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Autore: Lily White Matricide    26/04/2012    9 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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34.

Little Talks

 

“Why is it that when we talk to God we’re said to be praying, but when God talks to us we’re schizophrenic?” 

Lily Tomlin

 

Lucius Malfoy era stato educato a parlare solo quando strettamente necessario. E nella nobile famiglia Purosangue, vantarsi era considerato, nella misura opportuna, un’ottima attività dove l’oratore doveva essere in grado di mostrare tutta la sua abilità nel non risultare pedante, pesante o fastidioso alle orecchie dei propri rispettabili interlocutori.

Era un’abilità che aveva richiesto anni di esercizio attento ed inflessibile, sotto la sorveglianza del severo padre, Abraxas Malfoy, che sosteneva che prima di imparare a parlare e ad intervenire in una discussione, bisognasse ascoltare il silenzio.

“Ma padre” obiettò l’allora adolescente “Il silenzio è...”.

“Un oceano di suoni impercettibili, inascoltati dai maghi comuni” replicava con sussiego l’uomo altero, interrompendo bruscamente l’osservazione del figlio. 

“Il silenzio è una melodia per pochi eletti. Prima di parlare, bisogna saperlo ascoltare”.

La rigida educazione all’eloquenza in casa Malfoy passava per quel primo rigoroso precetto. Le ore passate ad ascoltare quello che suonava come il nulla più assoluto avevano reso Lucius una persona più calma, un ragazzo che aveva rifiutato gli svaghi superficiali dei suoi coetanei, per concentrarsi su ciò che riteneva veramente vitale alla propria sopravvivenza e a quella della sua nobile famiglia. Quell’inesprimibile nulla che lo circondava, mentre rimaneva chiuso in una stanza a riflettere, rispettando le disposizioni di suo padre, nascondeva dei rumori, ed erano poi diventati suoni molto più comprensibili. Giorno dopo giorno erano divenuti familiari, intellegibili, parte della quotidianità del giovane rampollo. Aver compreso, studiato ed esplorato l’Oceano del Silenzio - come l’aveva ribattezzato il padre - significava essere pronti per fare un passo in avanti in quella società di maghi che andava imbarbarendosi ogni giorno di più; quella comunità aveva perso il valore della parola autentica, permettendo che prima s’imbastardissero i vocaboli, per poi passare alla propria cultura, arrivando ad ammettere Nati Babbani e simpatizzanti per i non-maghi nel mondo magico; per non parlare di Hogwarts e l’insegnamento della Babbanologia. Albus Silente, che non aveva nulla in contrario ad ammettere maghi e streghe Nati Babbani, anzi, non era visto di buon occhio nella nobile casata Purosangue. Né lui, né tutti coloro che avevano tollerato una simile apertura del mondo magico.

Lucius si era gettato con un certo entusiasmo in quel mare confuso di frequenze, di oscillazioni di suoni, di rumori, che erano le voci altrui. Aveva imparato a trovare la frequenza a lui congeniale, a destreggiarsi in quel groviglio di voci simili alla sua, che cercavano come lui qualcosa che li rendesse superiori a tutti gli altri. Si era trovato a suo agio in mezzo ai Mangiamorte, a Lord Voldemort ed ai suoi perfidi ideali.

La malvagità richiedeva una certa intelligenza ed una notevole dose d’impegno e Lucius si era applicato a praticarla con solerzia. Essa non era mai casuale come l’idiozia che spingeva ad agire dei casi persi, senza talento e senza acume. L’idiozia, si diceva, era tale e quale a quel gioco stupido con il quale erano soliti dilettarsi i giovani e sciocchi maghi nel tempo libero, ovvero la Pignatta Magica. I partecipanti, rigorosamente bendati, dovevano cercare di colpire con la propria bacchetta magica, attraverso un innocuo incantesimo, una pignatta di stoffa, che si muoveva per la stanza. Talvolta aveva le sembianze di un leprecauno, a volte di un goblin, altre volte di un piccolo unicorno. Ma era solo grazie ad una buona dose di fortuna che si riusciva a colpire l’oggetto incantato, facendolo diventare un mucchio di caramelle e di dolci di Mielandia. La ricompensa veniva sempre gustata con avidità e soddisfazione. 

Ecco, l’idiozia era propria di quei due ragazzetti che aveva di fronte a sé, Mulciber ed Avery, che si muovevano incerti e impacciati quella sera, cercando di compiacere in tutte le maniere lui, presente a quell’insulsa e vana festa fatta di pigro ed ozioso chiacchiericcio. A volte colpivano accidentalmente l’obiettivo, come quando erano riusciti a torturare e spaventare la SangueSporco; altre volte lo mancavano clamorosamente, facendo più danni che altro, come la volta in cui avevano lasciato la Strillettera nella Sala Comune di Serpeverde.

Quanto lo irritava il loro ciarlare privo di arguzia e di efficacia! Era così palese che fossero lì solamente perché Lumacorno aveva avuto il buon cuore e l’accortezza di accoglierli presso il proprio Lumaclub. Erano fastidiosi, pertanto l’uomo cercò di rabbonirli con qualche frase di circostanza, specie quando chiedevano di poterlo vedere. E con quell’espressione tremante e smozzicata, intendevano proprio esprimere il desiderio di incontrare Lord Voldemort.

Manco fosse una celebrità da teatrino di bassa lega!” si era detto il mago, sorseggiando il proprio liquore - un’Acquaviola raffinatissima proveniente dalla Provenza, a detta dell’insegnante di Pozioni - e guardando con un certo disprezzo i due Serpeverde che tentavano disperatamente di fare un passo in avanti nella loro traballante carriera di Mangiamorte. 

Lord Voldemort se lo sarebbero dovuti guadagnare.

Lucius Malfoy continuò ad osservare i giovani presenti nello studio, e si concentrò su uno in particolare, e non era altro che Sev. Lily si era spostata, ascoltando la preghiera del proprio ragazzo di stare lontano da quel viscido uomo biondo, e si mise a parlare con due ragazze del sesto anno.  

Quel Serpeverde taciturno sembrava vagare per altre frequenze, per altri mondi, guardando ciò che lo circondava con una certa indifferenza, ammesso che dietro quegli occhi neri non bruciasse il sacro fuoco dell’astuzia e della curiosità morbosa. Non parlava, ma ascoltava molto gli altri, con quell’aria composta, seria e tranquilla, e ciò colpì molto Malfoy, dato che alla sua età lui non aveva minimamente placato i bollori e gli entusiasmi dell’adolescenza. Rimase impressionato, pertanto si decise ad avvicinarsi a quel giovane mago quieto, nella speranza di non essersi illuso dell’enormi potenzialità che aveva intravisto.

Si alzò, decidendosi ad accomodarsi accanto al ragazzo, dato che si era liberato un posto, ma prima finì il calice di liquore, e si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo.

Severus comprese che era finalmente giunto il momento di lasciare da parte qualsiasi esitazione, dato che ogni parola sbagliata l’avrebbe allontanato dall’obiettivo e avrebbe complicato la vita all’Ordine della Fenice.

Decise di rompere il ghiaccio, salutandolo cortesemente.

“Buonasera, signor Malfoy” lo accolse asciutto, appoggiando le mani sulle ginocchia, lievemente tremanti. Non doveva mostrarsi tremante o titubante.

“Buonasera, ragazzo” rispose Lucius, tendendogli la mano, invitandolo a presentarsi.

“Severus Piton” si presentò il giovane seccamente. L’uomo si poté così accomodare accanto a lui.

Sev avvertì il battito del cuore accelerare e per qualche attimo se lo sentì in gola. Lanciò un’occhiata verso Lily, come per accertarsi che lei fosse al sicuro, intanto che il si scervellava su come potesse proseguire la conversazione con il nemico che si sarebbe dovuto ingraziare. Per un attimo pensò di non essere in grado di ingannare le persone a sufficienza. Forse era solo capace di piccole innocenti bugie, di nascondere le cose agli altri per tenersele dentro di sé, ma mentire per gli altri era tutta un’altra questione. Per fortuna, la smania di parlare dell’uomo accanto a sé gli venne in soccorso.

“Severus, è vero che sei il miglior pozionista del corso?” chiese il giovane uomo, rilassandosi ed appoggiando la schiena sul morbido schienale. Lumacorno gli aveva parlato molto del proprio brillante studente, lanciandosi in lodi sperticate ed entusiaste.

Il territorio era decisamente a lui familiare: quale migliore occasione per sfoggiare la classica umiltà dello studente modello, che così facendo non fa altro che riscuotere ancora più ammirazione da parte degli altri?

“Non si finisce mai di imparare nella sottile arte delle Pozioni. La strada per diventare il migliore è molto lunga e richiede molto studio, anche al di fuori di Hogwarts”.

“Sei soddisfatto di quello che ti stanno insegnando, Severus?”.

Forse intendeva se fosse soddisfatto di come gli stessero insegnando le materie. Il ragazzo intuì, spaventandosi un po’ di come la sua mente elaborasse quella conversazione ad una velocità vertiginosa, che rispondendo in maniera corretta a quella domanda, avrebbe potuto aprire un’ulteriore porta, avvicinandosi al proprio obiettivo.

Prese un sorso d’acqua, cogliendo l’occasione per meditare ancora qualche istante sulla risposta.

“Non tanto a dire il vero”. Touché. Lucius Malfoy raddrizzò la schiena e gli lanciò un’occhiata interrogativa che lo esortava a continuare.

Sev prese coraggio ed alzò un braccio, muovendolo leggermente, come accompagnamento alla propria spiegazione. 

“Voglio dire, sembra che si possa imparare molto di più che qualche banale incantesimo di difesa, o una pozione d’amore o portafortuna, qua ad Hogwarts... Ho quest’impressione che si punti a formare dei maghi mediocri, non eccezionali”.

Malfoy arricciò le labbra deliziato. Quel giovane Serpeverde voleva di più e lui avrebbe fatto carte false per poterlo avvicinare a quel grande pozzo di sapienza che il Signore Oscuro era pronto a mettere a disposizione a qualsiasi mente promettente. 

“E dimmi, Severus, non ti sembra che questa mediocrità nell’insegnamento sia dovuta a delle presenze... Diciamo inopportune?”.

Lily. I maghi Nati Babbani. I SangueSporco, per i Mangiamorte e Lord Voldemort. 

Severus capì subito dove volesse andare a parare. Merlino, si disse, se quello era un modo per strappargli di bocca che tutti i SangueSporco dovessero sparire dalla faccia del mondo magico, allora Lucius Malfoy si era sbagliato di grosso, perché Severus non avrebbe mai detto quella parola, neanche sotto tortura.

“Cosa intende per presenze inopportune?” chiese con artefatto candore Severus, in modo tale che Lucius si esponesse ancora di più.

“Intendo maghi che non hanno una secolare discendenza come la mia famiglia, ma che hanno origini più umili”.

“I Nati Babbani?”.

Noi - “Noi chi?” si chiese Severus, pensando che Lucius Malfoy alludesse ai fedeli di Lord Voldemort - li chiamiamo con un nome più appropriato, ma vedo che hai inteso. Comunque, è a causa loro che non si insegna più la magia come una volta, da quando alcune menti poco lungimiranti hanno deciso di ammettere anche loro ad Hogwarts. Loro non hanno la conoscenza di tante piccole sottigliezze e finezze che noi Purosangue ci tramandiamo da generazioni, di padre in figlio. Loro non sanno cosa voglia far parte del mondo magico a tutti gli effetti, i S... Loro, non sanno che significhi vivere tutti i giorni in un mondo a parte”.

Severus annuì con aria grave, pensando che, forse, non se la stesse cavando così male.

“Certo, naturalmente. Quindi bisogna accontentarsi di imparare poche cose per volta, pur sapendo che si può imparare molto di più”.

“E noi - “Ancora quel noi! Accidenti a lui!” imprecò mentalmente il ragazzo -” disse Lucius, abbassando lievemente la voce, comunque protetta dalle conversazioni altrui “Possiamo insegnarti molto di più, possiamo offrire molto altro ai Serpeverde ambiziosi come te”.
“Un momento” lo interruppe Severus, con uno strano ghigno in volto, come quello di colui che sa di avere la situazione in pugno “Che cosa glielo fa pensare che io sia ambizioso?”. Incrociò le braccia con fare sicuro e si sentì nella posizione di lanciare un’occhiata di sfida al mago.

“Andiamo, Severus, hai quell’ambizione pura che solo gli appartenenti alla casa di Salazar Serpeverde possiedono. Vuoi di più, vuoi essere superiore a questa massa di maghetti senza avvenire. Te lo si vede in faccia”.

Quello era indubbio, essere il migliore di tutti faceva parte della natura di Severus, a prescindere dalla purezza del proprio sangue. Lucius stava seguendo la traccia giusta per arrivare alla trappola che il ragazzo gli aveva teso, ed era certo che Lucius stesse pensando di mettere il giovane con le spalle al muro. Gli stava dando solo un grosso aiuto ad esporsi ancora di più, ad avvicinarsi a quella buca nascosta dove la tagliola ben aperta era pronta a scattare.

“Certo che lo voglio: esigo di più ed il meglio dalla magia. E’ parte di me” disse con un sorrisetto sprezzante.

Lucius si avvicinò all’orecchio di Severus e si coprì la bocca per evitare che qualcuno potesse percepire quanto stava per dire. Il ragazzo cercò di non scomposi, anzi, apparve piuttosto calmo.

“Sai che il Signore Oscuro può darti molto di più di tutto questo. Pensaci, prenditi qualche giorno per rifletterci su. Ti sto offrendo l’occasione della vita”.

Sev deglutì, cercando con lo sguardo Lily, pregando che non si stesse voltando e che non lo guardasse dritto negli occhi con sguardo preoccupato.

“Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?” esitò Severus, guardando il proprio interlocutore intensamente.

“Non usare nomignoli ridicoli che solo i codardi affibbiano a Lui, hai capito di chi sto parlando. Credi che mi accontenti di un banale impiego al Ministero come faccio credere a tutti questi studentelli attorno a te?” ribatté piccato Lucius.

“Lei mi sta facendo un’offerta molto pesante...”. Severus cercò un po’ di temporeggiare, ma leggeva l’impazienza e l’attesa negli occhi dell’uomo, che sembrava estremamente soddisfatto di aver trovato un nuovo adepto per Lord Voldemort.

“Io ti sto offrendo il nettare più raffinato e dolce: quello del potere assoluto. Una volta che lo assaggi, non ne puoi fare a meno. Ne vorresti bere ancora di più”.

Severus rispose prontamente: “Ma se bevuto in quantità eccessive, questo nettare, può portare a spiacevoli mal di testa”. Non sapeva neanche come avesse potuto mai pensare ad una replica simile, ma Lucius parve ancora una volta colpito dalla sua prontezza e dall’incisività delle sue parole. Forse, era un dono che quel giovane uomo non aveva mai avuto, e per questo, si sentì punto nel vivo.

“Ti dico solo di darmi una risposta, non di perderti in morali da pochi soldi, ragazzo” lo apostrofò, richiamandolo all’ordine.

Tra i due calò un silenzio greve. Severus necessitava di riprendere le energie per maturare una risposta convincente, l’affondo finale che avrebbe posto fine a qualsiasi questione od esitazione. Non poteva tentennare o mostrarsi insicuro, non in quel momento delicato.

“A chi posso far sapere della mia decisione di seguirvi?”.

“A Mulciber o ad Avery” rispose, quasi distrattamente, guardando i due individui che si guardavano attorno nervosamente, profondamente a disagio in quell’ambiente a loro così estraneo “E manda un gufo all’indirizzo che ti farò pervenire: non mi fido troppo di loro, meglio rimanere in contatto diretto”. Detto questo, Lucius sorrise deliziato e si congedò da Sev, che gli strinse la mano farfugliando qualche parola di commiato. Seguì l’uomo con lo sguardo e vide che parlottò brevemente con Lumacorno, per poi avvicinarsi ai suoi due compagni di casa, per poi non vederlo più nel campo visivo.

Severus guardava la stanza e vedeva le bocche altrui muoversi come se da esse non provenisse alcun suono. Era esausto, aveva dato molto di più di quello che avesse ritenuto possibile. Col senno di poi, non era stato molto complicato, aveva giocato a suo favore quel fascino e quella curiosità verso le Arti Oscure, tenuta bene a bada, ma l’ansia di sbagliare qualcosa lo aveva tenuto in agitazione fino all’ultimo. 

Si sentiva tutto sommato contento, perché sentiva di aver dominato una volta per tutte il drago che lo divorava, che per anni lo aveva incitato a passare al Lato Oscuro della magia. Non gli aveva mai più voluto parlare, aveva compiuto grandi sforzi per ignorare la sua voce suadente, promettendosi che, prima di parlare nuovamente a quella voce nella sua testa, avrebbe fatto di tutto per domare il suo istinto malvagio che lo divorava da sempre.

Ci era riuscito. Ora poteva nuovamente parlare con la bestia, in una maniera del tutto nuova: era saltato sul dorso del drago e poteva comandarlo a suo totale piacimento, avendone in mano le briglie del comando. Non aveva in mente altro che un ordine: fare terra bruciata attorno a Lord Voldemort ed ai suoi fedeli con quella creatura domata ed ammansita.

Nel momento in cui si sentì completamente padrone di se stesso, Lily si voltò a guardarlo, con sguardo apprensivo e sinceramente preoccupato. Sev le regalò un raro sorriso, non troppo radioso, ma rassicurante. Non poteva andare meglio.

 

“O’ Mordha. O’ Mordha. Moore?”.

Lily si ripeteva mentalmente quelle parole, scritte su un pezzetto di pergamena da Emmeline, che le aveva tradotto in breve tempo le rune incise sul ciondolo. La mano destra scarabocchiava pigramente su un foglio poco distante, riportando con la piuma quelle parole misteriose che risuonavano nella mente della ragazza, mentre la mano sinistra toccava il ciondolo che aveva al collo, debitamente nascosto sotto il maglioncino. Il pendente le arrivava all’altezza dello sterno e se lo toccava con le dita, tastandolo con leggerezza e delicatezza. 

Un estraneo avrebbe detto che la Grifondoro soffrisse di frequenti mal di stomaco, a giudicare da quel gesto, ma Severus, che era seduto davanti a lei in quel grosso tavolo della biblioteca di Hogwarts, sapeva la verità ed accennava ad un sorriso ogni qual volta la vedesse fare così. Stava scrivendo un lungo tema riguardante le Maledizioni nella magia dell’Antico Egitto e come difendersi da esse, con una certa serenità e soddisfazione. Aveva liquidato in poco Mulciber ed Avery, che erano diventati le sue ombre e che, nei giorni seguenti all’incontro con Lucius Malfoy, non avevano fatto altro che tartassarlo di domande. Non gli avevano dato pace, e l’aiuto nei compiti di Pozioni e Trasfigurazione non erano diventati altro che occasione di chiacchiere circa Malfoy, i Mangiamorte e le Arti Oscure. Poi, continuavano a chiedergli se si fosse deciso ad unirsi a loro una volta per tutte. Il ragazzo temporeggiava abilmente, continuando a consultarsi quasi quotidianamente con il Preside, affinché si creasse un’attesa spasmodica e anche un po’ teatrale. Nel frattempo, di notte, al sicuro nel suo giaciglio, Severus preparava accuratamente la pergamena da inviare a Lucius Malfoy.

Lily continuava a meditare su quel cognome in gaelico irlandese. Che fosse la forma antica del cognome della famiglia di sua madre, quello era fuor di dubbio. Ma non pareva mai sazia, continuava a volerne sapere di più. Dunque gli antenati esistevano davvero, e a quel punto, immaginò, dovevano essere sepolti da qualche parte in Irlanda, magari in qualche pittoresco cimitero abbandonato pieno di croci celtiche nascoste da folte piante rampicanti. Avrebbe dovuto chiedere a Miranda dove si trovasse il luogo di sepoltura degli Evocatori, ammesso che ce ne fosse uno uguale per tutti. In caso contrario, scandagliare palmo a palmo l’Irlanda sarebbe stata una scelta impraticabile e molto dispendiosa, senza contare il fatto che Lily era ancora minorenne e non poteva viaggiare in solitudine e in libertà totale. Coinvolgere Maeve in quella sorta di esplorazione, poi, sarebbe stato come permettere ad una granata di innescarsi e di esplodere, facendo danni ovunque.

Appoggiò la piuma nel calamaio e posò la mano destra sulla superficie del tavolo, e tornò agli impegnativi compiti di Erbologia, che comportavano lo studio delle proprietà dei muschi della tundra siberiana in un capitolo di un enorme tomo scritto da un folle mago russo, Boris Borisovic Kamenev, che aveva passato una vita solitaria nei luoghi più freddi del pianeta, nel tentativo di classificare tutte le sparute forme di vita vegetali di quei posti. Di quel volume ne esisteva un solo esemplare nella biblioteca della scuola, ed era sempre molto richiesto dagli studenti, dato che non era più acquistabile nella libreria di Diagon Alley da un paio di decenni.

Sev allungò una mano e toccò appena le dita della ragazza, in segno d’affetto, e anche per richiamarla ai suoi doveri. Lily, per tutta risposta, sorrise e allungò un piede verso quello del ragazzo. Prima toccò ripetutamente la punta della scarpa, per poi scivolare verso il fianco del piede, strofinandolo con delicatezza e gentilezza. Severus non si mosse e lasciò che la ragazza esprimesse il suo affetto ed il suo bisogno di attenzioni in quella maniera particolare, continuando a concentrarsi - un po’ a fatica - sulle parole da utilizzare nel tema assegnatogli. 

A Lily piaceva fare la parte della ragazza desiderosa di carezze e di cure da parte del ragazzo che amava, e talvolta aveva l’incredibile faccia tosta di farlo nelle situazioni più imprevedibili ed impensate. Era anche un modo indiretto per ottenere qualche incoraggiamento da parte di Severus, quando le cose si facevano più difficili.

Continuò a leggere attentamente il capitolo di Erbologia, appuntandosi le informazioni essenziali su una pergamena, godendosi il tacere degli altri studenti, il piacevole scricchiolio delle piume sulla carta ed il rumore delle pagine sfogliate ad intervalli più o meno regolari. Continuò a strofinare il piede contro quello di Severus, in attesa di una risposta che non accennava ad arrivare.

“Ma guarda, ecco chi aveva il libro che tanto cercavo!” esclamò una voce a loro fin troppo familiare. Lily e Sev alzarono di scatto la testa e Sev istintivamente strinse il piede della ragazza tra i suoi due, in modo che non scivolasse indietro. Lily sobbalzò sorpresa da quel gesto improvviso e protettivo.

“E guarda caso, cercavi proprio questo libro, eh, Potter?” sibilò di rimando la ragazza, che appoggiò la mano sopra le pagine del grosso volume, per far capire a Potter che non se lo sarebbe portato via molto facilmente. Assieme a James, c’era pure Remus, pallido e dall’aria stanca e provata. Rimase piuttosto in disparte, lasciando che Potter interloquisse con gli altri due.

“Mia cara - Severus strinse ancora di più il piede della ragazza, stringendolo tra il collo delle caviglie - studio anche io, altrimenti non sarei arrivato al quinto anno” osservò il Grifondoro con un sorriso sornione. 

“Vedere te studiare, Potter, è un evento, renditene conto. Non mi meraviglio che faccia più freddo del solito” ribatté Lily piccata, senza guardarlo, intenta a proteggere il libro.

“Evans, qual è il tuo problema con me?” chiese Potter, cercando di sedersi accanto a Lily, ma venne fermato da due sguardi decisamente ostili.

Esisti” disse secca la ragazza, chiudendo di scatto il libro e portandolo lontano da Potter. Severus continuava a stringere il piede di Lily, talmente forte che la ragazza sentì la circolazione quasi fermarsi, facendole sentire un lieve formicolio sotto pelle. Ma vi era un’affermazione decisa, in quel gesto: tu appartieni a me. E non le dispiaceva affatto.

Remus intervenne, prendendo per una spalla l’amico.

“James, lasciali in pace e vediamo di non fare troppo rumore in biblioteca”. Il ragazzo si voltò di scatto, sorpreso da quell’inaspettata presa di posizione.

“Da quando in qua proteggi Mocciosus e la Evans?” gli chiese acido. Severus aveva voglia di alzarsi in piedi e di farlo volare via con un incantesimo. Odiava essere chiamato Mocciosus e non sopportava di essere umiliato così di fronte a tutti.

In quel momento ebbe un’illuminazione: poteva farlo volteggiare in maniera ridicola a mezz’aria, se solo avesse inventato un incantesimo apposito. Era in grado di farlo ed aveva sempre voluto cimentarsi nella creazione di nuovi incantesimi. Rimase calmo e composto al proprio posto, ma ribolliva di eccitazione all’idea che presto quel ragazzetto viziato avrebbe ricevuto il trattamento che si meritava da sempre.

“Sono un Prefetto e rientra nei miei compiti richiamare anche te all’ordine” spiegò calmo e pacato Remus, guardando intensamente Lily, che ricambiò lo sguardo con gratitudine. Lei non aveva dimenticato la sera in cui l’aveva aiutata e non aveva nulla contro quel ragazzo, che pareva molto differente dagli altri tre Malandrini.

“Io ho tutti i diritti a richiedere questo libro a lei, e lo avrò!” esclamò stizzito il ragazzo, sistemandosi nervosamente gli occhiali.

“Non essere sciocco: ha tutti i diritti a finire di studiare, poi te lo potrà dare. Non c’è bisogno di essere così prepotenti”.

Potter alzò le mani in segno di resa e borbottò: “Bene, dato che sembrate tutti alleati contro di me, andrò a comprarmi una copia di questo libro a Hogsmeade, dato che ne possiedono una in vendita a quindici galeoni. Per fortuna che i miei mi hanno mandato un po’ di soldi”. Detto questo, si toccò la tasca piena di galeoni scintillanti e tintinnanti con soddisfazione, e si allontanò di lì. Remus guardò Lily come per chiederle scusa, ma a quel punto Severus, abbastanza alterato, alzò lo sguardo e bruscamente lo invitò a lasciare la biblioteca una volta per tutte. 

“Vai a vantarti delle tue ricchezze altrove, pallone gonfiato” disse Lily, mentre vedeva James allontanarsi da lì con l’amico. La ragazza sbuffò e riaprì il libro con un gesto potente, facendo voltare gli altri studenti poco lontani da loro.

“Non avete mai visto una ragazza sbattere un libro dalla rabbia!?” esclamò stizzita Lily, fulminando tutti con lo sguardo. I presenti si affrettarono a tornare a scrivere e a leggere, prima che Madame Pince potesse intervenire con la consueta severità.

Sev teneva ancora bloccato il piede di Lily, ma lei non parve protestare, anzi. 

“Devo lasciare il tuo piede libero, o mi scaglierai un Petrificus Totalus se me lo tengo stretto ancora un po’?” ironizzò Sev. La Grifondoro lo guardò e ridacchiò.

“Lo sai che non potrei mai. Poi chi mi sopporterebbe se tu rimanessi pietrificato?”. Gli occhi verdi di Lily brillavano nella luce fioca della biblioteca, illuminata dalle torce dalle fiamme un po’ deboli per gli occhi degli studenti. Non aiutavano nemmeno le ampie finestre vicino ai tavoli, dato che erano fatte da vetri opachi, per evitare che gli studenti si potessero distrarre durante lo studio. Le meraviglie della Scozia, talvolta, erano più preferibili di un lungo trattato di pace tra Goblin e maghi dopo una battaglia del 1300, o di un capitolo dedicato alla lettura del palmo della mano per predire il futuro.

“Non sei da sopportare, tu sei da...” esitò, guardandosi attorno. Apprezzare? Non era la parola più adatta. Ammirare? Non era calzante. “Da amare” sussurrò in un attimo. Lily capì e il volto s’illuminò di un sorriso solare. Si beò di quelle semplici parole, apprezzando quelle brevi conversazioni con il proprio fidanzato.

“Tu mi ami, Sev?” chiese lei, dopo qualche attimo di silenzio, intanto che scriveva le proprietà di un’erba dal nome impronunciabile. Sentì le guance arrossire e diventare più calde per quella domanda che non aveva mai osato porre. Sapeva che Sev l’amava, glielo aveva detto sempre in biblioteca qualche mese prima, ed era certa di ricambiarlo, ma non le era mai capitato di chiederglielo in maniera così diretta.

Il ragazzo ci pensò su per qualche istante, e mentre annuì sereno, lasciò andare il piede di Lily.

 

Arrivando da Dublino, attraversando il Mare d’Irlanda, se si puntava con la prua della nave alle coste settentrionali dell’Isola di Anglesey, l’Albero della Vita si sarebbe visto sin da cinque, sei miglia marine di distanza. Anche se, da quella distanza, agli occhi di un mago, l’Albero sarebbe apparso come un ologramma, una visione, suggerita dalla propria resistenza più o meno buona al mare cattivo. Infatti, a partire da quella distanza, per proteggere la baia di Cemlyn e la Confraternita degli Evocatori, il mare si agitava sempre e comunque, scatenando potenti correnti e onde, non solo nei confronti delle sparute navi Babbane che vi transitavano, scoraggiandole ad avvicinarsi alle coste frastagliate dell’isola, ma anche verso i maghi che vi si avventurassero con le loro piccole imbarcazioni magiche. Non era possibile Materializzarsi e Smaterializzarsi nell’area della baia e della vicina laguna di Cemlyn: l’unico punto sulla terraferma che fosse mai stato messo a disposizione dei maghi visitatori occasionali era presso il piccolo villaggio di Tregele, a due chilometri di distanza da dove si erano stabiliti gli Evocatori nei secoli precedenti. Ovviamente, i maghi che avevano preso accordi con i Maestri della Confraternita, godevano di speciali permessi e Passaporte per Materializzarsi all’interno dell’esteso villaggio.

Chiamarlo villaggio forse non era il termine più appropriato, perché Mile Droichead sembrava in agglomerato di tanti piccoli isolotti, strutturati a loro volta come dei giardini pensili. Questi isolotti, circondati da mura in pietra grigia, venivano collegati tra di loro da innumerevoli ponti di diverse dimensioni, ed era per questo che il luogo era stato ribattezzato “Mille Ponti” in gaelico. Per il mago abile a sufficienza da poter volare con la propria scopa, dall’alto, quella specie di gemma incastonata tra la terra e l’acqua sembrava avere la forma di una stella a cinque punte, o un’enorme foglia, i cui collegamenti e strade apparivano come delle sottili e lievi venature. La strada principale di Mile Droichead, la Via della Purificazione, partiva dal livello più basso del villaggio, a ridosso della laguna, per poi salire vertiginosamente, in una lunghissima scalinata fatta da migliaia di gradini stretti e pieni di muschio ed erbacce, soprattutto per la prima parte di scalinata che era oscurata da porticati, e dai ponti che collegavano i livelli superiori; infine, la scalinata arrivava alla cima di tutta la città-fortezza, ovvero il Tempio. Il prode scalatore - il più delle volte un giovane Evocatore che doveva salire per intero la sterminata scala per poter accedere agli insegnamenti e allo studio dell’Arte Arcana - veniva ricompensato con una splendida vista di tutta l’isola, dall’enorme spiazzo lastricato di pietre colorate. Nelle giornate più limpide e terse, poi, si aveva l’impressione di dominare il mondo intero, dato che si poteva vedere senza alcuna fatica il resto del Regno Unito e si poteva vedere persino l’Irlanda, distante un’ottantina di miglia marine. L’altezza del tempio era vertiginosa, ma non arrivava mai a superare la chioma dell’Albero della Vita, da lì ben visibile, non più un indefinito ologramma.

Lo si poteva vedere in maniera chiara e distinta, senza doversi preoccupare di nessun battello incantato sbatacchiato dalle onde. E si aveva la percezione che fosse così reale e vivo, soprattutto in primavera, nei mesi di aprile e di maggio, quando l’enorme Albero dava vita a tanti piccoli fiori sulle tonalità del rosa, del bianco e del glicine. I fiori, agitati dal vento primaverile, si staccavano dai rami, sfaldandosi in tanti piccoli petali, e volavano ovunque, sospinti dalla corrente d’aria più calda e meno fredda del solito. Arrivavano a Mile Droichead, invadendo con il loro profumo dolce, ma mai ostinato, le abitazioni dei maghi, le stradine ed i vicoli della città. Si immergevano nella laguna, s’infilavano nei nidi delle numerose specie di uccelli che popolavano la baia di Cemlyn. Ma quando arrivavano verso la spiaggia un po’ sabbiosa e un po’ pietrosa, viaggiando tra le alte pareti che la proteggevano, resistendo da centinaia di migliaia di anni alle sferzate di vento e di acqua salata, i petali si trasfiguravano in tante piccole conchiglie. I pochi coraggiosi Babbani che si avventuravano da quelle parti, per pescare o per fare foto alla flora ed alla fauna del posto, non dovevano sapere dell’esistenza di un Albero prodigioso, di un Albero che reggeva le sorti del mondo magico e di Nove Mondi dell’Oltrevita. Quindi, i fiori di quell’enorme pianta magica divenivano innocue conchiglie, dalle sfumature color pastello, ed erano divenute piccoli oggettini da collezione, tra i Babbani ed i rari turisti, che una volta ritornati a casa li rivendevano a caro prezzo, mettendo da parte un considerevole gruzzolo.

Gabriel Lynch vedeva quel paesaggio mozzafiato da molti decenni. Lo aveva visto per innumerevoli primavere, estati, autunni ed inverni, in tutte le condizioni possibili, e l’unica cosa attorno a lui che non fosse mai mutata era proprio l’Albero, ed era vitale che non cambiasse nulla nell’enorme pianta millenaria. Le vite potevano scivolare via, come l’acqua che scorreva nei piccoli canali della città-fortezza, potevano evaporare, bruciare per un attimo, come sterpaglia che prende fuoco all’istante, o ardere lentamente come le ceneri che attendono l’ultima secchiata d’acqua prima di spegnersi per sempre e diventare una poltiglia nerastra indefinita, ma quell’Albero non avrebbe mai dovuto perdere un solo ramo, una sola gemma. Era ciò che consentiva ai defunti di passare da un mondo all’altro, dalla vita alla morte, anche a seconda di quello che avevano fatto durante la vita terrena. Ogni passaggio era seguito da un Evocatore, che si occupava di aprire le porte di uno dei mondi accessibili e guidare lo spirito del defunto. Ciascuno di loro, durante la loro esperienza di praticanti dell’Arte Arcana, doveva imparare a conoscere bene almeno uno dei Nove Mondi. C’era chi poi arrivava a conoscerli tutti e nove, ed ambiva a diventare il Maestro, la guida suprema della Confraternita; ma prima di arrivare a conoscere tutti e nove i mondi, era necessaria molta pratica e molto studio. Molte volte, una conoscenza superficiale di Niflheim, per esempio, gli inferi ghiacciati e ventosi come venivano comunemente chiamati, poteva liberare demoni sulla terra, che correvano a corrompere le anime Babbane e anche quelle dei maghi. Gli Evocatori erano anche degli eccellenti guaritori, specie quando si trattava di malattie dell’anima e maledizioni, o anatemi ostici da rimuovere. Molto spesso, Gabriel si era mescolato ai Babbani, per intervenire sui danni che i demoni di Niflheim avevano inflitto agli uomini, o per estinguere il fuoco malvagio di Muspelheim, il regno delle fiamme nere, che faceva agire in maniera sconsiderata gli abitanti della terra; e molte volte essi, di fronte ai mali inguaribili che torturavano le persone, gli avevano chiesto se fosse uno di quei fattucchieri a cui la gente donava molti soldi, affinché i loro affanni potessero svanire in un attimo. Gli chiedevano se fosse un pazzo, se credesse davvero al sovrannaturale, se fosse un visionario e si fosse inventato tutto dopo aver ingerito quelle droghe nuove e sintetiche che certi giovani deviati avevano iniziato a diffondere negli ultimi anni.

Molte volte era stato tentato dal rispondere che non si era inventato alcunché. Ma si limitava a rimanere in silenzio, e continuava a pregare e ad invocare gli Spiriti Puri che abitavano i Tre Mondi dei Giusti - sempre facenti parte di quei Nove Mondi retti dall’Albero della Vita - affinché potessero intervenire, scendere sulla Terra e mondare quell’anima corrotta. 

E tante volte, di ritorno da quelle fatiche non richieste, dalle quali otteneva tanta gratitudine, ma anche tanto sospetto e astio da parte dei Babbani più ignoranti, si recava nel punto più alto di Mile Droichead ed osservava l’Albero della Vita, che era la risposta a tutto e la sua fonte di sollievo. Oppure, delle volte, andava ad appoggiarsi ad una delle sue enormi radici, e conversava con qualche Spirito Saggio, disceso da Asgard, uno dei Tre Mondi dei Giusti, a patto che non arrivasse nessun altro a disturbare quelle profonde conversazioni.

In quel pomeriggio d’autunno, Gabriel Lynch sentiva il bisogno più che mai di recarsi sotto quella chioma e quel tronco immenso, di invocare l’aiuto di qualche Spirito Giusto, affinché potessero guidarlo nella scelta più corretta da fare. Erano passati secoli dall’ultima volta in cui un membro esterno alla Confraternita veniva ammesso alla città-fortezza per apprendere l’Arte Arcana. Dopo la decimazione degli Evocatori era stato stabilito di non ammettere più nessuno che provenisse da altre terre o villaggi, ma d’altronde i tempi che si prospettavano erano tutt’altro che luminosi e c’era un bisogno disperato di nuovi allievi. I giovani di Mile Droichead non sembravano neppure più così tanto affascinati da quella disciplina antica, e il Maestro stesso aveva acconsentito a malincuore a permettere a Miranda, sua figlia, un’Evocatrice praticamente già formata, di frequentare Hogwarts, passando sette anni con il costante timore che non volesse più tornare in quel luogo chiuso ed estremamente selettivo.

Non era del tutto convinto di voler accettare Lily Evans all’interno della Confraternita. Si sentiva combattuto, perché in quella ragazza aveva visto un’immensa potenza, ma anche un animo difficilmente plasmabile, dato che quella ragazza era fuoco allo stato puro e con lei si rischiava più di bruciarsi e di rimanere feriti, se presa in maniera sbagliata. E poi, era già piuttosto grande: era davvero disposta a fare un grosso sacrificio per il suo bene, ma soprattutto per quello dell’Ordine della Fenice e dell’intero mondo magico?

Solo chi poteva vivere al di sopra del mondo umano, al di sopra di qualsiasi affanno e controversia, poteva leggere a mente serena l’avvenire. E solo chi aveva dimenticato che cosa volesse dire avere a che fare con guerre e malvagità, poteva vedere con assoluta positività l’animo di una ragazzina focosa e ribelle come Lily.

Gabriel aveva bisogno del loro aiuto e non avrebbe atteso l’alba di un nuovo giorno. Si allontanò dalla piazza centrale del Tempio, avvolgendosi nel grande mantello grigio foderato di blu scuro, e scomparve nel pomeriggio sempre più buio di Mile Droichead.

* * *

A questo giro le note potrebbero essere devastanti. Lettori avvisati XD

Allora, partiamo con delle doverose scuse, sono vergognosa, vi ho fatto aspettare un mucchio di tempo! Ma spero che vi sia piaciuto questo capitolo densissimo. Mi è piaciuto molto da scrivere, anche perché sto attendendo con ansia il momento di poter iniziare a scrivere il 35, che vedrà l’ingresso di un personaggio parecchio importante! 

Desidero chiarirvi qualcosa circa gli Evocatori, e le varie cose che ho chiamato in causa in questo capitolo, nel caso vi fosse sfuggito qualcosa. Per questo, vi chiedo di leggerle bene:

  1. Dove abitano gli Evocatori: sull’Isola di Anglesey, altrimenti detta Inis Mona, o Ynys Mon. Qua. Il loro villaggio Mile Droichead, città-fortezza di mia invenzione, è situato nella baia di Cemlyn, a nord dell’isola. Non ci si può Materializzare o Smaterializzare, nel senso che i maghi visitatori e che capitano di lì non possono entrare e uscire da quell’area a loro piacimento e l’unico punto a loro disposizione dove poterlo fare è a due chilometri da lì. Gli Evocatori possono spostarsi in maniera più libera, chiaramente, e così possono i maghi che hanno preso accordi direttamente con i Maestri. Possono utilizzare o la Materializzazione o una Passaporta creata ad hoc.
  2. L’Albero della Vita: è un tratto comune alle mitologie nordiche, ma anche nella mitologia celtica è ben presente (beh, se consideriamo che Normanni e Vichinghi sono arrivati in Irlanda e a più ondate, è normale che le culture si contaminino, no?). Bene. Io ho preferito usare un po’ a mio piacimento le caratteristiche dello Yggdrasil (nella mitologia norrena) o Crann Bethadh (nella mitologia celtica). Prima di tutto, l’Albero della Vita regge Nove Mondi dell’aldilà: ho voluto raggrupparli in gruppi di tre, ovvero Tre Mondi dei Giusti (troverete nominato Asgard nel capitolo. Ci sono le divinità e gli spiriti oramai beati e saggi, non più turbati da alcunché), Tre Mondi Infernali (nel capitolo troverete Niflheim e Muspelheim, esiste anche Helheim, ma è un mondo terribile e non lo nominerò se non in The Old Ways e nella terza parte della saga), e i Tre Mondi delle Creature Leggendarie (che non ho nominato, giganti e goblin e esseri fantasmagorici e vivaci arriveranno più avanti. Bodhva, che ho tirato in causa, fa parte dei Tre Mondi delle Creature Leggendarie, è un tipetto tosto, lui :P). L’unica cosa che mi ha mandato un po’ in dubbio era se utilizzare i nomi originali utilizzati nella mitologia norrena. Onestamente, essendo la cultura celtica molto meno scritta di quella norrena, non esistono dettagli al riguardo dei mondi dell’aldilà, anche perché per loro sembrava ci fosse un enorme Oltremondo e basta, con un troiaio di creature tutte mescolate tra loro. Allora, mi perdonerete se ogni tanto chiamerò in causa i nomi originali dei mondi retti dall’Albero, tanto cercherò di fare in modo di richiamare delle piccole caratteristiche di ciascun mondo. Per esempio, Muspelheim è il regno delle fiamme nere; Niflheim è il regno degli inferi ghiacciati, e così via :P Un po’ omerica e poetica come soluzione, ma aiuta a ricordarsi ogni mondo che vado a trattare. Che, mica mi posso ricordare tutto :P
  3. Che cosa fanno gli Evocatori: non posso farvi troppi spoiler! Accontentatevi di quello che ho scritto :P Sarà chiarito in maniera graduale ed esaustiva nella seconda parte di Irish Rain, che si chiamerà “The Old Ways”. Abbiate pazienza, fanciulli e fanciulle :P

 

Orbene, dopo che siete morti e caduti tutti dalla sedia, vorrei approfittarne per dedicare questo capitolo - nella speranza che non me lo tirino dietro - a delle persone in particolare: a The Edge Of Darkness, per essere stata così paziente e un’ospite deliziosa, nonché compagna di trollate, spoiler delle rispettive fanfiction e chi ne ha più ne metta. Il tutto, in un improbabile viaggio tra Milano, Bologna, ragù alla bolognese, Bombocrepe e outlet di libri. (La donna SA tante cose su Irish Rain. MA TANTE). A DiraReal, per essere una writer favolosa, una persona adorabile e molto carina. E un’ottima compagna di concerti e avventure musicali :D E di chiacchierate interminabili (dove io parlo fin troppo e lei pazientemente ascolta). A Kira91 per essere un piccolo grande tesoro, divertente e gentilissimo e ospitale *_* E per avere degli animali adorabili :3 Meow! Infine, lo dedico anche a RaspberryLad, l’ammore bigné pasticcino compagno di deliri, trashate, minchiate galattiche, balletti demenziali su Amaranth al concerto dei Nightwish. 

 

Ed è dedicato sempre a voi che mi seguite e che mi recensite con tanto affetto. Davvero, non potrei chiedere di più. Grazie di cuore. Vi lascio anche la canzoncina degli Of Monsters And Men, allegra, spensierata, nelle melodie, il testo invece parla molto dei propri demoni interiori. Enjoy! Il video è stupendo! 

 

Blankette_Girl <3

Ale

   
 
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