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Autore: Hivy    24/06/2012    1 recensioni
"Non era un bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.
Era solo focoso.
Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei Borgia."
Cesare Borgia, Duca Valentino, primogenito di Papa Alessandro VI; da mesi impegnato nella conquista del suolo romagnolo, nell'anno 1500 giunge a Faenza, città difesa dalla famiglia Manfredi.
Una furiosa lotta lo attende, ma le ragioni che lo muovono e lo colmano di ardimento, sono oscure.
La più ardua battaglia dei fratelli Manfredi sarà riuscire a resistegli restando uniti, sino in fondo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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Capitolo IX

 

Era uno spirito angariato.

Il suo animo era indomabile,

come quello di tutti

i Borgia.

 

***

 

Roma, 1501 A.D.

Il rampollo di Castel Sant’Angelo

è nella Capitale Santa.

 

<< Cesare! >> la voce che lacerò il silenzio non lo infastidì. Il solo avvertire quel tono allegro ed esaltato nella voce delle persone che lo circondavano lo metteva di buon umore. Non aveva mai più indugiato in pensieri immorali o blasfemi da quando era tornato a Roma, un anno addietro.

<< Cesare! >> la voce appariva man mano più vicina, e il tono di gioia non si perdeva più per nel vento, ma restava compatto e penetrava nelle sue orecchie come musica.

<< Cesare! >> al terzo richiamo di quella melodia non poté evitarsi di fermare il suo cammino per voltarsi con veemenza nei gesti. Di lontano, appariva contro la luce del sole la sagoma di un uomo in corsa, che gli veniva in contro, seguendo, come aveva fatto lui, il corso dello scintillante Tevere. Il sole indorava la superficie cristallina dell’acqua e tingeva d’oro tutta Roma, facendola risplendere preziosa come un diamante, romantica, come appariva sempre.

Mentre attendeva che l’uomo fosse più vicino a sé, si soffermò nell’osservare il cielo rosseggiante, e l’empireo più in alto, azzurro e vacuo. Aveva abbandonato la strada del Cristo, e la sua vita era caduta nella distruzione dell’animo, erosa dalla rabbia, dalla lussuria, dall’invidia, dalla bramosia. Eppure, Dio aveva sempre vegliato su di lui, dandogli un ultima speranza, un ultima possibilità di redenzione, quando nessun altro l’avrebbe mai perdonato Dio lo aveva fatto. Era rinato, quella domenica di un anno prima, e da allora, la sua vita era nettamente migliorata.

Fece scivolare il suo sguardo per il cielo, sulla superficie dell’acqua, ed infine, fissò la sagoma ormai più prossima a raggiungerlo.

In un attimo, un giovane uomo gli fu davanti, con gli occhi infiammati dall’ardore e dall’emozione, ed un sorriso infantile sul volto.

<< Cesare! >> esordì l’uomo, con il fiato corto per via della corsa, ed il viso imperlato da un poco di sudore.

<< Gian Galeazzo, amico mio! >> disse il Borgia, cingendogli le spalle con un braccio, riprendendo a camminare lentamente al suo fianco.

<< E’… è arrivata una… è… >> le parole gli mancarono per via del fiatone e dell’emozione.

<< Calmati, amico mio! >> sbottò il Borgia, intensificando la forza della stretta sulle spalle dell’amico, incoraggiandolo a ricomporsi:<< hai buone nuove da Faenza? >> chiese poi, fissando con intensità il foglio che il Manfredi stringeva in pugno.

L’uomo alzò il capo e fissò il Borgia con furore, aprendosi in un sorriso sollevato e canzonatorio:<< lo hai fatto di proposito?! >> sbottò tra una domanda e un’affermazione euforica. Da quando era giunto a Roma, mille cose erano cambiate. Cesare era cambiato, innalzando ancor più il suo animo a Dio, era veramente l’emissario di Nostro Signore in terra. Pregava ogni giorno, almeno cinque volte ogni dì, parlava come fosse un angelo, e la sua bellezza, pareva crescere ora dopo ora. Gian Galeazzo aveva trovato un ottimo amico nel Borgia, anche se spesso, stare accanto all’uomo, gli provocava gravi dilemmi.

Cesare era il suo migliore amico, ma non si spiegava la prematura apprensione e la gelosia che provava, era qualcosa di profondo che lo legava al Borgia… Dapprima, era un sentimento vacuo ed effimero, poi, s’era intensificato, e non passava giorno in cui non crescesse. Non era un semplice amicizia a legarli, e Gian Galeazzo ne era spaventato, ma allo stesso tempo felice. Quella dolce e leggera eccitazione che lo coglieva quando vedeva Cesare era per lui un calore innegabile, qualcosa che non poteva, e non doveva mancare. Era la forza che faceva susseguire un respiro ad un altro, la gioia che gli faceva battere forte il cuore quando era accanto a lui.

<< Gian Galeazzo, amico mio… >> disse con tono sarcastico il Borgia, picchiettando gentilmente la spalla dell’uomo:<< lo ammetto! >> disse poi, aprendosi in un sorriso:<< ho organizzato tutto io! Non potevo più sopportare la tua orribile faccia martoriata dalla nostalgia! >> spiegò ridendo, contagiando d’euforia crescente anche l’amico sotto il suo tocco benevolo e gentile.

<< Non potendo portare Faenza a Roma, e non potendoti lasciare andare, ho deciso di invitare Astorre anch’esso a Roma! >> disse sorridendo.

<< Sei un folle, Cesare! >> sbottò Gian Galeazzo, sorridendo, ma senza poter evitare di manifestare imbarazzo e disappunto:<< chi resterà a Faenza, mentre Astorre si reca a Roma? Lasceremo la città senza un comando? >> disse increspando allora la voce in una genuina preoccupazione.

<< Oh, Gian Galeazzo! >> sbottò il Borgia:<< quanti problemi riesci a porti? Astorre non è un folle, lascerà certamente qualcuno al comando della città, e poi, il suo soggiorno sarà breve! >> disse.

A quelle ultime parole, il Manfredi parve incupirsi un poco, aveva molte cose di cui parlare con il fratello, e avrebbe desiderato che il suo soggiorno a Roma fosse eterno.

<< Cosa ti angustia, ora, amico mio? >> disse d’impulso il Borgia, notando la sua crescente preoccupazione.

Gian Galeazzo scosse la testa, quella voce era tanto perpetua da impedirgli di replicare, ma soprattutto, era capace di infiammare il suo animo. Erano giorni, mesi, che non riusciva a stare senza sentire la virtuosa ed angelica voce del Borgia.

<< Non ti devi angustiare, amico mio… >> disse il Borgia, battendo più forte sulla spalla del Manfredi:<< Astorre resterà a Roma il tempo necessario, capisco come ti possa sentire, non lo rivedi da un anno… >> rassicurò con voce delicata.

Gian Galeazzo lo fissò e sorrise, contagiato dall’ennesimo sorriso dell’amico. Amava il volto del Borgia, aveva la capacità di farlo sentire bene e felice. Non era una sua fantasia, v’era un legame forte tra di lui e Cesare Borgia, e nel profondo, avvertiva che anche l’altro la pensava allo stesso modo. V’era qualcosa di mistico nel silenzio di mille parole che avrebbe desiderato dirgli.

<< Rallegrati, amico mio! >> esordì il Borgia:<< presto i Manfredi saranno nuovamente insieme! >>

 ***


<< Ah, fratello! >> la voce tonante e preoccupata di Astorre Manfredi risuonò lentamente per la stanza, mentre il suo sguardo scivolava sul fratello, che era retto davanti a lui.

<< Sei giovane, Gian Galeazzo… >> disse, con calma sorprendente. Gian Galeazzo non avrebbe mai pensato di poter percepire una tale calma nella voce del fratello. Astorre era cambiato molto durante quell’anno, e la sua reazione l’aveva confermato. Pareva essersi, finalmente, capacitato di sé stesso, ed avere preso il controllo delle proprie emozioni viscerali.

<< Dimmi Astorre, cosa devo fare? >> chiese seriamente il più giovane tra i fratelli, prendendo a fissarsi la punta degli stivali.

Astorre restò il silenzio per qualche attimo.  Non si sarebbe mai aspettato quella rivelazione, ma non poteva dimostrarsi ingenuo, Gian Galeazzo era suo fratello, tutto ciò che gli restava della sua famiglia, non poteva abbandonarlo. Per quanto la sua capacità di autocontrollo fosse stata messa a repentaglio e la sua repulsione crescesse, avrebbe fatto tutto ciò ch’era in suo potere per dissuadere Gian Galeazzo, per farlo tornare in sé.

<< Devi confessarti, fratello mio… >> disse seriamente, ricordando le divine inclinazioni del fratello, posandogli contemporaneamente una mano di conforto sulla spalla, stringendo con le dita sulla sua casacca blu.

Gian Galeazzo, suo fratello era giovane, inesperto, non avrebbe mai dovuto lasciare che il Borgia lo portasse via con sé; che lo allontanasse dal suo sguardo e dalla sua protezione. Si rimproverò repentinamente. Per saziare la sua rabbia e per via del suo scarso autocontrollo ora suo fratello era pervaso dalla malattia più grave e orrenda che si potesse mai contrarre, la piaga dei Borgia.

Chissà quali stravaganti idee il Valentino aveva inculcato nell’ancora giovane e malleabile mentre di suo fratello. Chissà come Roma e tutti i suoi vizi, i suoi giochi, i suoi tranelli e le sue oscenità avevano modificato e distrutto le difese spirituali e morali di Gian Galeazzo.

Il Valentino aveva preso ancora una volta il sopravvento. Li aveva ingannati con sapienza ed eleganza, ed alla fine, il suo gioco li aveva sopraffatti. Cesare Borgia era arrivato là, dove il cuore di Faenza batteva forte, ove gli impulsi non potevano più essere controllati. Li aveva separati. Li aveva messi contro l’un l’altro. Li aveva divisi, frapponendo tra loro la sua lama ed il suo fascino, le sue lusinghevoli parole. Li aveva distrutti; e con loro anche l’onore di Faenza era caduto. Cosa avrebbero raccontato i posteri in altre epoche? I due fratelli Manfredi disonore della famiglia, caduti nell’inganno orrendo di un uomo ancora più ignobile e raccapricciante delle sue stesse parole. Gli Angeli di Dio caduti sotto i colpi del Figlio di Satana.

Dio solo, poteva salvarlo, ma Astorre, sapeva sin troppo bene che l’Onnipotente aveva smesso di presenziare presso il Vaticano da quando Rodrigo Borgia e tutta la sua schiera di bastardi avevano flagellato le linee celesti degli angeli buoni per sprofondare nel decadente.

Trattenne a stento la sua ira. In fin dei conti era colpa sua. Avrebbe dovuto combattere, non lasciarsi convincere a negoziare. Avrebbe dovuto proteggere suo fratello, e Faenza, ma non l’aveva fatto. Era colpa sua, il Borgia non era stato altro che più astuto di lui.

 Cadde un pesante silenzio tra i due, ma in un attimo, Gian Galeazzo alzò il capo e sgranò gli occhi, fissando il fratello contraddetto:<< sei uscito di senno, Astorre? >> sbottò divincolandosi dalla presa del consanguineo.

<< No, fratello! >> sbottò l’altro, fissandolo intensamente, con volto che non tradiva alcuna emozione.

<< Dimmi, Astorre! >> sbottò famelico Gian Galeazzo, incupendosi di colpo:<< riveleresti mai a Cesare che giaci con sua moglie?! >> sbottò, puntandogli contro un dito:<< nel suo stesso letto, per giunta?! >> disse infuriato, come non era mai stato, ed in quell’urlo riconobbe quell’animo incontrollabile che aveva caratterizzato tanto allungo suo fratello. Il suo animo era spezzato in due metà che parevano non poter coincidere.

<< No! >> sbottò Astorre, alzando un poco la voce, scaldatosi a sua volta:<< no… >> ripeté con più calma, stringendo i pugni lungo i fianchi, perdere le staffe non era la cosa giusta da fare.

<< Non capiterà mai più! >> disse poi, con voce più bassa, fissandosi nervosamente attorno, nessuno doveva ascoltare quella conversazione, mai.  Il Borgia, per quanto magnanimo lo ritenesse Gian Galeazzo, e per quanto si fosse ammansito in quell’anno, possedeva sempre quel suo animo di vendicatore che lo aveva reso indissolubilmente ed orribilmente noto.

<< Devi credermi, Gian Galeazzo! >> disse poi, prendendolo saldamente per la spalle, costringendolo a fissarlo:<< è stato un errore, non capiterà mai più! >> disse serio.

Gian Galeazzo parve meditare per qualche attimo su quelle parole, eppure, nella sua mente, tutto era chiaro. << Lo dicesti anche due settimane orsono, fratello! Quando vi trovai io stesso a giacere insieme! >> sbottò irritato, senza trovare la forza di divincolarsi, o di biasimare seriamente il fratello. Anche lui, in quei giorni di smarrimento aveva pensato cose indicibili, procurandosi piaceri illegittimi e blasfemi, che avrebbe fatto fatica a confidare, perfino a Dio stesso.

<< Sei qui a Roma da due mesi, Astorre, e già ti scavi un buco nel letto delle donna di un altro? Nel letto della moglie del tuo protettore? >> disse in un sussurro, mentre le lacrime gli arrossavano gli occhi.

Astorre abbassò il capo e lo scosse, facendo oscillare nell’aria la capigliatura bruna. Aveva sbagliato, lo sapeva, ma Gian Galeazzo non era certamente meno responsabile di lui.

<< Non mi puoi biasimare, fratello! >> sbottò infine, digrignando i denti. Quello che gli aveva confessato Gian Galeazzo era molto più grave di un tradimento carnale con la donna di un altro.

<< Io amo Carlotta d’Albret! >> sbottò infine Astorre, in preda all’ira crescente, come poteva sua fratello giudicare? Come?

<< Come fai a dire una cosa del genere? >> sbottò al culmine della rabbia e del dolore Gian Galeazzo, l’incomprensione di suo fratello era ciò che più lo feriva.

<< Come fai tu a giudicarmi, fratello? >> urlò, spintonandolo iracondo Astorre: << Come? >> urlò ancora, con calde lacrime di rabbia che gli bruciavano attorno agli occhi: << Con quale criterio osi dire a me che non posso amare una donna, quando per lo meno, io amo una donna! >> sbottò tra i denti, in un ringhio furioso che aveva tutto l’aspetto d’essere una rinfacciarsi di eventi frustrati.

<< Una donna, hai capito! >> saettò un attimo di silenzio << Non un uomo…  pederasta! >> sibilò, in prossimità dell’orecchio del fratello, mentre gli occhi di Gian Galeazzo si infiammavano di pianto.

Il silenzio calò sui due, e per l’ennesima volta, Astorre, ribollì per la rabbia. Cesare Borgia gli aveva rubato tutto. Faenza era sua di diritto, eppure il Borgia gliela aveva strappata dalle mani ed ora, era riuscito anche a portargli via l’affetto del fratello, facendolo sprofondare nel peccato, portandolo con sé sulla via di Satana.

Digrignò i denti, infine, suo fratello si divincolò dalla presa delle sue mani, e in un attimo, sentì la sua voce ronzargli nelle orecchie, mentre si allontanava:<< Non saprà nessuno del tuo segreto, fratello! >> disse Gian Galeazzo:<< ma non puoi evitare che nessuno sappia del mio! Dirò tutto a Cesare, adesso! Mi confesserò, e seguirò quindi il tuo consiglio…  >> gli disse, come se volesse rinfacciargli qualcosa.

Prima d’uscire, tuttavia, si fermò e fissò ancora il fratello, con fermezza mai vista prima.

<< Lui capirà, lui mi ama… >>

 

Il Borgia trattenne a stento un conato di vomito mentre fissava il volto dell’uomo che gli era davanti.

Per la prima volta dopo un anno, sentì il bisogno di impugnare un arma e trafiggere una persona. Non aveva più indugiato in certi dannati desideri, eppure, in quel momento, gli pareva di essere ripiombato nell’ira più grave e cieca che avesse mai provato in vita sua.

 Mentre sentiva il suo respiro farsi sempre più affannato ed il suo cuore battere sempre più forte, fu colto da un improvviso tremore. Non si sentiva così frustrato da mesi, ormai. Il suo cuore aveva sempre battuto colpi regolari e spensierati in quell’anno, eppure, ora, quella calma era stata spezzata. Aveva creduto di poter morire come una persona migliore, una persona pura, eppure, non gli era possibile. Sarebbe morto come un peccatore, un uomo che desidera il sangue d’altri uomini. Un assassino.

Trattenne il famigerato bisogno di sangue che provava, e cercò di non fissare troppo a lungo l’uomo che gli stava davanti. Infine, l’insistenza di quell’istinto animalesco non poté più essere trattenuta.

<< Guardie! >> esplose in un urlo osceno. La sua voce era cupa, tonante e pareva risalire a lui dagli inferi. Pareva fosse la voce stessa di Lucifero. << Guardie! >> urlò ancora, mentre già si poteva avvertire il fragore degli stivali sul marmo del palazzo.

Il Borgia avvertì quel serpente di male strisciare sempre più inesorabilmente verso di sé, pervadendolo ancora con la sua fiamma d’odio. << Guardie! >> esplose ancora una volta, nello stesso istante nel quale un gruppo ben nutrito di soldati facevano irruzione della sala. << Arrestatelo! >> ringhiò sommessamente, puntando un dito contro all’uomo che gli stava dinnanzi, con le lacrime che scorrevano copiose lungo le guance arrossate dall’imbarazzo e dall’impotenza.

L’uomo non oppose alcuna resistenza a quell’arresto, si fece legare le mani e condurre oltre la soglia della porta, senza smettere di fissare l’uomo che amava, non poteva credere a quello che stava succedendo. Conosceva Cesare, era impulsivo, presto sarebbe tornato per scusarsi. Lo amava, come non aveva mai amato nessuno,  e non poteva pensare che Cesare  non l’amasse a sua volta. Era troppo doloroso pensarlo.

Per un attimo, la calma riprese a pervadere l’animo del Borgia, ma i tremori e la rabbia squassavano ancora la sua carne, non poteva evitare di essere furioso, non poteva evitare di assecondare i suoi istinti maligni. Li aveva già seguiti una volta, quando aveva lasciato la strada di Cristo per intraprendere quella bellica, e a cosa l’aveva portato quella scelta? Al successo!

Aveva riunificato il Lazio, conquistato la Romagna tutta e messo in fuga i più grandi monarchi del suo tempo.

No, Dio non serviva. A cosa l’avrebbe condotto Dio, se l’avesse seguito quando ne aveva avuto la possibilità? A cosa l’aveva condotto Dio, ora che era ritornato in seno alla chiesa? A nulla! L’aveva condotto ad un esistenza casta e misera, circondato da sodomiti, vili!  No, quello era il suo ultimo errore.

Lasciava la via di Dio ed intraprendeva quella di Satana.

Non sarebbe tornato indietro. Né adesso, né mai più.

 ***

Con un poderoso colpo spalancò la porta a doppio battente, che si schiantò violentemente con il muro affrescato della stanza.

Mentre la sua rabbia cresceva ormai incontrollata, sentiva il sempre più bruciante desiderio di apporsi la spada al fianco, che da tempo, giaceva inutilizzata nella sua stanza. D’ora in avanti, non se ne sarebbe mai più separato.

Attraversò la stanza con veemenza, mentre i suoi passi rimbombavano sempre più cupi e opprimenti per le sale. Si avvicinò con maggiore rabbia e determinazione alla sua stanza da letto, mentre i suoi occhi azzurri erano ridotti a delle linee sottili. Con impeto spalancò la porta della stanza da letto, e con un ringhio, si costrinse a bloccarsi sull’uscio, con il volto più cupo che mai.

Le donna con la quale condivideva il letto fedelmente da ormai due anni, giaceva completamente ignuda, sovrastata dalla grossa sagoma di un uomo conosciuto e odiato.

Ci volle poco perché il suo volto s’imporporasse d’ira, fomentata dalle urla di piacere della donna e dal respiro affannato e affaticato dell’uomo.

I suoi pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche, mentre i muscoli della mascella si tendevano nello sforzo di digrignare i denti. Dalla sua gola scaturì un grugnito di rabbia, che per qualche attimo echeggiò per la sala, mentre le sue membra erano colta da profondi brividi e i suoi occhi si infiammavano del fuoco di Satana. Il bisogno istintivo e incontenibile di sentire il calore del sangue sulle sue mani lo colse in un attimo, crollandogli addosso come un macigno. Quel desiderio s’era sopito per quasi un anno, ma ora, era tornato più forte di prima, come se reclamasse giustizia. Non avrebbe mai più dato spazio alla ragione, d’ora in avanti, ci sarebbero stati solo odio, rabbia, frustrazione e fuoco eterno.

Un ennesimo urlo di rabbia scaturì dalla sua gola, mentre faceva un passo in avanti, senza riuscire a staccare il suo sguardo dalla spada che giaceva immobile su di una panca. Con un veloce balzo in avanti il Borgia estrasse l’arma, ed in un attimo fu pronto a puntare l’arma alla gola dell’uomo, che s’era rapidamente alzato dal letto.

Gli occhi azzurri del figlio del Papa si colmarono di tale rabbia che pareva riassumere l’eterno tormento degli inferi. Aveva il volto purpureo ed imperlato dal sudore. Gli pareva di bruciare, consumato dalla sua brama di sangue e morte. La fiamma che gli invadeva il petto divampava sempre più forte. Digrignò i denti e spinse un poco di più la lama della spada sulla gola dell’uomo.

<< Uccidimi! >> sbottò l’altro, in un ringhio, inarcando la schiena e alzando il mento, dando la possibilità al Borgia di prendere bene la mira sul suo collo. << Uccidimi, codardo, che aspetti?! >> urlò ancora fissandolo con odio. Non gli importava nulla. Sua fratello era stato rapito dai Borgia, Faenza era perduta, e anche se per poco aveva potuto avere la sua vendetta.

Il Borgia restò immobile per qualche attimo, e la lama della spada si premette ancor più sulla carne dell’uomo, lacerandola leggermente, mentre un rivolo di sangue scorreva sulla pelle nuda. Il Borgia sorrise oscenamente alla vista del liquido vischioso che tanto aveva agognato. Si umettò le labbra e strinse ben in pugno la spada:<< tu dai del codardo a me, Astorre? >> sbottò:<< l’eunuco che deve giacere di nascosto con una donna perché troppo impotente per avere una donna da soddisfare veramente? >> sbottò, mentre infiltrava con più veemenza la punta della spada nella carne lacerata dell’uomo. La sensazione della pelle viva, il sangue che colava e la sensazione di onnipotenza che provava in quel momento non potevano più essere controllate. Si sarebbe abbandonato a quelle percezioni per il resto della sua vita. Auspicava quell’attimo da insormontabile tempo. La rabbia che gli stringeva il cuore e gli dava la forza di respirare esplose e divampò, illuminando i suoi occhi di vendetta. Un sentimento così poco nobile, ma bramato per tantissimo tempo.

Si mosse rapidamente, e con un colpo alla testa infertogli con l’elsa della spada lo fece crollare a terra frastornato, mentre, con passo deciso e furibondo si avvicinava pericolosamente alla donna ignuda.

<< Sporca puttanella che non sei altro! >> sbottò con tanta ira nella voce che la moglie si ritrasse velocemente verso un angolo della stanza. I passi del Borgia si allungavano cupi sul pavimento, e il suo volto era completamente livido di rabbia, tramutatosi in una maschera informe ed oscena d’odio e rancore. Voleva solo la vendetta, null’altro.

<< No! No, Cesare, ti prego! >> disse la donna con voce acuta, mentre le lacrime le colavano rapidamente rigando le guance.

I passi del Borgia non si placarono, continuarono inesorabili a tracciare il loro cammino lungo il pavimento, rimbombando sonoramente. Nella sua mente non v’era altro che vendetta, nel suo cuore solo cupidigia, nulla più. << Dimmi, puttana! >> sbottò: << ti sei divertita? >> urlò, mentre l’afferrava per un polso, conficcando profondamente le sue unghie nelle carne della donna:<< spero di sì, perché questa sarà l’ultima volta! Farò in modo che non possa capitare più! >> sbottò, infine, tra le urla della donna la buttò a terra, facendole sbattere pesantemente il volto contro il marmo del pavimento.

<< Cesare, ti prego… no! Perdonami, perdonami! >>urlò, rialzando il volto, sfigurato dal sangue che le fluiva dal naso rotto.

Il Borgia non disse nulla, la fissò con odio in volto, mentre, senza preavviso faceva piovere una serie di calci nelle costole della donna, facendole vomitare sangue tra le urla.

<< Petronio! >> l’urlo del Borgia parve provenire dalle viscere della terra, e scosse profondamente le membra della donna che ancora subiva le violenze dell’uomo. << Petronio! >>.

I passi dell’uomo echeggiarono lontani per il corridoio, infine, la sua figura apparve sulla soglia, seguito da un manipolo di soldati:<< Mio signore? >> disse, facendo irruzione nella stanza, restando sconcertato davanti alla pozza di sangue nella quale giaceva la donna rantolante.

<< Prendetelo! >> sbottò in un ringhio il Borgia, indicando con gesti risoluti Astorre, che ancora era carponi sul pavimento, disorientato.

Il Borgia pareva essersi calmato, i suoi occhi bruciavano di rabbia, ma il suo viso era tornato pallido ed il suo atteggiamento era nuovamente risoluto e calmo. << prendetelo…! >> ripeté con fermezza nella voce:<< subito! >> aggiunse più irritato.

Petronio si affrettò a fare cenno ad alcune delle guardie alle sue spalle, mentre a malin cuore vedeva che il suo vecchio padrone ed amico veniva trascinato fuori dalla stanza. Il suo cuore si spezzò in due parti, Astorre e Gian Galeazzo erano per lui come dei figli, eppure, in suo nuovo padrone e signore, Cesare Borgia gli comandava di rinnegare coloro che tanto fedelmente aveva servito per quasi trent’anni di vita.

<< In quanto a te, puttana! >> la voce del Borgia suonò tetra nella stanza. Con un gesto irritato lanciò la spada a terra, mentre la lama tintinnava al contatto con il marmo. Con un sol passo fu sopra la donna, ed assestandole un altro calcio nelle costole si chinò su di lei e le prese la testa con una mano, tirandole i capelli, mentre la cute pulsava dolorosamente. La donna lanciò un urlò d’orrore e paura mentre si sentiva trascinare via, seguita dalla striscia di sangue che abbandonava dietro di sé sul pavimento. Si sentì sollevare e la terra le mancò sotto i piedi, infine, si ritrovò a fissare gli incandescenti occhi azzurri dell’uomo ch’era suo marito.

<< Ti prego, Cesare… no… >> rantolò, mentre il Borgia fissava sprezzante il volto insanguinato e rotto da profondi tagli della donna. Un tempo l’aveva affascinato per via della sua bellezza, e in quell’ultimo anno s’era illuso di poterla persino amare, nonostante il loro fosso un matrimonio d’interesse. Ma non più. Ora, in quel volto sfregiato e distrutto non vedeva altro che tradimento, menzogna, nulla più che il volgare viso d’una prostituta qualsiasi. Avvampò di rabbia, e un idea perversa e agghiacciante gli passò per la mente.

<< Tu…! >> disse a breve distanza dal suo volto, con occhi ridotti a sottili linee fiammeggianti:<< ti è piaciuto giacere con un orso figlio d’una cagna? >> sbottò.

La donna non disse  nulla, rantolò e pianse forte, mentre cercava di aggrapparsi alle braccia dell’uomo con tutte le sue forze, graffiando la pelle candida del Borgia, che la respingeva con tutto sé stesso. Il solo pensiero di aver giaciuto con quella donna ignobile lo feriva profondamente.

<< Petronio! >> sbottò in un impeto di rabbia, scagliando la donna verso il pavimento, facendola sbattere pesantemente a terra.

L’uomo fece un passo avanti, ma il Borgia gli impedì di soccorrere la donna, assestandole l’ennesimo calcio al basso ventre, che la fecepiegare in due sputando sangue, mentre anche dalla sua intimità iniziava a colare il liquido vermiglio.

<< Prendila! >> sbottò il Borgia, indicandola con un dito teso, dalla sua posizione statuaria:<< Vesti l’ignuda! >> ordinò seriamente, fissando l’uomo con occhi tanto tenaci da non ammettere repliche:<< fa in modo che le venga pitturato il volto, e che appaia bella, per quanto possa risultare difficile tingere di puro coloro che sono impuri. Prendila, portala nei bassi fondi e vendila come prostituta papale! I Borgia dalla loro altezza hanno deciso di far divertire anche il popolo! >> disse, facendo comparire sul suo volto angelico un sorriso perverso.

Petronio rimase immobile, ma dai suoi occhi traspariva la paura ed il disprezzo.<< Ma mio signore… >> cercò di dire.

<< Fa silenzio, Petronio, se non vuoi che ordini di fare altrettanto su di te! >> minacciò con voce ferma, voltandosi a fissarlo con sguardo talmente truce d’apparire come quello di Satana stesso.

La follia del Borgia era esplosa in tutta la sua brutalità e sete di vendetta.

<< Voglio che questa sgualdrina sia portata in città, e venduta al minor prezzo ad un uomo a notte per sette notti da questo giorno! >> ordinò fissando di sottecchi Petronio.

<< No, ti prego! >> urlò la donna, mentre si teneva il ventre con una mano:<< ti prego, no! Non volevo, perdonami, no! Non succederà mai più, più, ti prego, non farmi questo, tutto, ma non questo! >> le sue lacrime s’aggiunsero al sangue del suo viso:<< prendimi! >> urlò:<< prendimi subito, adesso! Come vuoi, non opporrò la minima resistenza, tagliami, uccidimi, rendimi sterile, tutto! Ma non questo, tutto! Cesare, tutto! >> le disperate parole della donna risuonarono per la stanza, ma il Borgia parve non sentirle, infuocato dalla sua rabbia, perso nel suo buio.

<< Se mi è permesso… >> cercò di dire Petronio, mentre il disgusto attanagliava il suo stomaco. Aveva creduto che il Valentino fosse buono, era stato persuaso da Gian Galeazzo a crederlo caritatevole e generoso, e lo aveva servito come tale. Ma in lui, non vi era nulla di bello e cristiano; nulla di fragile e semplice. Nella sua mentalità folle e corrotta, nei suoi occhi velenosi e capaci di incutere terrore non vi era altro che ostentazione, l’orrore e la perversione. Rabbia, forse, o forse era la voglia di vendicare tutto ciò che gli era stato inflitto. Era l’ambizione repressa di un ragazzino privato della scelta, intrappolato nel presente e gravoso del peso del passato. Proprio come la luce che infiamma gli occhi di un toro infuriato prima della corrida, nulla di più umano era quello che il Borgia esprimeva.

<< No! >> sbottò il Valentino, tornando a fissarlo ancora più furiosamente di prima:<< non ti è permesso dire nulla, questi sono i miei ordini, e questi eseguirai! >> sbottò, mentre Petronio era costretto a chinare il capo in segno di rispetto:<< inoltre! >> aggiunse il Borgia:<< osserverai quanto accadrà ogni singola notte, per essere certo che mia moglie… sia nella mani migliori! >> disse con un tocco tale d’ironia nella voce che lo fece apparire come ancor più bruto agli occhi dei presenti. Pareva si giovasse dei dolori e dei pentimenti altrui. Riusciva a vedere la paura nei cuori di chi gl’era davanti, e usava questo timore contro di loro.

-Angolo Autrice-

Buon pomeriggio a tutti,

Premetto facendovi i miei complimenti, se siete riusciti ad arrivare sino a qui in fondo, per ascoltare le mie chiacchiere, allora godete di ottimi sistemi nervosi per non esservi già stancati. Tuttavia, mi sembra corretto precisare alcuni punti che, come parecchi di voi avranno notato, non sono esattamente in sintonia con ciò che la Storia ci racconta, ma per il bene della narrazione ho dovuto rendere il tutto un poco più movimentato rimescolando un po' le carte in tavola, altrimenti vi sareste veramente addormentiati sulle sedie... posso immaginare che capitoli e capitoli sui rimugini frustrati di un uomo arrabbiato e borioso non siano prorpio allegri...

Ecco quindi a voi la lista dei fatti, "eretici" per quanto riguarda la Storia:

-Cesare passò diversi momenti a Roma durante il suo periodo di conquista, ma mai lunghi come quelli da me descritti, ma tutti i suoi cambiamenti spirituali e mentali non potevano certo avvenire in pochi giorni.

-Nel 1501 le campagne in Romagna non erano certo finite, e anzi, si può dire che partissero proprio adesso, ma io ho segnato questo anno come calmo per le stesse motivazioni di sopra.

-Carlotta d'Albret, realmente moglie del Valentino, non mise mai piede a Roma, né sul suolo italiano, visto che fu sempre in Francia come garanzia per il buon comportamento di Cesare. In oltre, in quel periodo aveva già avuto la figlia, mai conosciuta da Cesare; Luisa nata tra Aprile e Maggio 1500.

-Cesare non fu mai il marito fedele di Carlotta, né l'uso di sua moglie come ostaggio gli impedì atti bruti. Tre le amanti vi furono Caterina Sforza,  Dorotea Malatesta Caracciolo etc... donne più o meno accondiscendenti nei confronti dell'interesse del Duca.

-Astorre non fu mai amante di Carlotta d'Albret.

-Cesare non potè mai vendicarsi così crudelmente sulla moglie.

Per il resto la Storia racconta, (come in tutte le cose dei Borgia con modi vaghi) una sorta di amicizia tra Gian Galeazzo e Cesare, che secondo alcune malelingue avrebbe fatto innamorare perdutamente il Manfredi del Valentino (e chi non lo farebbe), io mi sono semplicemente avvalsa di questo pettegolezzo per introdurre un po' lo spirito che vedo in Cesare.

Spero di non essermi dimenticata nulla, ma voi fatemi pure presente erroracci o assurdità ed "eresie storiche", ve ne prego...!

Ci rivedremo al prossimo capitolo se ne avrete voglia,

Saluti,
Hivy
  
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