Le quattro di notte e ancora non dormo.
C’è qualcosa che mi tormenta e che
vorrei capire, perché sono proprio stanco di stare sveglio a
struggermi.
È qualcosa che ti riguarda, ne
sono sicuro, altrimenti ne avremmo già parlato.
O forse è proprio il fatto che non
parliamo più che mi fa stare male.
Non nel senso che non ci
rivolgiamo più la parola, quello sarebbe impossibile, ti pare Fred? Ma mi sembra
di aver perso la nostra complicità…
Quella che ha fatto di noi quello
che siamo, che ci ha aguzzato l’ingegno per i primi undici anni passati a
litigare come cane e gatto, a voler negare l’evidenza di essere fatti della
stessa pasta, di essere uguali…
Quella che ci ha tenuto in vita,
che ha fatto di noi i migliori amici ai tempi di Hogwarts, quel tempismo, quella
sincronia anche nel parlare, le nostre idee che si completavano a vicenda
diventando ogni volta realtà, le nostre menti che pensavano in fretta come se
fossero una sola macchina perfetta…
Strano sai, ti voglio bene - lo
sai che te ne voglio - ma tra noi c’è sempre stata una barriera invisibile, una
linea di demarcazione impossibile da varcare.
Sarà che ci somigliamo troppo e
che a volte la cosa ci da sui nervi, sarà che sei la persona che mi conosce di
più al mondo, sarà che ormai vogliamo avere delle vite
distinte…
Ma, merda… solo io lo sento questo
vuoto?
“George, la verità è che stiamo
crescendo.” Diresti con quello sguardo divertito, sfottendomi un po’ perché sono
io quello più debole dei due, come hai fatto quando ci siamo trasferiti nel
nuovo appartamento.
Due camere separate, niente più
nottate passate a parlare.
Parlare poi di cosa? Il pensiero
torna sempre lì.
Di scherzi da fare, dei capelli
crespi di quella Tassorosso o dei modi bruschi ma eccitanti di Angelina. La TUA
Angelina.
Chiacchiere, solo chiacchiere
superficiali che potrebbero fare anche due sconosciuti…
Beh, ovviamente a noi riescono
meglio, perché sappiamo ridere di tutto e niente e scattiamo per la stessa frase
a fare collegamenti assurdi che diventano chiari solo per
noi.
Non parliamo più da così tanto,
che non ricordo neanche l’ultima volta che abbiamo affrontato argomenti
seri.
Neanche quando Bill ha rischiato
di morire…
Ce ne siamo stati seduti lì, in
quel infermeria affollata, insolitamente silenziosi con lo sguardo fisso nel
vuoto. Non abbiamo tentato di consolarci. Ognuno era chiuso nella propria
tristezza, una solitudine così simile ed allo stesso tempo così
distante.
Anche noi siamo così, Fred, lo
siamo diventati col tempo.
Mi rendo conto che hai mentito
dicendo che stavamo crescendo, forse non te n’eri accorto neanche
tu.
Dietro tutti i nostri scherzi, le
risate e la facciata impenetrabile dell’esclusività del nostro rapporto, noi
siamo cambiati.
È stato un cambiamento così
graduale che non ce ne siamo resi conto, ci allontanavamo lentamente e lo
abbiamo addirittura trovato piacevole a volte.
Guadagnavamo nuovi spazi, nuove
libertà, nuova privacy, nuovi segreti e perdevamo “noi”.
Non so quando è successo Fred, ma
siamo cresciuti.
Non stiamo crescendo, l’abbiamo
già fatto.
Cresciuti. Participio
passato.
Non siamo più noi a dieci anni,
nella stessa vasca da bagno, a lavarci e giocare con le barchette fino a che si
raggrinzivano i polpastrelli.
Non siamo più quelli che si
rubavano il nome a vicenda, divertendoci a confondere nostra madre nel gioco di
scambiarci.
Non siamo più quelli che al terzo
anno si scambiavano le ragazze solo perché era divertente e perché tanto non ci
avrebbero mai capito come ci capivamo noi.
Siamo
cresciuti.
L’affetto che proviamo l’uno nei
confronti dell’altro è cambiato con noi, si è fatto più duro, più
rigido.
È il calore appena accennato che
proviamo svegliandoci al mattino – io sempre per primo – ed incastrando
perfettamente le nostre azioni giornaliere: i turni per il bagno, quei pochi
minuti di relax a colazione parlando del più e del meno, ridendo come sempre,
prima di renderci conto che siamo in ritardo per l’apertura del
negozio…
E lavarci i denti in quel metro
quadrato di bagno, sputando schiuma bianca a movimenti alternati, guardandoci le
smorfie che facciamo attraverso lo specchio, dandoci gomitate nelle costole
mentre spazzoliamo energici…
Sei tu che mi afferri un polso
dicendomi di muoverci e io che ti spingo via perché è per colpa tua che non
siamo mai puntuali…
Mi rendo conto così tutte le
mattine, in quel contatto che poi non si ripete più durante la giornata, di
quanto siamo cambiati, quanto siamo cresciuti.
Lo sento solo io o te ne sei
accorto anche tu?
Siamo adulti, lo sento nella tua
presa forte, nel fastidio che mi dai toccandomi, nella spallata forte che ti do
per allontanare quel corpo troppo duro e troppo simile al
mio.
Una volta eravamo bambini, eravamo
gemelli.
Ora siamo solo due
fratelli.
Ne abbiamo tanti di fratelli, ma
ancora una volta tra il nostro rapporto e quello che abbiamo con loro – anzi
forse è meglio dire che HO con loro – c’è qualcosa di
diverso.
Abbraccio Ginny, scompiglio i
capelli di Ron, odio Percy, ammiro Charlie, invidio Bill… ma di te Fred? Cosa
direi se qualcuno mi chiedesse di te?
Direi che mi
manchi.
Mi manca come
eravamo.
E la cosa peggiore è che tu sei
qui, come se niente fosse accaduto, mentre io sento la tua
mancanza.
È orribile provare nostalgia di te
ed esserti seduto accanto… è il modo peggiore.
Mi fa sentire così dannatamente
stupido!
Mi alzo da questo letto con il
piumone che mi si attorciglia addosso per il sudore, anche se siamo in autunno e
fuori non fa caldo. Vado in cucina al buio, camminando scalzo. Ormai conosco
perfettamente le geometrie della nostra casa.
Afferro un bicchiere e l’unica
luce che mi ferisce gli occhi è quella del frigorifero quando lo apro per
prendere l’acqua.
Sarebbe facile ora tornare in
camera mia e fare finta di dormire…
Sarebbe facile se solo la mia
stanza non fosse esattamente di fronte alla tua, alla fine del piccolo
corridoio.
Apro piano la tua porta e nella
penombra sento il tuo respiro pesante, vedo le coperte che si alzano e si
abbassano.
Naturalmente dormi, ma per un
attimo ho sperato che fossi sveglio.
Ora dovrei fare dietrofront,
richiudere la porta ed andare a dormire, giusto?
Eppure entro, mi avvicino a te e
ti guardo per un po’. Mi sento così patetico a stare qui al buio a fissarti, con
questa voglia assurda di piangere…
Di solito a questo punto, nei
film, fuori infuria sempre un acquazzone, un temporale con tanto di tuoni e
lampi, in modo che il protagonista spinto dalla paura dei fulmini trovi la forza
di avvicinarsi alla persona più importante della sua vita, che ovviamente lo
rassicurerà corrispondendo ai suoi sentimenti.
Mai che ci fossero di questi colpi
di fortuna nella mia vita, eh? È una notte fredda ma serena, neanche una
pioggerellina stupida a farmi da paraculo…
Così proprio non ho scuse quando
mi sdraio accanto a te sopra le coperte, morendo di freddo e senza osare
muovermi troppo per timore di svegliarti. Magari riuscirò ad andarmene prima che
faccia giorno, tutti questi anni passati ad alzarmi prima di te devono pure
esser serviti a qualcosa…!
Fottutissimo
pensiero…
Neanche il tempo di formularlo che
tu ti alzi di scatto voltandoti verso di me, con lo sguardo un po’
stranito.
< Ah!, George, sei tu…!
>
< Perché? Aspettavi qualcuno?
> insinuo un po’ ironico, giusto per sdrammatizzare questa situazione
impossibile.
Tu sorridi. Io ti avrei già
scaraventato fuori dal letto per avermi svegliato così di soprassalto in piena
notte e senza un motivo apparente.
< Sì, non hai visto che c’è la
fila davanti alla porta? – rispondi tu – Hai preso il numero?
>
< Ah-ah!, molto spiritoso… -
rispondo laconico, prima di alzarmi – Va beh ti lascio dormire… il tuo senso
dell’umorismo fa schifo a quest’ora… >
Riaffondi la faccia nel cuscino e
faccio per andarmene, quando la tua voce mi raggiunge sulla porta, un po’
ovattata.
< George…
>
< Mh? > mi blocco senza
voltarmi.
< è successo qualcosa?
>
Non rispondo, non saprei che dire.
Per la prima volta nella mia vita non sono sicuro che tu possa capire cosa
provo.
Sospiri, nonostante tutto ti sei
accorto che qualcosa mi preoccupa.
< Vieni qui e racconta, su.
> mi ordini, scostando le coperte e facendomi posto nel letto, come quando
eravamo piccoli.
Mi stendo di nuovo al tuo fianco,
immobile guardando il soffitto, mentre attraverso il piumone sento il tuo calore
notturno avvolgermi e coccolarmi un poco. Tu te ne stai prono un po’ più in là,
le braccia sotto il cuscino, il viso assonnato e stanco verso di me aspettando
che cominci a parlare, entrambi inconsciamente attenti a che i nostri corpi non
si sfiorino.
< Cosa c’è che non va? >
chiedi ancora.
< Niente, va tutto troppo. –
rispondo sentendo le lacrime bruciarmi per uscire, perché non dovrei dirti certe
cose – Il problema è che va in una direzione che non mi piace…
>
Corrughi leggermente le
sopracciglia, tenendo gli occhi chiusi perché è troppo faticoso aprirli, e
cerchi di interpretare quello che ho appena detto.
< Stiamo parlando del negozio?
>
Scuoto la testa, non credo davvero
che potrei pugnalarti in questo modo, forse dovrei tornare in camera mia e
soffrire da solo.
< Stiamo parlando di Angelina?
> ritenti, sapendo che avevo una cotta per lei e di avertela taciuta quando
vi siete messi insieme. Con lei non abbiamo mai fatto il gioco dello scambio, ci
conosce entrambi troppo bene per non distinguerci ed ha preferito
te.
< Lascia perdere, stupidi
pensieri della notte. Domani li avrò già dimenticati. > dico e scivolo fuori
dalle coperte, dandomi mentalmente dell’idiota.
Dovevo capirlo dall’assenza del
proverbiale temporale che la mia iniziativa non avrebbe avuto buon
esito.
< Non fare lo scemo. – dici
afferrandomi il polso in quel gesto che ormai dovrebbe essere entrato a far
parte del nostro nuovo modo di essere gemelli – Torna qui e spiegati.
>
Mi divincolo, le nostre forze si
equivalgono come sempre. Il tuo sguardo ora si è fatto preoccupato, ma dovresti
essere abituato anche tu ai nostri nuovi gesti, no?
< Cosa diavolo ci succede? Una
volta parlavamo di tutto, non ci saremmo mai comportati così… > è stata la
tua voce a parlare, non la mia.
Ti sei alzato di colpo,
completamente sveglio e seccato dal mio comportamento, strillandomi addosso e
stringendo i pugni fino a sbiancarti le nocche.
< Siamo cresciuti, Fred. –
rispondo serio, stupendomi del tono freddo che ho adottato e solo ora mi rendo
conto di cosa sto per fare. – Siamo diventati due persone distinte, non era
quello che volevi? >
Dove sono finiti i propositi di
poco fa? Quelli sul soffrire in silenzio?
Voglio ferirti, fratello
mio.
Voglio farti sentire un po’ di
quel male che provo.
Ed ancora ti sto volendo bene,
perché nella mia improvvisa crudeltà ti sto dando il permesso di odiarmi, di
darmi la colpa di tutto.
Sbarri gli occhi nel buio, ora lo
sai.
< è… è questo che pensi? –
balbetti incredulo – Credi che io ti voglia allontanare?
>
Abbasso lo sguardo. La verità mi
fa troppo male e dire ad alta voce quello che penso non farebbe altro che
rendere tutto più reale.
< George?! >
C’è una nota stridula di panico
quando pronunci il mio nome, lo stesso terrore che ho provato io poco
fa.
< Siamo cresciuti. > ripeto,
senza guardarti.
< Smettila di dirlo! > urli
afferrandomi per le spalle e scuotendomi, come se così facendo potessi estirpare
questa convinzione.
Simili anche nel voler negare
l’esistenza del problema… così però non si va da nessuna
parte.
< Ehi! Succede! – dico,
afferrandoti a mia volta per i gomiti mentre la tua presa non si allenta. –
Infondo tu sei molto più bravo di me a cavartela da solo… >
Sono… sono lacrime
quelle?
Dai Fred, non fare così… sono io
la vittima qui! E poi siamo cresciuti, ricordi?
Merda!
< Ci facciamo schifo, non vedi?
– continuo cercando di farti capire – Evitiamo di affrontare gli argomenti
importanti… di litigare… persino di toccarci… Ci fa schifo il modo in cui siamo
cresciuti, in cui siamo diventati adulti! >
E non so se lo fai solo per
smentire le mie parole o se il tuo ragionamento è stato uguale al mio e sei
arrivato alla stessa conclusione, ma sta di fatto che lo
fai.
Tu hai il coraggio di farlo perché
sei più forte di me, anche se stai piangendo, anche se ti ho
ferito.
Mi abbracci e dici < Mi manchi,
George. >
Merda,
merda!
Ecco, ora piango anch’io…
Fantastico!
< Mi manchi anche tu, Fred.
>
Che ne è della nostra barriera?
Del limite dell’affettività? Del fastidio fisico?
Lo abbraccio. Che altro posso
fare?
Se la situazione fosse invertita
vorrei che mi abbracciasse, che facesse di tutto per dimostrarmi che lui non è
lui, che io non sono io, ma che siamo ancora noi e che possiamo continuare a
parlare al plurale.
Ci abbracciamo come da bambini,
quando facevamo la pace dopo una litigata, dopo uno “scusa” quasi
ringhiato.
Ma non c’è nessuna scusa, non
abbiamo fatto la pace, e non siamo più bambini.
Siamo uomini ormai, chiusi in una
stanza buia, che hanno paura di accorgersi che sono soli, che hanno paura di
rinunciare alla parte migliore di loro stessi…
Perché, inutile girarci intorno,
la mia parte migliore sei sempre stato tu.
< Io non voglio più crescere…
> ti lamenti sul mio collo, senza neanche provare a
lasciarmi.
< Io non ho mai voluto… >
rispondo stringendoti, ci facciamo quasi male.
< Resti un po’ con me? >
chiedi, come se avessi paura che la mia risposta sia no.
< Sotto le coperte però… - dico
allentandoti un pochino – Stanotte fa un freddo cane… >
Sorridi, passandoti le dita sugli
occhi per cancellare le lacrime. Dio!, quanto sembri un bambino quando fai
così…
Merda… senza neanche rendermene
conto sto facendo la stessa cosa!
Ci infiliamo nel letto e siamo di
nuovo abbracciati, tu completamente addosso a me, con la testa sulla mia spalla,
troppo vicino per qualunque fratello…
Ma Fred, tu non sei mio fratello,
spero te ne renda conto. Non sei neanche un ragazzo della mia età per quanto mi
riguarda.
Sei come un secondo cuore che
batte accanto al mio, che ho bisogno di sentir battere.
Lo stai pensando anche tu,
vero?
< Sì… > rispondi con la voce
già impastata dal sonno.
Non siamo uguali, siamo una cosa
sola, lo siamo sempre stati e dobbiamo continuare ad esserlo… perché senza di
te, Fred, io non sono solo la metà…
Senza te, non sono io.
Grazie per aver letto e lasciatemi una recensione se vi va.