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Autore: Star Petal    27/04/2012    9 recensioni
« James non riuscì a trovare niente da dire per tranquillizzarla; la avvolse tra le braccia e se la strinse al petto.
Era prontissimo ad accettare un rifiuto che non arrivò mai: Lily sospirò, accoccolandosi meglio accanto a lui.
E fu allora che James ne ebbe la conferma.
C’era davvero qualcosa per cui valeva la pena lottare.
»
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 27
{Is this the real life?}

Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality.
Open your eyes
Look up to the sky and see.
{ Bohemian Rhapsody - The Queen } 

 

 

31 Marzo 1978.
Sala Grande,  8.12 am.

Tutto sembrava tornato alla normalità.
Con un grande sforzo da parte di tutti gli abitanti di Hogwarts, i danni provocati dall’attacco dei Mangiamorte erano stati sanati.
Nonostante ogni cosa fosse stata messa al proprio posto, al castello aleggiava una certa tristezza: nessun mattone scardato e nessuna statua ricostruita avrebbero potuto restituire ciò che era stato sacrificato in quella battaglia.
La consapevolezza di aver perso dei compagni, quella notte, non abbandonava mai i cuori degli studenti. Era sempre lì a ricordare quanto fosse alta la posta in gioco.
Ma, per quanto il dolore li spingesse costantemente nello sconforto più cupo,  c’era una certa dose di speranza a bilanciare il tutto: erano stati in grado di tener testa ai Mangiamorte, avevano fatto gruppo e si erano mossi per un ideale comune. Questo significava che avrebbero potuto farcela.
Avrebbero potuto vincere la guerra, avrebbero potuto far in modo che i loro amici non avessero dato via la vita invano.
Kate, a dispetto di tutto, quella mattina aveva meno voglia del solito di andare a lezione.
Abitualmente, era lei a tirare Lily e Diane giù dal letto. Quel giorno, invece, si era rannicchiata sotto le coperte e c'era voluta tutta la persuasione delle sue amiche per convincerla a vestirsi e a scendere dal dormitorio.
Non che si sentisse male: era solo stanca. Fisicamente ma, soprattutto, mentalmente.
Aveva bisogno di staccare e di ritagliarsi un po' di tranquillità, cosa assolutamente impensabile quando si hanno due ore di Storia della Magia di prima mattina.
Comunque fosse, ogni passo fatto in compagnia di Dì e Lily stava aiutando a ricomporre un pizzico di quel buon umore che sembrava perduto.
Era impossibile restare seri davanti ai drammi di quella bionda psicopatica.
"Siete sicure? Lo giurate?".
"Dì, ma sei seria?".
"Rispondimi, Lils".
"Ma te l'ho già detto almeno mille volte!".
 "Dillo di nuovo! Forza!".
"E va bene: no, Dì, non ti ho tagliato i capelli mentre dormivi. Lo giuro".
"Kate? Giuralo anche tu".
"Lo giuro Dì e posso giurarti anche che nessuno del nostro dormitorio è colpevole, dato che i tuoi capelli hanno la stessa identica lunghezza che avevano ieri".
"Macchè! Non vedi che sono palesemente più corti?".
"Li avrai semplicemente arricciati di più...".
"Lily. Che dici, lo saprò se i miei capelli sono più ricci o più corti oppure mi fai davvero così cretina? ...no, non rispondermi".
Kate ridacchiò appena, prendendo Diane sottobraccio.
"Sei assurda".
"Non è assurda, è stupida! Come fa a credere che qualcuno le abbia tagliato i capelli?".
"Tutto è possibile quando condividi camera con delle disturbate come voi...".
Continuarono ancora un po' con quella solfa e Kate riuscì quasi a rilassarsi.
Dopotutto, non c'era bisogno di essere così negative, non poteva andare tutto male.
Si infilarono tra un gruppo di studenti fermi al centro del corridoio e, tra la folla, Kate intravide il viso pallido di Nick.
Bastò giusto l'istante in cui gli occhi del ragazzo incrociarono i suoi per frantumare quella parvenza di serenità che aveva provato a ricostruire.
Sì che c'era bisogno di essere negativi, e per forza!
Diane le diede uno strattone e la trascinò oltre il gruppetto.
"Certo che ha una faccia da cretino non indifferente, eh" esordì, dopo un po'.
Kate si sforzò di fare una risatina, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un versetto non meglio distinto. Sentì lo sguardo preoccupato di Lily su di sé ma fece finta di niente, impegnata com'era a rifarsi il nodo alla cravatta.
Stettero tutte e tre in silenzio per qualche altro secondo, poi Diane si schiarì la voce.
"Sai cosa? Infondo... Non è colpa sua. È stato cresciuto così".
Kate la guardò, incredula.
"Anche tu, Dì. E non mi sembra che tu muoia dalla voglia di unirti ad un pazzo omicida".
Diane scrollò le spalle con semplicità.
"È solo che lui non è stato forte abbastanza da opporsi agli ideali della famiglia Carter. Non credo li condivida pienamente...".
Kate inarcò un sopracciglio, spiazzata. Di certo non si sarebbe mai aspettata di avere una conversazione del genere con Dì.
"Lo stai giustificando!".
Lily si schiarì la voce. "Anche tu, Katie".
L'altra la fissò, indignata. Lei? Giustificare Nick? Mai.
"Per niente" tagliò corto, con decisione. Se non fosse arrivato Voldemort, quella notte, lei avrebbe continuato a combattere con lui. Niente sconti, niente ripensamenti.  Avrebbe fatto ciò che era giusto, tutto lì.
Lily fece un sorrisetto, con l'aria di chi la sa lunga.
"Razionalmente, tu sai che quello che fa è sbagliato e quindi credi di condannarlo. Inconsciamente, però, lo giustifichi. Altrimenti non si spiegherebbe perché ti importa ancora di lui al punto di fare quella faccina afflitta quando lo vedi".
Kate si voltò verso Lily e, suo malgrado, si sentì toccata dalle parole dell’amica.
C’era un fondo di verità in tutto quello; non che lei giustificasse Nick –proprio per nulla-, il punto era che non riusciva a toglierselo dalla testa. Ed era una sensazione decisamente frustrante.
Diane si schiarì di nuovo la voce con un colpetto di tosse e le diede una gomitata.
“Io la ignorerei se fossi in te. Miss Evans è decisamente nel mondo dei cuoricini e dei fiorellini. Mi domando proprio cosa, o CHI, abbia causato questo stato d’animo così inusuale…”.
Le guance di Lily si imporporarono e Kate riuscì finalmente a ridere.
Diede man forte a Dì e prese in giro Lily fino a che non furono entrate in aula. A quel punto, obbligò se stessa a relegare il pensiero di Nick in un angolino remoto della sua mente.
Si andò a sedere al suo solito posto ed iniziò a tirare fuori inchiostro e pergamena, mentre il professor Ruf iniziava a parlare con la sua voce piatta e sonnolenta.
Kate intinse la piuma nell’inchiostro ed iniziò a scrivere rapidamente, per stare al passo con la spiegazione.
Come si era ridotta: costretta a prendere appunti per tenere la mente occupata.
Era tutta colpa di Nick Carter. Altro che giustificarlo: avrebbe dovuto strozzarlo.

Sala Grande, 1.12 pm
Diane si servì di una seconda porzione di patate, ostentando un'aria soddisfatta.
Il cibo era il miglior calmante e il miglior premio e, ammettiamolo, dopo una mattinata passata ad ascoltare Ruf sparlare sulle rivolte dei Goblin, le calorie non presentavano un problema.
Anzi, diventavano un'irresistibile tentazione.
James le scoccò un'occhiata divertita, mentre lei faceva scivolare nel piatto un'altra costoletta di agnello.
"Dì, hai deciso di metterti all'ingrasso per caso?".
Per tutta risposta, Diane infilzò una patata e se la portò alla bocca. "Pensa ai tuoi affari, Potter. Non disturbare la gente che mangia".
Lily sbuffò e alzò gli occhi al cielo. "Tu dovresti avere rispetto nei nostri confronti, Dì. Non puoi ostentare davanti a tutti il fatto che mangi come un'idrovora e sei sempre magra al punto giusto".
"Avrà il verme solitario" aggiunse Kate, con nonchalance.
"C'è una sola cosa solitaria qui, Katie, ed è il tuo povero neurone superstite".
Gli altri risero e Diane si ritrovò, come una cretina, ad osservare la luce che esplodeva negli occhi di Sirius quando sorrideva in quel modo.
Forse non era un pensiero molto dignitoso da produrre.
Forse era anche piuttosto patetico... Si affrettò a riportare lo sguardo sul suo piatto e riprese a mangiare.
Remus lanciò un'occhiata rapida all'orologio. "Sbrighiamoci, però. Tra mezz'ora abbiamo l'ultima lezione del corso Pre Auror e non voglio arrivare in ritardo".
Sirius gli diede una gomitata.
"Non iniziare, Lunastorta. Noi faremo in tempo, tu sarai in anticipo come al solito".
"Noto una sottile ironia nelle tue parole...".
"Noti male, sul serio".
James iniziò a sghignazzare. "Fai poco l'ironico, Felpato. Proprio tu non puoi farlo. Ricorda che ti abbiamo graziato per quello che è successo quella sera".
Sirius sembrò straordinariamente nervoso. Diane notò che aveva iniziato a guardarsi intorno con aria circospetta. "Proprio non capisco a cosa ti riferisci...".
"Ma come! Hai già dimenticato quella piccola, innocente, tenera e dolcissima scommessa che hai raccontato?".
Diane sentì come un pugno alla bocca dello stomaco. Non riuscì a sentire la risposta di Sirius, impegnata com'era a cercare di mettere ordine nella sua testa.
A quanto pareva, Sirius aveva detto agli altri di quello che c'era stato tra loro la sera dell'attacco.
Gli altri lo prendevano in giro.
Loro ridevano di lei.
Si sentì straordinariamente male. Non aveva avuto molto tempo per pensarci ma, quando era riuscita ad avere un qualche momento di tranquillità sotto la protezione delle sue coperte, Diane doveva ammettere che quella stretta al cuore che provava ogni volta che ripensava alle labbra di Sirius sulle sue non era proprio normale.
Evidentemente, però, il ragazzo non dava lo stesso peso a quanto era successo. Beh, meglio così. Era un problema in meno, in quel periodo aveva fin troppe cose a cui pensare.
Smise di guardare i ragazzi e si concentrò sulla conversazione concitata che stavano avendo Kate e Lily, affianco a lei.
“Io penso che dovresti parlare con lui, Lils”.
“Parlargli di cosa esattamente, Kate? Non c’è niente da dire…”.
“Niente da dire?! Ma se ti illumini manco fossi una stellina ogni volta che lo guardi!”.
“Vuoi urlarlo un po’ più forte, che dici?”.
Diane non ebbe bisogno di chiedere spiegazioni per capire di cosa stessero parlando. Il mondo intero –a parte, ovviamente, James – si era reso conto che le cose, per Lily, erano cambiate.
Non sarebbe potuto succedere altrimenti: quei due erano fatti per stare insieme, si completavano a vicenda. Le cose non avevano fatto altro che seguire il loro corso naturale.
“Dì, diglielo anche tu”.
Diane provò con tutta se stessa a frenare quel sorrisetto divertito che andò a curvarle le labbra.
“Dirle cosa?”.
“Che deve sbrigarsi ad andare dall’altro lato del tavolo e deve baciarlo!”
“Ma fino a cinque secondi fa non si stava discutendo sul parlargli?” fece Lily, in un sussurro stizzito.
“Visto che sei una capra e non vuoi andare a parlargli… bisogna passare ai fatti! Reagire! Fare qualcosa!”.
“Kate, piantala di urlare. Se non sei capace di controllare la tua voce, sarò costretta a conficcarti questo calice giù per la gola!”

Aula di Difesa Contro le Arti Oscure, 2.15 pm
Remus teneva gli occhi puntati sul professor Windsor, attendendo silenziosamente che cominciasse a parlare.
Erano arrivati all’ultima lezione del corso PreAuror. Era una notizia assurda da concepire.
Sembravano passati solo un paio di giorni da quando, per la prima volta, si erano ritrovati in quell'aula a tentare di disarmarsi l'un l'altro.
E invece?
Il professor Windsor si sfregò le mani e fece un passo avanti, sondando con lo sguardo i visi dei suoi studenti.
"Beh... Per la nostra ultima lezione, avevo previsto di lasciarvi duellare liberamente, in modo da farvi mettere in pratica quello che avete imparato al corso". Fece una pausa, scrollando appena le spalle. "Ma, visti gli ultimi avvenimenti, lo ritengo inutile. Avete dimostrato di che pasta siete fatti, ragazzi. Avete lottato, ci avete creduto, non vi siete arresi. Sono estremamente fiero di voi".
Remus arrischiò uno sguardo ai suoi compagni e notò che avevano tutti la stessa espressione imperturbabile: segno evidente che, ormai, nessuno era in grado di capire con esattezza di chi potesse fidarsi. E, bisognava ammetterlo, la presenza inquietante di qualche Serpeverde non andava ad alimentare la fiducia nei propri compagni.
Il professore proseguì, con tono pacato: “Purtroppo, quello non era che un assaggio di ciò che vi aspetterà una volta usciti di qui. Scoprirete che il mondo reale è dannatamente diverso da come avevate immaginato e ci saranno dei momenti in cui tutto sembrerà perduto. Ma, soprattutto, vi troverete in continuazione davanti a delle scelte, e voglio che teniate a mente che non sempre la scelta più semplice corrisponde alla scelta giusta”.
Gli occhi dell’uomo si soffermarono per un istante sul gruppetto dei Serpeverde e Remus capì che lui sapeva cosa c’era stato dietro l’attacco.
Sentì Peter trattenere rumorosamente il respiro e gli diede una pacca sulla spalla per tranquillizzarlo. Aveva dimostrato anche lui di saper essere coraggioso, no?
Windsor sorrise, facendo un passo indietro.
“Bene, paternale finita. Direi che a questo punto possiamo esercitarci un po’ con i Patroni, tanto per chiudere in bellezza. Forza, bacchette alla mano”.
La parte perfezionista di Remus avrebbe voluto far notare al professor Windsor che non avevano né Dissennatori –fortunatamente- né Mollicci con cui esercitarsi e che quindi l’incantesimo sarebbe stato pressoché inutile. Capì però che tutto quello che l’insegnante voleva era regalare loro un po’ di speranza: per farlo, non c’era niente di meglio di una ventata di luce scaturita da ricordi felici.
Tirò fuori la bacchetta e scavò nella sua memoria alla ricerca di un qualcosa di abbastanza potente.
Improvvisamente eccolo lì, il momento perfetto: l’infermeria rischiarata appena dalla tenue luce del mattino, tre amici attorno ad un letto e lui disteso, con un sorriso ad illuminargli il viso incurante dei graffi che lui stesso si era procurato la notte prima.
Remus non aveva dubbi, nella sua vita non ci sarebbe mai stato un momento migliore di quando aveva capito che ai Malandrini non importava che lui fosse un lupo mannaro.
Guardò il flusso luminoso uscire dalla sua bacchetta e andare a delineare la figura di un grosso lupo.
Un paradosso: quello stesso lupo, che ogni mese rappresentava una maledizione, prestava anche le sembianze al suo protettore.
Ben presto l’aula si riempì di animali cangianti, con la sporadica eccezione di qualche massa incorporea di un Patrono non riuscito bene.
L’attenzione di Remus fu attirata da una ragazza bruna che continuava a serrare gli occhi e a scuotere la bacchetta, per poi sospirare sconfitta non appena una lieve nebbiolina andava ad indicare che l’incantesimo non era riuscito bene.
Il ragazzo aveva notato il movimento sbagliato delle mani di lei, ma sapeva che non l’avrebbe mai corretta: non aveva quella presunzione.
Ad un tratto, però, lei alzò lo sguardo e lo fissò.
Un sorrisetto imbarazzato le apparve in viso. “Sono una frana”.
Remus rispose al sorriso e le si avvicinò. “Mannò. Non è semplice come sembra, ti serve solo esercizio. O magari un ricordo migliore”.
La ragazza fece uno sbuffo. “Mi servirebbe un braccio migliore, per quanto mi riguarda. Sbaglio proprio alla base”.
Restò in silenzio per qualche secondo, osservando con aria affascinata il lupo che aleggiava attorno a Remus.
“Senti… potresti insegnarmi?”.
Lui restò spiazzato per un momento. “Certo” rispose, poi. “Adesso?”.
“Oggi pomeriggio, magari? Dubito di riuscire a capirci qualcosa qui”.
“Nessun problema”.
“Fantastico! A proposito… io sono Amy”.

Sala Comune di Grifondoro,  11.11 pm.
Lily se ne stava con il naso appiccicato al vetro della finestra, intenta a guardare con aria affascinata la pioggia che cadeva senza sosta sui giardini del castello.
Sin da quando era bambina aveva sempre avuto un debole per i temporali, era capace di restare a guardare il cielo nuvoloso per ore senza mai stancarsi.
Ognuno ha qualche fissa strana, dopotutto.
Quella sera, poi, sentiva proprio il bisogno di estraniarsi dal resto del mondo. Forse per i commenti di Kate e Dì a pranzo, forse perché la sua mente non le dava tregua, fatto sta che era decisamente arrivato il momento di fare i conti con certe sensazioni.
Eppure era così difficile. Da dove si doveva cominciare? E come, soprattutto?
Sospirò, prendendo a tracciare con l’indice dei cerchi sul vetro.
Aveva letto da qualche parte che il primo passo per risolvere qualsiasi cosa era quello di ammettere che ci fosse qualcosa da risolvere.
Ammettere.
Niente di più difficile.
Dei passi alle sue spalle la costrinsero a voltarsi. Il cuore di Lily tremò dolorosamente quando, a pochi metri da lei, vide James che la fissava.
Se c’era un’Entità Superiore da qualche parte, era chiarissimo che aveva un orrendo senso dell’umorismo.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.
“Cos’è che stai facendo, esattamente?”.
Lily scrollò le spalle, poi indicò verso fuori con un cenno del capo.
“Guardavo la pioggia”.
Si stupì lei stessa nel pensare che, solo pochi mesi prima, una domanda del genere da parte di James Potter l’avrebbe fatta imbestialire.
Qualcosa era cambiato. Sì, ma come? E perché poi?
Strinse le labbra, voltandosi nuovamente verso la finestra e sperando silenziosamente che il ragazzo andasse via.
Lo aveva sperato, davvero. Però, quando lui la affiancò, si sentì sopraffare per un momento da una gioia irrazionale.
Merlino, quella situazione le stava sfuggendo di mano.
James non disse nulla, lo sguardo fisso davanti a sé e le mani abbandonate lungo i fianchi.
Lily si ritrovò a chiedersi cosa gli stesse passando per la mente, in quel momento. Cosa vedevano i suoi occhi nell’osservare il lento scorrere delle gocce contro il vetro?
Si fermavano all’acqua o andavano oltre, così come facevano quelli di lei?
“Non mi piace molto la pioggia” proruppe James, di punto in bianco. “O meglio, non mi piace guardarla standomene all’asciutto. Sentirla mentre ti cade addosso… è tutta un’altra cosa”.
Si voltò verso di lei e Lily non poté non ricambiare quel sorriso sincero che il ragazzo le aveva rivolto.
Basta, era decisamente arrivato il momento di essere onesta con se stessa.
Lei traeva piacere nello stare in compagnia di James. Lei cercava il suo sguardo. Lei aveva temuto per la vita di lui, quando Voldemort li aveva attaccati. Lei era scappata per indurlo a mettersi in salvo.
Quelle sensazioni, quelle preoccupazioni… non delineavano i tratti di una semplice amicizia.
Era… non sapeva neanche lei cosa fosse precisamente.
Ma forse era arrivato il momento di scoprirlo.
Tirò James per una manica. “Andiamo, allora” disse, in un sussurro.
Lui la fissò, sconcertato. “Andiamo dove?”.
“Andiamo a sentirci cadere la pioggia addosso. Ti va una passeggiata nel parco?”.
James, evidentemente, ci mise un po’ ad afferrare il senso delle sue parole. Poi, però, si aprì in un sorrisone.
“Certo che mi va. Andiamo”.

 

 

« Angolo dell'Autrice »

Io credo che, ormai, qualsiasi giustificazione sia inutile.
Vi dico solo che mi dispiace di farvi aspettare sempre così tanto, che credo seriamente che mi state odiando e che ci metto sempre le migliori intenzioni çç

Se c'è una cosa di cui potete essere sicuramente certi è che, in ritardo o con cadenza regolare, porterò a termine questa storia :)
Lo devo a troppa gente e, soprattutto, lo devo a questi personaggi!
Stavolta sarò veramente brevissima, devo tornare a studiare e prima voglio rispondere alle vostre magnifiche recensioni.
Perciò... grazie di cuore a chi mi ha seguito fino ad adesso e a chi ha intenzione di continuare a farlo.
Siete davvero fantastici!
Un bacio e alla prossima (...sperando sia puntuale, questa volta!)

   
 
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