Capitolo 1.
Anelién
sbadigliò. Si tirò le coperte sopra il capo,
facendo
sporgere di poco un occhio smeraldo a malapena aperto.
“Che vuoi
Lishén? Selio non è ancora
sorto!”.
Lishén
sorrise.
“È
giorno, è giorno! Sennò staresti ancora dormendo,
no?”.
“Starei
dormendo se tu non avessi aperto le tende!”.
Anelién
sbadigliò ancora, battendo le palpebre un paio di volte
prima
di aprire entrambi gli occhi. Guardò Lishén che,
con le
mani incrociate dietro la testa, continuava a sorridere.
“Però
se fosse stato buio, avresti continuato a dormire!”.
Anelién
scosse appena il capo, facendo finire la frangia bionda davanti le
iridi smeraldo.
“Insomma?
Perché tutta questa fretta?”.
Lishén batté
gli occhi, aprì la bocca in una 'o' e guardò
l'altra
ragazza. Le braccia le caddero lungo i fianchi.
“Davvero non
lo ricordi?” chiese.
Anelién cercò
di fare mente locale. Non era ora di colazione, non aveva fatto
promesse a Lishén e non le risultava di aver dimenticato
qualche compleanno.
“Qualsiasi
cosa sia, può aspettare Selio”.
Lishén si
avvicinò al letto, vi mise sopra le mani e fece leva con
esse
per arrampicarcisi sopra. Si mise seduta a gambe incrociate a lato di
Anelién.
“Ma relìn,
non possiamo vedere selién se aspettiamo
Selio!”
disse la minore.
Anelién tirò
fuori il capo dalle coperte e guardò la sorella perplessa.
“Selién?”
chiese la maggiore “Perché dovremo vedere
l'alba?”.
Lishén sbatté
le mani sul materasso.
“Relìn!”.
Anelién
sospirò scostando i capelli da davanti gli occhi, si
tirò
a sedere e abbassò lo sguardo verso Lishén.
“Che c'è?”
chiese la bionda.
“Oggi c'è
klekler selién”.
Anelién
inarcò un sopracciglio biondo guardando fuori dalla
finestra.
Il blu scuro si stavano rischiarando, le punte colorate delle matite
iniziavano a riflettere la luce. Le pareva un'alba come tutte.
“Eh?”.
Lishén sbuffò
e di nuovo sbatté le mani sulle coperte, incrociando poi le
braccia al petto.
“Cosa abbiamo
detto ieri sera?” domandò.
Ticchettava con
l'indice della destra contro il braccio sinistro. Anelién si
passò una mano tra i capelli, tirandoli all'indietro per
sistemarli.
Le
punte di matita arancioni volteggiavano fuori dalla finestra,
diffondendo nell'aria un delicato profumo d'arancia che si mischiava
ad uno di rosa man mano che il cielo si tingeva di rosso.
Anelién
osservava attraverso i vetri la volta cambiare colore, mentre le
punte di matita colorate cambiavano tonalità per lasciare
spazio a punte bianche.
“Lerledemy?”
si sentì chiamare.
Si
voltò verso il nobile, passandosi le mani sulla maglia,
tirandola giù fino a coprire l'ombelico. Alzò le
spalle
per posarle sui braccioli del trono e il top si alzò
nuovamente.
“Cosa,
Kadrel?”.
L'uomo
aggrottò le sopracciglia.
“Le
stavo dicendo...”.
Anelién
voltò nuovamente lo sguardo verso la vetrata, osservando le
prime punte di matita divenute bianche, argento e grigie.
“Relìn!
Insomma!”.
Lishén
saltellò sul letto battendo ginocchia e palmi, il tono
più
alto di prima. L'altra scosse il capo, battendo gli occhi.
“Mnh?”.
Lishén
sospirò sonoramente.
“I Kadrel
ieri hanno detto che oggi ci sarà klekler
selién”
disse.
Anelién si
tirò su a sedere, sistemò le bretelle del pigiama
e
guardò ancora fuori. Le punte di matita blu stavano man mano
diventando violetto chiaro, segnò che Selio era prossimo a
sorgere. Tornò a guardare la sorella minore.
“Mi spieghi
perché dovrebbe essere l'ultima alba?”
domandò
Anelién.
Lishén
abbassò il capo chiudendo gli occhi, con un sospiro.
“Quando
imparerai ad ascoltare?” chiese.
Prese una boccata
d'aria e alzò nuovamente la testa.
“Ieri i Kadrel
hanno detto che oggi ci sarà l'ultima alba perché
arriverà Keish che
distruggerà il pianeta. Per
questo dovevamo guardarla, visto che non ce ne saranno altre”.
Anelién si
stese pesantemente, facendo rimbalzare lievemente la più
piccola.
“E tu mi hai
svegliata per una stupida diceria? Torna a dormire lilìn,
e non venirmi a svegliare prima di colazione”.
La minore gonfiò
le guance, sporgendo il labbro superiore fino a toccarsi il bordo del
naso. Scosse con foga il capo, i capelli rossi le volarono di fronte
gli occhi in una serie di ricci.
“Ma Anelién!
L'hanno detto i nobili!”.
La ragazza si portò
le coperte fin sopra la testa.
“I nobili
dicono una marea di cose Lishén, non per questo dobbiamo
dargli retta”.
Lishén
sbuffò. Si sporse dal letto e facendo leva con le mani
saltò
giù.
“Beh, io
guarderò l'alba e se sarà l'ultima
dovrai darmi
ragione relìn!”.
Anelién
mugugnò qualcosa, rannicchiandosi maggiormente sotto le
coperte e chiudendo gli occhi.
Lishén si
aggrappò meglio al parapetto del balcone, dondolando le
gambe
nude dal ginocchio in giù. Le punte di matita andavano dal
violetto, all'arancione, all'azzurro fino ad alcune che ancora
riflettevano il blu e il bianco della notte. Selio
si alzava
velocemente all'orizzonte. Lishén si sporse guardando
giù,
i capelli rossi ondeggiavano al a ritmo con i suoi movimenti
frenetici. Una massa indistinta di puntini si muoveva nei giardini
del palazzo, le arrivava un fruscio continuo indistinto delle
chiacchiere mattiniere. La bambina tornò a guardare il
cielo.
Poggiò il busto alla ringhiera e alzò una mano
verso
l'alto, il palmo coprì totalmente una delle punte ancora
violette. Provò a prenderla, ma afferrò solo
aria. Si
portò la mano davanti al volto e s'imbronciò.
Tornò
a poggiare entrambi i palmi sulla ringhiera.
“Relìn,
relìn!”.
Lishén
corse verso la sorella. Inciampò, portò le mani
avanti
a coprire il volto e una matita grande quanto entrambi i palmi della
bambina rotolò. Lishén gattonò fino a
prenderla,
si rialzò.
“Relìn!”
chiamò.
Anelién
distolse lo sguardo dal libro, lo portò ad altezza del petto
e
abbassò il capo verso la sorellina.
“Che
c'è Lishén?” domandò.
La
bambina sorrise e mostrò la matita.
“Guarda
Anelién, un pezzo di cielo!”.
La
bionda inarcò un sopracciglio, sistemò una ciocca
di
capelli dietro l'orecchio e sbuffò.
“Non
dire sciocchezze Lishén, le punte del cielo sono molto
più
grandi”.
Lishén
inclinò il capo, facendo ondeggiare i boccoli rossi.
“Ma
relìn, sono più piccole della
mia mano!”
disse.
Anelién
riportò lo sguardo sul libro.
“Perché
sono lontane, tlinì, a vederle da vicino
sarebbero
grandissime”.
Lishén
abbassò il capo sconsolata, osservò la matita che
aveva
raccolto e mugolò.
<
E io che mi sono sforzata di non mangiarla > pensò.
Sentì
una mano sul capo, alzò lo sguardo e vide che
Anelién
aveva poggiato il libro sulla panchina per scompigliarle i capelli.
“Facciamo
così” disse.
Prese
la matita e la batté contro il ferro della panchina. Il
legno
si aprì in due, Anelién prese la mina azzurra e
la
porse alla minore. Lishén sorrise, afferrò
l'oggetto e
se lo portò alla bocca. Ne staccò un pezzo ed
ingoiò.
La maggiore sorrise.
“Un
giorno ti porto a vedere le punte nel cielo così ne mangi
una
vera”.
Lishén
annuì, strinse maggiormente la mina tra le due mani e corse
via a giocare.
Abbassò
lo
sguardo cercando di vedere il sole. Lishén chiuse gli occhi
azzurri, Selio ormai era sorto. Le punte di matita
divennero
tutte azzurro intenso e la bambina abbandonò il parapetto,
tornando con i piedi a terra. Tornò nella stanza e si
issò
sul letto, cominciando a saltarci sopra.
“Anelién,
Anelién, svegliati!”.
La più grande
mugugnò, nascondendosi maggiormente sotto le coperte.
Lishén
le tirò via, rotolò con loro fino a
metà del
letto. Anelién aprì svogliatamente gli occhi
verdi,
allungando le braccia e le gambe per stiracchiarsi.
Sbadigliò,
senza curarsi di coprire la bocca e strofinò le palpebre a
turno.
“Beh? Keish
è arrivato per distruggere tutto?”
domandò.
Si tirò a
sedere sporgendosi sul bordo del letto, facendo un piccolo saltello
per scendere.
“Ancora no”
rispose la minore, incrociando le gambe “Ma probabilmente
sarà
qui a momenti!”.
L'altra sbuffò,
alzando gli occhi al soffitto. Aprì l'armadio a muro e si
alzò
sulle punte dei piedi, afferrando una stampella. Chiuse l'anta e
poggiò i vestiti sul letto.
“Pensa ad
andarti a vestire. Non puoi fare colazione in pigiama”.
Lishén le
fece sonoramente la linguaccia.
“Parla quella
che non si voleva svegliare”.
Anelién le
tirò addosso i calzini che aveva preso dalla cassettiera di
fianco l'armadio. Posò invece la biancheria sul letto. La
minore schivò i calzini, fece un'altra pernacchia alla
sorella
e saltò giù dal letto, correndo via.
Anelién
sospirò. Si tolse la camicia da notte e i pantaloncini che
portava sotto, sfilò l'intimo sporco per mettersi quello
appena preso. Infilò i calzini e si diresse verso la porta
sulla sinistra della stanza. Si mise in punta di piedi piegandosi in
avanti per raggiungere il rubinetto, aprì l'acqua e si
lavò
il viso. Tornò in camera e infilò i pantaloni blu
a
metà gamba, sistemando le tasche con le mani.
Allacciò
la maglia rossa a fascia senza maniche che terminava con un triangolo
che copriva a malapena l'ombelico e la infilò.
Rientrò
nel bagno e afferrò una spazzola e un elastico. Si mise
davanti al grande specchio accanto al lavandino ed iniziò a
pettinarsi i capelli biondi. Si fece una coda di cavallo alta,
pulì
la spazzola e sciacquò il lavandino, prima di rimettere
l'oggetto al suo posto. Chiuse la porta del bagno alle proprie spalle
e serrò la finestra della propria stanza. Uscì e
si
trovò davanti Lishén. La minore alzò
il capo
verso Anelién e sorrise raggiante. I lunghi ricci rossi in
disordine attorno al viso dimostravano che non aveva nemmeno provato
a pettinarsi. Teneva le mani dietro la testa dondolandosi appena, la
lunga maglia viola senza maniche scopriva appena il bordo dei
pantaloni bianchi lunghi fino alle caviglie nude. Le dita dei piedi
si muovevano frenetiche sul pavimento. Anelién
sospirò
sonoramente, scompigliandole ancor di più la chioma fulvia.
Infilò le mani in tasca e si diresse verso la sala da
pranzo,
seguita dalla sorellina.
“Io le punte
nere non le voglio!”.
Lishén
incrociò le braccia, voltando il capo di lato.
“Blaker!”.
Anelién alzò
il capo, smettendo di guardare i disegni del piatto. Prese una mina
di matita gialla dalla punta, la sollevò dal suo involucro
di
legno aperto a metà. Se la portò alla bocca e
morse.
Ingoiò.
“Non dicevi
che sarebbe arrivato Keish? Potrebbe essere
l'ultima volta che
mangi”.
Lishén gonfiò
le guance. Si sporse e afferrò con entrambe le mani il
bicchiere. Bevve fino a svuotarlo, vi infilò il dito e
raccolse la vernice arancione rimasta. La portò alle labbra
e
leccò.
“Odio le
punte nere, sono cattive”.
Scostò il
piatto da datanti a sé.
“Blahak!”.
Anelién
sbuffò. Finì gli ultimi residui della mina
gialla,
prese una sfoglia di mina rotonda marrone con incastonati punte di
pennarelli più scuri. Il biscotto lasciò qualche
briciola di matita nel piatto. La ragazza prese il legnetto giallo
che aveva svuotato della mina e le raccolse, leccandole.
“Le matite
bianche fanno veramente schifo, non quelle nere” disse.
Passò la
lingua sulle strisce colorate della matita. Lishén
guardò
il proprio piatto e fece una smorfia disgustata.
“Le punte nere
fanno più schifo”.
Anelién smise
di leccare la matita, storse il labbo.
“No, niente fa
più schifo delle matite bianche”.
La minore incrociò
le braccia al petto, dondolava i piedi nudi sfiorando di tanto in
tanto con la pianta il bastoncino a metà della sedia.
“Kashek!”.
Lishén fece
la linguaccia alla sorella, voltando nuovamente il capo di lato.
Anelién inarcò un sopracciglio biondo,
sporgendosi
avanti sulla sedia in modo da poter scendere, le punte dei piedi che
sfioravano terra.
“Tlenen”.
Una risata maschile
fece voltare entrambe verso la porta. Lishén sorrise
smagliante, spinse le mani contro il tavolino per scostare la sedia e
balzò giù. Corse incontro al ragazzo, che la
prese in
braccio. Le scompigliò i ricci capelli rossi.
“Sharii,
Lishén” disse lui.
La bambina sorrise,
tenendosi al braccio nudo del ragazzo con entrambe le mani.
“Linia
Delén!”.
Delén
sorrise. Voltò lo sguardo verso Anelién, che
aveva
preso a mordere pastelli a cera verdi, guardando davanti a
sé.
“A quanto pare
non si usa salutare” fece il ragazzo.
La ragazza fece
scrocchiare il colore, spezzandolo a metà. Ingoiò
e
lanciò un'occhiata al giovane.
“Sharii,
Weky”.
Assottigliò
gli occhi smeraldo, sistemò una ciocca di capelli biondi
dietro l'orecchio e poggiò a terra i piedi fasciati dai
calzini.
“Lishén,
scendi di lì. Nonno ti starà sicuramente
aspettando”
disse.
Delén sistemò
meglio la bambina tra le braccia.
“Mi odia
proprio, eh?” chiese lui.
Lishén
ridacchiò annuendo un paio di volte. Anelién
incrociò
le braccia al petto, poggiandosi al tavolino. Fissava la sorellina
che invece guardava Delén con gli occhi azzurri eccitati.
“Sai, Delén!”
disse la minore “Anelién vuole farmi mangiare
matite
nere!”.
Il ragazzo guardò
la bionda, che grugnì stringendo la presa delle braccia
incrociate. Lui soffocò una risata e passò la
mano sul
capo della bambina.
“Oh, che cosa
crudele” fece il ragazzo.
Si frugò
nelle tasche dei pantaloni neri, tirando fuori una bastoncino di
legno rosso, sulla cui cima un blocco rotondo dello stesso colore
fatto d'acquarelli. Lishén lo afferrò e se lo
portò
alla bocca. Anelién scosse il capo e infilò le
mani in
tasca. Si diresse verso la porta, superando i due.
“Dove vai,
milen Melìn?” le chiese il
giovane.
La ragazza si bloccò
voltandosi di scatto verso Delén. La coda le
sbatté
sulle spalle, strinse i pugni e assottigliò le iridi
smeraldo.
“Non chiamarmi
'sposa', plenek!”.
Lishén
spalancò gli occhi azzurri e aprì la bocca in una
smorfia meravigliata, guardando la sorella maggiore. Tolse di bocca
il lecca lecca.
“Relìn!”.
Anelién
grugnì tornando indietro, battendo i piedi sul pavimento.
Afferrò con entrambe le mani Lishén per le
spalle,
tirandola via dalle braccia di Delén. La bambina prese a
dimenare le gambe. Il lecca lecca cadde a terra, l'acquarello si
frantumò e il pennello dal manico rosso rotolò
macchiando le mattonelle.
“Relìn!”
si lamentò Lishén.
La maggiore la mise
a terra, prendendole il polso. Lishén si voltò
verso il
ragazzo, Anelién la trascinò fuori dalla stanza.
Delén
si chinò, raccolse il pennello e si rimise in piedi.
Osservò
le due uscire. Spezzò tra le dita l'oggetto in due, lo
buttò
sul tavolo ed uscì dalla parte opposta alle ragazze.
Anelién
continuò a strattonarla per il corridoio del palazzo fino ad
arrivare alle scale. Lishén afferrò con la mano
libera
la prima sbarra di legno e Anelién si fermò.
“Che c'è?”
chiese.
La bambina gonfiò
le guance.
“Perché
odi Delén?” domandò.
Anelién
sospirò. Si mise seduta sul gradino, lasciando il polso
della
sorellina. Lishén inclinò il capo e
guardò la
maggiore. Questa poggiò le mani sulle ginocchia,
giocherellando con il bordo dei pantaloni.
“Odio i
nobili. E i Principi più dei nobili” disse.
Lishén
camminò fino al bordo del corridoio, saltando sul primo
gradino. Ripeté l'operazione, si voltò e
guardò
la sorella. Inclinò leggermente il capo e batté
le
palpebre.
“Delén
è tuo marito, però. Non si odiano i mariti,
giusto?”
chiese.
Allungò le
dita prendendo un boccolo rosso, lo attorcigliò fin sopra
l'orecchio e poi lasciò che ricadesse fino ai fianchi
insieme
agli altri. Spostò il peso da un piede all'altro.
Anelién
si sporse, sistemandole la ciocca dietro l'orecchio.
“Beh, io lo
odio” disse.
Si alzò,
batté i palmi delle mani contro i pantaloncini.
Tirò il
triangolino di stoffa volante, cercando di allungarlo e coprirsi ma
appena si mosse la stoffa tornò dov'era. Lishén
batté
le palpebre, seguendo con il capo Anelién che cominciava a
scendere i gradini. Scosse il capo.
“Aspettami
relìn!” chiamò,
seguendola di corsa verso
l'uscita del palazzo.
“Ecco a lei
signora Jelén!”.
Lishén salì
sulla cassa di legno rovesciata dietro al bancone. Si mise in punta
di piedi e si sporse, porgendo una scatola da ventiquattro pennarelli
alla donna. Jelén prese l'oggetto e si rigirò la
scatola nella mano, osservando i colori all'interno.
“Senti, cara”
disse, poggiando l'acquisto “Hai tolto il viola? Per i miei
figli, sai”.
Lishén sporse
appena il labbro.
“No signora;
non posso, devo chiedere al nonno”.
La donna afferrò
la scatola di pennarelli e la mise in una busta di carta.
“Non fa
niente, non fa niente” disse.
Frugò nella
stessa busta e tirò fuori dei fogli di carta bianchi alti
ognuno un pollice e rotondi.
“Allora sono
due fogli, vero?” chiese, poggiando le monete sul banco.
“Due e un
francobollo Jelén” disse un uomo.
Lishén si
voltò verso la porta che dava sul retro e sorrise. Scese
dalla
cassetta e corse incontro all'uomo, che le poggiò una mano
sul
capo rosso.
“E dì
ai tuoi figli di imparare a mangiare tutto, se vogliono
vivere”
aggiunse l'uomo.
La donna posò
i fogli e il francobollo sul bancone, voltò il capo stizzita
e
uscì dal negozio senza salutare. Lishén
afferrò
la mano dell'uomo con entrambe le sue. Iniziò a saltellare
sul
posto.
“Bravo bravo
nonnino!” disse.
L'uomo le lasciò
il capo, si avvicinò al banco e ripose le monete nella
cassa.
Sistemò gli occhiali sul naso, si passò una mano
tra i
capelli grigi e sospirò stancamente. Lishén
salì
nuovamente sulla cassetta, alzò il mento per osservare il
nonno. L'uomo sorrise.
“Non farti
ingannare piccola” le raccomandò
“Continua a
crescere e vedrai che qualche bel nobile sposerà anche te
come
tua sorella, così potrete dormire fino all'ora di
pranzo”
aggiunse.
Un cliente poggiò
sul bancone due scatole di matite colorate e una di pastelli.
Lishén
prese da sotto il banco una busta di carta e la porse al cliente, che
vi infilò la sua spesa.
“Ma Anelién
odia suo marito” rispose la bambina.
Prese le monete
lasciate dal cliente, le contò, le mise nella cassa e
annuì.
Il cliente uscì con un cenno di saluto. Il nonno di
Lishén
sospirò di nuovo.
“Con un po' di
schiaffi, ogni marito diventa sopportabile”.
Una cliente
ridacchiò, posando sul bancone due bottiglie di vernice
bianca.
“Signor Khail,
lei è troppo irruento” disse.
Prese la busta che
le porgeva Lishén e vi mise le bottiglie.
“Grazie
piccola” ringraziò la signora.
Khail scosse il
capo, grugnendo. Incassò le monete e porse un francobollo di
resto alla donna.
“Lishén
tra poco si sposerà, qualcuno dovrà dirle come si
trattano i mariti che non ti piacciono” disse Khail.
La bambina batté
gli occhi azzurri.
“Mi sposo?”.
Khail sospirò,
la cliente mise nel portafoglio il francobollo.
“Per le
tempere e gli acquarelli!” esclamò l'uomo.
Sistemò con
una mano i capelli grigi, appiattendo qualche riccio. Tirò
su
gli occhiali, lanciando uno sguardo verso la fila di gente. Due
ragazzi poco più che adolescenti tenevano tra le mani una
scatola di acquarelli e di pennelli, la signora dietro di loro
sistemò meglio le boccette di vernice bianca che tenevano in
mano. Khail tornò a guardare la donna.
“I giovani
d'oggi sono proprio lenti” disse lei.
Sorrise materna e
Lishén poggiò le mani sul banco. Si sporse verso
la
donna e ricambiò il sorriso, le punte dei piedi sfioravano
la
cassa. L'uomo sbuffò.
“Sua madre a
quattro anni era già sposata, lei ne ha il doppio e nemmeno
sa
che deve sposarsi”.
La bambina voltò
il capo verso il nonno, tornando con le piante nude sul legno.
“Io non mi
sposo mai mai. Anelién dice che i nobili sono
odiosissimi”
affermò la minore.
Khail diede due
pacchette sul capo rosso di Lishén.
“Basta
picchiarli un po' ” ripeté l'anziano
“Nobile o non
nobile”.
La donna rise.
“Ha ancora
tempo”.
Mise nella busta di
carta il portafoglio, sistemando la mano nella cavità che
faceva da manico.
“Li picchia
lei al massimo, eh?” chiese.
I ragazzi in fila
alzarono gli occhi, sbuffarono e tornarono a parlare tra loro. La
signora dietro di loro sospirò. Khail sogghignò.
“Ci può
scommettere, signora”.
La donna scosse il
capo, sorrise a Lishén.
“Trovati un
buon marito, o sarà peggio per lui” disse la donna.
Lishén annuì
con convinzione. La cliente ridacchiò e uscì.
Khail
roteò gli occhi azzurri chiari, poggiò la mano
sul capo
della bambina.
“Non avere
fretta” si raccomandò l'anziano.
Lishén
inclinò appena il capo e l'uomo si allontanò,
tornando
nel retrobottega. La bambina si occupò dei nuovi clienti.
Anelién
sbuffò. Sistemò la guancia sul palmo della mano,
batté
gli occhi smeraldo e sistemò una ciocca bionda dietro
l'orecchio.
“... azzurro.
Signorina, mi sta ascoltando?”.
La giovane sollevò
lo sguardo verso l'insegnante. Si mise seduta composta, avvicinando i
palmi tra loro. Guardò il proprio quaderno bianco.
Alzò
il capo verso la donna che sistemò tra le mani il libro.
Anelién sporse in avanti il volto e assottigliò
lo
sguardo, cercando di leggere il titolo coperto dalle dita
dell'insegnante.
< L'Universo e la
storia dei pianeti > lesse mentalmente la ragazza.
Sfoggiò un
sorriso sicuro.
“Stava
spiegando la storia di uno dei pianeti dell'Universo, Plehin,
perché per l'economia di ogni pianeta è
indispensabile
l'altro, anche quelli distanti interi sistemi” rispose.
Poggiò la
schiena sulla sedia, accavallò le gambe muovendo il piede in
piccoli cerchi.
“Di che
pianeta stavamo trattando?” chiese ancora la professoressa.
Anelién portò
la mano a stringere l'elastico. Si tirò più
indietro
sulla sedia e piegò le labbra in una smorfia.
“Beh, il
nostro è il sistema seliano, da Selio,
che dal centro
illumina venti pianeti”.
La donna assottigliò
lo sguardo.
“Ho chiesto di
che pianeta stavamo parlando, signorina”.
Anelién
sorrise. Intrecciò tra loro le dita, strinse le labbra e si
passò la lingua sui denti.
“Ci stavo
arrivando Plehin. Collegati al nostro sistema ce ne
sono
altri. Si dice che siano infiniti, ma in realtà non sono
più
di una decina quelli abitabili. E con l'andare del tempo diminuiscono
sempre di più”.
L'insegnante sistemò
ancora il libro tra le mani, fece il giro della cattedra e si
accomodò. Posò il tomo sul legno, alzò
lo
sguardo verso la giovane e annuì.
“Dei sistemi
che abbiamo studiato, quali sono quelli intoccati?”.
Anelién si
leccò le labbra e deglutì in silenzio.
< Che non
ho studiato > pensò.
Sorrise.
“Come stavo
appunto dicendo, uno dei sistemi intoccati è il nostro. Il
sistema seliano è rimasto escluso dalla serie di catastrofi
che si stanno diffondendo nell'Universo. Anche il sistema Centauro
è
rimasto intoccato, al contrario di molti che vengono subito
dopo”.
Anelién si
morse il labbro all'interno.
< Ce n'era un
altro > pensò.
Prese a schioccare
tra loro pollice e indice del piede che dondolava, ticchettò
le dita sul banco, si sistemò meglio sulla sedia e chiuse
gli
occhi. L'insegnante abbassò lo sguardo sul libro,
girò
pagina tornando a quelle precedenti. Rialzò il capo.
Anelién
spalancò gli occhi.
“Solare!”
esclamò.
La donna annuì
appena.
“Esatto. Di
che pianeta del sistema solare parlavamo?”.
La giovane sistemò
meglio la schiena contro la sedia di legno, facendola strusciare in
avanti per avvicinarsi maggiormente al banco.
< Knì
> pensò.
Sistemò la
frangia dietro l'orecchio, tirò maggiormente su la gamba
accavallata prendendo tra le dita il bordo del calzino per metterlo
dal dritto, lo arrotolò su se stesso in un risvolto. Riprese
a
dondolare la gamba.
< Marte non
accetta scambi con nessuno, quindi lo studieremo per ultimo. Giove
è
disabitato. Plutone lo sta diventando. Il sole? Nah, ha detto
pianeta, quello dovrebbe essere una stella. Che altri pianeti ha?
Uh..Marte, Giove, Plutone..Terra! >.
Anelién mise
entrambi i piedi a terra. Poggiò le mani sulle cosce,
sorrise
e osservò la professoressa negli occhi.
“Stavamo
parlando della Terra, chiamata il 'pianeta azzurro' per la vasta
quantità d'acqua. Gli abitanti infatti non bevono vernice,
ma
una sostanza inodore e insapore. E mangiano gli animali,
perché
non li hanno come i nostri ma di carne. Però mangiano anche
piante, solo che invece di produrre pastelli e cere le loro producono
frutti. Sono i nostri principali compratori, anche se usano i nostri
cibi per altri scopi. Invece di disegnare con i computer infatti lo
fanno sui fogli con i colori”.
L'insegnante chiuse
il libro, prese la penna.
“Bene,
signorina. Le metto sette. Ci vediamo domani, cerchi di essere
puntuale”.
Segnò il voto
sul registro e guardò la giovane. Anelién
annuì,
osservò la donna uscire da dietro la cattedra e dirigersi
verso la porta. La ragazza strinse l'elastico che le legava i
capelli, chiuse il quaderno e lo mise sotto il banco insieme alla
penna. L'insegnante aprì la porta, la lasciò
socchiuse
fermandosi sull'uscio. Anelién spinse avanti il banco e si
sporse. Vide la donna chinare il capo e un paio di capelli mossi nero
intenso.
< Delén >
pensò la ragazza.
In silenzio si alzò
e si avvicinò alla finestra, si girò ancora verso
l'uscio. Le ciocche nere fecero su e giù, la ragazza
tornò
voltata. Si mise in punta di piedi, si sporse e afferrò la
maniglia della finestra spingendola verso l'esterno. Poggiò
le
mani sul davanzale, si diede la spinta e vi poggiò le
ginocchia. Voltò ancora il capo verso la porta, l'insegnante
chinò il capo. Anelién si sporse, tenne le mani
al
davanzale, tese le braccia e le gambe, i piedi sfiorarono terra. Fece
un piccolo salto, chiuse le finestra.
< Adoro la classe
al primo piano > sorrise tra sé.
Camminò tra
l'erba, superò i cespugli e si nascose dietro il tronco di
un
albero. Guardò a destra e sinistra, sentì dei
passi e
si mise al riparo. La guardia di ronda si fermò a due passi
passi dall'albero. Si voltò a destra, a sinistra, fece
cinque
passi e ripeté l'operazione. Anelién si sporse
cautamente, vide la guardia fare il saluto militare, venire
ricambiato da un'altra e poi entrambe proseguirono in direzioni
opposte. Si nascose nuovamente, attendendo.
< Il giro di
ronda delle dieci > pensò.
Contò fino a
venti, si affacciò. Le guardie erano passate.
Anelién
sistemò i calzini, prima di iniziare ad arrampicarsi
sull'albero. Il piede scivolò sul tronco, la ragazza strinse
più forte la presa delle dita, si voltò verso le
finestre chiuse e riprovò riuscendo a trovare
un'incastratura.
Sporse il braccio tendendosi, afferrò il primo ramo e si
diede
la spinta. Cercò l'appoggiò per le gambe, la
caviglia
strusciò e il calzino le scivolò fino al tallone.
Si
graffiò il ginocchio, si morse il labbro e
riprovò
riuscendo a poggiare il piede. Voltò nuovamente il capo
verso
la finestra, spostò lentamente la mano ancora aggrappata al
legno e riuscì a portarla fino al ramo. Assicurò
meglio
le gambe, provò un paio di volte a spingere il ramo verso il
basso, reggeva. Vi salì e controllò le finestre.
Si
mise in punta di piedi, sporse le braccia e afferrò un altro
ramo, si diede la spinta per salirvi su. Ci poggiò le
ginocchia, avanzò a gattoni verso il centro dell'albero e si
nascose tra il fogliame. Alzò lo sguardo, cercò
di
capire se le vedette erano ai loro posti o di ronda nel castello. Le
iridi smeraldo si assottigliarono, sporse il collo verso l'alto,
intravide le torri e piegò la schiena all'indietro,
riuscendo
a scorgere le finestrelle. Spinse sulle punte dei piedi, rimanendo
con le ginocchia piegate e il corpo teso verso l'alto.
< Non vedo niente
> pensò.
Guardò giù,
poi nuovamente in su, non le pareva di scorgere alcuna sagoma in
nessuna delle due direzioni.
< Proviamo >
si disse.
Si mise seduta sul
ramo, osservò il calzino ormai arrivato al bordo delle dita.
Storse il labbro e lo sistemò, facendo con cura i risvolti.
Dopo averlo fatto anche all'altro, aggrappò mani e piedi
all'albero e iniziò a strisciare lungo la corteccia.
Sentì
un bruciore al ginocchio e premette il viso contro la corteccia.
Sputò dei capelli.
< Knek, mi
ero scordata il ginocchio > pensò.
Tese la gamba,
cercando di strusciarla il meno possibile. Arrivò a terra e
sospirò, si guardò intorno e corse fino al muro.
Vi
poggiò le mani, diede la spinta e vi salì sopra.
Si
mise di profilo e fece passare il capo tra le sbarre. La schiena
strusciò contro il ferro, Anelién si morse il
labbro
attenta a non far sfregare il ginocchio sbucciato. Riuscì a
passare dall'altro lato, si mise seduta, saltò
giù e
respirò affondo.
< Finalmente! >
esultò.
Guardò
indietro un'ultima volta e sorrise, strinse l'elastico che le teneva
la coda con le dita, tirò su entrambi i calzini,
passò
le mani sopra la stoffa rossa del top a fascia sistemandolo.
Respirò
nuovamente e iniziò a correre.
“Lelén!
Lelén!”.
Anelién
sorrise e rallentò l'andatura, respirò affondo
l'aria
zuccherata che cominciava ad odorare d'arancia, si guardò
intorno.
“Tua madre è
ai campi di vernice, Anelién” le disse una donna.
Stava immersa fino
alle caviglie nell'acqua, tirò fuori dal liquido un retino
contenente delle matite.
“Mi pare di
averla vista raccogliere il rosso” aggiunse una ragazzina.
Prese dal retino
della donna una matita, la circondò con pollice ed indice e
storse il labbro.
“Sono più
piccole del solito” borbottò.
Anelién
annuì.
“Grazie
mille!” disse.
Riprese a correre,
superò le vasche dove si stavano raccogliendo le matite e
svoltò a destra, passò tra gli alberi di
pennarelli e
pastelli a cera.
“Anelién!”
la chiamò una voce maschile.
La ragazza si fermò,
voltò il capo verso l'alto cercando sulla cima degli alberi.
“Dove guardi?”
domandò ancora l'uomo.
Anelién si
girò all'indietro.
“Ciao zio”
salutò “Pensavo fosse tempo di raccolto”.
L'uomo scosse il
capo e sollevò il braccio, mostrando un tubo verde.
“Ancora no,
quest'anno sono in ritardo”.
Oscillò
l'oggetto che teneva tra le mani, qualche goccia viola
scivolò
sul terreno.
“E lo è
anche la vernice” aggiunse.
Anelién
inclinò il capo di lato.
“Mi hanno
detto che c'è mamma alla vernice”.
L'uomo scrollò
le spalle.
“Forse si è
presa una pausa. Tanto se i pennarelli non devono maturare, non
matureranno nemmeno con tutta la vernice del mondo”.
Anelién
sorrise, annuì.
“Te la vado ad
aprire io, zio” disse.
Salutò con la
mano, tornò a guardare avanti e riprese a correre.
Arrivò
fino ad una staccionata in legno, ci passò sotto e si
guardò
intorno. Prese a camminare, guardando a destra e sinistra per
osservare il lavoro. Innumerevoli figure di donne stavano
raccogliendo dalle pozze la vernice. La giovane bionda si
fermò
incuriosita. I secchi con cui le donne prendevano la vernice erano
già per metà pieni d'acqua.
< Acquarelli >
pensò.
Vide che le
lavoratrici tenevano due secchi per mano e uno sul capo, dirigendosi
verso un casolare da cui proveniva del fumo.
< Un giorno
Lishén dovrà fare una di queste cose >
pensò
la giovane.
Fece scorrere lo
sguardo, cercando sua madre tra la folla di donne al lavoro.
“Stava
raccogliendo il rosso” borbottò tra sé.
Camminò nei
pressi delle pozze, rimanendo in mezzo al percorso in modo da non
intralciare il lavoro delle donne. Passò di fianco al
casolare, vide degli uomini caricare gli acquarelli su dei carri
trainati da una bicicletta. Anelién immaginò la
sorellina alle prese con degli acquarelli e ridacchiò.
< No, lilìn
li mangerebbe tutti e non ce ne sarebbero più >.
Arrivò fino
ai pozzi colorati, delle donne tiravano su il secchio e poi
travasavano la vernice nelle bottiglie che venivano portate su un
altro carro.
“Lelén!”
chiamò la ragazza.
Dei riccioli rossi
si sollevarono, due occhi azzurri osservarono la ragazzina perplessa.
“Anelién!
Dovresti essere con tuo marito!” esclamò la donna.
La guardò
meglio, spalancò gli occhi.
“E cosa hai
fatto a quel ginocchio!”.
La ragazza sbuffò.
Sollevò da terra la bottiglia di vernice e la mise ad
altezza
del bordo del pozzo, in modo che la madre non dovesse abbassarsi.
“Si è
solo sbucciato mamma” disse la ragazza “Tu
piuttosto
dovresti essere a casa, fratellino potrebbe farsi male”.
La donna guardò
preoccupata la figlia, una fitta la colse e si massaggiò il
pancione. Prese tra le mani il secchio e iniziò il travaso.
“Anche quando
aspettavo te e Lishén ho continuato a lavorare e siete nate
benissimo”.
Anelién
storse il labbro, attese che le ultime gocce di colore fossero state
travasate e chiuse la bottiglia. Ne prese un'altra.
“No, Lishén
è nata ossessionata dal rosso” disse.
La maggiore rise
piano. Ripeté la stessa operazione di prima, fino a quando
il
secchio non fu vuoto. Sospirò.
“Solo due
bottiglie con un secchio. La vernice scarseggia”.
Anelién
chiuse la bottiglia. La poggiò a terra, prese il secchio
dalle
mani della madre e lo gettò nel pozzo.
“I pastelli
sono più piccoli del solito e gli alberi non sono maturi,
forse è un brutto periodo” disse.
La donna si sporse
afferrando la corda.
“Anelién,
devi sempre tenere la corda, altrimenti perdi il secchio!”.
“Era tutto
sotto controllo mamma”.
Prese la corda dalle
mani della più grande, iniziando a tirare.
“A proposito,
zio ha chiesto se apri la vernice, non gli arriva”.
La rossa prese a sua
volta la corda, per aiutare la figlia.
“Probabilmente
ha solo un piede sul tubo. La vernice l'ho aperta ore fa”
fece
la maggiore.
Anelién prese
il secchio e lo poggiò sulla pietra cremisi del pozzo. Si
chinò e afferrò una bottiglia.
“Conoscendo
zio, può essere” disse.
La donna guardò
severamente la ragazza, sospirò e iniziò il
travaso.
“Hai mangiato
almeno? È quasi sera” chiese la madre.
Anelién
scosse il capo. Chiuse la bottiglia, la mise a terra e ne prese una
seconda.
“No, vado
prima a prendere Lishén, poi ceniamo insieme. Tranquilla
mamma”.
La donna poggiò
il secchio sulla pietra.
“Vieni a casa
ogni tanto, visto che Delén è così
gentile da
lasciarti uscire da castello”.
La ragazza sistemò
una ciocca bionda dietro l'orecchio, tirò giù il
triangolo di stoffa che le copriva a malapena l'ombelico e
annuì.
“Certo. Tu
invece riposa, o lo dico a nonno. Un altro fratellino fissato con il
rosso non potrei sopportarlo!”.
La più grande
scosse il capo, sospirò. Guardò il cielo, le
punte di
matita erano diventate rosse e arancioni.
“Sbrigati ad
andare da tua sorella. A minuti sarà buio”.
Anelién
sbuffò, infilò le mani in tasca.
“Ho
quattordici anni, sono sposata e lo faccio tutti i giorni. Smettila
di preoccuparti lelén”.
La donna si passò
le mani sui pantaloni bordò, osservò la figlia
dall'alto in basso, le sistemò la frangia bionda e sorrise
materna.
< Eh sì
che ieri aveva due anni > pensò.
“Ci proverò”
disse.
Anelién
sorrise e si alzò sulle punte dei piedi. Schioccò
un
bacio sulla guancia della donna, si voltò e corse via.
“..Poi nonèk
ha detto che picchierà Delén”.
Lishén alzò
lo sguardo, la più grande stava guardando il cielo.
“Mi stai
ascoltando relìn?”.
Anelién chinò
il capo, guardò la più piccola e
annuì. Lishén
gonfiò le guance.
“Non è
vero”.
Incrociò le
braccia al petto.
“Che guardi?”
domandò.
La più grande
sistemò meglio i gomiti sul parapetto del balcone.
Piegò
un ginocchio, poggiò il mento tra i palmi uniti.
“Shanì”
rispose.
Lishén piegò
il capo si lato e si avvicinò alla maggiore,
poggiò le
mani sul parapetto e si diede la spinta, prese a dondolare i piedi.
Guardò la sorella e poi lo stesso punto di cielo.
“Sono proprio
poche” disse la minore.
Anelién
annuì.
“Ehi, Lishén”.
La minore abbassò
il capo verso la sorella.
“Secondo te è
arrivato davvero Keish?” chiese
Anelién.
Lishén batté
le palpebre un paio di volte, spalancò gli occhi azzurri e
aprì la bocca in una smorfia sorpresa. Osservò le
rade
punte nel cielo e di nuovo la sorella.
“Credi che
Keish abbia mangiato le shanì?”
domandò
Lishén.
Anelién
storse il labbro, scosse appena il capo e portò il peso
sull'altra gamba. Una piccola resistenza le ricordò il
cerotto
che aveva sul ginocchio e fu costretta a rimettersi nella posizione
precedente.
“Ma no,
nessuno le mangerebbe, sono troppo grandi. E poi sono
bianche”.
Lishén
assottigliò le labbra.
“E se a Keish
piacciono le matite bianche?” domandò.
Anelién
sbuffò.
“Non dire
sciocchezze lilìn”.
Si scostò
dalla ringhiera, infilò le mani in tasca.
“Andiamo a
metterci il pigiama piuttosto, è ora di dormire”.
La minore osservò
ancora una volta il cielo.
“Io le
mangerei le matite bianche” mormorò.
Saltò, tornò
con i piedi a terra e rientrò seguendo la maggiore. Prese il
bordo della finestra e lo spinse, facendolo sbattere.
Anelién
le lanciò un'occhiataccia.
“Kashek”.
Slacciò il
top rosso e lo poggiò sul letto, portò la punta
del
piede destro a sfilarsi il calzino sinistro e viceversa, si
alzò
togliendosi i pantaloni. Li scavalcò, raccolse gli indumenti
da terra e prese la maglia. Entrò nel bagno lasciando la
porta
aperta.
“Ci sarai!”
rispose la minore.
Lishén
incrociò le braccia. Aprì un cassetto della
bionda e
prese con entrambe le mani la camicia da notte.
“Vatti a
spogliare tlenen!” ribatté la
maggiore.
Anelién tornò
in stanza con i capelli sciolti. La minore le tirò
l'indumento, Anelién si chinò raccogliendolo
prima che
cadesse e Lishén le fece la linguaccia.
“Sbrigati,
sennò non facciamo in tempo per la favola” la
sgridò
la bionda.
Lishén
incrociò le braccia, fece una seconda pernacchia e
uscì.
Anelién sospirò sonoramente. Infilò la
camicia
da notte r sistemò le bretelle corte, prese dal cassetto i
pantaloncini e lo richiuse. Se li mise, tirò giù
le
coperte del proprio letto e sistemò un cuscino verticalmente
accanto a quello orizzontale. Sorrise, tirò nuovamente su le
coperte, osservò un po' il letto e uscì.
Seguì
il corridoio, entrò nella terza porta dal lato sinistro.
Lishén era sotto le coperte, i riccioli rossi sparsi sul
cuscino e le mani a tenere le coperte, gli occhi azzurri aperti.
Anelién si avvicinò, si mise seduta sul bordo del
letto
e sorrise.
“C'era una
volta una bambina che aveva deciso di fare il giro del suo pianeta.
Questo pianeta era tutto azzurro” iniziò a
raccontare.
Lishén
sollevò appena il collo, sistemò il capo sul
cuscino e
poggiò i gomiti sul materasso per tenersi leggermente
sollevata.
“Azzurro?”
domandò.
La maggiore le fece
segno di stendersi.
“Esatto.
Quindi anche lei era tutta azzurra. E mangiava nuvole”.
“Come faceva a
mangiare nuvole?” chiese la minore.
Anelién le
sistemò le coperte, le spostò un boccolo rosso
dietro
l'orecchio e poi si mise seduta meglio.
“Crescevano
nei prati, invece che nel cielo. Perché anche il cielo e il
sole erano tutti azzurri. Solo le nuvole erano bianche”.
Lishén
sorrise.
“Allora vedi
che le cose bianche sono buone?”.
La maggiore roteò
gli occhi.
“Solo le
nuvole” disse.
Lishén gonfiò
le guance, sbuffò fuori l'aria e sporse il labbro.
Anelién
sistemò una ciocca bionda dietro l'orecchio.
“Comunque.
Vagando vagando, trovò una bambina tutta viola. Le chiese da
dove venisse e lei spiegò che si era persa. Voleva fare il
giro del suo pianeta, ma improvvisamente si era trovata in un posto
tutto azzurro. La bambina tutta azzurra le disse che se voleva
l'accompagnava”.
“Ad una
sconosciuta?” domandò la bambina.
“È una
favola Lishén, è ovvio che non si parla agli
sconosciuti”.
La rossa sorrise, si
sistemò meglio stesa, si rannicchiò di lato e
batté
un paio di volte gli occhi. Sbadigliò. Anelién
sorrise.
“Fecero il
giro del pianeta. Incontrarono gente tutta verde, gente tutta rosa e
gente tutta gialla; ma di gente tutta viola nemmeno l'ombra. Le due
bambine non sapevano che fare. Allora chiesero aiuto ad una donna
tutta grigia”.
Lishén
strinse le gambe al petto, chiuse gli occhi e sbadigliò
ancora. Anelién le sistemò le coperte.
“La donna
tutta grigia era una strega cattiva, quindi gli indicò un
luogo tutto nero. Disse che oltre la terra tutta nera c'era quella
tutta viola. Così le due bambine andarono”.
Anelién
guardò la sorellina. Respirava piano. Le sventolò
la
mano davanti agli occhi. Lishén mugolò, si
girò
dall'altro lato e continuò a dormire. La maggiore sorrise,
sistemò nuovamente le coperte della bambina. Le diede un
bacio
sulla guancia e uscì dalla stanza.
“Alla fine
eccoti” disse una voce.
La ragazza si voltò
di scatto.
“Delén”.
Il ragazzo incrociò
le braccia al petto.
“A colazione
mi hai ignorato, sei sparita per tutto il pomeriggio e hai cenato in
camera. Dovevo sospettare fossi da tua sorella”.
Anelién
incassò il capo tra le spalle, strinse i pugni e
portò
un piede all'indietro come pronta a scappare.
“Lishén
non la devi nemmeno percepire, chiaro plenek?”.
Ringhiò.
“Non farei mai
del male a Lishén” rispose l'altro.
Si sistemò
una ciocca mossa nera, passò una mano sulla cintura e
sfiorò
l'elsa della spada, passò le mani sui pantaloni neri.
“E io dovrei
crederti?” chiese la ragazza.
Sfregò i
denti tra loro, nascose maggiormente il capo e le nocche le
sbiancarono per la pressione, sentiva i muscoli tremare.
Delén
fece un passo avanti, la vide indietreggiare e si fermò.
Sospirò.
“Lilìn”
mormorò.
“Come
ti chiami?”.
La
bambina alzò il capo. Un giovane dai capelli neri poco
più
grande di lei le sorrideva.
“Anelién”
disse “E tu?” chiese.
Il
ragazzo le prese la mano.
“Delén.
Weky Delén” rispose.
Le
baciò il palmo. Anelién ritirò l'arto,
ci passò
sopra l'altra mano.
“Che
schifo”.
Si
lamentò, sfregando con forza. Il ragazzino
ridacchiò.
“Alle
ragazze piace” disse.
La
bambina incrociò le braccia.
“Sono
affari loro”.
Annuì.
“Quanti
anni hai Anelién?” domandò lui.
“Cinque
e mezzo. E per il compleanno avrò una sorellina!”.
La
bambina sorrise entusiasta all'idea, si sistemò un ciuffo
biondo dietro l'orecchio.
“Vorrei
anche io una sorellina” disse il moro.
Sospirò
sconsolato, guardò a terra, mosse la punta dei piedi nudi e
sollevò lo sguardo abbozzando un sorriso alla giovane.
“Quanti
anni hai?” chiese Anelién.
Delén
inclinò appena il capo e i capelli neri ondeggiarono intorno
al capo, solleticandogli il mento. Batté gli occhi blu
intenso.
“Quasi
undici”.
Anelién
gli prese la mano, la strinse e sorrise.
“Allora
sarò io la tua lilìn!”.
“Non
chiamarmi
in quel modo plenek!”.
Il ragazzo guardò
la giovane sposa intensamente. Si avvicinò di qualche passo
ancora, allungò il braccio.
“Anelién”
chiamò.
Lei gli schiaffeggiò
la mano.
“Stammi
lontano e non osare più chiamarmi sorellina!”.
Delén aprì
la bocca per protestare, Anelién si voltò e
percorse il
breve tratto di corridoio. Rientrò in stanza e chiuse la
porta
a chiave. Si mise sotto le coperte.
“Non
voglio! Non voglio! Non voglio!”.
Anelién
batté i piedi a terra, strinse più forte i pugni
e
scosse il capo con foga.
“Non
voglio!”.
Delén
sospirò, si passò una mano tra i capelli.
“Anche
io eviterei volentieri lilìn, ma l'ha
detto papà.
Cerca di capire”.
La
bambina scosse con più foga il capo, le lacrime le rigarono
le
guance rosse a causa delle urla.
“No!
No! No! No!”.
Il
maggiore chiuse gli occhi blu, piegò appena il capo
all'indietro e prese un paio di respiri.
“Lilìn,
guarda che una moglie non è tanto diversa da una sorella.
Faremo come non fosse successo”.
Anelién
fermò il capo, tirò su con il naso e
respirò
affondo, singhiozzò un paio di volte.
“Promesso?”
chiese.
Delén
sorrise e annuì.
Anelién
affondo maggiormente il capo nel cuscino verticale.
< Bugiardo >
pensò.
Si rannicchiò,
abbracciò il guanciale e sospirò.
< Sei solo un
bugiardo, frilén >.
Respirò
affondo, adagiò meglio il capo sul cuscino e chiuse gli
occhi.
Le
labbra di Delén sfiorarono le sue. Il ragazzo aveva otto
braccia che la toccavano ad entrambe le cosce, ai lati dei due
fianchi, su entrambi i seni, tra i capelli e sul viso. Si sentiva
sospesa nel vuoto, provò a stringere le coperte ma i suoi
pugni afferrarono aria.
<
Galleggio > pensò.
“Non
preoccuparti lilìn, non
cambierà niente”
disse Delén.
Anelién
socchiuse le iridi smeraldo, una lingua del ragazzo si leccava le
labbra mentre l'altra scandiva le parole.
“Sarai
la milen Melìn, lilìn”
disse.
Il
soffitto sospeso cadde, Anelién ci passò
attraverso e
si trovò in piedi in mezzo al nulla. Delén la
strinse
da dietro con le sue otto braccia.
“Solo
mia”.
Anelién
spalancò gli occhi, respirava affannosamente. Era stesa di
schiena, il capo coperto fin sopra i capelli.
< Incubo >
pensò.
Sospirò,
chiuse gli occhi, sentì la gola secca e ingoiò a
vuoto,
sporse il capo oltre le coperte, provò ancora a deglutire.
< Solo un incubo
> si rassicurò.
Chiuse gli occhi,
poggiò la schiena contro il cuscino in verticale e se lo
sistemò meglio, strusciò il capo sull'altro,
chiuse gli
occhi e si addormentò.
Dizionario.
Selio: Il sole.
Relìn: Sorellona.
Selién: Alba.
Klekler: Ultima.
Lerledemy: Principessa.
Kadrel: Nobile.
Lilìn: Sorellina.
Keish: Mistero.
Blaker: È cattivo.
Blahak: Fanno schifo.
Kashek: Idiota.
Tlenen: Mocciosa.
Sharii: Buon giorno.
Linia: Ciao.
Weky: Principe.
Milen Melìn: Mia sposa.
Plenek: Bastardo.
Plehin: Maestra, Professoressa, Insegnante.
Knì: Merda.
Knek: Cazzo.
Lelén: Mamma.
Nonèk: Nonno.
Shanì: Punte stella; le punte bianche, argento e grigie che fanno da stelle.
Frilén: Fratellone.