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Autore: Pendragon of the Elves    01/05/2012    5 recensioni
[Dal capitolo terzo]
La signorina d'Armilly, abbandonato ogni contegno, le si avvinghiò contro, rispondendo appassionatamente all'amica. E non si curò del fatto che qualcuno potesse vederle dal finestrino della carrozza perché il suo mondo ora vorticava così velocemente attorno a quelle dolci labbra tanto che non si ricordava quasi di respirare. Perché quello che provava in quel momento, era la magica e vecchia favola che incendiava i cuori di tutte le fanciulle mentre sospiravano malinconiche guardando il tramonto da sole, era tutto ciò che ogni ragazza sognava di trovare nella propria vita e che lei aveva trovato nella persona che le era stata più vicina: quello era amore. E tutte quelle ragazze per bene che aspettavano ancora il loro principe azzurro non potevano disprezzarla poiché loro erano ancora ad attendere su un davanzale che i loro genitori la vendessero al migliore offerente e lei era lì a baciare la persona che amava. Ogni imbarazzo era ora sparito dal suo cuore e il solo rossore rimasto sul suo viso era quello della contentezza. Non voleva più vergognarsi del sentimento che provava nel petto, non voleva più celarlo ingloriosamente reprimendo la tristezza e soffrendo la solitudine: voleva solamente esprimerlo, gridarlo forte e chiaro, lasciarlo andare e lasciarsi travolgere dalla potenza di quelle emozioni. Perché non c'era nulla di male in quel piccolo, innocente,  grande amore.
Una mia personale reinterpretazione dei capitoli 98 e 99. In mezzo troverete un pezzo in più che nel libro non viene indagato... ;)
La vera storia della fuga e delle passioni di Eugenia Danglas.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Passione

«Su, Louise, brindiamo ancora alla nostra salute!».
Eugenia Danglas, ancora nelle vesti di Leon d'Armilly, la trattenne per la manica. Erano sedute nella locanda, una bottiglia di vino vuota appoggiata sul tavolo e un bicchiere pieno nelle mani della ragazza.
«No, Eugenia», disse Louise, dimenticando che, in quel momento, la sua amica era un ragazzo, «abbiamo bevuto un po' troppo… non trovate…».
«Mai abbastanza per festeggiare!», disse Eugenia, vuotando il bicchiere d'un fiato e poi sbattendolo sul piano del tavolo con un gran sospiro: pareva un gesto da comune frequentatore di osterie.
«Sono contenta anch'io ma… comincio a sentirmi stanca», fece Louise, reprimendo un singhiozzo. L'alcol l'aveva resa sonnolenta e rossa in viso: da brava giovane parigina, non era abituata a bere, anche se aveva preso solo due bicchieri.
Eugenia, invece, sembrava reggere meglio l'alcol, ma cominciava a manifestare i segni della bevuta. Non erano ancora ubriache, solamente un po' alticce. Eppure la notte cominciava ad invecchiare.
Le parole dell'amica sembrarono riportare un po' di senso nella mente della signorina Danglas.
«Avete ragione…», fece alzandosi lentamente.
Anche Louise si alzò ma le gambe, da tempo dimenticate sotto al tavolo, le cedettero e cadde dritta in braccio al suo giovane accompagnatore.
«Signorina d'Armilly!», scherzò Eugenia Danglas, «un po' di contegno!».
«Ha ragione, mi scusi, è stato un lieve capogiro… mi metta giù, ora, riuscirò a camminare da sol… ah!».
Eugenia la prese di nuovo al volo, in tempo per impedire che la delicata fanciulla stramazzasse inerte al suolo.
«Siete poco stabile sui piedi, mia cara», osservò, «ora vi porto nella vostra stanza dove potrete riposare. Sarà meglio togliervi di dosso il corsetto prima che sveniate!».
Così, prendendola in braccio, si fece dare le chiavi dell'oste e salì le scale. Giunta davanti alla porta della loro camera, la aprì con un piede.
«Pronta a fare l'ingresso nella camera nuziale, moglie mia?», scherzò, riferendosi alla dinamica della scanna, molto simile a quella della prima entrata dei novelli sposi nel loro nido d'amore.
«Ma che dite…», bofonchiò Louise confusa, «voi dovreste esser mio fratello…».
«Giusto, avete ragione», disse Eugenia, «è che siete tanto bella, mi fate venire brutti pensieri…».
«Ah ah ah! Ma finitela!», rise Louise, mentre veniva poggiata sul letto.
«è ora di andare a dormire, credo», fece poi, «domani dovremmo organizzarci per bene».
«Avete ragione, mia cara», fece Eugenia, allargandosi con un dito il nodo della cravatta, «e io non riesco più a sopportare questo vestito: non vedo l'ora di tornare donna come voi!».
«Oh, vi prego, Eugenia! Aiutate prima me a svestirmi: mi sento soffocare!», si lamentò Louise.
«Va bene: qualsiasi cosa per un'amica», fece Eugenia, aiutando la fanciulla a svestirsi e a togliersi lo stretto corsetto che rinchiudeva il suo corpo come una gabbia inaccessibile. Alla fine la signorina d'Armilly ricadde semi-svestita sul letto, libera finalmente di respirare a pieni polmoni.
Non seppe per quale strana alchimia ma, Eugenia, fu catturata da quella visione e non riuscì più a staccarle gli occhi di dosso. Le due avevano condiviso la camera e dormito assieme innumerevoli volte eppure, probabilmente a causa dei fumi del vino, il corpo quasi nudo dell'amica le appariva ora ancora più bello e -Dio la perdoni- desiderabile. La sua pelle era bianca e perfetta come  raffinata porcellana. Le gambe affusolate erano abbandonate mollemente sul materasso assieme alle braccia inerti. La sottoveste trasparente lasciava intravvedere il delicato ombelico e le femminee curve. E, sotto lo stesso traslucido tessuto, il procace seno si alzava e si abbassava al ritmo accelerato del respiro e i biondi capelli, ricadevano ora spettinati attorno al viso accaldato della giovane. Le sue labbra rosse parevano un bocciolo di rosa abbandonato su quel viso di purissimo avorio.
Ma non era solo a causa de vino bevuto che ora Leon d'Armilly fissava la fanciulla con uno sguardo  decisamente poco consono a quello di un normale fratello.
«Signorina d'Armilly», disse togliendosi lentamente il vestito, «lo sapete che siete molto bella…».
Senza aspettare una risposta, Eugenia si chinò sull'amica e la baciò. Louise ebbe solo il tempo di spalancare gli occhi per lo stupore: il suo cuore aveva preso a battere talmente forte nel suo petto  che sentiva che avrebbe potuto scoppiare. Per un lungo, interminabile istante, il respiro e le labbra di Eugenia furono tutto il suo mondo. Poi, la sua mente si schiarì e, quando realizzò cosa stava accadendo, si discostò fulmineamente dal volto della ragazza, le guance imporporate improvvisamente per l'emozione.
«C-che fate, signorina Danglas!», esclamò portandosi le mani alla bocca con espressione sconvolta: il tono di voce severo intendeva mantenere non le riuscì come desiderava poiché la sua voce fremeva incontrollabilmente.
«Bacio una bella ragazza…», rispose questa.
 «Siete sotto l'effetto del vino!», fece, le spalle scosse da incontrollabili tremiti.
«No», fece Eugenia. Prese il volto della fanciulla bionda e lo avvicinò al suo: la sua espressione era assolutamente seria. Louise poté specchiarsi nei suoi occhi neri, limpidi come due polle d'acqua, assolutamente lucidi e sinceri. Louise si sentì quasi spaventata dalla loro sincerità.
«Voi mi piacete, Louise».
La giovane musicista combatté fortemente per ricacciare indietro le lacrime:«Smettetela! Voi… vi state prendendo gioco di me!». Se da un lato il suo cuore smaniava per credere a tali parole, nella sua testa continuava a lottare per convincersi che invece era tutto falso, era solo per colpa dell'alcol.
«Non è il vino, Louise», continuò imperterrita Eugenia, come se avesse indovinato i suoi pensieri , «non è neanche per divertimento, neanche per scherzo…».
«E allora per cosa?», chiese Louise, speranzosa in fondo al cuore di sentire dalle dolci labbra che aveva appena assaggiato le parole che ogni notte aveva sognato di sentite cantare da quella voce.  Era troppa la voglia di sentirle che, quando vibrarono nell'aria, non credette neppure lei alle sue stesse orecchie.
«Perché io vi amo».
Quante volte si era sorpresa a fantasticarlo, quante volte aveva allontanato quei pensieri crudeli, tanto era il terrore che la dura e crudele realtà divorasse i suoi sogni e le ferisse il cuore. Tutte quelle notti infami, passate nell'insonnia a cercare di cancellare dalla mente e dal cuore quel sentimento vedevano ora coronare i loro sogni. Singhiozzando disperatamente, Louise prese il volto dell'amica e la condusse in un'altro bacio, intrecciando le braccia attorno al suo collo.
«Sapete…», sussurrò infine, calma, «anche io…».
«Anche voi cosa?»
«Anche io vi ho sempre amata!», gridò Louise.
«Oh, amica mia cara!», esclamò Eugenia.
E tra le lacrime di contentezza di entrambe, finirono di spogliarsi. Si abbracciarono sul letto, continuando a baciarsi: le dita dell'una nei capelli dell'altra, le gambe intrecciate assieme, i seni che premevano gli uni contro gli altri nel loro abbraccio. Ad un certo punto, Louise sussultò nel sentire le mani di Eugenia che la accarezzavano.
«Eugenia…».
«Rilassatevi», disse questa, anche se il suo volto dimostrava che era emozionata quanto lei, «non voglio farle nulla di male: voglio solo… che tu sia felice, mia amata Louise».
I cuore della giovane scoppiò di commozione mentre l'amica le copriva entrambe con le lenzuola: nel buio le sue mani la sfiorarono ancora e ancora.
 «Eugenia…».
Smise di pensare, abbandonò ogni inibizione perché non poteva far altro che amare. E non provò più imbarazzo poiché amarla le riusciva talmente naturale che non poteva -non avrebbe in alcun modo potuto- essere sbagliato. Solo in quel momento realizzò quanto significasse per entrambe quel momento, quanto tutte e due l'avessero aspettato e sognato per intere notti passate da sole, quante minacce avevano quasi impedito che accadesse: era qualcosa di troppo prezioso e delicato per lasciarlo andare. Nulla ora avrebbe potuto impedirle di esprimere quello che provava, nulla avrebbe potuto eguagliare quello che sentiva, nessuna parola avrebbe potuto descriverlo: era il coronamento di ogni sua speranza, di ogni suo sogno… era pura felicità. Era qualcosa... qualcosa solo per loro. Non si vergognava di ciò che stava facendo, perché ogni gesto, le riusciva naturale, come fosse stato già scritto da tempo… oltretutto, per Eugenia quella avrebbe dovuto essere la prima notte di nozze.


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Eccoci qua, come disse la stessa Louise d'Armilly:"Il ratto è consumato, ma senza violenza".
Come potete facilmente capire, questo è il pezzo che nel libro non c'è. Ma, a mio parere potrebbe tranquillamente esserci poichè, il capitolo sucesivo, le vede addormentate nello stesso letto... forse non nude, ma nello stesso letto.
Alla fine, questa è la scena più spinta della storia ma credo di essere riuscita a rappresentarla con tutta la naturalezza di cui sono capace. Solo di una cosa mi pento: di aver inserito il classico cliché dell'ubriachezza. So che non è molto originle ma, in una società ristretta come quella e tutte quelle odiose regole di etichetta, solo il vino poteva aiutarle a sciogliere un po' la lingua. Ho cercato di calcare la mano sulla dolorosa repressione che Louise deve attuare sui propri sentimenti che il mondo parigino non avrebbe mai approvato.
Detto questo, non ho altro da dire.
Appuntamento al prossimo ed ultimo capitolo!

Pendragon of the Elves
  
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