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Autore: Starfantasy    22/04/2012    0 recensioni
Chiudi gli occhi e concentrati. Wilson, concentrati, per favore. Niente chiacchiere. Viaggiare non è così facile come credi, e non diventerai invisibile in un batter di ciglia.
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Anna Portman sa quello che fa. Le hanno dato istruzioni precise e le ha imparate, nel corso degli anni. Ma la morte apparentemente naturale del suo datore di lavoro, nonchè suo più grande amico, la costringerà a rifare tutto da capo. E ad avere a che fare con Wilson, che "non ha intenzione di dedicarsi alle idee assurde che portava avanti suo fratello, non importa se glielo chiede una ragazza così carina".
Ma in mezzo ci sono un bel po' di soldi, che potrebbero sempre fargli cambiare idea.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due


Open Up Your Eyes

 






 
Aspettai seduta di fronte al portone per circa mezz’ora, pensando esattamente a cosa dire e a cosa avrei potuto ricevere come risposta, costruendo ipotesi su come avrebbe reagito alla notizia di essere improvvisamente diventato miliardario, per poi passare a chiedermi perché diavolo non fossi io quella miliardaria, ma a questo trovai risposta in fretta. Per lo stesso motivo per cui ero io quella che riempiva file criptati e non Nathan.
Alle cinque e un quarto la lunga Cadillac nera fece il suo ingresso nel parcheggio della villa. Mi alzai dal tavolino, posai appunti e borsa e presi un lungo, profondo respiro. Mi sistemai gli occhiali sul naso, pregando che fossero ben puliti perché non avevo intenzione di presentarmi mentre li pulivo con la manica della giacca, controllai che la gonna non avesse pieghe dal gusto improbabile e le calze non si fossero immotivatamente strappate e mi decisi ad andare incontro all’ospite e futuro padrone di casa. Quello che vidi non fece che confermarmi che il mio intuito era il mio migliore amico.
Subito dopo Jimmy, fu un uomo a scendere. Vestito con un paio di jeans, una maglietta e una giacca di pelle nera. Il che sarebbe anche andato bene, non fosse che era indubbiamente, e sottolineo indubbiamente, più vecchio di me di diversi anni. Poteva averne una trentina. Mi sarei aspettata un certo portamento da un uomo della sua età, soprattutto vista la famiglia a cui apparteneva. E soprattutto non potevo tollerare il fatto che portasse i capelli lunghi. Ma non dovevo essere prevenuta, e dovevo concentrarmi, perché adesso avevo seriamente bisogno di seguire il mio filo logico mentale per fare un discorso che avesse un inizio diverso dalla fine, ma possibilmente collegato.
“Signor… Carter.” ero partita malissimo. Non tanto per il ‘signor’, che a quanto pare non gli piaceva, quanto per il cognome. Ero abituata ad usarlo con una persona totalmente diversa da lui. “Spero che il viaggio sia stato confortevole.” conclusi, allungandogli la mano.
“Immagino di parlare con Anna Portman.” sorrise, stringendo la mano che gli porgevo. La sua stretta di mano, al contrario di quanto mi aspettavo, mi piacque. Ferma, sicura. Simile a quella di Nathan. Sentii lo stomaco stringersi in un attacco di nostalgia, ma non lo lasciai trapelare. Il mio schema, dovevo ricordarmi il mio schema.
“Anna Portman.” annuii. “Se vuole seguirmi all’interno, possiamo andare nell’ufficio e parlare con più calma.”
“Preferirei stare all’esterno, se non le dispiace.”
Mi guardai intorno. Lungo il viale che precedeva la villa c’erano diverse panchine, ma non mi sembrava il caso di stare seduti fianco a fianco. Più in là c’era il tavolo su cui avevo lasciato la borsa, ma era a due passi dall’ingresso e anche da Sasha, che si stava prendendo cura dei cespugli di rose. C’era il gazebo, non lontano, ma sapevo che Pierre era da quelle parti ed era meglio non disturbarlo in questo periodo.
“Mi scusi, sarebbe meglio se…”
“Ok, ok, ho afferrato. La seguo, faccia strada.”
Percorremmo il vialetto alberato fino alla villa, dove lo sentii fischiare ammirato. In effetti, la villa nel complesso faceva il suo effetto. Era una costruzione antica, ma perfettamente ristrutturata e mantenuta. L’entrata dava su un piccolo spiazzo con un tavolino, dal quale recuperai la mia borsa prima di salire la scalinata che portava all’entrata. Lo feci entrare prima di me, poi chiusi la porta.
“Lei vive qui?” chiese d’un tratto, guardandosi intorno come se l’avessi portato su un altro pianeta. Stavo per rispondere, ma non ebbi nemmeno tempo di iniziare la frase.
“Anna, proprio te cercavo! E’ appena arrivato un messaggio dal…” Becky, una delle cameriere, ci raggiunse con un’insolita allegria, e mi lasciai scappare un sorriso. Era una persona bassa e paffutella, con i capelli argentei e due guance rosse che sembravano estraniarsi dal resto del viso quando era felice. Vedere tanta voglia di fare chiusa in quella insensata divisa era… buffo.
“Becky, questo è Wilson Carter, il fratello del signor Nathan.”
“Signor Nathan?” mi fece eco lui.
“Scusaci, Becky. Abbiamo delle cose davvero urgenti di cui parlare.”
“Certo, capisco. Informerò quando la cena sarà in tavola.”
“Ti ringrazio.”
“Ciao, Becky.”.
Sentii Becky ridacchiare mentre raggiungevo la cima delle lunghe scale di marmo che portavano al piano di sopra.
Non potevo credere che un tipo così avesse accettato di farsi portare da un estraneo in un auto scura fino ad una destinazione non specificata che distava tre ore di viaggio. Contando poi che quello sconosciuto era Jimmy White detto ‘Big Jim’, c’era davvero da credere che questo individuo fosse un po’ troppo ottimista.
Raggiunsi lo studio dopo aver attraversato tutto il corridoio del primo piano, spinsi la porta ed entrai. La luce calda dell’esterno faceva spiccare l’odore del legno di cedro che rivestiva sia le pareti che il pavimento. I tacchi delle mie scarpe producevano un suono incantevole su quel parquet. Mi sentii abbastanza fiduciosa per sedermi dietro alla scrivania, sulla grande poltrona di pelle che era stata riservata a Nathan ma in qualche occasione avevo avuto modo di…
Mi schiarii la voce, riportando i miei pensieri su una corrente più adatta alla situazione.
“Si sieda, signor Carter.”
“Wilson va bene.”
“Veramente non sarei della stessa opinione.” risposi d’un fiato, sfruttando l’occasione per iniziare a parlare di cose serie. Chiusi con una mano il portatile, su cui ancora lampeggiava il punto rosso del trasmettitore di McDover City. “Come le ho detto, è stato suo fratello a chiedermi di contattarla.”
“Ah, avrei dovuto immaginare che non fosse solo per chiedermi di uscire.” non trovavo la battuta in alcun modo divertente, ma sorrisi appena, per cortesia. Mi tirai qualche ciocca di capelli dietro le orecchie e unii le mani di fronte a me, sulla scrivania.
“In ogni caso, prima mi ha chiesto se questa è casa mia. In un certo senso, sì. Ma questa casa è proprietà di suo fratello Nathan.”
“Nathan vive qui?” vidi la sorpresa e la meraviglia nella sua espressione, e anche qualcosa di diverso, forse ammirazione. Decisi di rendere le cose il meno difficili possibile per entrambi.
“Nathan viveva qui.” dissi, interrompendo il suo flusso di pensieri prima che si esaltasse troppo. “Suo fratello è… deceduto due giorni fa, signor Carter.”.
Mi aspettavo rabbia, tristezza, negazione… e invece rimase zitto. Mi fissò per quasi mezzo minuto, forse cercando di capire se facevo sul serio.
“E mi ha fatto venire fino a qui per dirmi questo?”
“Non solo per questo, in realtà…”
“Signorina… Anna, non vedo mio fratello da quasi dieci anni e lei mi fa fare un viaggio di tre ore per dirmi che è morto?”
“Non è solo questo.” risposi, scandendo bene le parole. “Credo sapesse che suo fratello portava avanti la tradizione di famiglia.”
“Non so nulla di quelle tradizioni. E non ne voglio sapere nulla. Quand’è il funerale?”
Ancora una volta, mi colpì una fitta allo stomaco.
“Non ci sarà un funerale. Il corpo è stato seppellito nel cimitero privato della tenuta. E’ stata svolta una cerimonia privata.” eravamo in cinque, più il parroco, che era l’unico a non piangere, a parte me. Io non piangevo in pubblico, mai.
“Che cosa?” a questo rispose con la rabbia. Si alzò di scatto, buttando giù la sedia ed alzando la voce. “Mi viene a dire che l’avete seppellito senza che potessi… vederlo? Perché sono qui?”
“Si tratta del suo testamento.”
“Poteva chiamarmi prima di leggerlo. Magari… magari mi sarebbe piaciuto salutare l’ultima persona della mia famiglia prima che fosse sepolta. Cosa vuole che mi importi del testamento?”
“Sono venuta a sapere della sua esistenza soltanto quando ho letto il testamento di… del signor Nathan. Mi dispiace.” dissi tutto in fretta, mettendo in chiaro che non volevo essere accusata di nulla e che dovevamo cambiare discorso, e in fretta. “Tutta la villa e i terreni le appartengono, ora. Questa non è casa mia, ma casa sua.”.
Fece qualche passo per la stanza, in silenzio. Sapevo che stava cercando di calmarsi e di mettere ordine nei suoi pensieri, e quasi mi dispiaceva sapere anche che il peggio doveva ancora venire.
“Torni a sedere, per favore.” chiesi, con il tono più pacato possibile. “Ci sono altre cose di cui devo parlarle.”
Mi lanciò uno sguardo che per un attimo mi fece quasi paura. Non furente, ma qualcosa di molto vicino. Poi però sembrò rilassarsi, ovviamente senza perdere l’apparenza da motociclista di cattivo umore, di quelli che ti fanno accelerare il passo se li incontri per strada. Si sedette, fissandomi negli occhi, aspettando che continuasse. Aveva le labbra strette in una linea sottile, gli occhi socchiusi che lasciavano appena intravedere due orbite scure.
“So di cosa vuole parlare. La risposta è sì. Faccia cosa vuole con la casa, può tenerla. Voglio solo un po’…”
Smise di parlare quando mi misi a ridere, ovviamente fuori luogo.
“Non voglio la sua casa, signor Carter.” dissi, cercando di ricompormi. “Né i suoi soldi. Io ho bisogno di lei, in persona. Questo è quello che mi ha chiesto suo fratello.” feci una pausa, valutando come proseguire. Sembrava stupito, probabilmente non si aspettava una notizia del genere, così come non me l’aspettavo io quando lessi che Nathan voleva che contattassi un presunto fratello di cui non mi aveva mai fatto parola, in vita. E io e lui ci conoscevamo piuttosto bene, abbastanza da sentirci liberi di parlare di quello di cui avevamo voglia di parlare. Fare una scoperta del genere mi aveva lasciata perplessa, e anche delusa. “Dobbiamo parlare di quelle tradizioni di famiglia.”
“No, no. Io non voglio entrare in quel giro, sono tutti pazzi esaltati.” alzai lo sguardo e aspettai che vedesse il mio mezzo sorriso. “E lei ne fa parte.” disse in effetti, lasciandosi andare ad un sospiro.
“Ovviamente sì, altrimenti non sarei io a parlarle. Come sa, la tradizione è portata avanti dalla famiglia, e ora lei è l’unico membro rimasto per svolgere questo compito.”
“E se non volessi farlo?”
“Perderebbe l’eredità che le ha lasciato suo fratello.” a questo, scosse la testa e sorrise, facendo un sibilo che stava per un ‘me lo aspettavo’ non espresso. “Posso immaginare che questo sconvolga i suoi piani per il futuro, non immagina come ha sconvolto i miei. Ma è necessario che lei accetti.”
“Il fatto è che io non ho piani per il futuro. E gradirei non averli ancora per un po’. Sto bene come sto, non voglio vivere in una villa con un giardino…”
“Parco.”
“Quello che è. Non voglio un parco grande come Central Park, mi basta la mia moto, che, tra le altre cose, ho dovuto lasciare a McDover e spero di poter recuperare al più presto.”
“Non ci sono problemi, per questo. Possiamo recuperarla quando vuole, così come i suoi bagagli, che vedo non ha portato.”
“Non ce ne sarà bisogno. Io non accetto.”.
Detto questo, si alzò e fece per uscire, lanciandomi un’occhiata prima di varcare la soglia per capire se avevo intenzione di lasciarlo andare così. Ovviamente no, e se ne accorse da solo quando Big Jim lo trascinò di nuovo nell’ufficio.
“Questo si chiama sequestro di persona.”
“Deve darmi il tempo di spiegarle di cosa si tratta.”
“So di cosa si tratta!” urlò, riuscendo miracolosamente a divincolarsi da Big Jim, a cui feci cenno che andava tutto bene, poteva andare. “Si tratta di fesserie come viaggi astrali, invisibilità e cose simili. Cose assurde a cui possono credere solo degli idioti.”
“Non le permetto di insultare in questo modo il lavoro che suo fratello ha portato avanti.” alzai la voce, sentendomi insultata in prima persona. “Non so nemmeno io perché abbia scelto di affidare un incarico così gravoso a lei, invece di consultare qualche famiglia di quelle sparse nel mondo che possiedono il dono, ma questo è quello che ha fatto. Le sue ultime volontà sono che io le parli di questa tradizione, e io voglio onorare la sua memoria. Al contrario di lei, che a quanto pare non ha nemmeno intenzione di provarci.”
“Non mi convincerà a provare a diventare invisibile o a levitare.”
“Io non ne sarei così sicura.” mi alzai. “Mi segua.”.
Lo sentii sbuffare mentre uscivo dallo studio e scendevo di nuovo le scale. Percorsi il lungo corridoio che iniziava al di sotto di esse ed entrai nel salotto privato, quello a cui gli ospiti non avevano accesso. Lo feci entrare e chiusi la porta a chiave, prima di avvicinarmi alla scrivania e premere il pulsante che era invisibile a chi non sapeva della sua esistenza. E infatti il signor Wilson si spaventò non poco quando una lastra del pavimento non lontana da lui cominciò a scivolare da un lato, rivelando delle scale che scendevano nel buio. Non gli diedi tempo di commentare e gli feci segno di precedermi.
“Devo preoccuparmi?” chiese, facendo allusioni palesemente fuori luogo.
“Deve ritenersi fortunato. Non molti possono vantarsi di essere stati nel luogo dove la sto portando.”
“Capisco…” ridacchiò.
“Sia serio, per favore. E attento all’ultimo gradino, è più basso degli altri.”.
Inutile dire che non ci fece attenzione e rischiò di irrompere nella stanza con molta poca grazia. Tirai fuori la chiave che tenevo legata al collo ed aprii a porta che ci stava di fronte. Le misure di sicurezza non erano mai abbastanza.
Sapevo bene che quello che avrebbe visto l’avrebbe stupito. Aveva lasciato stupita anche me la prima volta, e ancora mi toglieva in fiato tutte le volte.
Era una specie di lago sotterraneo, con l’acqua di un azzurro cristallino e tanti pesci rossi che nuotavano al suo interno. Dritto di fronte a noi, una piccola cascata lo alimentava, riempiendo la stanza di un rumore che a me metteva un po’ di inquietudine. Ma non era il lago la cosa più spettacolare. Tutto sopra di esso, seguendo uno schema intricato e apparentemente casuale, si distendeva una struttura di ponti di legno e pietra, che sorreggeva a sua volta tavoli e librerie, illuminati da lanterne. Era una specie di biblioteca sotterranea dall’aspetto suggestivo e misterioso, che aveva dell’incredibile. Questa era la prima sorpresina che pensavo avrebbe avuto un effetto notevole su di lui. E in effetti era stato zitto a guardarsi intorno, ed era un buon risultato.
La seconda sorpresina richiedeva un po’ più di impegno da parte di entrambi, ma, se potevo fidarmi di Nathan anche nelle sue ultime volontà, l’avrebbe obbligato a non rifiutare.
“Strabiliante, non è vero?” dissi a bassa voce. “Nathan mi ha raccontato che la vostra famiglia l’ha costruita quasi duecento anni fa. Ma non farti ingannare dall’aspetto estetico: in caso di pericolo, questa è una trappola mortale. In modo che i segreti della casa e della dinastia vengano sepolti con i rispettivi proprietari.”
“Affascinante.” rispose, senza farmi capire se fosse sarcasmo oppure no. “Mi ha portato fin qui per farmi vedere i pesciolini?” si riscosse, dedicandomi appena uno sguardo, per poi passare di nuovo ad osservare la biblioteca.
“Ovviamente no. Laggiù” dissi, indicando un tavolo affiancato ad una specie di poltrona verde scuro. “c’è qualcosa che vorrei che leggesse.”
Mi seguì sopra i larghi ponti e le scalette che conducevano al luogo desiderato, senza fiatare. Probabilmente i ‘pesciolini’ avevano già fatto metà dell’opera. Mi diressi sicura ad uno scaffale quasi vuoto della libreria più vicina al tavolo e presi due quaderni. In realtà, uno dei due era una mia aggiunta, ma ero sicura che avrebbe sortito un effetto migliore.
“Questo quaderno è il mio lavoro. Quando suo fratello viaggiava o faceva esperimenti, io ero incaricata di prendere appunti e segnare tutto quello che succedeva. Poi insieme mettevamo ordine negli avvenimenti e scrivevamo questo altro quaderno.” glieli porsi entrambi, e sembrò sinceramente interessato. Aprì il primo e lesse qualche parola, per poi passare al secondo.
“Non si capisce niente di quello ch c’è scritto qui.”
“Quel quaderno è scritto in codice. Contiene informazioni estremamente importanti, solo io e Nathan sapevamo decifrarlo. Ora sono solo più io.”
“Che tipo di informazioni sono?”
“Informazioni che non è autorizzato a conoscere.”
“Oh, andiamo. Mi ha portato fin qui, non mi dica che sono autorizzato ad esserci.” si buttò sulla poltrona verde, in un modo che mi ricordò terribilmente il modo di fare di Nathan.
“Nessuno le garantisce che io non possa ucciderla, se decide di non accettare.”
“Non voglio offenderla, ma non credo ci riuscirebbe mai.” rise.
“Non mi provochi.” sorrisi, cercando di lasciare trapelare che facevo sul serio. “Facciamo così, le propongo un patto.” girai attorno al tavolo ed andai a sedermi dall’altra parte, di fronte a lui. Si rialzò dalla posizione eccessivamente rilassata che aveva assunto, sedendosi più avanti ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Sentiamo.”
“Lei resta per una settimana. Fa quello che le dico io, quando glielo dico io. Se alla fine dei sette giorni ritiene ancora che si tratti di fesserie, è libero di andarsene. Ovviamente senza eredità.”
“Molto conveniente, per me.”
“Accetta?”
“Devo pagare qualcosa per stare qui?”
“A parte un po’ di tempo e concentrazione, no.”
“Allora ok.” non ci pensò nemmeno su. “Ma voglio riavere la mia moto.”
Speravo solo che la cosa funzionasse.
   
 
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