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Autore: Miss Fayriteil    12/05/2012    1 recensioni
Jane potrebbe essere una donna come tante, con una bella e numerosa famiglia, ma in realtà nel suo passato si nasconde un doloroso segreto...
Questa storia l'ho scritta un po' di tempo fa... spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8.
 
 
David nacque in mezzo ad un prato, all’aria aperta. Quel giorno, il cinque di giugno, Jane stava passeggiando in un parco piccolo insieme ai suoi bambini, quando improvvisamente si rese conto che il suo terzo figlio sarebbe nato in quel preciso  momento. Fu uno shock terribile, la ragazza sentì che per lo spavento iniziavano a tremarle le ginocchia e dovette sedersi sulla prima panchina che trovò. Fu presa dal panico, per un po’ non seppe cosa fare. Dopo un minuto, però, si diede una manata sulla fronte: “Certo che sono proprio un’idiota” si disse. “Ho con me un cellulare e posso chiamare l’ambulanza per farmi venire a prendere!”. Lo tirò fuori dalla tasca, ma si accorse che purtroppo aveva la batteria totalmente scarica e in più era completamente a secco di soldi. “Ma possibile che non me ne vada mai bene una?” pensò avvilita, fissando con odio l’inutile aggeggio.
  In quel momento, però, la fortuna decise finalmente di guardare dalla sua parte e praticamente dal nulla, fece la sua comparsa una donna che era proprio un’ostetrica dell’ospedale lì vicino, che in quel momento stava finalmente tornando a casa, una volta finito il suo turno di lavoro. Era appena scesa dall’autobus e stava andando a recuperare la sua auto, parcheggiata a qualche metro dalla fermata.
  Quando vide quella ragazza semisdraiata su una panchina e che sembrava sul punto di partorire, mancò poco che cadesse a terra per lo spavento. Nonostante lo shock, però, riuscì a conservare una discreta lucidità. Non perse del tempo prezioso per stare lì a chiedersi perché mai una donna in quelle condizioni non si trovasse nel luogo dal quale era appena venuta via, ma cominciò a riflettere, cercando di rimanere completamente tranquilla e ragionevole. Quella donna aveva bisogno di lei, punto e basta. Non poteva permettersi il lusso di perdere la testa.
  Si rese subito conto del fatto che non avrebbero fatto in tempo ad andare a casa sua, né tantomeno all’ospedale, che era ancora più lontano, quindi si preparò a far nascere quel bambino in mezzo ad un prato. Si disse “Questo è un giorno da segnare sul calendario! Credo proprio che sarà la prima ed ultima volta nella mia intera vita che avrò l’occasione di far nascere un neonato nell’erba”. Cominciò quindi a farsi strada nel parco, tra passanti di tutte le età, diversi ciclisti ed alcuni ragazzini che correvano a velocità folle sugli skateboard e sui pattini a rotelle.
  Nel frattempo intorno a Jane si era assiepata un’ampia folla di gente, qualcuno che voleva aiutare, qualcun altro che faceva domande e altri che volevano solamente ficcare il naso. Jane non se ne rendeva nemmeno conto, stava lì ad occhi chiusi e ad ansimare. Nicholas e Claudia si guardavano intorno, spaventati. Non capivano che cosa fosse successo alla loro mamma, ma volevano solo che lei si riprendesse. Nicholas avvicinò il visetto al ventre di Jane e disse, nel vocabolario ancora incerto, di un bambino due anni: «Ehi, fatellino, dove sei? Vieni fuoli a giocae?» Sua madre sorrise e lo accarezzò sulla testa, pur continuando a tenere gli occhi chiusi.
  Anche la dottoressa sorrise intenerita, quando vide quella scena poi, tornata nel suo elemento, affrettò il passo ed arrivò alla panchina, dove sedette accanto alla ragazza e una volta che si fu sistemata lì, cominciò a tirare fuori dalla sua borsa i ferri del mestiere. Non si accorse subito, ma dopo alcuni secondi, di tutta quella gente riunita intorno a loro due, quando per puro caso alzò per un attimo lo sguardo. Si vide improvvisamente circondata da una moltitudine di persone, che non lasciava alla povera Jane nemmeno un filo d’aria da respirare.
  Ordinò seccata a tutti i curiosi di sparire immediatamente, sbottando che a momenti avrebbe dovuto far partorire una donna, un’operazione estremamente delicata e che aveva bisogno di molta concentrazione. Poi domandò ad una signora che invece era rimasta in zona, chiedendo se poteva dare una mano, di prendere in custodia Nicholas e Claudia, per il momento, e di distrarli in qualche maniera. Non credeva che fosse l’ideale per dei bambini così piccoli, vedere una cosa di quel genere. I due bambini non protestarono per nulla, quando dovettero andar via con quella sconosciuta, anzi ridevano come dei matti ed inoltre Claudia le chiese subito di essere presa in braccio. La donna sorrise ed obbedì. La signora pensò che quei due bambini erano davvero adorabili ed era proprio un peccato che fossero costretti a vivere in quel modo. Tuttavia, se non altro, una mamma ce l’avevano.
  Di nuovo nel prato. «Bene, signorina» disse infine l’ostetrica, rivolta a Jane. «Può stare tranquilla, adesso, ho mandato via tutti. Mi dica, le si sono già rotte le acque?» Jane ansimò rumorosamente e mormorò a fatica: «Sì…sì».
  «Bene, questo semplifica di molto le operazioni. Faremo sicuramente più in fretta». commentò l’ostetrica, con aria pensierosa. «Non si preoccupi, andrà tutto bene. È il terzo figlio per lei, vero signorina?» Jane annuì, con aria sofferente.
  La dottoressa quindi ribatté: «Ah, ecco, allora avevo capito giusto. Be’, se è il terzo dovrebbe già essere abituata, no? Di sicuro è più abituata di me, io ho avuto solo una gravidanza». Continuava a parlare ininterrottamente, facendo del suo meglio per cercare di distrarre Jane dalla difficoltà del momento e la ragazza, che aveva capito ed approvava le sue intenzioni, ascoltava con gratitudine, senza dire nulla.
  «Scusi, signorina, come si chiama? Oh, e posso darle del tu? Parlarle così mi sembra troppo innaturale». Jane rispose: «Mi chiamo Jane Thaisis. Sì, può darmi del tu, anzi deve farlo, stavo giusto per chiederglielo».
  La dottoressa fece per chiedere a Jane, se per caso fosse quella Jane Thaisis, l’ultima vittima di Number One poi, pensando che non fosse il momento adatto, ci ripensò. Perciò annuì, poi disse: «Bene, Jane, prima di tutto sdraiati nell’erba. Bravissima. Ora tu dovrai ascoltare con estrema attenzione tutto quello che ti dirò di fare, d’accordo?» Jane annuì ancora una volta. Non aveva molta voglia di parlare. Era assolutamente sicura che, se avesse detto anche solo una parola più di quelle strettamente necessarie, avrebbe sicuramente vomitato.
  Grazie all’aiuto della dottoressa Brooks, così disse di chiamarsi l’ostetrica, un paio d’ore dopo il bambino era nato. Era un maschio, questa volta e purtroppo assomigliava molto a suo padre, William, che Jane stava cercando con tutte le sue forze, di dimenticare il più in fretta possibile. In quel momento pensò, colpita da un’osservazione, che l’aveva sorpresa soltanto in quel momento “William è diventato padre a quindici anni. Magari sarebbe contento di venirlo a sapere. No, be’, probabilmente non lo sarebbe. Io non lo sarei, se fossi al suo posto. Be’, quel gli è successo gli sta bene. È stato solo un perfetto idiota!”
  Decise di non rimuginare più su di lui e invece si mise ad ammirare il suo bambino e, a questo punto una lacrima solitaria le scese lungo una guancia. «Mi dispiace, David» mormorò. Il nome per il neonato le era venuto naturalmente in quel momento, senza bisogno di stare a pensarci. Sapeva per una specie di istinto che suo figlio si sarebbe dovuto chiamare solo così e in nessun altro modo.
  Circa dieci minuti più tardi arrivarono Nicholas e Claudia, accompagnati dalla donna che li aveva tenuti d’occhio durante quelle due ore. Erano contenti, avevano giocato a lungo, si vedeva bene, erano anche tutti sudati, nonostante l’aria di giugno fosse piuttosto pungente. Jane ringraziò molto la donna, vedendoli così felici e volle pagarla per il disturbo, con quel poco che aveva, ma l’altra rifiutò dicendosi quasi offesa. «Non mi permetterei mai» disse, «di chiederti dei soldi per una cosa che in fondo ho fatto con piacere. Soprattutto sapendo cosa ti è successo». Jane, a queste parole sorrise commossa, poi chiamò i suoi bambini per far loro salutare il fratellino appena arrivato.
  Alcuni minuti dopo, si era ripresa abbastanza e si era alzata in piedi, così la signora Brooks, che aveva ardentemente pregato la ragazza di darle del tu, le annunciò a sorpresa che l’avrebbe invitata a casa sua. Jane, a quelle parole quasi si mise a saltare dalla contentezza: per la prima volta era riuscita a farsi ospitare senza nemmeno doversi umiliare a chiederlo di persona.
  La donna abitava in un grosso condominio in periferia e mentre ci arrivavano, quando erano in automobile, disse a Jane di avere in casa anche un figlio che aveva più o meno la sua età; Jane s’illuminò. Circa mezz’ora più tardi, uscirono dall’ascensore ed entrarono nell’appartamento. La dottoressa esclamò, rivolta al piano di sopra: «Ehi, di casa, non c’è nessuno? Ho portato un’ospite! Anzi, degli ospiti». Da sopra una voce maschile e un po’ seccata, rispose: «Sì, mamma, arrivo». Passarono alcuni minuti, in cui Jane e la dottoressa Brooks non poterono fare nient’altro che stare lì a guardarsi e ad aspettare che comparisse qualcuno.
  Alla fine, quando l’attesa cominciava a diventare piuttosto imbarazzante, arrivò giù dalle scale un ragazzo dai capelli biondi e ricciuti che si avvicinò a Jane e le tese la mano. «Ciao, chiunque-tu-sia, io sono Ronald, ma tutti mi chiamano Ron. Piacere di conoscerti» disse il ragazzo, in tono allegro.
  «Ciao, ragazzo Ronald. Io mi chiamo Jane» si presentò lei con lo stesso tono, riuscendo a mantenere un notevole autocontrollo, molto più di quanto non ne avesse dimostrato di fronte a Eric Stevens. «Piacere mio». Aspettò che la dottoressa sparisse in un’altra stanza, prima di chiedere al giovane, piuttosto aggressivamente: «Non sei uno squilibrato, vero? Non mi violenterai mai, giusto? I tuoi genitori non mi volteranno le spalle, se dovessi restare incinta di te, com’è praticamente sicuro che succederà? E non appenderai i miei tre figli fuori della finestra, come minaccia, non è vero? Sono la cosa più importante che ho».
  Ron sorrise, un sorriso perfetto. «Certo che no! Ma da quale pianeta arrivi? Non penserei mai a niente di tutto questo! Ma come ti vengono certe idee insensate?»
  Lei lo guardò con aria truce e rispose, tagliente: «Non sono “idee insensate” che mi sono fatta io» disse, mimando delle virgolette nell’aria con le dita, «ma tutto quello che ho dovuto subire rispettivamente dal mio sequestratore, dai genitori del padre di mia figlia Claudia, che si chiama Eric Stevens e perfino, anche se so che sembra incredibile, da un piccolo pervertito di quindici anni, William Carter si chiama, del quale sono rimasta incinta per la terza volta!» elencò, contando i vari uomini sulle dita, per dare enfasi al suo discorso, sicuramente deciso e, se proprio vogliamo, anche un po’ delirante, magari.
  Il sorriso di Ron si spense all’improvviso. Il ragazzo sembrava sinceramente dispiaciuto. «Accidenti, scusa, non ne avevo idea… non avrei dovuto dirlo, mi dispiace tanto». Poi sogghignò: «Davvero sei rimasta incinta di un ragazzino? Cioè, ti è successo veramente? E come fai ad essere sicura che resterai incinta di me? Sei appena arrivata, ancora non ci conosciamo».
  «Sì, mi è successo per davvero» ribatté Jane, con aria indispettita. «E non c’è proprio niente da ridere! Quanto a come faccio ad essere sicura che avrò un figlio da te, c’è solo una risposta a questa domanda. È perché ormai mi conosco fin troppo bene, Ronald. È questo il motivo».
A questo punto, bisogna chiarire un dettaglio cruciale per il proseguimento della nostra storia. Nonostante tutto quello che era stata costretta a sopportare a causa loro, a Jane era rimasta una grande passione per gli uomini, e Ronald Brooks le piaceva particolarmente. Questo si rivelò un grosso e difficile problema.
  Quella sera a Jane fu presentato anche il padre di Ron: un tipo simpatico che si chiamava Benjamin e che le disse di chiamarlo Ben; la ragazza, poi, venne anche a sapere che la signora Brooks si chiamava Ellen. Jane poco dopo seppe di essere entrata in una casa di medici: Ellen era un’ostetrica, mentre Ben faceva lo psichiatra. Ron, invece, studiava per diventare dentista.
  Alcuni giorni dopo, quando Jane era già diventata un’abitante fissa di quella casa, praticamente era parte della famiglia, lei e Ron erano insieme nella stanza di lui e stavano chiacchierando animatamente. Ad un certo punto si sentì bussare alla porta e quando Ron ebbe detto: «Avanti», Ellen mise dentro la testa e disse: «Benjamin ed io questa sera dobbiamo uscire, ragazzi. Divertitevi, ma mi raccomando, non fate sciocchezze. Voglio sperare che tu capisca a cosa mi riferisco, Jane, basta una volta, ormai credo che dovresti saperlo. Non credete che non mi sia ancora accorta di quello che c’è fra voi due. Non ho assolutamente niente in contrario, ma voglio solo sperare che tu abbia conquistato un po’ di buonsenso, adesso, con tutto quello che ti è successo. Per favore, non combinate nessun disastro di nessun genere. Con questo intendo anche che voglio trovare la casa in perfetto ordine per quando torniamo».
  Ron la guardò un po’ accigliato e un po’ esasperato. «Mamma, per favore, non siamo più bambini. Ormai siamo capaci di badare a noi stessi». Ellen rispose che non ne era poi così sicura e se ne andò.
  Rimasti soli, i due ragazzi ordinarono una pizza, guardarono un film comico, poi tornarono nella stanza di Ron. Jane, a questo punto, gli disse: «Ron, so perfettamente quello che vuoi fare, ed è ciò che né io, né tua madre vogliamo. Voglio dire, almeno non anche stasera. Abbiamo altri giorni utili. Lei ha ragione, Ron, davvero, stiamo qua, dai piuttosto facciamo una festa scatenata, invitiamo un po’ di tuoi amici e ci ubriachiamo! Tanto i bambini ormai dormono già da un bel pezzo! Non li svegliano più neanche le cannonate. A chi non piace una cosa del genere?»
  «Sì, certo, e chi li sente i miei dopo, se tornano e trovano la casa devastata, con noi che non ci reggiamo più in piedi. Hai sentito mia madre, vuole trovare la casa in ordine per quando tornano. Avanti, che t’importa, stasera ci divertiamo veramente. Non ti piace il rischio?»
  «Il rischio?» esclamò Jane, con voce leggermente tremante. «Non so se te ne rendi conto, Ronald Brooks, ma io, a soli venticinque anni, ho tre figli. Tre, avuti in due anni. A quanto pare sono eccessivamente fertile e tu hai anche il coraggio di venire a chiedermi se non mi piace il rischio?»
  La discussione andò avanti ancora per circa mezz’ora, forse di più e si fece sempre più infuocata, ma alla fine Ron ebbe la meglio e riuscì a convincere una Jane sempre molto riluttante. Jane nei giorni seguenti si ritrovò spesso a pregare di non restare incinta, anche se in teoria non avrebbe dovuto preoccuparsi, perché era passato poco tempo dalla nascita di David; ma probabilmente lassù non ci sentivano, perché lei due settimane più tardi, verso fine giugno, si ritrovò a dover fronteggiare una quarta gravidanza quando il suo figlio più piccolo non aveva che tre settimane.
  Si sarebbe messa a piangere per la rabbia, ma ciò che la agitava di più era il pensiero di non essere normale. Chi aveva mai sentito parlare di due fratelli nati a nove mesi di distanza uno dall’altro? Seppe che David aveva compiuto tre settimane proprio in uno di quei giorni. Grazie ad un quotidiano che aveva portato a casa Ben, scoprì che quel giorno era il 26 giugno 2000.
  Nonostante avesse preso la decisione di mostrare nervi d’acciaio a tutti, non poté fare a meno di infuriarsi con Ron. Ci fu una grande litigata tra i due giovani che lasciò tutti scossi e che riecheggiò ancora per molti giorni dopo tra le pareti di casa, dovuta soprattutto al forte stress che Jane aveva accumulato in tutti quegli anni. La scena era più o meno questa: Jane e Ron che si urlavano addosso furibondi e rossi in volto, divisi soltanto dal tavolo del soggiorno. La ragazza accusò Ron di averla convinta a fare una cosa che lei preferiva evitare, almeno quella sera, quindi era tutta colpa sua se lei era rimasta incinta. Però il ragazzo ribadì che lei, in fondo, s’era lasciata convincere con una certa facilità.
  Andò a finire che i due non si parlarono per diversi giorni. Entrambi sentivano terribilmente la mancanza dell’altro, ma erano troppo testardi ed orgogliosi per riuscire ad ammetterlo. Ellen continuava a ripetere che erano entrambi dei bambini a tenersi il broncio a quel modo, invece di comportarsi da adulti e chiarirsi.
  Dopo una decina di giorni, Jane riuscì infine ad accettare la nuova gravidanza, la cui improvvisa ed inattesa comparsa era infatti la causa principale di tutto ciò che era successo, e decise perciò di fare pace con Ron. Il ragazzo, a differenza di William Carter, riconobbe con onestà comunque la sua parte di colpa in tutto l’accaduto e Jane gliene fu veramente grata.
 
 
  
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