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Autore: Dira_    07/06/2012    17 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LVII

 
 


 
I was looking for a breath of life
For a little touch of heavenly light
But all the choirs in my head say, no
Who’s side am I on? Who’s side am I?
(Breath of life, Florence & The Machine)
 
 
 
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
 
 
Un lampo verde, almeno nel Mondo Magico, voleva poter dire solo una cosa. Il verde non era un gran colore in certi ambienti, e sicuramente non in quello di Sören.
Lo vide, capì. Non ci fu il passaggio successivo in cui realizzò che se Johannes aveva colpito Lily, Lily era morta.
Sentì solo il controllo che veniva spazzato via dal terrore e dalla rabbia. Mai, nella sua vita, aveva provato tanta paura.
Ma non per sé, stavolta.
La Magia era cosa strettamente legata alle oscillazioni del proprio animo; la sua magia, in special modo, era legata a doppio filo alle sue emozioni. Per questo Von Hohenheim si era adoperato in ogni modo per reprimerle, schiacciarle, renderle morte.
Perché quella mano era un’estensione di se stesso; era se stesso. L’aveva sempre vista e considerata con repulsione, perché lo qualificava come un’arma, come qualcosa che aveva perso ogni umanità.
Eppure a quella mano fu grato, perché fu lei, fu lui a far saltare il portone incantato dalla barriera protettiva. Vide il metallo dei cardini e dei rinforzi scaldarsi, diventare arancione, il legno bruciare ed esplodere in un milione di schegge che gli volarono tutto attorno, senza però colpirlo. Il braccio proteggeva e distruggeva.
La porta esplose.
La seconda cosa che vide oltre il pulviscolo di segatura e schegge fu l’espressione di Johannes; era evidente che non si fosse aspettato quella svolta degli eventi. Forse era stato lui stesso a incantare il portone, o potenziare la barriera già presente.  A volte rimaneva sorpreso dal fatto che lo considerassero così poco.
Mi avete creato voi.
La terza cosa che vide fu Lily, anche se gli sembrò la prima; Lily che era a terra. I capelli rossi, persino in quella penombra da torcia sembravano fiamme liquide.
A terra.
Johannes levò la bacchetta ma era lento. Sul serio, lo era, perché l’incantesimo che gli lanciò era così debole che lo scacciò via con una manata.
Mi avete creato voi. Davvero non sapete di cosa sono capace?
Il braccio bruciava come se glielo avessero infilato nella lava bollente e si sentiva il respiro mozzo, il cuore in gola. Lo stava usando male, non stava neanche tentando di controllare la magia che gli veniva risucchiata dalle vene per poi uscire fuori come fulmini durante un temporale. Se continuava così non sarebbe durato a lungo.
Non aveva importanza. 
Johannes tentò di attaccarlo di nuovo; aveva smesso di parlare, ridere, prenderlo in giro. Evidentemente persino un bastardo della sua risma si rendeva conto quando la situazione gli era sfuggita di mano.
Ne aveva abbastanza. Non usò un incantesimo, neppure una formula, ma a volte bastava l’intenzione, perché prima della parola, c’era la volontà.

Infranse lo scudo protettivo di Johannes con una vampata. Lo vide sbattere contro il muro, battere la testa, scivolare a terra. Morto? Perdeva molto sangue dalla testa e non si muoveva. Di certo non era più in grado di fare del male. Individuò la sua bacchetta e gliela bruciò in una pioggia di schizzi di luce e scoppi.
Lily.
Si voltò verso di lei, le corse incontro ignorando le fitte dolore del braccio; lo aveva usato troppo, lo aveva usato male e non aveva importanza.
Lily, ti prego… Lily.
Non poteva essere morta. Non doveva essere morta. Le principesse come lei, glielo avevano insegnato le poche storie che aveva letto durante la sua infanzia, non morivano, non era possibile. Le si inginocchiò accanto, ma non la toccò; se aveva battuto la testa non doveva muoverla, non poteva rischiare di …
Di peggiorare la situazione? E se è…
No.
Aveva il viso voltato di lato ed era pallida; gli occhi erano chiusi, ma non spalancati nel vuoto, quindi forse…
Ti prego. Ti prego, ti prego, ti prego…
Pregare qualcuno o qualcosa era roba da babbani. Certo, si poteva pregare un avversario di risparmiarti la vita, ma non era quello il caso dato che non stava pregando per sé.
Le tastò il polso, ma era troppo agitato. Gli sembrava ci fosse del battito, debole. Non ne era certo… Come si prendeva poi il battito? Era una cosa da Guaritori e lui non lo era.
Aveva un’unica certezza che gli impediva di impazzire: l’Avada Kedavra non doveva averla colpita, dato che chi moriva per La Maledizione Senza Perdono aveva gli occhi spalancati, il volto livido e l’espressione di chi aveva visto la Morte. Lily non aveva nessuno di quei segni che aveva imparato così bene a riconoscere.
Ti prego, ti prego, ti prego…
Sören si accorse di stare pregando qualcuno, in effetti; stava pregando proprio lei, la Morte, che non la portasse via dal mondo, che non si prendesse una ragazzina innocente. La sua ragazzina innocente, la sua innocenza. La sua migliore amica.
“Lily…” Voleva chiederle di svegliarsi, di reagire, ma gli sembrava di aver la lingua legata, fatto salvo per quelle uniche due sillabe. Le teneva la mano come un inutile idiota, mentre la magia dentro di lui ribolliva. Non poteva farla uscire, perché era certo che in quel momento avrebbe distrutto tutto, loro compresi. Non poteva far nulla, se non rimanere lì e chiamarla.
Perché sì, Lily non era stata presa dall’Avada Kedavra. Ma non si svegliava.
 
****
 
Il lupo si avvicinò fiutando il terreno ghiacciato da più strati di neve compatta, resa dura dal camminare di scarponi umani. Annusò il terreno e si avvicinò circospetto alle enormi mura grigie e lisce come se il vento le avesse lavorate per secoli. E probabilmente era così.
Non poté avvicinarsi però alla nuda pietra che subito qualcosa di indefinito sembrò far tremare l’aria, quasi le molecole si fossero agitate come foglie mosse dal vento. Un attimo dopo sulle merlature si affacciarono due uomini a bacchette spianate.
“Rilassati Jeno, è solo un lupo.” Disse uno dei due ritirando la bacchetta nel mantello. “Queste foreste ne sono piene, anche se i babbani hanno fatto un bel lavoro nell’ammazzarli. Metti via la bacchetta, che ti congeli le mani.”
L’altro ignorò il suggerimento del compare e lanciò piuttosto un incantesimo che si abbatté con uno scoppio al lato dell’animale, che balzò via sparendo dietro una fila di cespugli circostanti.
“Jeno, sei un idiota!”
Questa fu l’ultima cosa che il lupo udì prima di trotterellare nella direzione da cui era venuto. Corse per un po’ nella boscaglia, prima di svoltare una fila di alberi e trovarsi di fronte quattro ragazzi chiusi nei propri mantelli che si riscaldavano le mani ad un fuoco azzurrino e privo di fumo.
“Ehi, eccoti qua!” Esclamò Albus alzandosi in piedi e porgendogli un fagotto di vestiti. “Com’è andata?”
“Non sa parlare in quella forma.” Gli fece notare Tom arricciando il naso e strofinando le mani prima di infilarle dentro il mantello.

“Devi sempre puntualizzare, vero?”  
Il lupo sembrò quasi sorridere di quel battibecco, prima di sparire dietro una serie di massi rocciosi con il fagotto trai denti. Ne uscì qualche minuto dopo stiracchiandosi, di nuovo in possesso dei suoi pantaloni tweed, del suo maglione infeltrito e del suo mantello più caldo.
“Non sapevo fosse un Animagus, professore!” Esclamò Scorpius. “Era un lupo davvero figo!”
“Un Metamorfomago, Scorpius. Posso prendere l’aspetto di qualunque creatura che abbia più o meno la taglia di un uomo.” Spiegò brevemente; non era il momento di fare lezione dopotutto. Si sedette poi in mezzo a loro e tese le mani al fuoco. “Come pensavo c’è una barriera protettiva attorno al castello.” Soggiunse. “Se ci si avvicina scatta un allarme.”
“Beh, e allora? Possiamo affrontarli!” Esclamò Dominique, insofferente a quella situazione di stallo e raccolta informazioni. Ted non era sicuro fosse la più nervosa del consesso però; Tom infatti si passava le mani l’una sull’altra guardandosi la punta delle scarpe.
Evita lo sguardo degli altri…
Li guardò uno ad uno; erano poco più che maggiorenni, nessun Auror dotato di un grammo di cervello si sarebbe affidato a dei ragazzi non ancora diplomati, per quanto due di loro fossero Campioni del Torneo Tremaghi. Certo, erano svegli e capaci; la riprova l’aveva avuta quando avevano affrontato i tre Mercemaghi al porticciolo delle barche.
Ma è stato un caso che non ci siano stati danni… Tre Mercemaghi e per poco Al e Tom non sono stati schiantati. Tom non mi ha obbedito e Dom non ha aspettato la copertura di Scorpius e si è avventata a testa bassa.
Non erano addestrati, il problema era tutto lì. Ma se c’era una cosa che gli era stata insegnata all’Accademia era che non era importante quanto la situazione fosse disperata. L’importante era sfruttare al meglio i mezzi che si avevano a disposizione.
“Ascoltatemi bene.” Ripeté, e fissò lo sguardo in particolar modo su Thomas che gli restituì un’occhiata indecifrabile e diffidente come sempre. “L’unico modo per entrare è avere un piano.” Prese la bacchetta e cominciò a disegnare in mezzo alla neve una rudimentale piantina del castello. I segni presero una colorazione arancione, ben visibile. “Ho fatto il giro del perimetro e le mura sono circondate, ogni posizione è stata coperta, nessun angolo cieco. Ci sono almeno una dozzina di Mercemaghi sulle merlature. Non ho visto l’interno, ma si può ipotizzare che ce ne siano altrettanti sparsi dentro, se non di più.”
“Almeno una trentina? Per le palle di drago, noi siamo solo in cinque!” Borbottò Dominique un po’ meno spavalda. Era capace di contare e realizzare dopotutto.

“Forse dovremo aspettare gli Auror?” Chiese Malfoy incerto. “Voglio dire, so che…”
“No.” Lo interruppe Tom. “Ricordati che c’è un conto alla rovescia che sta per scadere.”

Ted si passò trai capelli, notando come il colore rosso non accennasse ad andarsene. “Thomas ha ragione, non possiamo aspettare Harry e le sue squadre. Oltre al fatto che non ci vorrà molto prima che si accorgano che quelli che abbiano affrontato non stanno tornando.” Spiegò. “Per tornare al discorso… L’unico modo per entrare è creare un diversivo.”
“Qualcuno resta fuori e fa casino?” Chiese Scorpius perplesso. “Perché io e Domi possiamo farlo, ma…”
Ted sorrise. “No, con diversivo io intendo un mascheramento.”

Intercettò l’espressione confusa di Al e gli sorrise; era soprattutto a lui che si affidava per controllare Thomas. Perché sì, non si fidava dell’altro serpeverde; lo conosceva e sapeva bene come le sue intenzioni fossero sempre ammantate di un tornaconto personale.
Non che non voglia bene a Lily…

Non metteva in dubbio quello. Il punto era che Tom non era lì per il loro stesso motivo, era più che evidente dal suo atteggiamento, e Ted non poteva permettere che si separasse dal resto del gruppo per le sue crociate personali.
Se gli succedesse qualcosa Harry mi ucciderebbe ed io non me lo perdonerei mai.
Doveva tenere assieme quei ragazzi; non aveva potuto impedirgli di venire lì e combattere per un’amica, per una sorella. Come avrebbe potuto del resto? La pensava come loro. Ma non poteva permettersi di lasciarne indietro neppure uno, Thomas compreso.
Devo riportarli a casa. Tutti quanti.
 “È per questo motivo che abbiamo rubato i vestiti a quei Mercemaghi?” Gli chiese Al strappandolo dalle sue riflessioni.
“A proposito, se li tengo ancora nello zaino mi verranno le piattole!” Si lamentò Scorpius. “Davvero, a che ci servono?”

Ted sorrise all’aria schifata del più giovane dei Malfoy. In certe espressioni era incredibilmente suo padre. “Se dici così, Scorpius… credo che non ti piacerà quanto sto per proporvi.”
 
 
“Sono tornati Ghena e gli altri! Aprite la porta!”
Il complicato sistema di sbloccaggio del portone principale venne attivato; meccanismi oliati si mossero e le due mezzelune di legno si aprirono mentre sotto lo sguardo della dozzina di Mercemaghi che occupavano la corte interna entravano Ghena, Desislav e Bogdan, conosciuti solo tramite nome, perché i Mercemaghi, era fatto noto, non avevano bisogno di cognomi.

La pioggia mista a nevischio che si stava abbattendo sulla regione da giorni non permetteva di vedere il volto dei due uomini, ma Ghena era a capo scoperto, l’occhio guercio che fissava il nulla. Con loro portavano due ragazzi, infreddoliti e dall’aria molto giovane.
“Fateci entrare.” Disse questa. “Dobbiamo portarli da Von Hohenheim.”
“Non sei tu a dare gli ordini, megera!” La apostrofò uno della dozzina, manchevole di un pezzo di naso e dei capelli. Aveva però il mantello migliore, foderato di pelliccia di lupo e due orecchini d’oro ai lobi. Doveva essere il Capitano, anche se non vi erano mostrine a qualificarlo. “Conosci le consegne, Ghena. Nulla entra od esce senza che abbia il lasciapassare di quel Johannes.”
La strega per tutta risposta afferrò il braccio del più alto dei due e lo frappose tra di loro. “Questo è ciò che chi ci paga cerca. Glielo abbiamo portato… serve davvero farci gelare qui mentre aspettiamo quel buffone?” Soggiunse sprezzante.
Il mago senza naso fece una smorfia incerta. “Chi sono?” Chiese.
“Thomas Dursley e Albus Severus Potter…” Fu la risposta. “Lo smilzo è il figlio del nostro datore di lavoro, l’altro è un amico. Te l’ho detto, è ciò che cerca. Facci entrare.”
Il Capitano esitò, scoccando un’occhiata verso Desislav e Bogdan. Infagottati nei pastrani avevano qualcosa di strano. “E son venuti da soli?”
“Da soli, sì… non c’è voluto niente a catturarli.”  

C’era qualcosa di strano in Desislav e Bogdan, davvero; Il Capitano si avvicinò ai due, che tenevano le teste chine per ripararsi dal nevischio che sferzava i volti di tutti, rendendoli rigidi e doloranti. Nel silenzio ovattato dalla neve sentì del cuoio piegarsi su se stesso. Desislav aveva stretto il mezzo guanto della mano destra. “Cos’hai? Come mai non spiccichi parola, ah?” Lo apostrofò in un bulgaro approssimativo, dato che quella lingua barbara non era la sua. L’altro non rispose, limitandosi a spostare il peso da un piede all’altro.
“Avete intenzione di fare una chiacchierata?” Chiese la strega della Dobrugia, ma stavolta aveva un tono nervoso impossibile da ignorare.
Non c’era dubbio che ci fosse qualcosa di strano. Di dissonante, avrebbe detto se avesse conosciuto la parola in questione.
Bogdan era troppo alto, ecco cos’era. Il pastrano bisunto che era suo marchio di riconoscimento invece che arrivare alle caviglie arrivava a metà polpaccio. “Toglietevi i cappucci.” Ordinò loro mettendo mano al fodero della bacchetta.  I due si guardarono, e poi guardarono verso Ghena. La strega non batté ciglio. “Qual è il problema, Capitano?” Chiese.
“Non sto parlando con te, ma con loro… Perché nascondono il viso? Han paura di spaventare qualcuno, forse?” Un paio di risatine serpeggiarono tra gli uomini, ma furono subito spente da una sua occhiataccia. “Abbassate quei dannati cappucci prima che vi schianti, feccia!” Tuonò.
Il Capitano non vide muoversi i due Mercemaghi, ma se avesse avuto ancora piena funzionalità dell’occhio sinistro – danneggiato da una Maledizione l’estate prima – avrebbe visto Ghena tirar fuori la bacchetta dal fodero.
Copritevi gli occhi!” Disse in una voce e una lingua che non erano le sue.
Il lampo accecante che si riverberò nella neve però lo vide eccome. Lo vide e poi divenne cieco.
 
Le urla dei Mercemaghi accecati dal Lumos Solis che il professor Lupin aveva lanciato riempivano le orecchie di Scorpius. Anche se accecati dal riverbero causato dalla neve, i Mercemaghi non erano disarmati e stavano lanciando incantesimi a grappolo, con una mira pessima, ma non per questo meno letale.
Quanto sono idioti! Rischiano di prendersi tra loro!
… e sì, di prendere pure noi!
Ne schivò uno e poi schiantò il pazzo furioso che glielo aveva lanciato. Sentì puzza di bruciato vicino alla tempia e sperò di non essere diventato pelato.
“Bel colpo!” Esclamò Dominique, la quale sembrava perfettamente nel suo elemento. Tanto per cambiare. Scagliò infatti un Impedimenta che mandò a gambe all’aria un Mercemago, il quale incantesimo finì per colpire una statua vicino a loro; venne sbriciolata come se fosse stata fatta di biscotti.
Merda! Merda!
Non era molto Malfoy avere quella parola in testa a nastro continuo, ma diavolo se era adatta alle contingenze!
“Verso l’ingresso! Andate verso l’ingresso!” Urlò Ted, di nuovo il buon professore che conosceva e non quella Megera terrificante. Non l’aveva mai visto usare il suo potere da quando lo conosceva; ora che sapeva di cos’era capace un Metamorfomago era felice che fosse una dote rara.
Vide sfrecciare Dursley e il Mini-Potter davanti a sé; da bravi serpeverde avevano uno scatto verso la salvezza niente male. Dursley però si voltò un paio di volte per deflettere gli incantesimi e piazzarne di veloci e precisi come se li scoccasse da un arco.
Però, allora serve a qualcosa tutto quel suo amoreggiare con la sua bacchet-… Merda!
Quasi scivolò su una lastra di ghiaccio, e solo i riflessi da Quidditch lo ressero in piedi e gli permisero di tener dietro agli altri due.
Ho già detto merda?
Dentro!” Urlò di nuovo Ted. Gli incantesimi dei Mercemaghi sembravano essersi fatti più esatti. Si stavano riprendendo e non ci sarebbe voluto molto prima che li usassero come bersagli in movimento.
Scorpius corse il più velocemente possibile, sorpassando persino Al e Dursley. Spalancò la porta di legno con un calcio ben piazzato; fortuna volle che per una volta era una semplice porta di legno, forse quella usata dai domestici, quella di servizio, pesante ma non incantata. Si aprì docilmente di schianto.
“Forza!” Li incitò, afferrando il braccio del Potter di mezzo e tirandolo dentro, dato che persino in quelle situazioni riusciva a inciampare su se stesso. “Dobbiamo chiuderli fuori!”
“Come?” Ansimò Thomas, il meno atletico di loro a giudicare dal colorito violento che aveva assunto il suo di solito pallido incarnato. “Non c’è…”
“Se ci seguono in questo labirinto siamo fregati, ci prederanno uno ad uno.” Lo interruppe Al inspirando ed espirando lentamente. “Ted! Domi!” Fece loro ampi cenni; sia l’anglofrancese che Lupin erano rimasti indietro per coprir loro le spalle, era evidente anche senza bisogno di nozioni tattiche.

Scorpius ignorò una parte di sé che urlava di rimanere al sicuro e uscì tirandosi su il cappuccio per proteggersi dalla neve che adesso vorticava impazzita; gli mancava solo esser accecato da quella.
Raggiunse Domi che se la vedeva con due tizi grossi il doppio di lei e lanciò un Petrificus a quello che stava per aggredirla da dietro. Fece aderire la schiena alla sua per avere entrambi le spalle coperte.
“RaggioDiSole!” Esclamò voltandosi verso di lui con il viso imbrattato di sangue; un semplice taglio al sopracciglio per fortuna. Si strofinò la manica sul viso come se nulla fosse. “Sei il vero erede di Godric!”  
“Al momento lo prendo come un insulto!” Ringhiò un po’ disperato.
Era un delirio, lo era veramente e lui era terrorizzato; ma questo non aveva importanza quando eri nel bel mezzo della mischia, scoprì. L’adrenalina teneva in piedi, ed era buona. Buonissima.
Okay, sono fuori di testa. Sarò un fantastico Auror, me lo sento.
Lupin riuscì poi a farli ripiegare verso il portone mentre Tom e Al coprivano loro l’entrata con dei Protego Totalum che facevano onore alla loro nomea di secchioni.
“Chiudete il portone!” Esclamò, ma Scorpius sapeva che non sarebbe bastato, non per fermare un’orda di Mercemaghi, dimezzati sì, ma infuriati per essere stati messi in scacco da quattro ragazzini ed un adulto; inoltre non c’era modo di arrivare al battente e non essere crivellato dal fuoco nemico.
Lo sapeva e quindi fu sequenziale fare un gesto che lo qualificò come il punto di non ritorno del vero grifondoro. Fece esplodere l’ingresso con il miglior Confringo della sua storia personale; porta, cardini e pietra franarono in un solo ammasso di calcinacci, chiudendo l’entrata. Definitivamente.
Il silenzio che ne conseguì, mentre fuori i lampi colorati degli incantesimi si infrangevano sulla nuda pietra senza risultati, fu riempito dalle facce sbalordite dei suoi compagni di ventura.
Non era stata precisamente un’idea venuta dal nulla; gli incantesimo esplosivi erano gli ultimi arrivati nel suo parco armamenti personale.
Poo e il suo esplodere porte per salvare docenti in mezzo alle fiamme… Sono un ragazzo con una buona memoria, fatemene una colpa.
Questo è per te, James.
Si liberò del pastrano disgustoso che aveva dovuto indossare e lo gettò nell’angolo più buio e più lontano dai suoi occhi. “Dovevamo guadagnare tempo e chiudere la porta.” Disse al muto consesso. “Ha funzionato, no?”
Ted inspirò, guardando la frana. “Sì, in un certo senso…” Decretò passandosi una mano trai capelli amaranto. Se quello era il colore dedicato alla battaglia, Scorpius lo trovava adeguato.
“James ti ha contagiato. Condoglianze.” Sospirò Al, ma non sembrava propenso alla rabbia. Piuttosto alla calma e controllata rassegnazione; doveva esserci abituato, visto il cognome. Si spostò vicino a Domi e prese a medicarle il viso. Questa, immobile per ordine di Al, trovò comunque il modo di rifilargli una pacca sulla spalla. “Bel colpo, asso.” Ghignò. “Ormai sei uno di famiglia!”
“Muoviamoci.” Li spronò Ted togliendosi il mantello della Megera e gli ultimi scampoli del suo scomposto aspetto. “Lily è qui, da qualche parte.”

“Nelle segrete.” Disse Thomas aggrottando le sopracciglia. “Deve essere nelle segrete.”
“Quindi si deve scendere, giusto?” Dominique si stirò il collo con uno schiocco. “Scendiamo!”

Scorpius si affrettò a seguire gli altri, ma non prima di aver dare un’occhiata al suo disastro costruttivo.
Concedetemi un momento di trionfo personale.
Aveva funzionato, anche se probabilmente tutti i Malfoy, dalla prima generazione a quella di suo nonno, si stavano rivoltando nella tomba. E Rosie l’avrebbe ucciso.
Fece un sorrisetto.
Forte.
 
****
 
Tom sentiva una voce.
Non era però la stessa voce che sentiva quando la rabbia prendeva il posto della razionalità e gli diceva di fare cose che faceva fatica a non trovare sensate.
Quella voce ormai era un mormorio infuriato, ma talmente debole da esser quasi patetico.
No, la voce che sentiva nella testa non era la voce del suo vecchio Io. Non l’aveva mai udita, e gli chiedeva una sola cosa.
Vieni.
Non ci voleva un genio o l’essere una LeNa per capire che si trattava di suo padre; se era lo stregone geniale che tutti dicevano fosse, era ovvio che sapesse come parlare alla sua coscienza. Era uno di quegli incantesimi straordinari che doveva conoscere e che a lui erano preclusi.
Vieni.
Strizzò gli occhi, sentendo una fitta attraversargli il cervello come un ago rovente.
“Tom?” Sentì la mano di Albus sfiorargli il braccio. “Tutto a posto? Sei ferito da qualche parte?”
“No, sto bene.” Scosse la testa. Al era accanto a lui come un’ombra e la cosa lo rincuorava e irritava al tempo stesso. In quel modo non c’era, il modo, per allontanarsi dal gruppo.
Al gli lanciò un’occhiata, la presa sulla bacchetta ben salda. Aveva i capelli totalmente impazziti e l’aria provata, ma anche quell’espressione di pietra negli occhi che significava guai per chi aveva la sfortuna di trovarsi dall’altra parte del suo legno. Quei due anni lo avevano trasformato, reso più duro e meno disposto a dar fiducia alle sue affermazioni, almeno in certi frangenti.
Era certo che Al non si fidasse delle sue parole.
Ed ha ragione.
“Da questa parte.” Disse Ted, che teneva la bacchetta levata in un Lumos tenue ma bastevole a rischiarare i loro passi. Era infatti tutto completamente avvolto nell’ombra, salvo le poche porzioni illuminate dalla bacchetta; il pavimento era interamente coperto di tappeti dalla foggia morbida che rendeva i passi privi di rumore. Sembrava che il buio fosse lì da anni, decenni, e vi si fosse sedimentato come sporco nell’angolo di una stanza.
“Scorpius, stiamo andando nella direzione giusta?” Chiese Lupin.
“Siamo nella sezione centrale del castello, quindi sì. Tra poco dovremo trovare la torre maestra, e lì ci saranno delle scale. Cucine e poi segrete, subito sotto.” Snocciolò il purosangue con sicurezza. “Cavolo, ma nessuno di voi sa com’è fatto un castello?”
“Nessuno di noi ci abita tranne te, piccolo lord.” Motteggiò Dominique. “Sono solo io ad inciampare ad ogni passo? Cacchio è tutta ‘sta tenebra?”
Ted sospirò. “È per evitare che persone come noi si orientino.”
“O forse il padrone di casa odia la luce.” Fece una smorfia Al. “In ogni caso questo posto mette i brividi.”
“Che novità… ultimamente vado solo in posti spaventosi.” Borbottò Scorpius. “Casa mia in confronto è ridente.”
“Silenzio adesso.” Li redarguì il professorino, tale che era. “Potrebbero esserci altri Mercemaghi qua attorno.”

Nessuno obbiettò quell’osservazione e ripreso a marciare in fila indiana. In questo modo Tom era bloccato, dacché era Al che chiudeva la fila, non lui. Se solo avesse provato a rallentare per poi allontanarsi avrebbe sbattuto contro l’altro e sicuramente si sarebbe pure beccato una fattura per averci provato. 
Avrebbe fatto prima a mettermi un guinzaglio…
Poi, arrivò, puntuale come un orologio.
 
Vieni.
 
Non c’era bisogno glielo ripetesse in continuazione; era lui a voler andare, ma come poteva spiegarlo a quattro persone che avevano una missione completamente diversa dalla sua?
Nessuno avrebbe mai capito perché voleva incontrare suo padre. Nessuno dotato di genitori normali, che li avevano amati dal primo giorno della loro nascita, con cui condivideva sangue, ossa, carne, spirito. Amava la sua famiglia, amava ogni singolo Dursley e si sentiva tale, ma solo perché l’avevano accettato.
Di tutte le persone che conosceva, forse solo Meike ed Harry potevano capire cosa provava ogni volta che pensava al concetto di famiglia. E forse neppure loro.
Aveva bisogno di conoscere quella persona, ma doveva farlo da solo; non avrebbe permesso ad Albus e gli altri di rischiare la vita per accompagnarlo. Perché avrebbero rischiato, molto di più che a combattere qualche mago cencioso per la salvezza di quella sciocchina.
Forse era il karma – Lily gli aveva fatta una lunga ed estenuante lezione in merito qualche estate prima – ma dal nulla si sentì sibilare qualcosa e poi l’esplosione di luce violenta e fumo allertò tutti.
Incantesimi.
I Mercemaghi erano riusciti a entrare, o forse, come aveva detto Lupin, ce n’erano altri dentro il castello.
Era il momento. Non ci sarebbe stata un’altra occasione, e forse l’aveva proprio creata Von Hohenheim, mentre come un aquila famelica osservava tutto dalla torre più alta. 
La confusione di incantesimi, fatture e protezioni aveva completamente assorbito Al e gli altri; il suo ragazzo era protetto da un’armatura dietro cui si era nascosto, perché da lì gli incantesimi non potevano raggiungerlo.
Vieni.
Strizzò di nuovo gli occhi, sentendo come se la sua testa si fosse divisa in due. Una parte di sé gli urlava di rimanere, di combattere per riportare a casa  Lily e ignorare il richiamo di Von Hohenheim. L’altra invece lo spronava a muoversi, che non appena la scontro fosse volto in favore dei suoi – e a giudicare da come stavano avanzando era questione di poco – non avrebbe più avuto possibilità di andarsene.
E tu, cosa dici?
Era la prima volta che si rivolgeva all’Altro. Di solito lo ignorava mentre sibilava, ringhiava e ordinava a destra e a manca.
Liberati dal demone. Liberati dal demone e potremo essere noi stessi.
Fece un mezzo sorriso; quello era il primo buon consiglio che gli dava.
Guardò la schiena di Al un’ultima volta; se avesse potuto se la sarebbe impressa a fuoco nella retina. Avrebbe voluto il suo viso, i suoi occhi, ma doveva accontentarsi, visto che stava scappando.
 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
 
Attivare la Passaporta presente nello Specchio delle Brame – Harry se l’era trovato davanti e aveva provato una nostalgia fortissima – era stato più difficile del previsto. Anzi, peggio, era stato impossibile.
Radescu li aveva portati nella camera del defunto Poliakoff e aveva consegnato loro gli appunti; era persino venuto con loro fino al magazzino per aiutarli a decifrare il cirillico, che nessuno parlava o scriveva, Nora compresa. Tuttavia non erano riusciti ad aprire il passaggio.
“Dannazione!” Esplose facendo sussultare il povero allievo.
“Mi dispiace Signore… ho visto Sören farlo, e credevo fosse semplice.” Mormorò come se la colpa ricadesse interamente sulle sue spalle.
Harry che l’aveva ormai preso in simpatia gli posò una mano sulla spalla. “Non è colpa tua, Dionis. Novij è un mago addestrato, e probabilmente Poliakoff ha avuto più tempo di noi per esercitarsi.”
Ron seduto su una catasta di vecchi scatoloni dall’aria muffita sospirò. “Dovremo chiamare qualche esperto del Dipartimento Trasporti?”

“E come lo portiamo qui?” Replicò schioccando le labbra frustrato.
La McGrannit che, dopo essersi assicurata che Rose avesse compagnia e che il Preside badasse alla delegazione, era venuta con loro, fissò con aria severa lo specchio, quasi volesse redarguirlo. Poi parlò. “Devono aver chiuso il passaggio dall’altra parte.” Fece un sospiro. “Per questo non funziona.”
“Forse è questo il problema.” Si inserì Nora. “Noi non siamo compresi nel pacchetto. Hanno chiuso il passaggio dopo che i ragazzi sono entrati.”
Harry scosse la testa. “Dobbiamo continuare … È la nostra unica possibilità di raggiungerli.” Prese un profondo respiro. I crampi della fame non gli davano tregua da ore, ma diversamente da Ron aveva rifiutato qualsiasi tentativo di fargli mangiare qualcosa. L’avrebbe fatto dopo. “Nora, come stiamo messi con la ricerca dei possedimenti di Von Hohenheim?”

“Sta procedendo.” Fu la replica. “Ho dato l’ordine ai ragazzi di Boston, ci staranno sicuramente lavorando in questo momento.”
Ron aggrottò le sopracciglia. “Ma la risposta arriverà in tempo? Un Gufo Continentale…”
Nora fece un sorrisetto, tamburellando con le dita sul taccuino di pelle assicurato alla sua cintura. “La risposta mi arriverà qui. Tutti gli agenti della mia squadra hanno lo stesso tipo di taccuino, e sono comunicanti nelle due pagine finali.” Alle loro espressioni sbalordite, quella di Radescu compresa, assunse un’aria divertita. Harry pensò che ai suoi occhi gli europei dovevano sembrare incantatori alle prime armi. “Avete anche voi incantesimi simili. Specchi comunicanti? Il principio è lo stesso. Un po’ approfondito, in effetti.” Ammise.  

“Sai Harry, finita questa storia dovremo farci fare un corso d’aggiornamento o roba del genere.” Borbottò Ron grattandosi la barba a disagio. “Ci mangiano la pappa in testa, questi coloni.”
L’americana fece per ridere, ma la risate le si spense sulle labbra quando nel magazzino entrarono una mezza dozzina di maghi in uniformi rosse con una croce gialla su entrambi gli avambracci¹. Harry non ci mise molto a capire che appartenevano alla forza di polizia magica della Scandinavia.
Ci voleva pure questa!
“Capo Ufficio Potter, Sergente Weasley, Sergente Gillespie… In nome del Ministero Scandinavo Unito vi dichiaro in arresto.” Esordì uno di loro, con più mostrine e l’aria indubbiamente marziale. A Harry ricordò immediatamente Scrimgeour; la capigliatura leonina era la stessa.
Harry fermò con un cenno l’immediato e furioso alzarsi di Ron. “Con quali accuse?”  
“Aggressione di un funzionario del Ministero, sconfinamento territoriale e infrazione dello Statuto del 1289 sulla Non Interferenza in Affari di Natura Nazionale.” Snocciolò l’uomo in un inglese pulito ed efficiente. Harry avrebbe scommesso la sua intera camera alla Gringott che era un ex-allievo dell’Istituto. “Vogliate seguirci, prego.”
“Un momento… Siamo qui per una nostra indagine, un rapimento! Sono affari nostri!” Esclamò Ron le cui orecchie paonazze rischiavano l’ustione.

La McGrannit fu pronta a dar manforte. “Una minorenne, inglese, è stata rapita con la connivenza del Direttore di questa scuola.” Disse con l’indignazione che le bruciava gli occhi. “Questi uomini sono qui per riportarla a casa… Dovreste arrestare il Direttore, non loro.”
“Siamo a conoscenza dell’intera faccenda, Signora. Ce ne occuperemo.” Rispose senza scomporsi il mago. “Tuttavia l’azione degli Auror qui presenti non è stata autorizzata dal loro Ministero, dato che non è stata data nessuna comunicazione al nostro.” Gli uomini dietro di lui si mossero come uno solo nella loro direzione. “La loro presenza non è autorizzata, ed è dunque classificabile come ostile.”
Harry si maledisse; avrebbe dovuto aspettarsi che quel ratto di Jagland avrebbe cercato di contattare la polizia per imbastire la scena della vittima. Avrebbe dovuto farlo sorvegliare da Nora. Alle forze di polizia nordiche ci sarebbero volute ore, forse giorni, perché la verità venisse a galla.
Non possiamo permettercelo. Non possiamo assolutamente permettercelo.
“Dannazione, razza di idioti, ci sono dei ragazzi in pericolo, lasciateci fare il nostro lavoro!”  Ruggì Ron, mettendo mano al fodero. Gli scandinavi sfoderarono immediatamente le bacchette, quasi avessero previsto il movimento, e Harry fu costretto ad afferrare il braccio dell’amico prima che esplodessero incantesimi da tutte le parti.
“Non siamo ostili.” Disse cercando di controllare il desiderio di schiantare tutti e rimettersi al lavoro. “Se dovete arrestare qualcuno, arrestate me. Sono io che ho aggredito il Direttore Jagland, io che ho portato qui queste persone. Sia il Sergente Weasley che il Sergente Gillespie erano in buona fede. Gli ho mentito, ho detto che avevamo le autorizzazioni per operare nel vostro territorio.”
“Harry!” Esclamò Ron incredulo. Lo fece tacere con un’occhiata.

Qualcuno deve continuare a lavorare e salvare i ragazzi… Se devo essere il capro espiatorio lo sarò.
Qualcuno deve andare dai ragazzi.
L’agente lo fissò incerto, guardando poi da Nora a Ron. “Prediamo atto della sua dichiarazione.” Disse. “Tuttavia la situazione non cambia. Dobbiamo trattenervi in stato di fermo finché la vostra posizione non sarà chiarita dal Ministero inglese. La vostra indagine è sospesa.”
Harry inspirò lentamente, sentendo il richiamo della bacchetta. Erano solo sei uomini, schiantarli non sarebbe stato difficile. Con la bufera che imperversava fuori dalla finestra difficilmente ne sarebbero arrivati altri a breve.
Ma c’erano il ragazzo rumeno e la McGrannit; non poteva rischiare di coinvolgerli o peggio, ferirli.
Oltre al fatto che aggredire degli agenti stranieri … Stavolta neppure Hermione potrebbe salvarci.
Come amava ripetere e odiava ricordare, non era più il ragazzino legittimato a valicare le regole in virtù del suo statuto di Prescelto.
“Non posso parlare per i miei colleghi inglesi…” Esordì dal nulla Nora, infilando la mano all’interno della giacca dell’uniforme e sfilandone una bolla dall’aria ufficiale con tanto di ceralacca ancora integra. La porse allo scandinavo. “… ma credo che questa mi tolga dal conteggio degli arrestati.”
L’uomo scorse il documento. “Immunità totale?” Esordì.

Cosa?
Harry scoccò un’occhiata all’americana, ma quella non gliela restituì.
“Contattate pure il mio Ministero, o l’agente di collegamento al vostro. Vi dirà quello che vi sto dicendo adesso… Ho giurisdizione ad operare nel vostro territorio e in quello di tutti gli stati europei.” Inarcò le sopracciglia. “È tutto scritto lì.”
Il mago lo rilesse, poi annuì. “Bene, Sergente Gillespie. In questo caso, vi prego di accettare le mie scuse e quelle del Ministero. Continui pure le sue indagini.” Fece cenno ai suoi uomini. “Mettete in sicurezza gli inglesi.”

Ron venne subito afferrato e disarmato dai due più robusti. Non si sarebbe mai ribellato se non avesse avuto la certezza di esser seguito, e Harry non mosse un muscolo. Stava cercando di capire perché Nora si fosse tirata fuori di colpo e perché avesse nascosto loro un particolare così importante.
La guardò finché l’altra non si sentì fissata. Allora gli restituì lo sguardo e poi, mentre gli scandinavi erano distratti, mosse le labbra in una scarna frase, comprensibile persino a chi, come lui, non sapeva leggere il labiale.
Fidati.
Harry non poté far altro, anche se l’esperienza gli aveva insegnato che la fiducia era cosa labile ed Eleanor aveva appena tirato fuori una carta dal mazzo senza fargliela vedere.
 
****
 
Germania del Nord, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
 
Era stato un idiota a pensare che sarebbe stato facile. Ogni passo che faceva era una tortura, dato che il senso di colpa lo affossava e cercava di tirarlo indietro.
Se gli succedesse qualcosa mentre non ci sei? Se venisse ferito? Se si affidasse a te per proteggersi le spalle e tu non ci sei?
Al. Non appena se ne accorgerà vorrà ucciderti.

Un anno prima avrebbe considerato con fastidio l’idea di avere bisogno fisico di essere al fianco di un altro. Ma era un dato di fatto; Al non aveva sbagliato quando aveva detto che si appartenevano a vicenda. Forse non era un guinzaglio. Forse era un filo che li legava dal giorno in cui Harry lo aveva posato nella culla dell’altro per mere ragioni di spazio.
Non è questo ad averti salvato?
 
“Dove diavolo credi di andare?”
 
Appunto.
Tom non poté dire di non esserselo aspettato, in fondo; era impossibile che Albus non percepisse la sua mancanza perché lui percepiva la sua. Sempre. Era stato come un dolore sordo per otto mesi. 
Si voltò inspirando. “Al, io…”
Avrebbe dovuto aspettarsi anche il pugno che gli impattò sul mento, mandandolo a sbattere contro un arazzo pieno di polvere. Al diventava fisico in modo babbano quando era infuriato.

“Razza di coglione!” Sbottò, quasi ficcandogli la bacchetta in un occhio, e accecandolo per buona misura con un Lumos. “Che diavolo pensavi di fare?!”
Tanto per cambiare, aveva sottovalutato l’altro. E non doveva essere una bella cosa a giudicare dall’espressione omicida che gli vedeva riflessa negli occhi. Deglutì, sentendo il sapore ferroso del sangue riempirgli la bocca.
Capisco il suo punto di vista… ma perché deve sempre picchiarmi?
“Lo sai cosa penso di fare…” Borbottò passandosi la lingua sul labbro, e trovando quello inferiore ovviamente ferito. Al aveva i pugni di uno scaricatore di porto dietro quell’aria da cerbiatto indifeso. Sciocco da parte sua scordarsene. “E comunque sei scappato anche tu.”
Per venire dietro a te!” Urlò rosso in viso. E Tom pensò di colpo che lo amava, perché contro ogni previsione era assolutamente felice che gli fosse andato dietro.

In effetti, sono un coglione.
“Scusa.” Mormorò scostando la bacchetta accecante con la sua; non si fidava a toccarla con la mano, aveva paura che gli avrebbe mandato indietro una scarica di magia non indifferente. “Sai bene che devo…”
“No che non devi! È una trappola! Tutti i piani di tuo padre volevano portare a questo… a tu che vai da lui!”

Tom inspirò. “È vero.” Ammise. “Ma è l’unico modo…”
“L’unico modo per cosa?” Al non avrebbe accettato una spiegazione raffazzonata, né si sarebbe accontentato di qualche frasetta strappalacrime. Glielo leggeva negli occhi che avrebbe perso la sua fiducia per sempre se non gli avesse detto la verità.
“Devo capire perché sono nato.” Fermò con una mano l’immediata obiezione dell’altro. “Mi sembra di averti già fatto questo discorso… ma lo ripeterò.” E faceva male farlo, perché ogni volta era come ricordare l’ingiustizia della sua presenza sulla terra. “Tu sai perché sei nato. Harry e Ginny ti hanno voluto, sei nato da un atto d’amore. Io sono nato e non avrei dovuto. Avrei dovuto pagare le mie colpe con l’oblio e il dolore eterno piuttosto.”
Vide l’espressione dell’altro ammorbidirsi. Non era pena quella che gli leggeva nello sguardo però e gliene fu grato. Era comprensione. Sapevano entrambi che non aveva molto senso sostenere il contrario.
“Ho bisogno di conoscere la persona che mi ha fatto tornare.” Non poteva guardarlo negli occhi mentre diceva quello.  
“Credi di dovergli qualcosa?” Sentì la pressione della mano di Al sul palmo. Dovette guardarli quei dannati occhi. Li amava, era quello il punto. Gli strinse la mano di rimando. “Tom, credi di dovergli ciò che sei?”
“No.” Il buio aiutava, pensò. Era più facile parlare al buio, che risultava ovattato, fuori dal tempo e dallo spazio. Lily sarebbe stata salvata, le cose si sarebbero risolte. Erano gli eredi di maghi e streghe che avevano combattuto il Male; non potevano fallire.
In quel momento tutto quello non contava. C’erano solo loro due e chi li spiava della torre più alta.
“Voglio dirgli che non gli devo niente e che perciò deve lasciarmi in pace.” Si risolse a dire infine; era la verità in fondo. Raggiungere quell’obbiettivo era tutto un altro discorso, ma non lo disse.
Al si limitò, dopo un tempo che gli parve infinito, ad un lungo sospiro. “Lo capisco.” Ammise, e fu sollievo, se lo sentì filtrare nelle vene; ne aveva bisogno. “Lo capisco … ma questo non rende più pericolosa la situazione.” Soggiunse. “Non ti lascerà andare, Tom. Ha scatenato tutto questo orrore solo per averti qui. È pazzo.”
“Non gli permetterò di prendermi.” Si avvicinò fino ad essergli a pochi centimetri e Al non si scostò, anzi gli passò il pollice sul labbro maltrattato. Baciarsi fu inevitabile e fu un bacio lungo, doloroso per parte sua, ma liberatorio come una boccata d’aria fresca dopo una lunga apnea. Si erano a malapena toccati in quelle ore, ed era stata dura, per quanto la situazione decisamente non fosse consona; erano due adolescenti in fondo e non avrebbero dovuto affrontare tutto quello.

Peccato che altri abbiano scelto per noi.
“Idiota.” Sentiva l’odore della neve, del lieve sudore dovuto allo scontro, di bruciato degli incantesimi. L’odore di Al. Sì, il cuore aveva smesso di dolergli come se un filo glielo stringesse. Gli baciò l’angolo che le labbra formavano con la guancia. Non sarebbe stato male morire così.
… a dire il vero, forse no. Ci voglio vivere, così.
Si scostò. “… Vieni con me?”
Al scrollò le spalle. Era ancora arrabbiato, ma era lì. Sarebbe sempre stato lì. Per fortuna.
“Dove altro dovrei andare secondo te?”
 
 
“Siamo nell’ala giusta, non preoccuparti.”
Non è per questo che mi preoccupo, scemo.
Albus levò la bacchetta per guardare l’ennesimo arazzo sfarzoso; gli sembravano tutti uguali. Come uguali gli sembravano i corridoi e le porte. Era un castello enorme, non grande quanto Hogwarts, ma comunque pazzesco. Thomas, a ben vedere, era l’erede legittimo di tutto quello e il concetto faceva un po’ girare la testa. Aveva provato a chiedergli cosa pensava che avrebbe fatto il Ministero tedesco dei possedimenti di Von Hohenheim una volta che fosse stato catturato – perché sarebbe successo, non c’era alcun dubbio.
Tom aveva replicato, con durezza, che non gli interessava e che per quanto lo riguardava poteva pure bruciare tutto dalle fondamenta; non gli aveva più chiesto niente.
“Come fai a sapere che non ci siamo persi?” Chiese affiancandoglisi. Tom aveva un colorito pallido, ma anche un’aria determinata. Gli teneva la mano da quando avevano deciso di incamminarsi, soli, in direzione della voce che diceva di sentire.  
Detta così, sembra che stia assecondando un pazzo.
E forse lo stava facendo, ma non aveva possibilità di scelta, perchè l’altro sarebbe andato con o senza di lui. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che si sarebbe dannato l’esistenza per tutta la vita se non avesse risolto quella faccenda una volta per tutte, anche a rischio della sua incolumità.
Tom sospirò interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “La voce.” Disse. “Diventa sempre più chiara. Pare che sia un incantesimo che si rafforza con la vicinanza.” Aggrottò le sopracciglia. “Vorrei tanto sapere di cosa si tratta. Non ne conosco di simili.”
“Beh, glielo potrai chiedere, no?” Non potè fare a meno di suonare sarcastico e ignorò l’occhiata dell’altro e lo stringersi immediato della presa sulle sue dita.  

“… Scusa.”
“È due anni che me lo dici, comincia a non fare più effetto sai.” Replicò fissando un punto qualsiasi delle tenebre che li avvolgevano. Non appena Teddy avesse scoperto della loro fuga sarebbe impazzito. Si sentiva in colpa, ed era tutto a causa di quel cretino che chiedeva scusa.  

Comunque c’era qualcosa di folle nel modo in cui, nonostante tutto, comprendeva le ragioni dell’altro.  
Chissà se è così per tutti innamorarsi di qualcuno oppure è una fortuna tutta mia…
“Vuoi sapere cosa voglio fare una volta diplomato?” Lo sorprese. Gli scoccò un’occhiata, ma la penombra del Lumos rifletteva un volto indecifrabile. Albus non poté far altro che annuire.
“… Voglio lavorare da quel Fabbricante di bacchette. Voglio chiedergli di prendermi come apprendista.” Non gli diede il tempo di commentare, perché continuò con lo stesso tono senza emozioni, e per questo, nervosissimo. “Con i soldi dell’apprendistato voglio prendere in affitto una casa a Diagon Alley, un appartamento all’ultimo piano. Dovrà esserci molta luce, niente stanze fredde o buie.” Specificò. “So che ti piace stare in posti alti e con la luce… Hai sempre invidiato James e Lily per la Torre di Grifondoro.”
… Oh.
Al sentì il familiare groppo alla gola; solo Tom poteva uscirsene con idee del genere in una situazione tanto disastrata.
Decisamente inopportuno…
Per questo lo amava. “Possiamo prenderci un gatto?” Gli chiese di rimando, come se stessero prendendo un gelato da Fortebraccio e non fossero in procinto di fare la cazzata più grossa della loro storia personale. “Ho sempre voluto un gatto, ma Jam è allergico. Però non nero.”
Tom sorrise appena, versione tutta sua di un’esclamazione di gioia radiosa. “Se ci tieni…”
“Fabbricante di bacchette… suona bene, ti vedo adatto.” Continuare a parlare smorzava la paura e la tensione; Tom, incredibilmente, l’aveva capito prima di lui. “Del resto sei sempre stato morboso con la tua bacchetta.”
“Perché è la mia.” Fece un ghignetto. “E poi, ho sempre amato l’argomento, fin da prima di nascere.”
“Umorismo macabro, Tom.”
“È inglese.”
Ridendo, Al sentì un lieve spostamento d’aria; lì per lì non ci fece caso. Castelli del genere erano sempre pieni di spifferi. Tom era davanti a lui, come sempre a causa di quelle sue dannate gambe da fenicottero. Abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate e con sgomento si accorse di poterle vedere perché da esse scoccò una scintilla.
Poi un lampo violento e si sentì sbalzare via.
 
 
****
 
Okay, sono morta.
Lily aveva questa consapevolezza. Sul serio, la aveva e non si sentiva spaventata, neppure un po’.  
Quando si è morti, si è morti – pensò facendosi coraggio e aprendo gli occhi.
Rimase di stucco, perché l’aldilà se l’era immaginato un po’ diverso; suo padre gli aveva detto che prendeva la forma dei ricordi, o comunque di qualcosa che si era già visto in passato, solo con contorni poco definiti, da sogno.
Di certo non poteva essere, dunque, un parco comunale pieno di erbacce, panchine sgangherate, uno stagno deprimente e una serie di altalene che avevano bisogno di una robusta mano di antiruggine.
Lily si alzò in piedi, dato che si era ritrovata stesa a terra, tra polvere e cicche di sigarette. Notò che indossava l’uniforme scolastica, non una tunica bianca di cristiana memoria.
… Che cos’è questa storia?!
Si guardò attorno, sentendo una certa irritazione montarle addosso mentre si spazzolava con cura la gonna impolverata. Quel posto non poteva essere la sua meta finale.
Questo posto fa schifo!
Mosse alcuni passi, sentendo le scarpe battere contro la terra secca e grigiastra. Non c’era nessuno, il parco sembrava abbandonato da secoli, anche se a giudicare da una serie di cartacce di caramelle, l’età moderna doveva esser perlomeno arrivata.
Non sapendo cosa fare – si supponeva dovesse venir qualcuno a prenderla o cosa? - si sedette su una delle altalene; stranamente non cigolò. Per essere il gioco più sgangherato che avesse mai visto dondolava liscia e senza un rumore.
Dove diavolo sono?
Non era così che sarebbe dovuta andare. Aveva quindici anni, un futuro e un sacco di cose da fare e sperimentare, tipo la maggiore età. Invece l’ultima cosa che ricordava era stato un lampo verde e il rumore spaventoso di un tuono che le era esploso nelle orecchie. Inequivocabile.
Avada Kedavra.
Quel mostro che l’aveva rapita era tornato e l’aveva uccisa. Sembrava fosse successo così. Del resto aveva usato una Maledizione Senza Perdono, la più mortale.
Rabbrividì, nonostante non tirasse un alito di vento, anzi, ci fosse un caldo appiccicoso da far schifo. Nell’aldilà l’estate era inglese.
Gridare non sarebbe servito a niente, protestare ancor meno… In ogni caso, gridò.
Gridò fino a che la voce non le fece male e non si sentì il petto dolere. Gridò perché era stata tradita da una persona a cui voleva bene, perché lasciare la sua famiglia mentre metà di essa tentava di salvarla era una cosa orribile. Gridò perché non poteva essere morta.
Strizzò gli occhi con forza, ma lì riaprì esattamente nello stesso posto. Ingoiò un singhiozzo che bruciava come acido.
“Questo posto fa schifo.” Tradusse a parole e a beneficio di nessuno.
 
“Sì, in effetti è proprio bruttino!”

La voce ebbe il potere di congelarla sul posto mentre la paura che diceva – fingeva – di non provare tornava prepotente. Chi aveva parlato era una ragazza ed era vicinissima, talmente vicina che poteva esserle seduta…

… accanto.
La ragazza si dondolava sull’altra altalena come se fosse sempre stata lì, vestita nell’uniforme di Hogwarts come lei. La foggia però era totalmente fuori moda, dati la gonna da educanda, lunga fino a metà polpaccio. Non aveva neanche provato ad accorciarsela, come ormai facevano tutte, a scuola. L’unico particolare davvero stonato però, era la mancanza di scarpe e calzini; aveva i piedi nudi. Facendosi coraggio, la guardò in viso.
Oh, Miseriaccia.
Conosceva quella ragazza, anche se non ci aveva mai parlato.
Del resto, non si poteva parlare con i morti – morti sul serio, non fantasmi. Quindi non aveva mai potuto parlare con Lily Evans, sua nonna.
“Ciao Lilian.” Le disse come se non avessero fatto altro che parlarsi tutta la vita. “Come stai?”
Non poteva rimanere muta come una povera scema di fronte a lei. 
Cos’è, sono finita all’inferno?  
“… Sono morta.” Si trovò a borbottare come una perfetta scema.
Sua nonna – nonna che dall’aspetto sembrava avere la sua età – sorrise. Aveva il sorriso di Al. “No che non lo sei.” Disse. “Ti dispiace se parliamo un po’?”
 
 
****
 
Note:


Mancano tre! (Credo. O quattro. Beh, dipende, quanto volete ciccioni i capitoli? ;D)
Un sacco di situazioni aperte e, spero, un colpo di scena inaspettato.
C’entrerà qualcosa con Se Sparissero le Ombre, la Lily/Severus che ho scritto qualche tempo fa. In un certo senso, è collegata. Intelligenti pauca. ;)
Questa la canzone del capitolo. Gran canzone e colonna sonora di un film che, nonostante la protagonista, dovrò vedere.
1. La bandiera con la croce rossa in campo giallo è quella dell'unione di Kelmar, unione politica delle repubbliche scandinave voluta da Margherita I di Danimarca  nel 1397. Prende il nome dalla città svedese di Kalmar dove venne istituita. Conclusasi alla fine del 1523. Essendo i maghi sempre un po' indietro per quanto riguarda i rivolgimenti territoriali e politici del mondo babbano, ho supposto che al contrario dei loro connazionali babbani, abbiano mantenuto l'unione politica e amministrativa della penisola . Per la bandiera qui . Per maggiori info qua .
  
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