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Autore: RobTwili    29/06/2012    54 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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«Non ci pensare Lexi, più ci pensi e più fa male. John non meritava le lacrime di nessuno di noi, soprattutto le tue per quello che ti ha fatto e per il modo in cui si è comportato con te al Phoenix». Quante volte avevo sentito questa frase ripetuta da Aria, nella settimana dopo la morte di John? Troppe, forse, ma non riuscivo ancora a indossare la maschera di indifferenza che sembrava tutti gli Eagles condividessero. Come se non fosse successo nulla, continuavano a comportarsi normalmente; niente lacrime, un funerale a cui avevo partecipato per correttezza e dove mi ero accorta di quanto il Bronx potesse essere freddo e inospitale. La neve che ricopriva tutte le lapidi di fianco a noi, il pastore, io, Aria e Peter e qualche Eagles in lontananza, per ricordare che  loro c’erano nonostante il gesto di John, nonostante la sua morte.
Non avevo chiesto nessun tipo di conferma o smentita a Ryan, non sapevo se fosse stata la sua mano quella che aveva premuto il coltello contro John e l’aveva ucciso e, forse, non volevo nemmeno saperlo. Non mi interessava se era stato Ryan, Brandon, uno dei ragazzi o i Misfitous. Volevo rimanere fuori da quell’aspetto della loro vita e ci sarei riuscita.
«Merda» sbottai, strappando l’ennesima pagina di giornale. Possibile che nessuno cercasse una cameriera, una commessa o qualsiasi altra mansione che non comprendesse un palo e un night club? Sembrava che nei dintorni cercassero solo esperte ballerine o esperte massaggiatrici. Cominciai a scorrere l’elenco della pagina successiva quando qualcuno bussò alla porta del mio appartamento. Di certo non poteva essere Ryan, visto che non avevano cercato di buttare giù la porta a calci. Chi poteva essere?
«Lexi, apri» strillò Aria, bussando con più insistenza. La sentii lamentarsi con qualcuno a bassa voce e, quando aprii la porta, trovai lei davanti a Sick, Ryan, Brandon e Dollar che si immobilizzarono, guardandomi. «Stai bene? Sembri sconvolta, guarda i tuoi capelli, Lexi» mi sgridò Aria, senza lasciarmi il tempo di reagire. «Andiamo, muoviti, esci con noi. Vai a vestirti, che sembra tu abbia l’influenza». Indicò i pantaloni grigi della tuta che indossavo, legati in vita con un elastico per capelli, e la maglia di Edge; quella che mi aveva regalato dopo il nostro primo concerto al liceo, dove avevo preso la prima sbronza. Tornando a casa al mattino avevo salutato i miei genitori con uno «Yo» che mi aveva smascherata subito.
«Che cos’hanno i miei vestiti che non va? E poi non ho tempo di uscire con voi, devo trovare un lavoro, altrimenti non riesco a pagare l’affitto» spiegai, raccogliendomi i capelli con l’elastico che avevo al polso e tornando a sedermi sulla sedia, dopo aver appoggiato il mento al ginocchio. Sentivo gli sguardi dei ragazzi su di me, così misi il tappo all’evidenziatore giallo che tenevo tra le mani e, dopo aver sospirato, alzai lo sguardo, guardandoli a uno a uno. «Si può sapere che c’è?» sbottai, rivolgendomi infine ad Aria, che mai come in quel momento sembrava aver preso il posto di O.G. degli Eagles, sostituendo Ryan, di fianco a lei.
«Andiamo a prendere la cameretta, vogliamo che ci sia anche tu con noi; ci sono tutti gli amici di Jack e io voglio te». Questo era un colpo basso. Non poteva puntare sul senso di colpa per costringermi a uscire di casa con loro, no. Sapeva che avrei accettato se mi avesse posto la questione sotto quel punto di vista. Alcune volte odiavo Aria e il suo stupido modo di convincere le persone. «Dai Lexi, potresti accompagnarci, no? Se non mi accompagni non sei mia amica». Incrociò le braccia sotto al seno, fingendosi arrabbiata. Cercai di trattenere un sorriso, sapendo che in pochi minuti mi sarei alzata e li avrei seguiti, ma l’idea di vedere fino a che punto Aria fosse disposta a spingersi per costringermi a seguirla mi divertiva, così cercai di non ridere senza distogliere lo sguardo dal suo, in silenzio. «Fallo per il tuo nipotino… così potrai dirgli che anche tu sei andata a comprare la camera per lui». Unì le mani poco sotto al mento, in un gesto di preghiera. Stavo per mettermi a ridere, ma Sick, con una sua battuta, non mi permise di farlo.
«Lei. Sarà una lei, cazzo. Se è un lui non va bene. Lei, Ariel. Assomiglierà ad Aria, d’accordo? Tutta sua madre, se poi volete metterci un paio di taglie in più per delle tette esplosive, be’, fate pure, ma non deve avere niente di simile a me qui in basso. Non può essere un uomo». Era davvero arrabbiato, teneva a quella causa in una maniera assoluta. Tutti quanti – Aria e Dollar compresi – cominciammo a ridere mentre mi alzavo per andare in camera a vestirmi per uscire: era il due di gennaio e faceva ancora freddo, la neve caduta a Natale e durante i giorni successivi non si era sciolta nonostante le strade e i marciapiedi fossero percorribili. Infilai una felpa e un paio di jeans e, dopo aver preso il cappotto che tenevo appeso nell’armadio in camera, corsi in cucina a prendere gli scarponcini.
«Dai Lexi, sei lenta come una lumaca» si lamentò Dollar. Alzai lo sguardo meditando per qualche secondo di lanciargli il secondo scarponcino addosso. Ci pensò Aria a punirlo. Caricò il suo braccio, lasciando che il gomito sprofondasse nello stomaco di Dollar che si lamentò con un gemito. «Scusa, Lexi». Trattenni una risata, scuotendo la testa e indossando anche l’altro scarponcino, poi, dopo essermi alzata, aspettai che i ragazzi uscissero, sperando di poter capire perché Aria mi volesse con sé. Non riuscii a parlarle però, visto che continuava a rimanere di fianco a Dollar, ridendo e scherzando con lui. Tra le varie battute, sentii Dollar ridacchiare con Aria, dicendole che la sua pancia cominciava a ingrossarsi – cosa non vera tra l’altro – e prontamente vidi lei rispondere con un pizzicotto sul suo braccio.
Camminavo silenziosa di fianco a Brandon, appena dietro Sick e Ryan che stavano parlando di un certo Night, rinchiuso in qualche carcere. Sembrava che lo conoscessero, anzi, che fosse addirittura uno degli Eagles, ma non capivo perché continuassero a parlare di sanzioni; così, cercando di placare la mia curiosità e sperando di non essere sentita da Ryan, mi avvicinai di più a Brandon, sorridendogli.
«Brandon, chi è Night? E cosa sono le sanzioni?». Ryan, si accorse del mio interesse e fece un passo indietro, ghignando. Si frappose tra me e Brandon che si affiancò a Sick davanti a noi; continuarono a guardare me e Ryan, come se si aspettassero una sua spiegazione e la mia reazione. Era qualcosa di brutto come… come quello che era successo a John? Perché avevo sepolto nella parte più profonda della mia memoria la visione del suo corpo, di quelle croci e dell’aquila stilizzata; non volevo ricordare, altrimenti non sarei riuscita a rimanere di fianco ai ragazzi, troppo spaventata. Così, il mio cervello aveva scelto la soluzione più naturale: dimenticare per non impazzire.
«Sai, lentiggini… alcuni di noi sono in prigione – a dire la verità ci siamo stati tutti – ma quelli che rimangono dentro… hanno bisogno di protezione. Lì dentro, tra quelle mura, più che fuori, devono avere la sicurezza di avere il culo parato, non si può essere da soli, altrimenti non resisti nemmeno un giorno e ti fanno secco. Quando qualcuno fa qualcosa di male, l’altro componente della banda applica una sanzione. Di solito consiste solamente nel picchiare per qualche minuto, niente di macabro o barbaro». Niente di macabro o barbaro, certo. Cosa poteva essere paragonato a quello che era successo a John? Rabbrividii, ripensando a quelle croci e al corpo morto. «Qui al Vernon C. Bain Correctional Center naturalmente ci siamo passati tutti. Night e un altro paio di Hard Cores degli Eagles sono dentro, così, quando si annoiano decidono di fare queste sanzioni, niente di preoccupante» ripeté Ryan, facendomi saltare i nervi. Presi un respiro profondo, pronta a esplodere e liberare tutto quello che avevo tenuto dentro per una settimana dopo la morte di John.
«Niente di preoccupante, vero? Perché per te non è mai niente di preoccupante, no? Voglio dire vai in giro a incidere aquile e croci sui cadaveri a cui prima hai sparato e non è niente di preoccupante una rissa. Lo capisco, davvero» terminai sarcastica, sibilando il mio sconcerto con un tono bassissimo di voce. Le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni stretti per trattenere la rabbia di fronte a Ryan…
«Una settimana, hai resistito molto, lentiggini. I tuoi nervi sono d’acciaio. Vorrei spiegarti che no, le croci sugli occhi e sulle labbra non sono un simbolo della nostra firma, non siamo così barbari. Quello è il simbolo per indicare i traditori, quelli che hanno visto qualcosa e poi l’hanno riferito a chi non dovevano. Occhi, labbra. La firma degli Eagles è semplicemente l’aquila stilizzata e la pallottola per ucciderli prima, esattamente come il punto rosso dei Misfitous». Si era acceso una sigaretta, fumando in mezzo al marciapiede senza curarsi delle persone che ci superavano lanciandogli sguardi spaventati. Le croci non erano la firma degli Eagles? Certo, ma loro le avevano incise, quindi non cambiava poi molto, erano sempre dei barbari sadici.
«Ma sei stato sempre tu a fare quelle incisioni, sapere che non è la vostra firma non cambia» mormorai, tenendo lo sguardo basso. Sapevo che Ryan, Brandon, Sick, Aria e Dollar stavano tutti osservando ogni mio minimo movimento per intuire le mie mosse, per questo cercavo di non dar loro modo di capire a cosa stavo pensando; non volevo che comprendessero quanto fossi spaventata da tutto quello.
«Io? Io ho fatto quelle incisioni?» sbottò, incapace di trattenere una risata e lasciando che una nuvola di fumo uscisse dalle sue labbra, dissolvendosi nel cielo grigio, sopra di noi; «ci sono così tante cose che non sai lentiggini… non basterebbero due giornate per spiegare tutta la vita di un Eagles». Scosse leggermente il capo, senza nemmeno guardarmi. Lo sguardo assente – distante chilometri e anni – fece accendere una fiammella dentro di me; la stessa che si era spenta la mattina dopo Natale, all’incrocio dopo il Phoenix. Non era stato lui a uccidere John? Non era morto per mano degli Eagles? E allora chi era stato a simulare la loro firma? Perché non avevano detto niente per discolparsi?
«Ma allora…» bisbigliai, cercando di formulare una domanda a cui potessero rispondere. Come temevo però, Ryan mi fermò, scuotendo di nuovo il capo e spegnendo definitivamente la sigaretta per terra.
«No, non sono cose che ti interessano. Il massimo che puoi sapere è la questione delle sanzioni in carcere e i sei minuti senza protezione, niente di più». Con un gesto del capo indicò a Brandon di seguirlo; voleva continuare a camminare verso il negozio di mobili, probabilmente per ritornare a casa il prima possibile. Guardai Aria, sperando che potesse parlarmi dei sei minuti senza protezione, ma era troppo impegnata a sogghignare con Dollar e non volevo disturbarla, non quando sembravano così affiatati e complici. Brandon era impegnato a parlare con Ryan e, visto il suo sguardo grave, non si trattava di certo di sciocchezze. Mi rimaneva una sola alternativa…
«Sick, cosa sono i sei minuti senza protezione?». Non sapevo perché, ma temevo che non fosse proprio una passeggiata e il fatto che ci fosse quel “senza protezione” non mi piaceva per niente. Che si picchiassero barbaramente con coltelli e altre armi senza che nessuno potesse difenderli? Sick abbassò lo sguardo verso di me, sorridendo lascivo. Che cosa gli avevo chiesto?
«Cosa stai cercando di dirmi Lexi, che vorresti fare i 7 minuti in paradiso con me? Tranquilla, me ne bastano tre per te» sogghignò, ammiccando. Mi allontanai di un passo da lui, causando le risate di Aria e Dollar. Potevano prendermi in giro quanto volevano, ma non mi fidavo di Sick, soprattutto quando cominciava a parlare utilizzando doppi sensi e allusioni sessuali. «Non preoccuparti Lexi, ti spiego cosa sono questi sei minuti senza protezione. Semplicemente uno picchia l’altro, senza che lui possa controbattere. Come se io picchiassi… che ne so, Doll per sei minuti, senza che lui possa portarsi le mani davanti al viso per coprirsi, chiaro?». Alzò leggermente le sopracciglia, sperando di essere stato esauriente. Annuii. Avevo afferrato immediatamente la sua spiegazione, grazie soprattutto al chiaro esempio. La trovavo un’altra tecnica barbara, esattamente come tutto quello che riguardava le gang, ma non fiatai. «Bene, ora ti spiego cosa sono i tre minuti in paradiso con Sick, poi comincerai a capire a chi si è ispirata quella scrittrice inglese per il Signor Gray. È tutto vero, tutto vero». Fece l’occhiolino di nuovo, senza smettere di sorridere. Ok, Sick mi faceva davvero paura, non volevo nemmeno chiedergli come facesse a conoscere quel libro, ma non mi interessava di certo, non se stavo parlando con Sick.
«Sick, dacci un taglio, fai paura» sogghignò Aria, stringendo di più il suo braccio attorno alla vita di Dollar; lasciò che lui le scompigliasse i capelli, lamentandosi con un morso alla spalla. Di sicuro avevano risolto dopo la litigata la notte di Natale. Mi faceva davvero piacere rivederli complici e scherzosi perché, in qualche modo, mi sentivo meno in colpa.
«E comunque, vorrei solo annunciare che stanotte ho sognato Claire. Anzi, ho sognato che eravamo al liceo, quando ci chiudevamo nello stanzino delle scope. Vi ricordate ragazzi? Ryan, ricordi quando Kristin, la ragazza di Mike dei Misfitous ha aperto la porta dello stanzino e poi è corsa a spifferare tutto al professor Shoes che ci ha sospeso per una settimana solo perché stavamo trombando? Che stronzo! Solo perché lui non aveva istinti ed era geloso. Non è mica colpa mia se era così brutto da non aver trovato nessuna che gliela potesse dare» concluse, facendo spallucce come se fosse una cosa ovvia. Non riuscii a trattenere una risatina divertita dallo strano modo di Sick di catalogare le persone. «E poi stanotte mi sono ricordato delle tette di Claire; potrei chiamarla, per vederci mezz’oretta, così, senza impegno, una trombatina» mormorò, soprappensiero. Stava decidendo cosa fare, come se parlasse tra sé e sé, senza ricordarsi che c’eravamo anche noi di fianco a lui.
«Sick, ma non è sposata? Non abita in Italia?» domandai, ricordando quello che aveva detto Brandon seduto su quel vecchio tronco, a Coney Island, il quattro di luglio. Ricordavo perfettamente che mi aveva consigliato di non nominare mai Claire, visto quello che aveva causato a Sick, lasciandolo; ma non credevo ci fossero problemi, visto che era stato proprio lui a parlarne per primo.
«Certo, ma mica sono geloso. E poi quello lì l’ha conosciuto dopo di me. Sai come si dice, no? Il primo trombato non si scorda mai». Si accese una sigaretta, allungando il pacchetto per chiedermi se ne volessi una anche io; declinai l’offerta, incapace di nascondere un sorriso divertito dalle battute stupide di Sick. Se appena arrivata credevo che il problema di Sick non fosse una cosa normale, più passava il tempo più capivo che lui, con il suo chiodo fisso per il sesso e per il porno, era esattamente come tutti i ragazzi della sua età – se non fosse stato per quello sguardo da pazzo.
Procedemmo in silenzio per qualche altro isolato, e io continuavo a tenere lo sguardo basso per non incontrare quello degli altri Eagles, visto che avevo ancora paura a rimanere da sola con loro, dopo la scoperta del corpo di John. All’improvviso un ragazzo urtò Aria, vicina a me, spintonandomi subito dopo. «Ehi stronzo, sta attento» sbottò Dollar, attirando l’attenzione di Ryan, Sick e Brandon che subito si voltarono per controllare che cosa fosse successo. Probabilmente il ragazzo aveva perso l’equilibrio, perché, dopo essersi calato il cappuccio in testa, girò verso destra per attraversare la strada. «Stai bene?» chiese subito Dollar ad Aria, assicurandosi che entrambi non si fossero feriti.
«Aria, sei una puttana» strillò il ragazzo, senza smettere di camminare. Ma che cosa stava succedendo? Guardai Ryan, immobile di fianco a me: la mano dietro alla schiena, come se fosse pronto a prendere la pistola che – sicuramente – aveva con sé. Brandon non sembrava molto più rilassato di Ryan, si avvicinò di un passo a lui, senza perdere di vista il ragazzo, ora in mezzo alla strada. Sick si accostò ad Aria, sorpassandola e facendole da scudo con il proprio corpo.
«Senti, pezzo di merda, non dici alla mia Signora che è una puttana, soprattutto perché aspetta mio figlio, hai capito?». Dollar cominciò a camminare per raggiungere il ragazzo e Ryan, di fianco a me, si immobilizzò ancora di più; non respirava nemmeno. Temevo che sparasse a quel ragazzo solo perché aveva offeso Aria, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da Dollar e dalle sue gambe che si avvicinavano sempre di più a lui.
«Doll, non fare cagate» lo ammonì subito Ryan, con un tono di voce che assomigliava a un ordine. Dollar si girò verso Ryan con uno sguardo furioso; sapevo cosa voleva dire: quel ragazzo aveva offeso Aria e avrebbe pagato quella sua brutta condotta. Un pugno? Una ferita? Non sapevo che cosa aspettarmi, ma sapere che Ryan non si stava muovendo e lasciava a Dollar la decisione di tutto in qualche modo mi sollevava; ero sicura che Dollar non fosse cattivo come Ryan. Dollar raggiunse il ragazzo, urlandogli contro di girarsi senza però ottenere alcun risultato.
«Jack, lascia stare dai, non fare lo scemo». Aria appoggiò le mani sul braccio di Sick, tendendosi in avanti perché Dollar potesse sentire la sua voce, nonostante non fosse tanto vicino. Poi, il ragazzo che aveva offeso Aria, tirò fuori una pistola dalla tasca della felpa nera che indossava e la puntò contro il viso di Dollar che si fermò all’improvviso, rischiando di scivolare per terra perché la neve sulla strada si era trasformata in ghiaccio a causa del freddo. «Jack» strillò Aria, correndo veloce verso di lui tanto che Sick non riuscì a raggiungerla. Il bracciò del ragazzo si spostò, lasciando che il mirino della pistola deviasse su un altro obiettivo: Aria.
Non riuscii nemmeno a urlare, perché il rumore di due spari risuonò, facendomi bloccare il respiro.
«Cazzo» sbottò Ryan, prima che io venissi scaraventata a terra. Mi aspettavo di sbattere il capo contro l’asfalto freddo, ma qualcosa di caldo si frappose fra la mia tempia e il terreno, proteggendomi. Un respiro caldo e spezzato che si infrangeva contro la mia guancia e il peso e il calore di un corpo sopra al mio a proteggermi. «Doll, resisti» strillò Ryan. Il suo respiro smise di infrangersi contro il mio viso e per un attimo strinsi le palpebre più forte, temendo il peggio fino a quando sentii il corpo di Ryan muoversi ancora contro di me. Solo in quel momento tornai – con tanta fatica – a respirare. La mano che prima era appoggiata alla mia fronte si spostò fino alla mia nuca, in modo che non potessi alzare il volto; non ci pensavo nemmeno, soprattutto quando sentii dei colpi vicino a me: il fischio della pallottola che veniva sparata e il braccio di Ryan che si muoveva per il rinculo. «Sick, Brandon, sparate cazzo» urlò Ryan, senza smettere di sparare. Non riuscivo nemmeno a contare i colpi, ma di sicuro erano più di dieci; tanto che, all’improvviso, cominciò a sparare a vuoto. Non sentivo più il rumore degli spari, solo dei colpi a vuoto, come se non ci fossero più proiettili. «Cazzo» sbottò Ryan, sbattendo qualcosa a terra, poco distante dal mio volto. «Doll sei vivo?» urlò di nuovo, irrigidendosi in attesa di una risposta. Sentii la sua presa sul mio capo farsi più forte e di nuovo il suo respiro che si infrangeva contro la mia guancia. Poi, di colpo, gli spari terminarono, separandomi dal fiato caldo di Ryan e dalla sua presa. «Stai bene?» domandò stringendo il mio mento tra il pollice e l’indice e forzandomi a girare il volto per controllare come stessi. Aprii gli occhi lentamente trovandomi lo sguardo di Ryan molto più vicino di quanto mi aspettassi e, capendo di non aver voce, annuii debolmente. «Sta qui. Non muoverti» ordinò, alzandosi in piedi velocemente e correndo verso la strada davanti a noi.
Mi misi a sedere, cercando di capire cosa fosse successo; c’era qualcuno disteso a terra poco distante da Ryan, ma non era lui quello accerchiato. Mi alzai e corsi velocemente verso Ryan, Sick e Brandon, tutti chini su Dollar; aveva la maglia intrisa di sangue e si muoveva appena.
«Hai… visto? Ne ho ucci…so u…no» scherzò, cercando di sorridere. Sgranai gli occhi notando i cinque fori sul suo petto e cercai di riprendermi frugando in borsa e digitando il numero dell’emergenza dell’ospedale e, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla, mi inginocchiai davanti a Dollar che cercò di regalarmi un sorriso, mostrandomi quando la sua bocca fosse piena di sangue.
Emorragia.
Cazzo.
«Mi serve un’ambulanza ad Halleck Street, subito dopo l’incrocio con Randall Ave, in direzione opposta a Edgewater Rd. C’è un ferito da arma da fuoco grave». Riattaccai, lanciando il telefono dietro di me e prendendo la maglia di Dollar per strapparla. Non mi interessava nemmeno del suo sangue sulle mie mani, impegnata com’ero a premere la stoffa nei due fori più vicini al cuore per cercare di rallentare l’uscita di tutto quel sangue.
«Aria?» soffiò Dollar, cercando di alzare il capo senza riuscirci. Mi gelai per un secondo, fermandomi con le mani sporche a mezz’aria, prima di guardare Ryan che capì, affiancandosi a me e aiutandomi a premere sul petto di Dollar.
«Aria sta bene, è qui vicino. Il colpo l’ha solo sfiorata» mentì probabilmente, senza farlo capire. Sentii Dollar rilassarsi sotto al mio tocco, felice per quella notizia; mi ripresi, tornando a premere con tutta la mia forza sulle sue ferite, concentrandomi sui suoi grandi occhi verdi che sembravano spegnersi a ogni istante che passava. La sua cicatrice contratta per il dolore e l’espressione di sofferenza che lo colpiva a ondate.
«La… il… bimbo?» domandò, sforzandosi di far uscire un suono dalle sue labbra. Se non fossi stata così vicino a lui probabilmente non l’avrei nemmeno sentito, visto che era un bisbiglio appena udibile. Non guardai nemmeno Ryan, troppo timorosa di dire che Aria non era lì di fianco a lui, lasciando che fosse proprio Ryan a spiegare come Aria e il suo bambino stessero.

«Stanno bene. Sick è con loro. Sta zitto adesso» ordinò, la voce leggermente incrinata. Dollar fece di nuovo quella smorfia che doveva assomigliare a un sorriso, lasciando che un rivolo di sangue scendesse dalle sue labbra, sporcandogli il mento giù, verso il suo collo. Chiuse gli occhi lentamente, senza riaprili. «Doll, coglione vedi di non chiudere gli occhi o ti tolgo il flag. Doll!» urlò Ryan, strattonando il corpo di Dollar e prendendo il volto tra le sue mani per agitarlo. «Doll, cazzo». Lo scossone che gli diede fece ciondolare il capo di Dollar, che però non lo ascoltò, tenendo gli occhi chiusi. «No» sbottò Ryan, senza smettere di muovere il corpo di Dollar. Avvicinai solo una mano, prendendo il polso freddo di Dollar e chiudendo gli occhi, quando non sentii il battito.
«Ryan» mormorai, lasciando che le lacrime cominciassero a scorrere lungo le mie guance. Ryan non mi ascoltò, portandosi una mano tra i capelli e sporcandoseli di sangue. «Ryan» tornai a dire, appoggiandogli la mano sul braccio per fermarlo. Le mani di Ryan lasciarono il volto di Dollar e il suo sguardo incontrò il mio per un secondo, prima che prendesse tra le mani la pistola di Dollar, avvicinandosi al ragazzo che aveva insultato Aria.
Era in mezzo alla strada, ferito a una gamba. Stava cercando di andarsene senza farsi notare, ma non era riuscito a fuggire, perché costretto a strisciare a terra.
«Chi cazzo vi ha mandato?» strillò Ryan, inginocchiandosi di fronte a lui e puntandogli la pistola in mezzo alla fronte. Il ragazzo cominciò a piagnucolare, abbassando lo sguardo quando la mano sinistra di Ryan si strinse a pugno sul suo giaccone. «Dimmi chi cazzo ti ha mandato e ti risparmio la vita». Uno strattone più forte e il suo pollice che caricava la pistola, in un chiaro avvertimento: se non avesse risposto Ryan gli avrebbe sparato in fronte, uccidendolo. «È stato Dead?» domandò. Non riuscivo a smettere di guardare Ryan e la sua furia, perché se l’avevo sempre visto arrabbiato, anche quando era successo qualcosa di grave – come la morte di JC o di John – non mi ero mai accorta di quanto potesse essere minaccioso. «Rispondi, cazzo. È stato Dead?». Spostò la pistola dalla fronte alla tempia del ragazzo, facendomi vedere lo stampo che la canna dell’arma gli aveva lasciato sulla fronte da quanto Ryan aveva premuto.
«Sì… sì» piagnucolò il ragazzo, senza nemmeno nascondere quanto la sua voce tremasse per la paura di morire e cominciando a piangere. Cercò di ritrarsi, scivolando indietro, ma Ryan non lasciò la presa sul suo giaccone, costringendolo ad avvicinarsi di colpo a lui, tanto che i loro nasi si sfiorarono.
«Ti lascio vivo solo perché devi riferire un messaggio, pezzo di merda. Hai ucciso una donna e un bambino, hai ucciso uno degli Hard-Cores degli Eagles. Di’ a Dead che la guerra è iniziata, e non ci fermeremo fino a quando l’ultimo fottuto Misfitous non sarà sepolto sei metri sotto terra, con un’aquila intagliata sul petto. Non vi spareremo nemmeno prima, dovrete soffrire, pezzi di merda». La sua voce era bassa ma così tagliente che sembrava potesse uccidere solo con le parole. «Torna da lui e riferisci il messaggio, o ti troverò e ti ucciderò prima di loro». La pistola si abbassò fino al ginocchio, dopo di che, Ryan premette il grilletto, spaventandomi. Il ragazzo urlò per il dolore, piegandosi in avanti e portando le mani sulla gamba.
«Ryan, che cazzo è successo?». Quando mi voltai, trovai Mike – il poliziotto che mi aveva arrestata – a qualche metro da noi, guardava verso il ragazzo che si allontanava strisciando; poi, quando il suo sguardo si posò su Dollar, di fianco a me, lo vidi sgranare gli occhi mormorando: «Oh, cazzo» quando si accorse della pozza di sangue che circondava il suo corpo.
Mi guardai attorno, in cerca di Aria, credevo di trovarla ferita, magari con Sick al suo fianco, ma mi sbagliavo. Aria era distesa in mezzo all’asfalto, senza nessuna protezione. «Aria» mormorai, sentendo lentamente i brividi ricoprirmi il corpo a mano a mano che il mio cervello cominciava a collegare tutti i punti; spostavo lo sguardo da Aria a Dollar, incapace di muovermi, incapace di dire qualcosa. Lasciavo solo che le lacrime scendessero, pensando che non era possibile che fossero entrambi immobili su quella strada, distesi sull’asfalto e ricoperti di sangue, perché nessuno poteva morire così. Chi li aveva uccisi non poteva avere un cuore, nessuno, nemmeno il killer più spietato uccideva due ragazzi così giovani e innamorati l’uno dell’altra assieme. Nemmeno Shakespeare aveva sacrificato la vita di Romeo e Giulietta assieme, era stata Giulietta a decidere di morire perché troppo vile. Ma non era una favola, non eravamo a Verona e non c’era nessuna pozione magica che avrebbe potuto riportarli in vita entro qualche ora. Perché non era come Romeo e Giulietta; Giulietta era stata una codarda e aveva deciso di morire perché non credeva di saper vivere senza Romeo, non immaginava una vita senza quel ragazzo che le aveva conquistato il cuore in una sera. Aria… lei aveva lottato per salvare il suo amore, se ne era fregata della morte e l’aveva difeso, probabilmente avrebbe preferito morire al posto di Dollar. Era diverso, Giulietta era una vigliacca, non si era nemmeno impegnata per provare a vivere senza Romeo; Aria si era impegnata per far vivere Dollar senza di lei, fallendo. E non riuscivo a smettere di piangere, vedendo il suo corpo disteso sull’asfalto innevato, le mani ancora a proteggere la sua pancia, il suo, il loro bambino. L’ultimo disperato tentativo di salvare la vita che cresceva dentro di lei, quando si era accorta che la pistola si era spostata, cambiando obiettivo. Forse Aria aveva deciso che Dollar si sarebbe potuto costruire una vita senza di lei, per questo aveva corso quel rischio. Dollar invece non aveva finto nessuna morte per ingannare; aveva lottato fino allo stremo, lo dimostravano i fori di proiettile sul suo petto e il suo viso ancora distorto dal dolore che gli avevano provocato. Lo dimostrava la piccola macchia rossa sull’asfalto, all’altezza delle sue labbra, perché del sangue era colato dalla sua bocca. Dollar e Aria avevano lottato senza arrendersi, fino alla fine; si erano sacrificati l’uno per l’altro senza pensare che sarebbe stato inutile. Non come Romeo e Giulietta; eppure il risultato era lo stesso. Feci un passo verso di Aria, allungando la mano per spostarle una ciocca di capelli dal viso che non riusciva a farmi vedere le sue labbra piene, socchiuse; ma sentii le gambe cedere e mi ritrovai inginocchiata davanti a lei, troppo vicina al suo volto da non poterne sopportare la vista, perché un flash mi colpì, scambiando per un attimo il suo volto con quello di Soph. Un singhiozzo sfuggì alle mie labbra e lasciai che le lacrime offuscassero la mia vista. C’era una sola costante tra l’incidente di Soph ed Edge e quello che era successo ad Aria e Dollar: io. Ero io che causavo la morte delle persone che mi stavano vicine, ero io la causa di tutto.
«Alexis…» chiamò qualcuno che non riuscii a vedere. Mi sentii sollevare da terra, un braccio mi strinse le spalle e l’altro scivolò sotto alle mie ginocchia. Istintivamente appoggiai il capo al petto di chi mi stava sorreggendo e non riuscii a trattenere un singhiozzo più forte degli altri, seguito subito da un altro. Strinsi il tessuto di pelle con la mia mano, aggrappandomi forte e chiudendo gli occhi. Era impossibile rimanere così: l’immagine di Aria e Dollar stesi a terra e ricoperti di sangue continuava a riproporsi, causandomi una sensazione fastidiosa che mi fece gemere tra un singhiozzo e l’altro. «Alexis, calma» mormorò la stessa voce di prima, stavolta vicina al mio orecchio. Non ero nemmeno sicura appartenesse a Ryan, anche se mi sembrava di scorgere il suo viso preoccupato a pochi centimetri dal mio, nonostante le lacrime mi impedissero di vedere chiaramente quello che stava succedendo attorno a me.
«Sono morti» gemetti, portandomi una mano al petto; lì dove faceva più male di tutto. Lì, dove avevo riservato a loro uno spazio importante e dove ci sarebbe stato – per la seconda volta – un vuoto. Sentivo il mio corpo tremare, ma non riuscivo a controllare i muscoli, era come se non riuscissi a ordinare a me stessa di rimanere ferma, come se l’unica parte di me che obbediva fosse il mio cervello, che mi stava dicendo una cosa sola: “è colpa tua”. Perché lo era, per la seconda volta a causa mia era morto qualcuno.
«Alexis, guardami» ordinò la stessa voce di prima. Doveva essere Ryan, per forza. Nessuno dava ordini tranne lui. Nessuno aveva il cuore di pietra e riusciva a non piangere, tranne lui. Cercai di alzare il capo dalla sua spalla, ma era difficile; non riuscivo ancora a muovermi, così appoggiai la fronte sul suo collo, cercando di sollevarmi, con lentezza. Quando incontrai i suoi occhi chiari vicino ai miei, mi sentii in dovere di dirgli la verità.
«Sono morti, per colpa mia» spiegai, asciugando una lacrima sulla mia guancia con la mano. Una nuova ondata di lacrime arrivò quando vidi le mie dita sporche del sangue di Dollar. Tornai a nascondermi contro l’incavo del collo di Ryan, sfogandomi e piangendo, dimenticandomi delle altre persone di fianco a me. Perché non riuscivo a non pensare  a Liam e a Shake, a JC, ad Aria, Dollar e al loro bambino. Quanto ancora doveva essere lunga quella lista? Quante persone sarebbero morte lì, a Hunts Point prima che quella stupida guerra tra bande finisse?

«Ryan, stanno arrivando gli altri agenti» bofonchiò qualcuno in lontananza. Non ci feci nemmeno caso, mi raggomitolai più stretta, svuotando la mente da tutti i brutti pensieri. Sapevo che Ryan non aveva nulla da ribattere a quello che avevo detto, perché era la verità.
«Cazzo… Brandon, portala a casa». Sentii Ryan muoversi e le sue braccia si tesero, fino a quando fui costretta ad abbandonare il suo corpo caldo, perché c’era qualcun altro a sorreggermi. Brandon, probabilmente, visto che gli aveva appena ordinato di portarmi a casa. Riuscii a scorgere l’ombra dei suoi capelli scuri e per un istante i suoi occhi superarono la barriera delle mie lacrime.

Dolore, ecco cosa riuscii a leggere nel suo sguardo. Dolore che avevo causato io.
«È colpa mia… è, è… tutta colpa mia» spiegai anche a lui mentre il mio corpo veniva scosso dai singhiozzi. Sentivo che ci stavamo muovendo, ma non volevo nemmeno guardare dove fossimo diretti, perché qualsiasi posto non sarebbe stato abbastanza distante da loro, non fino a quando l’avessimo raggiunto a piedi e in poco tempo.
«No, Lexi. Non è colpa tua, non dire così». La sua voce bassa cercava di rassicurarmi, senza riuscirci. Non bastava una bugia per farmi capire che non era colpa mia, non ero così stupida da crederci. Scossi leggermente il capo per fargli capire che non serviva mentire.
«Sì che è colpa mia. Se io non avessi detto che… che John non ci pagava sarebbero vivi». Perché mi ero ubriacata a Natale e avevo fatto scoprire a Ryan il doppio gioco di John. Così loro o i Misfitous l’avevano ucciso e poi gli altri si erano ribellati uccidendo Aria e Dollar. A quel pensiero l’immagine dei loro corpi tornò vivida nella mia mente e mi mancò il fiato per i singhiozzi che non volevano rallentare. Avevo ucciso due ragazzi di sedici anni.

«Lexi non è colpa tua, cerca di respirare» mi suggerì Brandon, accarezzandomi la spalla con la mano che mi sorreggeva. Gemetti infastidita dal suo continuo mentire per non dare la colpa a me, dopo aver alzato lo sguardo perché potesse vedere che ero cosciente e sapevo quello che dicevo.
Presi un respiro profondo per cercare di calmare i singhiozzi e, ignorando le lacrime che non volevano fermarsi, parlai: «Sono io. È la seconda volta che per colpa mia muoiono due miei amici». Quella frase, detta a voce alta, era ancora più spaventosa di quando l’avevo pensata perché rendeva tutto più vero, senza pietà. Lo sguardo di Brandon si fece serio e vidi la sua fronte corrugarsi, come se volesse sgridarmi ma qualcosa lo trattenesse.
«Lexi, smettila». Era un ordine e non avevo nemmeno più la forza di ripetere quello che da troppo stavo pensando. Sarei scappata lontano da loro, lontano da tutti per salvare le loro vite perché non potevo permettere che la storia si ripetesse.
«Voglio andare a casa» piagnucolai, circondando il collo di Brandon con le mie braccia e appoggiando il capo sulla sua spalla. Sentivo il fruscio del vento sempre più debole e le mie palpebre stavano diventando sempre più pesanti. Non volevo che Brandon mi lasciasse cadere, anche se sapevo che le sue braccia erano forti.

«Stiamo andando a casa» mi spiegò, fermandosi. Una sua mano si spostò dalla mia schiena ma riuscì a tenermi in equilibrio, poi, sempre più distante, udii il rumore di una porta che sbatteva e il rimbombo di passi, come se stesse salendo una scala. Dove mi stava portando? Cosa stava succedendo?
«Voglio andare a casa mia, non voglio che vi uccidano. Se rimango qui morirete come tutti quelli a cui tengo» mormorai, lasciando che le lacrime scorressero lungo le mie guance, di nuovo. Non riuscivo a fermarle e non mi interessava; potevo dimostrarmi debole, stupida e infantile, ma non ero in grado di contenere tutto quel dolore. Brandon appoggiò il mio corpo a qualcosa di morbido, ma non avevo la forza di muovermi o di guardare.
«Lexi, calmati, non devi andare da nessuna parte, cerca di riposare, rimango qui, ok?». Una carezza sul mio capo per tranquillizzarmi, mentre cadevo in un oblio interrotto solo da immagini che si alternavano: Soph, Edge, Dollar e Aria, un circolo che non voleva smettere.
«Voglio andare a casa» bofonchiai, lasciando che il buio mi inghiottisse definitivamente.

 
 
 
Andiamo con ordine per queste note finali…
Sick parla del Signor Grey con un chiaro riferimento a 50 sfumature di  grigio e ai “poteri sovrannaturali” che ha (secondo me), però è una cosa scema, visto che la storia è ambientata a gennaio e il libro a gennaio non era uscito. Quindi, a questo punto, mi sa che Sick ha letto la fan fiction :D
Le sanzioni e i sei minuti senza protezione esistono davvero. Nei carcere americani –dove ogni persona per sopravvivere deve decidere a quale gang affiliarsi –ci sono: ogni tanto, quando sono annoiati, inscenano questi scontri “tra amici” solo per passare il tempo. Questo non l’ho scoperto durante il mio giro notturno nei quartieri malfamati del Bronx (come qualcuno di voi ha ipotizzato io faccia di notte, al posto di dormire) ma l’ho visto in un programma TV che ormai è diventato la mia droga e mi ha fatto pensare più di una volta di fare un paio di capitoletti con gli Eagles in prigione (cosa che NON succederà, comunque).
Il Vernon C. Bain Correctional Center è uno dei due centri con uso di carcere a Hunts Point. Per quanto riguarda l’altro, lo Spofford Juvenile Center, è stato chiuso a marzo del 2011, ed essendo la storia ora ambientata a Gennaio 2012 ho preferito rispettare questa scelta. Anche perché lo Spofford era comunque un centro che ospitava minorenni, cosa che gli Eagles non sono.
E si passa alle croci sugli occhi e sulle labbra del capitolo scorso… ho cercato di non sbilanciarmi troppo su questa cosa, ma un paio di voi l’avevano comunque capito che quello era un trattamento riservato ai traditori. Ci tengo a precisare che di solito (da quello che ho letto più volte) ai traditori viene semplicemente tagliata la gola, però volevo qualcosa di più visivo e più duro, quindi mi sono permessa di inventare questa cosa. Questo per ricordare che il biglietto da visita degli Eagles è semplicemente l’aquila intagliata nel petto.
E si passa alla scena finale. Non ho molto da dire, sinceramente. Cioè, avrei anche troppo da dire, ma non voglio assolutamente spiegare il perché. Prima di tutto mi sembra chiara la scelta del titolo del capitolo, Lexi fa un ragionamento preciso e mi piace seguire il suo istinto per il titolo.
Perché questa scelta? Questa scena è stata l’idea iniziale di You saved me, la storia è partita dalla sparatoria, da quello che succede e poi si è sviluppata prima verso il finale e poi verso i primi capitoli. Non era mia intenzione coinvolgere anche lei, l’idea di partenza era solamente lui, poi, come ho ripetuto più volte, il suo personaggio mi ha preso la mano ed è diventato uno dei principali senza volerlo. Senza cuore? Bastarda? Stronza? Ditemi quello che volete, ma posso assicurarvi che non sapete cosa ho passato per scrivere quelle righe. Vi ho fatto soffrire? Da una parte lo ammetto, se sono riuscita anche solo a smuovere qualcosa dentro di voi… mi sento felice, perché vuol dire che almeno un po’ ai personaggi ci eravate affezionate. Dall’altra mi dispiace, ma ho sempre detto, dall’inizio della storia, che tutti i personaggi erano in pericolo e che non dovevate affezionarvi a nessuno, perché non assicuravo la vita di nessuno.
Vorrei di nuovo ringraziare tutti i preferiti, i seguiti, quelle che hanno inserito la storia tra le ricordate, chi ha avuto il coraggio di inserirmi tra gli autori preferiti (tanto lo so che a mano a mano che leggete il capitolo i numeri caleranno eh! :P) e chi recensisce sempre. Un grazie enorme e di cuore, davvero!
Come sempre ricordo il gruppo spoiler, dove do tutte le anticipazioni e dove ogni tanto attento alla vostra vita con foto che fanno morire: NERDS’ CORNER.
Grazie ancora per aver letto.
Rob.
   
 
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