Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: MrEvilside    01/07/2012    10 recensioni
[ CONCLUSA ]
Dopo la cattura di Loki, il suo scettro è stato affidato a Tony Stark, l'unico che abbia resistito alla sua magia soggiogatrice, e Loki consegnato ad Asgard, dove viene detenuto in attesa di giudizio. Quando fugge, i Vendicatori si preparano ad affrontarlo, convinti che il suo primo obiettivo sarà senza dubbio riappropriarsi dello scettro sconfiggendo Tony, ma quest'ultimo scoprirà che per una volta è Loki ad aver bisogno d'aiuto. Il semidio lo porrà di fronte a più di una scelta: vita o morte, verità o menzogna, amore o qualcos'altro, sullo sfondo di una guerra per garantire la pace sulla Terra.
Non sempre è tutto bianco o nero.
[ IronFrost ]
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avevo detto che sarei andata in vacanza e avreste dovuto aspettare, ma questa fanfiction mi prende troppo *__* Perciò, ecco il nuovo capitolo in tempo di record (solo una decina di giorni, più o meno <3) per tutti voi Frostironers che seguono questa cosetta <33 Devo dire che il merito dell'arrivo di questo capitolo è anche largamente vostro, perché mi avete lasciato così tante belle recensioni (in questi tempi duri in cui averne una sembra un miracolo XD) che, combinate all'ispirazione fulminante, ho prodotto, prodotto, prodotto fino a finire il capitolo, che tra l'altro, cosa di cui mi auguro sarete felici <3, è piuttosto lunghetto per i miei standard (uhn... quattordici pagine, lo ammetto, ero parecchio ispirata XD).
Che altro dire? L'icon è mia, quindi non rubate oppure morirete, invece la Marvel - sigh - non mi appartiene. No, nemmeno un pezzo strappato da un angolo di una pagina... No, NEMMENO LOKI E' MIO E NON RICORDATEMELO. ç___ç
Uh, stavolta ci sono anche delle note finali BD (... e chissenefrega? XD)
Grazie davvero per il vostro sostegno, per me è fondamentale, sappiatelo! Perciò non siate timidi, lasciatemi anche due righe, io rispondo sempre, non mordo e vi riempirò d'amore e cuoricini <3


_____________


#02: The light and the moth
 
You’re so hypnotizing
Could you be the devil? Could be an angel?
Your touch magnetizing
Feels like I am floating, leaves my body glowing
-E.T., Katy Perry
 
Stabilito che Tony era sincero e non sotto incantesimo, Steve chiamò Fury per avvisarlo che la situazione era sotto controllo, stazionaria, codice verde e tante altre parole da soldato che Tony non si prese la briga di ascoltare.
Perlomeno, a giudicare dagli stralci di conversazione che riuscì a cogliere, non sembrava che Fury fosse sul punto di mandare uno squadrone di agenti a ispezionare la Stark Tower.
Da un lato era un sollievo, perché non solo un simile affollamento avrebbe impedito ai suoi dipendenti di lavorare, ma anche perché sarebbe stato molto complicato nascondere Loki a lungo; dall’altro, però, era anche l’emblema della fiducia che Nicholas, sebbene affermasse sempre il contrario, gli accordava e la consapevolezza di stare tradendolo gli annodava le viscere.
E lo stava facendo per Loki.
Quello andava ben oltre ogni atto egoistico che avesse mai compiuto, era un vero e proprio tradimento, che non si limitava soltanto a coloro che aveva quasi cominciato a chiamare “amici”, ma si rifletteva sull’intera razza umana, che era stata minacciata proprio dallo stesso uomo che aveva accolto sotto il suo stesso tetto – e per cosa? Perché si era presentato alla sua porta e gli aveva chiesto aiuto, il medesimo che non si era fatto scrupoli a uccidere chiunque si fosse messo sulla sua strada, quando aveva potere sufficiente a minacciare qualcuno?
Ricordò le parole del semidio. “Nascondimi, e in cambio la Terra non verrà distrutta”.
Era certo che non si trattasse di una semplice iperbole per ottenere la sua attenzione, se non altro perché Loki era nel pieno delle sue forze e, anche senza scettro, rimaneva un nemico temibile che era stato capace di fronteggiare lui e Captain America in contemporanea.
Sperò davvero, davvero, che fosse quella la ragione per cui lo stava aiutando.
La voce di Steve lo richiamò indietro dall’universo di interrogativi che albergava il suo cervello. «Sicuro di stare bene, Tony?»
«Mai stato meglio» replicò prontamente, indossando la sua migliore aria strafottente. «Voglio dire, Fury ha annunciato il codice rosso da più di mezz’ora e sono ancora vivo, la Stark Tower non è crollata e il mondo non è in pericolo. Mi sembra un buon record, no?»
In passato il soldato si sarebbe arrabbiato per la sua superficialità, ma adesso che si conoscevano meglio si limitò a scuotere la testa e accennò persino un sorriso. Un po’ tirato, di sopportazione, ma un sorriso. Meglio di un pugno, in ogni caso. «Già. Un buon record».
Tony levò un indice a indicare il soffitto. «Credi che Fury ci voglia sul suo coso volante?»
Steve appoggiò scudo e mitragliatrice contro una parete, si sfilò la maschera blu, sulla cui fronte svettava la A maiuscola di “America” e, per ironia della sorte, “Avengers”, e arrotolò una manica della tuta per controllare l’orologio da polso. «Non saprei, ma ormai dovrebbero essere qui tra meno di quindici minuti».
«Ottimo». C’era tempo, allora, tempo per rilassarsi, riflettere bene sul da farsi e bere dello scotch. «Ti unisci a me per un drink, vero, Cap?»
Sebbene non potesse ubriacarsi, Steve non aveva perso il gusto per gli alcolici. Non che fosse un intenditore del calibro di Tony – era ovvio – ma non disdegnava un bicchiere, di tanto in tanto. «Molto volentieri. Miss Potts ti tiene ancora a stecchetto?»
Tony gli scoccò un’occhiataccia in risposta alla frecciata, gli rivolse la schiena con una rotazione stizzita del bacino e andò a prendere bicchieri e bottiglia, la stessa che poco prima aveva condiviso con Loki. La sensazione di déjà vu lo attraversò con la forza di una scarica elettrica, ma si sforzò di non darvi peso e si scrollò di dosso l’inquietudine con una lunga, intensa sorsata di scotch di qualità.
Tredici minuti, trentasei secondi e quattro bicchieri più tardi, il cellulare di Tony iniziò a vibrare e squillare insistentemente nella sua tasca.
Non ebbe bisogno di guardare il display. «Monocolo! Che piacere sentirti!»
Forse non avrebbe dovuto essere lui a rispondere, alticcio com’era, considerò distrattamente, salvo poi allontanare l’ipotesi con un’ampia scrollata di spalle. Con la coda dell’occhio colse Steve intento a passarsi una mano sul volto, ma non vi diede peso.
«Stark» ringhiò Fury in tono molto meno socievole. «Ti ho forse dato il permesso di ubriacarti?»
Tony sbuffò sonoramente per essere sicuro che il suo interlocutore lo udisse all’altro capo del filo. «Non sono affatto ubriaco, non sottovalutarmi o potrei davvero offendermi. Sei tu che non hai senso dell’umorismo. Allora, cos’hai per me?»
Doveva aver sentito quella stessa domanda – cos’hai per me? – in un film o forse da Clint, su due piedi non riusciva a ricordare. Qualsiasi fosse la sua fonte, ritenne che fosse perfetta per un genio affascinante e spiritoso che si impegnava per la sicurezza mondiale. Aveva sempre avuto degli ottimi gusti in più o meno qualsiasi cosa.
Nicholas non gli risparmiò un sospiro esasperato. «Siamo sopra la tua Stark Tower, entro domani dovremmo avere Barton e Romanoff in città. Non ho ancora notizie certe su Banner e…»
«Oh, Doc mi deve una bevuta insieme, me ne occupo io» lo interruppe Tony, ben consapevole che, se fosse stato Fury a contattarlo, Bruce sarebbe stato sottoposto a un carico di stress che non avrebbe dovuto sopportare se se ne fosse invece occupato lui.
Dopo le menzogne sull’arsenale alimentato dal Tesseract, nessuno degli Avengers, pur continuando a collaborare, si era più fidato di Fury, Banner in particolar modo, per ovvie ragioni più suscettibile degli altri ai sotterfugi. Tony le definiva scherzosamente “manie di persecuzione”, ma era molto attento a quell’aspetto della sua personalità, non soltanto per evitare che Hulk sfuggisse al suo controllo, ma anche perché Bruce Banner era quanto di più vicino a un amico avesse mai avuto.
«Okay, lo lascio a te». Nicholas era d’accordo con lui – evento più unico che raro, memorabile davvero – ma Tony immaginò fosse soltanto perché l’uomo doveva essere conscio quanto lui di quanto fossero precari i suoi rapporti con Bruce. «Entro qualche giorno, Odino dovrebbe aprire un portale per permettere l’arrivo di Thor».
Tony preferì non fare ipotesi su quello che il Dio del Tuono avrebbe potuto fargli se avesse scoperto che gli stava nascondendo l’ubicazione del fratello. Forse non sarebbe stato ridotto in minuscole particelle di nulla solo perché gli aveva anche offerto protezione, se fosse stato fortunato.
«Gli Avengers al completo, com’è romantico» commentò con un filo di sarcasmo. «Se Loki lo sapesse, il suo diva-o-metro andrebbe in tilt».
«L’ultima volta ha devastato Manhattan e tentato di conquistare il mondo. Non voglio correre lo stesso rischio un’altra volta» fu l’asciutta risposta dall’altra parte, priva di qualsivoglia emozione, che era anche peggiore di quando Fury gli riversava addosso apertamente la sua collera. «Per ora eviteremo di mettere la città in stato di allerta e non farò parola degli Avengers riuniti neppure con il consiglio: Loki non è ancora una minaccia, ma un semplice fuggitivo, indebolito e senza alleati. È più prudente che il mondo non sappia ancora che è in liberta. Mi aspetto che tu continui a fare il tuo lavoro e non susciti sospetti, ma ti voglio al telefono giorno e notte per riferirmi qualunque anomalia. Di qualunque genere. Per il momento non è prudente che lasci la torre. Ti farò sapere quando cambierò idea».
Quella era una buona notizia: rimanere nella Stark Tower gli avrebbe garantito la possibilità di nascondere Loki e monitorare ogni suo movimento al tempo stesso.
Suo malgrado, sapeva bene di avere bisogno sia degli Avengers che del semidio, qualora si fosse giunti a una guerra contro i chitauri, e non poteva contravvenire ai termini del patto stretto con quest’ultimo, se desiderava il suo contributo. Di conseguenza, per il momento doveva assecondarlo e mentire per il bene del pianeta e anche delle stesse persone a cui mentiva.
«Okay, boss». Scoccò un’occhiata a Steve, che si era messo sull’attenti, in attesa di ordini, il bicchiere vuoto ancora stretto tra le dita. «E cosa faccio con Cap?»
«Un elicottero sarà ad aspettarlo sulla cima della torre tra cinque minuti» ribatté Nicholas in tono pratico. «Preferisco avere te a terra e lui in cielo, dal momento che tu hai anche la possibilità di volare in caso di necessità. Un’ultima cosa, Stark: finché gli Avengers non saranno di nuovo insieme, non fare niente di stupido. Niente».
«Sicuro. Niente di stupido» assicurò Tony. Non fosse stata una circostanza tanto seria, sarebbe stato esilarante riflettere su come avesse disobbedito a Fury prima ancora che gli desse un ordine. «Ci si sente, direttore».
Nicholas non si prese nemmeno la briga di rispondere.
L’elicottero fu prevedibilmente puntuale: Tony sospettava che, quando c’era di mezzo la salvezza della Terra, Fury diventasse un tantino isterico, altrimenti non avrebbe saputo spiegarsi perché mai tutti gli obbedissero senza discutere. Una volta l’aveva chiesto a Coulson, ma aveva deciso di ignorare la sua risposta, che aveva stabilito essere poco soddisfacente e probabilmente falsa – “forse perché è il nostro datore di lavoro e la migliore spia al mondo, Stark?”.
Il ricordo di Coulson, morto nel tentativo di aiutare Thor, ucciso da Loki, gli conficcò un pugnale nel cuore.
Fermi spalla contro spalla a una quarantina di passi dall’elicottero che atterrava, per un lungo momento tacquero e si limitarono ad assistere alla scena. Alla fine fu Steve a rompere il silenzio. «Se dovessi avere bisogno di qualcosa, sai che ci sono».
Un angolo della bocca di Tony si sporse all’insù. «Da quando sei così amichevole, Cap? Avevo capito che non mi sopportavi».
«Sì, beh, non sei esattamente il mio preferito» ammise il soldato, lo stesso sorriso ironico aleggiante sulle sue labbra. «Ma diciamo che, quando fai uno sforzo, diventi quasi apprezzabile».
Tony non aggiunse altro, perché il rombo delle pale che fendevano l’aria divenne troppo assordante e avrebbero dovuto gridarsi l’un l’altro per riuscire a sentirsi; Steve gli fece un cenno di saluto con la mano, raggiunse l’elicottero con quel suo svelto incedere da militare e nel giro di pochi secondi sparì dietro il portellone che si chiudeva.
Tony aspettò che l’elicottero prendesse quota prima di rientrare nell’attico e lasciarsi cadere pesantemente sul sofà.
Pepper non fu molto contenta del suo contrordine e si lamentò per cinque minuti di fila sull’inaffidabilità delle sue parole e su come i clienti l’avrebbero mandata a quel paese quando avesse detto loro che gli appuntamenti non erano più annullati, ma alla fine si limitò a sospirare e a borbottare che avrebbe fatto il possibile, proprio come Tony si aspettava da lei.
Quando terminò la telefonata quasi avrebbe voluto che lo sgridasse di nuovo, perché adesso non aveva più nessuno che lo tenesse occupato e distante dai suoi pensieri angosciosi ed essi non persero tempo ad assalirlo come una pioggia di spine.
Si passò una mano sul volto e per l’ennesima volta si domandò se stesse facendo quello che era giusto. O se era il lato più egoistico di lui ad agire e a propinargli scuse a cui potesse aggrapparsi.
Era piuttosto tardi, ormai ogni impiegato nella Stark Tower – anche Pepper, per quanto stakanovista potesse essere – avrebbe già dovuto essere a casa e Tony era talmente concentrato su se stesso che sobbalzò quando Jarvis annunciò con quella sua voce britannica priva d’inflessioni: «Ha un visitatore, signore».
Nonostante la confusione iniziale, dovuta in parte anche all’alcol, l’uomo non si sorprese affatto di trovare Loki in piedi al centro del soggiorno, quando invece i sistemi di sicurezza non avrebbero dovuto permettergli di entrare così facilmente.
Ciò che davvero lo colse alla sprovvista fu l’espressione di meraviglia e fascinazione con cui il semidio si stava guardando intorno.
Tony non aveva mai visto qualcosa che non fosse divertimento, sarcasmo o trionfo impresso su quei lineamenti spigolosi: gli occhi, ibridi tra il blu e il verde, erano spalancati e scrutavano con ammirazione e curiosità il soffitto, il mento levato, le labbra arricciate in una manifestazione di pura stupefazione.
Nel rendersi conto che l’uomo lo fissava, il semidio parlò senza degnarlo di un’occhiata: «Che cos’è?»
Dapprima perplesso, di colpo Tony si rese conto che Loki non era neppure a conoscenza dell’esistenza di Jarvis e quasi sorrise della sua incredulità, quella di un bambino che veda un giocattolo stupendo in vetrina, ma poi ricordò che si trattava del Dio dell’Inganno e all’ultimo si morse la lingua. «Non avete niente così su Asgard? Niente tecnologia?»
Per la prima volta realizzò anche che sapeva poco e nulla di Asgard e che avrebbe dovuto ovviare a quella lacuna alla prima occasione.
Il semidio scosse il capo, mosse alcuni passi sino alla parete e la sfiorò con una mano. «Coloro che possono permetterselo studiano le tecniche di sopravvivenza che i popoli dei nove reami hanno sviluppato nel corso della propria evoluzione, ma tra gli asgardiani è d’uso la magia. Vi è una classe sociale fondamentale, quella dei maghi, come li chiamereste voi midgardiani, ovvero individui dotati di potere magico, che si occupa delle necessità del popolo». Il suo sguardo saettò verso uno dei sensori muniti di telecamera che Tony aveva installato in ogni angolo del loft. «Conosco bene la tecnologia di Midgard, almeno nei suoi aspetti basilari. Ma non avevo mai letto di niente del genere».
Un’idea prese corpo nella sua mente, ma l’uomo esitò, poi maledisse tra sé l’assurdità di quel che stava accadendo e ad alta voce disse: «Beh, allora perché non fate conoscenza? Jarvis, Loki Odins…» L’occhiata furente di Loki fu sufficiente a metterlo a tacere. «… Loki. Loki, Jarvis o AI, Artificial Intelligence».
«Piacere di conoscerla, signore» intervenne Jarvis con la sua cordialità da automa. «Preferisce che la chiami “signor Millark”?»
La sua estrema cortesia sottomessa dovette piacere al semidio, che increspò gli angoli della bocca in un sorriso compiaciuto e accennò un aggraziato movimento della testa. «Il piacere è mio, Jarvis». Fece una pausa sul nome, saggiandolo con curiosità. «Se mi chiamassi “Millark”, in particolare all’altrui presenza, mi sarebbe di grande vantaggio».
«Come le fa più comodo, signore».
Tony aggrottò la fronte. Aveva progettato Jarvis appositamente per essere così servizievole, perché quell’atteggiamento stuzzicava il suo ego infinito, ma per la prima volta lo irritò perché pareva che Loki si crogiolasse nel modo di fare del suo macchinario, che a sua volta si divertiva fin troppo a essere così sollecito. «Okay, okay,» interloquì con una smorfia che non fu in grado di reprimere «vi siete conosciuti abbastanza. Muto, Jarvis».
«Sì, signore».
Il semidio lo soppesò con un’occhiata infastidita, quasi fosse una zanzara intenta a pizzicargli un braccio che stava meditando se schiacciare o meno. «È la prima tua creazione che io apprezzi, Stark, avresti anche potuto lasciarlo fare».
«Non vorrei che il tuo diva-o-metro esplodesse» fu la replica sardonica.
Loki batté le palpebre, perplesso. «“Diva-o-metro”?»
L’argomento cadde a un gesto disinteressato dell’uomo. «Troppo lungo da spiegare. Cose da midgardiani, non capiresti. Piuttosto,» la sua espressione si indurì e nei suoi occhi scivolò una nota di allarme «qualcuno ti ha visto? Ti ha fatto domande?»
Il semidio lo valutò con uno sguardo accusatorio, ma dovette decidere che non stava semplicemente cercando di svicolare dal discorso e si strinse nelle spalle. «Ho giudicato più prudente rendermi invisibile all’occhio mortale. Sarebbe stato troppo sospetto se si fosse scoperto che hai assunto un nuovo assistente proprio il giorno in cui sono fuggito».
Tony annuì, grato di quell’accortezza. «Potrei dire che finora hai lavorato nella villa di Malibu» congetturò, pur consapevole che Fury si sarebbe insospettito, ma il direttore dello S.H.I.E.L.D. si insospettiva per qualsiasi cosa e avrebbe svolto delle indagini anche sulla sua stessa madre. Folgorato da quel pensiero minaccioso, domandò preoccupato: «Puoi creare un’identità falsa, vero? Nel caso in cui Fury investigasse su di te».
«Sottovaluti troppo me e la mia magia» sbuffò Loki con fare annoiato. «Credi davvero che fino a ora non abbia fatto altro che perdere tempo, mentre tu ti gingillavi con Rogers? A proposito, quanto hai bevuto?»
L’uomo finse di non notare la frecciata implicita: se doveva vivere sotto lo stesso tetto con lui, prima avesse fatto l’abitudine al suo senso dell’umorismo, meglio sarebbe stato. «Okay, okay, sei stato bravo, cosa vuoi, un applauso? Senti, sono stanco, non ho voglia di discutere né di elogiarti, ti mostro il tuo alloggio e buonanotte, va bene?»
Il semidio allargò le braccia. «Perfetto».
Quando Tony si alzò dal divano, dovette confessare a se stesso che barcollava e vedeva strane bolle di luce se si muoveva troppo velocemente. Di solito però reggeva più di cinque bicchieri – forse aveva abbondato troppo con le quantità, considerò con un’occhiata in direzione della bottiglia di scotch, sul tavolo dove l’aveva lasciata. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma sembrava un po’ vuota.
Gli occhi di Loki seguirono i suoi e l’uomo riconobbe uno dei suoi sorrisi più pericolosi, quelli che stavano a significare che stava progettando qualcosa.
Poi il semidio gli si avvicinò a passo lento, all’apparenza del tutto innocuo, e Tony non poté fare altro che fissarlo, incerto se, qualora avesse provato ad allontanarsi, sarebbe stato in grado di rimanere in piedi.
Forse bere così tanto non era stata la buona idea che gli era sembrata all’inizio: non aveva fatto scomparire Loki, né tantomeno aveva salvato la Terra dall’invasione dei chitauri. E non gli aveva nemmeno impedito di mentire ai suoi compagni.
Era stata una fregatura.
Non era neppure la prima volta che tentava senza successo di rifugiarsi nell’alcol, ma lui era fatto così: per quanto si impegnasse, per quanto le persone che lo circondavano si sforzassero di tenerlo lontano dalla bottiglia, rimaneva pur sempre il figlio di suo padre e, sebbene non gli piacesse ammetterlo, quel legame lo influenzava più di ogni altra cosa al mondo.
Fin da quando era bambino, per lui “alcol” era stato sinonimo di “sollievo” e non era bastato tutto l’amore di Pepper perché lo dimenticasse. Non era bastato tutto il rancore nei confronti di Howard per ignorare i suoi insegnamenti, cuciti addosso come una seconda pelle.
La voce di Loki sembrava provenire da un pozzo senza fondo, bassa, insinuante, sensuale – ma Tony non avrebbe dovuto considerarla sensuale; non l’avrebbe fatto, se fosse stato sobrio.
«Pensavo che miss Potts vivesse con te, ma l’ho vista andarsene. Vi credevo una coppia».
Una sporta di cazzi tuoi no?, avrebbe voluto suggerire con ben poca delicatezza, ma lo sguardo del semidio aveva trovato il suo e ora ne era succube, succube di quelle iridi di tempesta che sfolgoravano di mille emozioni indecifrabili, succube di quelle pupille che parevano volerlo trafiggere. L’impressione di stare affogando in quel baratro di nero e azzurro e verde doveva essere dovuta all’ebbrezza. Doveva.
Pur di distrarsi, si costrinse a rispondere, a muovere la lingua impastata, incollata al palato. «Usciamo insieme… più o meno. Ma non credo che siano fatti tuoi».
La verità era che Pepper aveva davvero tentato di coinvolgerlo in una relazione seria e che lui invece si era tirato indietro, aveva fallito come uomo perfetto per lei, non era stato capace di arrendersi ai sentimenti.
Pepper aveva capito, aveva fatto un passo indietro; non avevano smesso di vedersi, di stare insieme, ma Tony aveva letto l’evidente significato del suo comportamento: “facciamo come fai sempre tu, Tony”. In altre parole, “divertiamoci finché dura e quando non durerà più niente rimpianti”. Per lui e la sua paura che i sentimenti lo ferissero, com’era avvenuto troppo spesso in passato, era abitudine, ma non era quello che Pepper desiderava e presto l’amore non sarebbe stato più sufficiente per convincerla ad accontentarsi.
Per il momento entrambi fingevano che andasse bene così, ma Tony era ben conscio di come stessero davvero le cose. Una consapevolezza al sapore di vigliaccheria.
«Allora Anthony Stark, il celebre playboy,» Loki si fermò di fronte a lui, più vicino del necessario, senza mai smettere di osservarlo con quei suoi occhi penetranti «non è cambiato tanto come vuole credere o mi sbaglio, forse?» Di colpo una trazione verso il basso gli fece quasi perdere l’equilibrio e dovette impegnare le cellule più sobrie del suo cervello per rendersi conto che si trattava della mano del semidio, chiusa sulla sua cravatta. «Prendi quello che vuoi, quando vuoi, che si tratti del corpo di una bella donna o dei sentimenti di chi ti considera caro. L’importante è che tu abbia sempre tutto quello che si può avere e conceda, in cambio, il minimo indispensabile. Giusto?»
I loro volti erano di colpo troppo vicini, troppo, i loro nasi si sfioravano, la bocca di Loki si increspava a ogni sua parola e lui continuava ad affondare in quegli occhi infiniti, non riusciva a ragionare, non riusciva a indietreggiare.
«Cosa…» Si sforzò di trattenere la cena nello stomaco e di parlare in contemporanea. «Cosa stai…?»
Il semidio lo interruppe come se non avesse parlato. «Potrei averti, ora. Sai che potrei». La presa sulla sua camicia venne meno, ma quelle labbra non accennavano ad arretrare – e Tony non era neppure del tutto certo di desiderarlo. «Ma sarebbe troppo facile».
Fortunatamente Loki indietreggiò di un passo, abbastanza per farlo respirare, abbastanza per smettere di annegare nel suo sguardo. Per indulgere in qualcosa che non riguardasse il semidio, rassettò la cravatta e vagliò la propria mente in cerca di una frase qualunque che ponesse fine a quel momento di stallo così rischioso.
Quando aprì bocca, la sua voce suonò incerta e arrochita dall’alcol. «Uhm, come avevo detto… tu dormi sul divano. Hai- hai bisogno di un pigiama o… o di qualunque cosa si mettano gli asgardiani di notte?»
E di nuovo Loki fu vicino, la sua voce all’orecchio, la sua risata divertita contro la gola. «Vai a dormire, Stark. Ritengo altamente probabile riuscire a sopravvivere anche senza il tuo prezioso aiuto, considerando che, per come sei ridotto, non mi serviresti a nulla. Buonanotte».
Per una volta, l’uomo stabilì che dargli ascolto non avrebbe portato a conseguenze sgradevoli, mugugnò un “buonanotte” di rimando e vacillò fino alla camera da letto, che, insieme al bagno privato a essa annesso, era l’unica stanza separata del loft, per il resto privo di pareti per garantire uno spazio senza confini, il genere di libertà senza confini che lo aveva sempre attratto in qualsiasi campo, amore compreso. Amore forse più di ogni altro.
Quando crollò riverso sul letto non ebbe il tempo di interrogarsi sul significato di quanto era appena successo: scivolò immediatamente in un sonno senza sogni, turbato da correnti di emozioni che cambiavano di istante in istante, confuse, incomprensibili. E un manto di oscurità calò su di lui.
 
 
Non aprì subito gli occhi, non ne ebbe la forza, si concentrò invece sull’enumerare mentalmente i danni subiti per mettere in moto il cervello.
A ogni suo più piccolo movimento, la testa replicava con un rimbombo assordante che lo stordiva per diversi secondi; era convinto che, nel momento esatto in cui avesse socchiuso la bocca, avrebbe vomitato la cena della sera prima, le interiora e forse anche l’anima, se mai Tony Stark ne aveva una; conservava solo pochi frammenti di quanto accaduto la sera prima e doveva aggrapparvisi con decisione perché non scivolassero via anche quelli.
Postumi della sbornia, giudicò con un’imprecazione, mentre si concedeva ancora qualche secondo per giacere sul letto, in attesa che la sua mente si schiarisse di più e le memorie della notte precedente riemergessero dalle ombre.
Potrei averti, ora. Sai che potrei”.
Sobbalzò e quasi rotolò giù dal materasso quando il ricordo della voce maliziosa di Loki, dei loro corpi vicini e di quello sguardo intenso scese su di lui come una cascata d’acqua fredda.
Aprì gli occhi di scatto sulle tenebre della sua camera da letto e si costrinse a girarsi supino sulle lenzuola fatte, solo leggermente spiegazzate dalla sua presenza. Aveva addosso gli abiti della sera precedente e il suo corpo doleva in alcuni punti, quelli che avevano risentito maggiormente della posizione scomoda in cui si era addormentato.
Okay, si sforzò di mettere insieme una riflessione calma e ordinata. Loki ci ha provato con me. Niente panico.
Si impegnò davvero per non andare in panico, ma era più lucido della sera prima, nonostante il mal di testa, e si rendeva perfettamente conto, adesso, che il Dio dell’Inganno era stato a un passo dal baciarlo. E viveva in casa sua – per essere precisi, in quel momento si trovava proprio dall’altra parte della parete.
Si morse un labbro nello sforzo di mantenere un certo contegno.
Niente panico, niente panico, niente panico.
Oh, merda.
Come avrebbe dovuto comportarsi, quando fosse uscito dalla stanza e avesse dovuto affrontarlo? “Ehi, Loki, per caso hai cercato di molestarmi, ieri sera?” non sembrava esattamente la soluzione migliore.
Mentre si raddrizzava a sedere a fatica, premette una mano contro la tempia per alleviare il dolore e all’improvviso l’idea si accese e baluginò come una candela nell’oscurità. Piccola ma fondamentale.
Poteva fingere di aver dimenticato e addurre l’ubriachezza come scusa: il semidio lo aveva visto, sapeva che aveva bevuto troppo – ne aveva anche approfittato, ricordò con un brivido dovuto a una sensazione incomprensibile. Era un piano perfetto, dovette complimentarsi con se stesso per essere stato capace di realizzarlo persino in condizioni di stanchezza e confusione come quelle in cui versava.
Rinfrancato, mugugnò a Jarvis di aprire le finestre e, mentre i pannelli che le oscuravano si spegnevano, permettendo che la luce del mattino e il caos di New York filtrassero attraverso le vetrate, si allungò verso il comodino per prendere dal cassetto un pacchetto di pillole per l’emicrania che conservava appositamente per quei frangenti.
Dopo averne buttate giù un paio, aspettò che facessero effetto – non era un modo per posticipare ancora il suo inevitabile incontro con Loki, era ovvio – e riesaminò con cura ogni elemento in suo possesso.
La Terra era nuovamente minacciata dai chitauri oppure lo sarebbe stata nell’immediato futuro, quando gli alieni avessero scoperto che il pianeta era diventato il rifugio di Loki, al quale stavano dando la caccia.
Ciò portava all’immediata conclusione secondo la quale, cacciando il semidio dalla Terra, l’avrebbe difesa, ma Tony sospettava che, una volta ultimata la loro vendetta, i chitauri non avrebbero rinunciato alle loro mire nei confronti del pianeta. Non poteva esserne del tutto certo, ma Loki avrebbe potuto essere un valido alleato e cedere all’impulsività e privarsene avrebbe potuto rivelarsi un grave errore.
Punto primo – quello che più gli fece storcere il naso –, non poteva sciogliere il patto stretto con il semidio. Gli serviva sulla Terra, collaborativo, non sperduto nello spazio, minacciato di morte e alquanto irato nei suoi confronti.
Punto secondo – forse non era il primo quello che più gli faceva storcere il naso, ma c’era una concorrenza piuttosto agguerrita per quella posizione –, niente più alcol, non finché Loki fosse rimasto nella Stark Tower. La notte prima aveva perso un’opportunità per procurarsi delle informazioni più dettagliate e non doveva più ricadere in quello stesso errore.
Punto terzo, era imperativo ignorare gli eventi della notte precedente e concentrarsi solo sul da farsi, onde evitare che il semidio indovinasse che ricordava perfettamente – o quasi – ogni cosa.
La voce robotica di Jarvis lo riscosse dallo stato meditativo. «Signore?»
Fu come se il suo cervello fosse stato schiaffeggiato e avesse urtato contro una parete del cranio. Tony strizzò le palpebre, si massaggiò una tempia e si augurò che l’antidolorifico iniziasse presto a fare il suo effetto. «Qualcosa non va?»
«Il signor Millark mi ha chiesto di avvertirla che il primo appuntamento della mattinata avrà luogo tra un’ora e mezzo, signore, e che sarebbe preferibile che lei si rendesse presentabile».
Impiegò qualche secondo a registrare ogni implicazione contenuta nelle parole dell’Intelligenza Artificiale. Possibile che Loki stesse davvero prendendo sul serio il suo lavoro? Per quale motivo? E dove aveva trovato l’elenco dei suoi appuntamenti? O meglio, perché aveva toccato le sue cose senza permesso?
Erano troppe domande, non aveva alcuna risposta e gli girava la testa; d’altra parte, l’unico modo per venirne a capo era chiedere al diretto interessato. «Okay. Di’ a Loki che…»
«Preferirebbe essere apostrofato come “signor Millark”, signore».
Perfetto. Levò gli occhi al soffitto, in parte secondo l’uso comune, in parte per scoccare un’occhiataccia a Jarvis. Da quando di preciso era diventato tanto amico di Loki da chiedere a lui, il suo creatore, di rispettarne la volontà?
«Di’ al signor Millark» fece del suo meglio per suonare irritato «che vado a farmi una doccia».
«Subito, signore».
Non l’aveva progettato per provare dei sentimenti, ma gli piacque pensare che vi fosse una nota di senso di colpa nella voce dell’Intelligenza Artificiale.
La doccia si rivelò essere un’altra ottima idea. L’acqua gelida, insieme alle pillole che finalmente avevano iniziato a funzionare, gli restituì lucidità e mise a tacere l’insopportabile pulsare che gli impediva di riflettere.
Rinvigorito, ordinò a Jarvis in un sospiro soddisfatto d’interrompere lo scorrere dell’acqua e infilò i piedi nelle infradito di plastica che lo aspettavano oltre l’uscio della cabina doccia. Indossò il costoso accappatoio in fibra di legno appeso a un gancio sulla sinistra, regalo di una compagnia con cui aveva concluso un affare vantaggioso qualche mese prima, e si sistemò i capelli davanti allo specchio rettangolare sopra il lavandino in marmo bianco: li frizionò con un asciugamano, vi passò il gel per pettinarli alla Loki – l’acconciatura migliore per apparire serio e fare una buona impressione, bastava non ricordare a chi somigliasse – e disegnò con cura i contorni della barba con il rasoio.
Indulgere nel rendersi affascinante era rilassante e contribuiva a prepararlo psicologicamente ad affrontare Loki e l’ennesima giornata di lavoro.
Non poteva durare per sempre, ma presto, troppo presto, non ebbe più alcun motivo per trattenersi in bagno, dovette uscirne, attraversò la camera e fece il suo ingresso in soggiorno, ancora in infradito e accappatoio. Era dell’opinione che il buon giorno si vedesse dal caffè e aveva l’abitudine di vestirsi solo dopo la colazione.
Non sapeva bene che cosa aspettarsi, per la verità, perché con uomini come Loki era impossibile fare delle previsioni, ma quello che vide rischiò di causare la caduta in picchiata della sua mascella.
Il semidio gli dava le spalle e si aggirava nel corridoio che si creava tra fornelli e bancone: su quest’ultimo si trovavano due tazze vuote, mentre sul fuoco aveva messo a scaldare una moka. Mentre Tony lo guardava allucinato nello sforzo di conciliare “Loki” e “cucina” in una frase che non comprendesse una catastrofe interplanetaria, Jarvis avvertì, educato: «Il caffè è pronto, signor Millark. Se posso permettermi, il signor Stark lo preferisce senza zucchero».
«Grazie, Jarvis» replicò distrattamente Loki, prese la caffettiera e ne versò il contenuto fumante nelle tazze.
Per farlo si voltò e degnò Tony, ancora immobile sull’uscio della sua stanza, a malapena di un’occhiata del tutto priva d’interesse, anche se l’uomo non poté mancare di accorgersi, teso, che i suoi occhi esitavano fin troppo a lungo sul suo petto, lasciato in parte scoperto dal colletto dell’accappatoio.
Sul petto, ripeté. Aveva pensato “sul petto”, non “sul reattore arc”.
La differenza era fondamentale, ma non era il frangente adatto per porsi domande scomode, non quando era ancora sotto l’effetto conseguente alla sbornia e le sue sinapsi non avevano ripreso a lavorare con la consueta efficienza. Si limitò dunque ad archiviare la riflessione per un tempo in cui fosse stato più consapevole di se stesso – no, non stava scappando.
Il semidio dovette rendersi conto del suo disagio, perché sollevò lo sguardo e gli riservò un sogghigno divertito. «Buongiorno, signor Stark. La colazione è pronta».
Indossava gli stessi indumenti della sera precedente, ma ora una cravatta color smeraldo di foggia piuttosto costosa ricadeva morbidamente sul suo petto e Tony notò una giacca nera in più sull’appendiabiti a poca distanza dalla porta d’ingresso.
Il semidio lo raggiunse a passo svelto e gli allungò la tazza in un gesto professionale e sicuro di sé; l’uomo accettò, inebetito, e impiegò qualche altro secondo e mezza tazza di caffè nero per metabolizzare la scena di cui era appena stato spettatore.
Di tutto quello che aveva visto nel corso della sua vita, il suo peggior nemico in veste di suo assistente personale era al primo posto nella top ten delle assurdità.
«Dormito bene? Mi sembra un po’ stanco». Loki sorrise di quel suo sorriso sghembo che sembrava voler proporre una sfida e suggerire di aver già vinto nello stesso tempo. Poiché Tony preferì ignorare il suo commento, che implicava un riferimento poco carino alla sua ubriacatura, fu il semidio a riprendere la parola, dopo aver bevuto un sorso di caffè. «È così strano vedermi impegnato per mantenere la copertura, signor Stark?»
Tony ingollò l’intero contenuto della propria tazza, la appoggiò sul bancone e scrollò vigorosamente le spalle. «Beh, sì. Specialmente perché sei un alieno, ma conosci il caffè. E perché ci sarebbe la macchinetta. A scopo puramente informativo, sai» aggiunse e gesticolò in direzione dell’apparecchio.
«Mi sembra di averle già detto che su Asgard studiamo gli altri reami» osservò Loki, in un tono che lo accusava con chiarezza di mancanza d’attenzione, ma non rispose alla sua seconda battuta, si limitò a fissare la macchina del caffè come fosse un qualche strano mostro a tre teste mentre a sua volta riponeva la tazza vuota sul bancone.
Fu allora che Tony indovinò ciò che il semidio stava cercando di nascondergli e un sorriso trionfante fiorì sulle sue labbra. «Non avete dei libri molto aggiornati, vero? Sono almeno dieci anni che nessuno prepara più il caffè in quel modo, adesso esistono le macchinette. Magari, se fai il bravo, ti insegno a usarla».
Non avrebbe mai immaginato che avrebbe trovato una debolezza di Loki in qualcosa di così semplice come fare il caffè, ma d’altra parte fino a quel momento era stato colto alla sprovvista da un gran numero di cose concernenti il semidio.
Forse avrebbe semplicemente dovuto smettere di avere delle aspettative circa un uomo particolare come Loki – e forse, aggiunse fra sé, mentre si godeva l’espressione contratta a metà tra un ringhio e un sibilo serpentino del semidio, avrebbe anche potuto divertirsi.
Aveva appena preso quella risoluzione che la sua mente lo tradì di nuovo, troppo abituata al comportamento base di tutti i suoi conoscenti.
In teoria, Loki avrebbe dovuto sospirare il più sonoramente possibile, fingere che la sua frecciata non esistesse e tergiversare, così come facevano persino Pepper e Rhodey, due tra le poche persone che aveva a cuore; oppure, dal momento che era pur sempre uno dei cattivi, avrebbe potuto attaccarlo e tentare di staccargli la testa dal collo, come suggeriva il suo sguardo. Tony sarebbe stato preparato a entrambe le reazioni.
Quello per cui invece non era preparato era che Loki riacquistasse il controllo alla stessa velocità con cui era stato sull’orlo di perderlo, socchiudesse gli occhi – due fessure torbide che parvero passarlo da parte a parte e spogliarlo di ogni maschera, di ogni difesa – e distendesse i lineamenti in quell’espressione.
Quell’espressione maliziosa, di chi sappia esattamente cosa dire per volgere le circostanze a proprio vantaggio e sia ben consapevole della natura scabrosa di quelle parole.
«Allora farò il bravo, signor Stark» affermò con estrema semplicità, ma fu sufficiente perché il tempo di quell’istante si cristallizzasse e prolungasse di secoli.
Che fosse stato il tono insinuante, lo sguardo penetrante, il modo fin troppo eloquente in cui aveva sottolineato “bravo” o probabilmente un miscuglio di tali elementi, Tony fu certo che si stesse riferendo a quanto accaduto la notte prima ed ebbe solo una manciata di secondi per decidere come reagire.
Scelse infine di restare indifferente, perché replicare avrebbe significato esporsi, rivelare al semidio che ricordava perfettamente.
Ma forse fu proprio il suo silenzio a convincere Loki di avere avuto successo, perché il sorriso non lo abbandonò nel soggiungere con fare placido: «A ogni modo, cerchi di abituarsi in fretta». Malgrado fossero soli, non smise la forma di cortesia, ma la sua voce era venata di una derisione che non si curava nemmeno di reprimere. «Non vorrei che il nostro accordo saltasse perché vedere il suo assistente comportarsi da assistente la sgomenta troppo». Scoccò poi un’occhiata al Rolex che portava al polso e in mezzo alla sua fronte nacque una ruga di preoccupazione. «Dovrebbe vestirsi. Il primo appuntamento è previsto tra meno di un’ora».
Tony si rilassò notevolmente: avevano fatto ritorno a un terreno più sicuro per lui, un terreno che non rischiava di franargli sotto i piedi a ogni passo. «A questo proposito,» nella sua voce echeggiò una lama di minaccia mista alla consueta arroganza, l’incertezza sparita dal suo atteggiamento «chi ti ha permesso di frugare tra le mie cose?»
Loki non pareva particolarmente intimorito, casomai paziente, come lo si può essere con un bambino piuttosto ottuso. «È stato Jarvis a fornirmi l’elenco degli impegni di oggi e a indicarmi dove tiene i documenti cartacei. Come si aspetta che possa svolgere il mio lavoro se non posso avere quelle informazioni?»
In realtà aveva senso, dovette ammettere tra sé Tony, ma non si impedì di maledire la piega trionfante che prese il sorriso del semidio quando non ribatté.
Tutto ciò che Loki aveva detto era giusto, sfortunatamente. Aveva accettato i termini del patto, di conseguenza doveva dargli libero accesso ai documenti fondamentali per consentirgli di portare a termine i propri compiti, al suo cercapersone e agli affari della Stark Tower; per quanto poco potesse piacergli, l’aveva assunto e non dargli fiducia avrebbe sollevato sospetti che nessuna bugia avrebbe potuto sopprimere.
Rassettando il colletto dell’accappatoio, Tony decise che avrebbe dovuto impegnarsi di più per attenersi all’accordo, così come stava facendo il semidio. Poco importava che quest’ultimo fosse il Dio del Trucco e che inganno e menzogne fossero intessuti a doppio filo nel suo DNA, avrebbe dovuto eguagliarlo.
Aveva pur sempre una reputazione da uomo più scaltro del pianeta da difendere.
«Vado a prepararmi». Rivolse la schiena a Loki e si incamminò indolente verso la porta della sua stanza. «Se qualcuno dovesse chiamarmi sul cercapersone,» ammiccò all’apparecchiò sul bancone «di’ che sono occupato. Chiunque sia. Se fosse Pepper, dille che-» Poi ricordò con chi stava parlando e si affrettò a correggersi: «Se fosse Pepper, non rispondere per nessun motivo».
Prima che il semidio potesse tentare una frecciata qualsiasi, il battente scivolò sui cardini dietro di lui e si chiuse.
Era sciocco e irrazionale fare il possibile perché Pepper venisse a sapere di Loki all’ultimo momento, lo sapeva bene; la donna non l’avrebbe presa a male, dopotutto aveva lasciato quella professione da più di un anno, ormai, ma aver assunto qualcun altro al suo posto gli dava in ogni caso l’amara impressione di averla tradita.
Non aveva alcun senso, in fondo lui e Loki non avevano alcuna relazione, né tantomeno aveva la minima intenzione di cominciarne una. In materia di legami sentimentali, il semidio sarebbe stato l’ultima persona che avrebbe potuto prendere in considerazione.
Chiuse gli occhi e scacciò dalla mente il ricordo dei magnetici pozzi azzurroverdi in cui era sprofondato.
Per sfuggire a quei ricordi scomodi, si concentrò sull’indossare il nuovo completo di seta acquistato la settimana precedente e sul rimproverare Jarvis. «Come hai potuto dargli quei dati senza consultarti con me?»
«Non sono vitali, signore. Ho ritenuto che, se anche il signor Millark ne fosse venuto in possesso, non avrebbe potuto sfruttarli contro di lei. D’altra parte, come lui stesso le ha fatto notare, non potrebbe svolgere il lavoro per cui l’ha impiegato senza le stesse informazioni che dava a miss Potts».
Tony aprì il cassetto dell’armadio a parete in cui conservava le cravatte, ma decise di lasciar perdere quando avvertì, maledettamente reale, la presa di Loki su quella che gli aveva serrato il colletto la notte prima.
«Sì, forse hai ragione». Fece scorrere il pollice sulla stoffa morbida di una delle cravatte, sospirò e richiuse il cassetto. «Ma la prossima volta aggiornami quando mi sveglio».
«Non aveva chiesto di essere aggiornato, signore, e, se posso essere onesto, non era nelle condizioni adatte a darmi ascolto».
Tony inarcò un sopracciglio. Cominciava a valutare seriamente l’idea di riprogrammarlo su una base caratteriale più sobria e meno ironica, anche perché la personalità attuale andava fin troppo d’accordo con Loki.
Rimirandosi allo specchio, decretò che, anche senza cravatta, aveva il solito aspetto magnifico. Al contrario, quell’assenza poneva in evidenza il reattore arc, che di conseguenza sottolineava la prominenza dei pettorali di cui andava molto fiero, modestamente. Si accarezzò la barba appena fatta e accompagnò il gesto a uno dei suoi sorrisi ammiccanti migliori.
Sì, può andare.
Loki lo aspettava con la giacca indosso e al suo arrivo stava stringendo il nodo della cravatta, atto che Tony reputò provocatorio sebbene il semidio non potesse leggere i suoi pensieri – o forse sì?
Si sforzò di reprimere il moto di panico che quel sospetto aveva suscitato e domandò invece, mentre insieme lasciavano il loft e ordinava a Jarvis di chiuderne a chiave la porta: «Riassumi: chi devo incontrare e perché?»
Loki aveva una cartelletta sottobraccio, ma non le riservò neppure uno sguardo per controllare i dati che l’uomo aveva richiesto. «Arnold Parker, preside della scuola elementare Owens, vuole vederla per confermare la data della conferenza su Iron Man» a Tony parve di riconoscere una nota di divertimento nel suo tono, ma l’espressione del semidio era illeggibile «per gli studenti…»
Doveva aver imparato le informazioni a memoria. Suo malgrado, quantomeno con se stesso Tony dovette confessare che non aveva speranze di trovare anche solo una pecca nell’operato di Loki, né adesso né mai. Era una divinità, cercò di consolarsi, ma con scarso successo.
Lo interruppe con un cenno della mano, forse più seccato del dovuto. «Mi ricordo. Non ci vorrà molto».
Loki si limitò ad annuire e lo seguì nell’ascensore, che li condusse senza un suono fino al piano dove si trovava l’ufficio adibito alle consulenze e alla gestione delle pubbliche relazioni.
Gli impiegati che incontrarono lungo il corridoio si voltavano a guardare il semidio o lo scrutavano di sottecchi mentre passava, gli uomini con curiosità, le donne con un trasporto a volte anche troppo esplicito.
All’inizio quella reazione turbò Tony, salvo poi ricordare che Loki aveva un altro aspetto e che era anche l’aspetto di un uomo piuttosto affascinante, e allora immaginare le donne della Stark Tower che durante la pausa caffè si riunivano a parlare di lui, che una volta aveva quasi conquistato il mondo, divenne più divertente che preoccupante.
Da parte sua, il semidio non si sforzava affatto di passare inosservato e l’uomo avrebbe scommesso che si stesse crogiolando in quelle attenzioni. Che diva.
Persino Pepper non riuscì a nascondere la propria sorpresa – mista a un guizzo d’interesse negli occhi verdi che non gli sfuggì – quando fecero il loro ingresso nell’ufficio e Tony decise che in fondo non era così esilarante che le donne della Stark Tower si mettessero a spettegolare di Loki. Non se tra quelle donne figurava anche Pepper.
«Tony» lo salutò la donna con più vivacità del solito, senza nemmeno accennare il rimprovero che l’uomo si era invece aspettato di ricevere. La segretaria- l’amministratore delegato era fin troppo allegra, e il semidio non aveva ancora aperto bocca. Non era divertente, stabilì con decisione Tony. «Chi è il nostro ospite?»
Loki lo precedette, sia verbalmente che fisicamente, e, allungandosi sopra la scrivania che troneggiava al centro dell’ufficio, tese una mano a Pepper, seduta dietro di essa.
La donna gliela strinse quasi subito e rispose con un sorriso smagliante quando il semidio si presentò con voce calma e cordiale: «Damian Millark, assistente personale e segretario del signor Stark. È un vero piacere conoscerla finalmente di persona, miss Potts. Il signor Stark mi ha parlato molto di lei, ma per quanti complimenti le faccia non le rende giustizia».
L’amministratore delegato arrossì, lusingata, e ritrasse la mano dopo molto più tempo del dovuto, a parere di Tony. «La ringrazio molto, signor Millark».
L’uomo assisteva alla scena in un limbo di gelosia, irritazione, desiderio di prendere a pugni Loki e stupefazione. Loki Odinson stava flirtando apertamente con Virginia Pepper Potts, a cui pareva non dispiacere affatto. Al diavolo l’aspetto fasullo di Loki, lui poteva vedere sotto quella maschera e il risultato era inquietante.
Fortunatamente Pepper non era una donna così banale da cadere per un bel viso e riassunse subito un atteggiamento serio e professionale.
Nei suoi confronti, ovviamente, e non senza aver sorriso un’ultima volta al semidio.
«Non mi avevi detto niente del signor Millark» fece notare, calma, posata, con quel suo modo di fare da amministratore delegato che Tony non avrebbe mai potuto avere e che lo rassicurava sempre d’aver compiuto la scelta giusta, promuovendola.
Non era arrabbiata per essere stata sostituita – Tony era stato sicuro che non lo sarebbe stata – ma non le piaceva che lui le nascondesse qualcosa e la sua irritazione era evidente nella rigidità della bocca.
Non avrebbe scoperto più di così le proprie emozioni, non in presenza di Loki, ma le sue labbra, strette in una linea sottile, lasciavano a intendere che più tardi avrebbe chiesto delle risposte. Peccato che lui non ne avesse, non risposte che potesse confidarle, perlomeno.
Se non altro avrebbe potuto spiegarle perché avesse cancellato gli appuntamenti e li avesse riesumati poco dopo – forse quello l’avrebbe placata un poco.
«Beh, l’ho assunto da poco» si difese, accarezzandosi imbarazzato la nuca. «Prima faceva le pulizie nella villa a Malibu,» dovette resistere all’urgenza di scoppiare a ridere in reazione all’espressione disgustata e indignata che sfregiò il volto del semidio per lo spazio di un battito di ciglia alla parola “pulizie” «ho deciso di promuoverlo pochi giorni fa ed è arrivato alla Stark Tower solo questa mattina».
L’amministratore delegato era sul punto di ribattere, ma un’occhiata all’orologio la convinse a tagliare corto con un sospiro e a cambiare argomento. «Vedi di fare una buona impressione, oggi, perché quello che dirai come Iron Man sarà d’insegnamento per un’intera scuola. Sii serio, Tony. Davvero».
«Io sono sempre serio, Pep» obiettò Tony aggrottando la fronte.
Loki si concesse un sorrisino sarcastico e Pepper inarcò un sopracciglio, poi i due si scambiarono un’occhiata colma di solidarietà e comprensione che non gli piacque affatto, ma per fortuna dei colpi educati alla porta li distolsero da quel loro momento d’intimità.
Arnold Parker era un arzillo sessantenne con un entusiasmo per Iron Man pari, se non superiore, a quello di molti ragazzini.
La possibilità che Loki si pronunciasse con poca gentilezza nei suoi confronti – qualcosa come “ti considero alla stregua di un insetto spiaccicato sotto la mia scarpa, patetico mortale” o anche peggio – tormentò Tony per il primo quarto d’ora, ma presto fu evidente che il semidio si sarebbe limitato a svolgere il suo lavoro, piuttosto bene, tra l’altro, trasponendo su carta lo scambio che stava avvenendo.
Scriveva a una velocità tale che Tony dubitava di poterlo eguagliare, anche con un computer; di conseguenza, se di norma gli avrebbe imposto di usare la tecnologia, lo lasciò fare, anche perché Loki non dava precisamente l’impressione di essere in grado di usare un tablet o anche soltanto un computer – ricordava troppo bene come aveva scrutato la macchina del caffè, quella mattina.
Quello fu soltanto il primo di una serie di appuntamenti positivi che li tennero impegnati per il resto della mattinata.
A parte l’eccessiva confidenza che si era inaspettatamente instaurata tra la sua pseudo ragazza e il suo peggior nemico, Tony doveva ammettere di sentirsi ottimista rispetto alla sera prima. In fondo la Stark Tower era ancora in piedi – aveva impiegato otto mesi a ricostruirla e aveva persino dovuto prendere parte ai lavori –, nessuno era morto – lui non era morto – e un semidio proveniente da un altro pianeta, potenzialmente pericoloso, era inoffensivo in sua custodia.
C’era qualche remota speranza che lui e Loki potessero davvero collaborare – sempre se lui si fosse tenuto a distanza di sicurezza da Pepper.
Il semidio non gli rivolse la parola nemmeno durante la pausa pranzo e s’impegnò invece in una fitta conversazione di lavoro con l’amministratore delegato. Non parlare con Loki era d’aiuto per il mantenimento della sanità mentale, ma allo stesso tempo vederlo discorrere con Pepper e in particolare vedere lei così affascinata da lui non gli piaceva affatto.
Era diviso tra due sentimenti contrastanti e alla fine prevalse la sanità mentale, se non altro perché non poteva ingaggiare una rissa nella torre, aveva appena finito le riparazioni, Cristo.
Tony firmò con stanca soddisfazione l’ultimo accordo vantaggioso per le Stark Industries quel pomeriggio alle sette. Occuparsi delle pubbliche relazioni era senza dubbio molto più sfiancante che costruire una nuova armatura e fu molto contento di chiudere la porta dell’ufficio alle spalle dell’ultimo cliente, consapevole che ad aspettarlo, ora, c’erano una cena a lume di candela con Pepper e possibilmente un dopocena di quelli che piacevano a lui, che comprendevano un letto a due piazze e l’amministratore delegato senza vestiti.
«Ehi, Pep, stacchiamo e andiamo a mangiare un boccone da qualche parte?» propose con rinnovata vivacità, ma il suo suggerimento non incontrò l’approvazione che si aspettava.
Quando si voltò, scoprì che la donna lo stava osservando perplessa e Loki dava loro le spalle, ammirava in silenzio Manhattan sotto di loro attraverso la parete a vetrata della stanza. E se il semidio non incrociava il suo sguardo doveva significare che aveva pianificato qualcosa di malefico.
«Ma Damian» Tony non mancò di notare come di colpo lo chiamava per nome «mi ha detto che questa sera dovete discutere di lavoro».
Oh, merda.
Qualunque fosse l’intenzione di Loki, aveva messo in mezzo la serietà professionale di Tony, elemento che Pepper aveva molto a cuore, e adesso gli sarebbe toccato rinunciare alla cena e al dopocena per trascorrere una piacevole serata con Loki, altrimenti la donna si sarebbe detta delusa e non sarebbe uscita con lui in ogni caso.
No, rettificò tra sé. Non avrebbe mai potuto collaborare con il semidio. Mai.
«In effetti è così» intervenne Loki e per un fuggevole, illusorio istante Tony credette che stesse accorrendo in suo soccorso e quasi si pentì di averlo appena insultato. Quasi. «Sarebbe anche piuttosto importante, ma, se il signor Stark ha altri programmi, possiamo sempre rimandare…»
Il suo tono era innocente, ma, anziché persuadere l’amministratore delegato di quanto affermava, ottenne l’effetto diametralmente opposto. La donna sollevò una mano e l’agitò in un gesto di diniego. «No, sono sicura che il signor Stark sarà disponibile a risolvere la questione questa sera stessa… Non è così, Tony?»
Fu quasi tentato di rifiutare, ma l’occhiataccia che gli rifilò Pepper lo convinse a emettere un mugolio affranto che doveva voler dire, in inglese corrente, “sì, Pep”.
«Ottimo». L’amministratore delegato scambiò un’altra stretta di mano e un sorriso con Loki e gli augurò la buonanotte: «A domani, Damian».
«Passi una buona serata, Virginia» rispose il semidio con un sorriso cordiale.
Tony dovette usare violenza su se stesso per reprimere l’urgenza di schiaffarsi platealmente una mano in faccia e la stessa, contemporanea, di prendere Loki a calci in un posto piuttosto intimo – da quando aveva il permesso apostrofarla come “Virginia”?
Pepper scrollò le spalle, quasi a voler mettere qualcosa da parte. «Oh, la prego, mi chiami “Pepper”».
«Ma certo» acconsentì il semidio, il cui sorriso si allargò di un buon centimetro. Un buon centimetro di soddisfazione, non poté non notare Tony. «Pepper».
Niente più che un mormorio, un sussurro languido e denso di malizia, lo stesso che aveva spinto Tony a interrompere bruscamente il loro gioco, la sera prima, quando aveva iniziato a coinvolgere persone troppo importanti.
Lo stesso che l’aveva fatto rabbrividire.
E, mentre Loki pronunciava quel nome, i suoi occhi, che sfolgoravano di verde acquamarina colpiti dai resti morenti del sole da quell’angolazione, guizzarono verso quelli di Tony, ma solo per un secondo, per non insospettire la donna.
Insospettirla di cosa?
L’uomo distolse lo sguardo dal semidio, preferì concentrarsi sull’amministratore delegato, che se non altro non lo metteva tanto in difficoltà qualsiasi cosa facesse, anche la più semplice.
Pepper si limitò a sorridere di rimando in direzione di Loki, un velo d’incertezza nell’espressione che rassicurò Tony, ma poi la donna raccolse una ciocca di capelli e la spostò dietro l’orecchio in quel gesto, quel gesto che significava che era in imbarazzo, quel gesto che apparteneva soltanto a lui.
O meglio, si corresse tra sé, stupito da quella rivelazione, apparteneva a lui come agli altri uomini che suscitavano il suo interesse. Dacché l’aveva assunta, però, nessun altro uomo aveva attirato la sua attenzione; non che Tony ne dubitasse: al di là dei gusti pretenziosi dell’amministratore delegato, una volta conosciuto lui era impossibile desiderare qualcun altro.
Eppure Loki – o Damian Millark, che dir si volesse – l’aveva incontrata da un giorno appena e a lei piaceva, le piaceva abbastanza da scostare i capelli dietro l’orecchio.
Era disturbante ipotizzare che, in un universo parallelo in cui il semidio non era malvagio, Loki avrebbe potuto costituire per lui un concorrente temibile nella conquista della donna. Ciò che era più disturbante, però, era che lui si fosse davvero immaginato un universo parallelo.
Colpa dell’amministratore delegato e del semidio, ovviamente, i suoi amorevoli colleghi, che gli stavano negando il suo dopocena in favore di non sapeva nemmeno bene che cosa.
«Io vado» si congedò Pepper, baciò Tony su una guancia, indirizzò un ultimo cenno di saluto a Loki e abbandonò l’ufficio a passo svelto e ticchettante a causa dei suoi tacchi vertiginosi, che Tony ancora non capiva come facesse a indossare per tutto il giorno. Uno dei tanti misteri per cui si era quasi innamorato di lei, così supponeva.
Nel momento in cui la porta si fu chiusa dietro di lei e giudicò che si fosse allontanata a sufficienza per non essere più a portata d’orecchio, scoccò un’occhiataccia al semidio, impregnata di quanta più ostilità possibile.
Non che Loki gli diede la soddisfazione di reagire in qualche modo, ma fu in ogni caso liberatorio.
«Grazie, eh» berciò, le braccia incrociate sotto il reattore arc, un sopracciglio inarcato, una vena vagamente in rilievo sulla tempia. Le pareti dell’ufficio erano insonorizzate e ormai erano rimasti pochi operai all’interno della torre, dunque ritenne di poter parlare liberamente. «Troppo gentile da parte tua flirtare con la mia ragazza e convincerla a non uscire con me. Davvero, mi domando come mai non ti avessi mai proposto di venire a convivere con me».
Il semidio allontanò le sue accuse con un gesto della mano e seguì il suo esempio, spogliandosi della maschera di Damian Millark per la prima volta dal giorno precedente. «Non essere infantile» lo freddò con un’occhiata gelida, priva della pacata socievolezza di cui poc’anzi aveva dato prova in presenza di Pepper. Ingannatore bastardo. «Esistono priorità più importanti dei tuoi bisogni sessuali, Stark».
La replica pungente gli morì in gola nel rendersi conto che Loki non l’aveva fatto per puro divertimento – non solo, almeno.
Il semidio notò la sua esitazione e il suo sguardo si affilò di compiacimento. Tony si sforzò di recuperare almeno qualche punto. «E quali sarebbero? Perché io non ne ho mai trovate, se devo essere sincero».
Loki non fece una piega, quasi non batté le palpebre. «Se posso permettermi di dare un suggerimento, forse proteggere questo tuo insulso pianeta è sufficientemente importante?»
Ah, beh… già.
Non sarebbe stato appropriato affermare che se ne era dimenticato, la sola presenza del semidio era abbastanza per ricordarglielo ogni singolo istante, ma forse si era fatto prendere troppo da Damian Millark, Pepper e il lavoro. Damian Millark e Pepper in particolare.
D’altra parte gli effetti della sbornia avevano sprofondato gli eventi della notte prima in una nebbia confusa e lui aveva consentito loro di affondare in un angolo in fondo alla sua mente, ma bastò quel commento di Loki per far riemergere tutte le domande che avrebbe voluto porgli e tutto ciò su cui avrebbe voluto lavorare con il suo aiuto e la sua magia e per mettere da parte – per ora – la gelosia e il discorsetto a proposito di Pepper che aveva in mente.
Doveva essere quello il motivo per cui la relazione con lei stava andando a rotoli, rifletté distrattamente. Perché amava più la scienza di lei.
Rilasciò il fiato in un sospiro e incrociò lo sguardo del semidio, quegli occhi luminosi di un folgore pericoloso, lo stesso che attrae le falene e le uccide non appena osano avvicinarsi troppo. E non era del tutto certo di non essere una di quelle falene o che non lo sarebbe diventato, quando Loki non avesse più avuto bisogno della sua collaborazione.
«Okay, okay, è tempo di salvare la Terra di nuovo» cedette con una scrollata di spalle. «Ti va un altro drink?»
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: MrEvilside