazzo la guardò a lungo dietro gli occhiali tondi, con un’espressione
indecifrabile sul viso. Quando iniziò a parlare la sua voce era calda e
gentile.
- Credi di esserlo? -
Scosse le spalle.
- Credo di si. -
Il ragazzo si sedette sul letto accanto a lei ed annuì, con cautela. Fu in quel
momento che si rese conto che non c’era calore nella sua vicinanza. Si tastò il
polso. Nulla. Si muoveva, ma è come se stringesse l’aria.
- Sono proprio morta. – concluse, con semplicità – E’ così che ci si sente
quando si è morti? -
- Tu come ti senti? -
Scosse di nuove le spalle.
- Non saprei. – lo guardò e sorrise – Sono contenta di rivederti. -
- Cominciavo a pensare che mi avessi dimenticato – commentò il ragazzo,
sdraiandosi accanto a lei, sul pizzo del letto. Lei si scostò e gli fece
spazio, sdraiandosi di nuovo. Rimasero l’uno accanto all’altra, guardando il
soffitto.
- Non ti ho mai dimenticato – rispose, scostando la testa per guardare il
suo viso assorto e le parve che fosse tanto vicino quanto lontano milioni di
chilometri – Non potevo. -
Girò la testa e tornò ad osservare il soffitto, bianco come il resto della
stanza.
- Mi sono sentita sola. -
- Non lo sei stata. – rispose lui, ancora una volta senza guardarla, e lei ebbe
la sensazione che la sua voce provenisse da un luogo troppo lontano. Allungò
una mano e cercò il suo polso, lo prese fra le dita, ma non ne percepì né il
calore né la sensazione della sua pelle sotto la sua. Sospirò, sconfortata.
- Non mi piace. Non riesco a sentirti. Ci sei veramente? -
Il ragazzo era scomparso. Si alzò di scatto, spaventata. Era di nuovo in piedi,
vicino alla finestra e guardava di fuori, assorto.
- Harry. – disse la ragazza, stringendo senza sentirlo il lenzuolo che la
ricopriva – Non andartene mai più. Non avreste dovuto lasciarmi. -
- Non hai ancora capito? -.
Hermione si girò verso l’altra voce. Un ragazzo dai capelli rossi e le
lentiggini se ne stava seduto sul tavolo, con la punta del piede appoggiata
alla sedia davanti a se, e le mani in tasca.
- Noi dovevamo andarcene. – disse, senza guardarla – Non è stata una nostra
scelta. -
Nessuno dei due la stava guardando. Hermione si mise in ginocchio, sul letto.
- Noi eravamo un trio! Ve ne siete andati insieme e mi avete lasciata sola! -
Harry si voltò e guardò Ron, prima di cominciare a parlare. Di nuovo, sentì
come se loro fossero lontani miglia e non nella sua stessa stanza.
- Noi siamo morti Hermione. – disse semplicemente, poi si girarono verso di lei
nel medesimo momento. Non dissero altro.
- Anch’io lo sono. – disse – Perché siete così lontani? -
- Tu non sei morta. – disse Ron, spingendo con il piede la sedia che traballò
un po’, poi tornò dritta. Harry si voltò verso il suo migliore amico e Ron fece
lo stesso.
Siete andati dove non vi posso raggiungere.
- Ho bisogno di voi. Ne ho sempre avuto. – chinò la testa e chiuse gli occhi,
quando li riaprì c’era solo Harry, ma non era quello di prima. Era un ragazzino
di undici anni che la guardava dai piedi del letto.
Non ancora.
- Abbiamo avuto un destino difficile, Hermione. – disse, con aria seria.
La porta sul fondo si aprì e Ron entrò. Anche lui, undicenne.
- E il nostro è compiuto. – aggiunse il bambino dagli occhi color mare, con la
stessa espressione. Hermione strinse gli occhi e si accorse di non riuscire a
definire i loro contorni, sfumati e persi in un mare di luce.
Ci fu un lampo di luce: Hermione si coprì gli occhi di scatto, portando le mani
davanti al viso. Quando lì riaprì la stanza era vuota.
- Ti è rimasto ancora un po’ di tempo. – disse la voce di Harry. Era
terribilmente lontana. Hermione scese di corsa dal letto, rischiando quasi di
cadere.
- Dove siete? – gridò, guardando verso l’alto.
- C’è una porta, Herm. – rispose la voce divertita di Ron, lontana – Per essere
la strega più brillante di tutte sei strana. -
- Non sono la strega più brillante – rispose lei sconsolata, mentre si dirigeva
alla porta – Altrimenti le cose sarebbero state diverse. -
Scivolò attraverso la porta da cui era entrato Ron, e quando fu fuori non si
trovò in un’altra stanza. Era sul treno per Hogwarts.
Si guardò. Indossava la divisa di Hogwarts senza colori, come quando si avviava
allo smistamento e non aveva ancora assunto i colori porpora e oro. Con
naturalezza camminò per i vagoni, senza incontrare nessuno. S’infilò d’istinto
in uno scompartimento, e vide due ragazzini chiacchierare, mentre uno agitava
una bacchetta. Ron.
L’altro osservava il compagno con un certo interesse. Harry.
Sembrava un fotogramma della prima volta che si erano visti. Sentì la sua voce
parlare a raffica, ma non era lei a parlare: improvvisamente non era più nella
bambina di undici anni, era fuori di lei, di nuovo donna ventiquattrenne, e
osservava la bambina spiegare di aver studiato tutti i libri a memoria.
Vide gli sguardi attoniti dei due ragazzini e le scappò un sorriso.
- Io sono Ron Weasley – disse il ragazzino, con tono burbero.
Ron, sempre così scorbutico, ma indispensabile.
Il bambino accanto a lui sembrava intimidito, e borbottò piano.
- Harry Potter. -
Improvvisamente i tre bambini si fermarono, come fermi in una foto babbana.
Hermione fece un passo in avanti, evitando la se stessa bambina e si sedette
accanto ad Harry, guardò Ron, immobile in un espressione corrucciata, poi si
voltò e vide il viso dolce di Harry intimidito.
- E’ stata la prima volta che ci siamo conosciuti. -
Ron. Seduto sul sedile, accanto al se stesso da bambino.
- Speravo con tutte le mie forze di non finire in casa con te, eri così
saputella che dubitavo che ti avrei sopportata a lungo. – Ron si voltò verso la
piccola Hermione, con un sorrisetto beffardo – Le cose sono andate diversamente
da come speravo allora. -
- Ti sei mostrata provvidenziale. –
Harry. Stava poggiato allo stipite della porta scorrevole, con un sorriso
divertito.
- Senza di te non avremmo potuto molto. All’inizio non mi piacevi. – sorrise
allegramente – Eri così ficcanaso. Ma poi ho cominciato ad avere bisogno di te.
Harry Potter non poteva allacciarsi le scarpe senza Hermione Granger. -
- Non avremmo mai creduto – continuò Ron, lanciando uno sguardo ai presenti,
sia bambini che cresciuti – Che le cose sarebbero andate così. Ma non mi pento
di nulla. –.
- Abbiamo sofferto molto. – intervenne Harry, con un sorriso amareggiato
– Ma ho trovato in voi la migliore famiglia che potessi chiedere. -
Hermione sorrise indulgente, guardando la se stessa di un tempo.
- Ero così insicura e nervosa. Volevo sapere tutto perché nessuno mi
dicesse che non ne ero degna. Ero così spersa… - sorrise con una punta di
nostalgia – Nascondevo la mia insicurezza dietro un muro incrollabile di studio
e regole. -
- Ma poi ti sei sciolta dalla tua severità – continuò per lei Harry, con un
sorrisetto divertito e dolce.
- Anche se sei sempre stata un po’ saputella – completò Ron.
- Con voi mi sentivo sicura. – disse, stringendo le dita sul grembo.
Ci fu un lungo momento di silenzio e i tre ragazzi contemplarono i tre
ragazzini immobilizzati nel tempo. Immagine di una passato che non sarebbe
tornato, con promesse che non avrebbero avuto risposta.
- Il trio delle meraviglie. – disse poi Hermione, con un sorriso trasognato e
nostalgico.
Harry scoppiò a ridere e Ron non fu da meno.
- Potter, lo sfregiato con le turbe psichiche – disse Harry fra una risata e
l’altra, con un sorriso.
- Weasley, l’amico stupido di Potter – continuò Ron, con l’ultimo rivolo di
risata.
- E Granger, la mezzosangue so-tutto-io. – completò Hermione. I tre si
guardarono a lungo, con un sorriso.
- Nessuno era come noi – disse l’ex portiere di Grifondoro,
stiracchiandosi - E nessuno lo sarà mai.
-
Il sorriso di Hermione si smorzò.
- Mi sento persa. Ho dovuto chiudermi in un guscio di ghiaccio. – mormorò,
stringendosi le mani in grembo con maggiore vigore, mentre le fissava
ostinatamente.
Harry e Ron si voltarono verso di lei, con espressione grave. I tre bambini
svanirono in un esplosione di polvere e restarono solo loro tre. Hermione lì
guardò.
- Io ho ventiquattro anni. Voi ventidue.- disse, con la voce che le tremava -
Ne avrete per sempre ventidue. -
- Sei sempre stata più grande di noi di un anno. – il sorriso di Ron era
abbozzato, e si spense del tutto in fretta – Non c’è nulla che possa cambiare
quello che è stato. Noi avremo per sempre ventidue anni. -
Hermione chiuse gli occhi e poggiò le dita contro le tempie, massaggiandosele.
Un fruscio di vento. Seppe che erano
scomparsi di nuovo. Quando riaprì gli occhi c’era di nuovo la se stessa da
bambina che la guardava negli occhi. Trasalì un momento. Poi la bambina che era
stata parlò.
- Cos’è che ti fa paura? -
- La solitudine. – rispose, nascondendo il viso fra le mani, il vagone sembrò
ruotarle intorno, in una sensazione fuggente, come se il mondo si fosse messo a
ruotare su se stesso troppo velocemente, quasi fosse impazzito.
Il mondo si fermò.
Riaprì gli occhi di scatto e fu di nuovo sola. Grimmauld Place. Il numero 12.
Avanzò lentamente verso la finestra, senza saperne bene la ragione. Alle sue
spalle, dei rumori di passi. Non si girò subito, e quando raggiunse la finestra
i rumori si erano fermati. Alle sue spalle era sopraggiunta una presenza, ferma
all’entrata del salone.
- Se ne sono andati tutti. -
Era di nuovo Harry. Aveva di nuovo ventidue anni.
- Anche tu. – rispose la voce di Hermione, mentre la ragazza posava la mano,
spingendo il palmo contro il vetro: avrebbe dovuto essere freddo, ma lei non
sentì nulla.
- Tutti. Abbiamo perso molto. I membri dell’E.S. : Calì, Lavanda, Padma,
Seamus…Dean. I membri del vecchio ordine della fenice. Silente. Tutti. Non è
rimasto nessuno. – continuò lui. Hermione singhiozzò, amaramente.
- Perché mi fai questo? Perché? – mormorò, spingendo con più forza il palmo sul
vetro.
- Sono morti per nulla? -
Hermione tacque.
- Siamo morti per nulla? -
- No. -
Harry si girò verso di lei e le accennò un sorriso.
- C’è ancora speranza. -
Hermione annuì, poi si massaggiò un occhio.
- Sono stanca.-
Harry annuì e le tese la mano.
- Ti riposerai presto. – si voltò e guardò verso la porta.
- Ti stanno chiamando. -
Aprì gli occhi, lentamente. Non percepì nulla: né il calore del braccio di Neville
che la sosteneva, né il dolore. Nulla.
- Ho fallito. – mormorò, osservando i bordi sfocati di Ginny, vicino a Neville
– Perdonami. -
- No, che non ti perdono! – soffiò Ginny, con la voce tremolante.
Hermione chiuse gli occhi, e continuò a parlare, senza avere la forza di
riaprili.
La voce era ridotta ad un soffio.
- C’è speranza. -
Mormorò. Mentre la figura dei suoi migliori amici si focalizzava nella sua
testa.
- C’è sempre. -
- Cosa faremo senza di voi? – singhiozzò Ginny. Hermione ebbe la vaga percezione
di altre presenze a lei sconosciute, che si agitarono dietro Ginny, ma non ci
fece caso.
Si girò verso Ginny, sforzandosi di aprire gli occhi, senza comunque vederla.
- Vivete. – soffiò, e i suoi occhi si richiusero.
– Sono stanca.-
Neville e Ginny la chiamarono a gran voce, quando il
suo viso cadde di lato, inerte.
Ma lei non rispose, né parlò. Era già andata.
Neville abbracciò la ragazza e Ginny singhiozzò,
silenziosamente. Il bambino la raggiunse e la abbracciò, nascondendo il viso
infantile nell’incavo delle spalle.
- Non cederò mai. – mormorò fra i singhiozzi – Non
importa quanto ci vorrà. Io non perderò. -
Neville annuì e non disse altro. Non ce ne era bisogno.
Calpestò i fili d’erba con i piedi nudi,
mentre avanzava verso l’albero a lei tanto familiare, dove aveva trascorso
diversi assolati pomeriggi. La veste candida le danzò intorno, accarezzandole
la pelle perfetta, libera dalle numerose cicatrici che la guerra le aveva
lasciato. Raggiunse il ragazzo seduto sotto l’albero, con la schiena poggiata
al tronco e un libro fra le mani, l’aria assorta. Lui si girò, e le sorrise con
dolcezza mentre chiudeva il libro. Una folata di vento gli accarezzò i capelli,
sollevandoli.
- Ti aspettavo. -
[if !supportLineBreakNewLine]
[endif]
[if !supportLineBreakNewLine]
[endif]
Liberi Fatali
Excitate vow e somno, liberi mei. Cunae non sunt. Excitate vow e somno, liberi fatali. Somnus non eat. Surgite. Invenite hortum veritatis. Ardente veritate Urite mala mundi. Ardente veritate Incendite tenebras mundi. Valete, liberi, Diebus fatalibus.
|
Wake up from your dream, my children. There is no cradle. Wake up from your dreams, fated children. The dream is not going. Arise. Discover the truth of the Garden. Burn with truth Scorch the world of evil. Burn with truth Set fire to the world of darkness. Goodbye, children, From the days of destiny.
|