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Autore: Liz Earnshaw    07/07/2012    9 recensioni
La storia si concentra principalmente su Klaus e Caroline. Ci sono comunque tutti i personaggi ed Elena è ormai un vampiro. L'inizio vede Klaus infuriato per questo motivo, poi Caroline farà finalmente la sua comparsa!
Dalla seconda parte dell'8 capitolo:
-L’ho fatto perché… -Prima di continuare, scrutai ancora i suoi occhi, immersi nei miei. Erano celesti, limpidi come l’acqua e bellissimi come il cielo primaverile. Sorridevano sempre. Volevo, desideravo, speravo di vederli un giorno sorridere per me, nei cui confronti pareva riserbassero solo rancore. –Perché credo di provare qualcosa per te, Caroline. L’ho fatto perché volevo vederti felice. L’ho fatto in quel modo perché –sorrisi nervosamente, alzando lo sguardo prima di rincrociarlo al suo, spaesato-, perché io sono Klaus. –Mi fermai, ripensando improvvisamente alla mia stramba vita le cui immagini si ripresentavano, come sempre, nella mia folle testa. -Non ho conosciuto nessuno che mi abbia. –Ancora un’altra pausa, tesa a riprendere il tono della mia voce ormai troppo smozzato. Pensai a mia madre, se così potevo definirla. Accarezzai le labbra e il mento e ripresi, con calma - insegnato ad amare, ad offrirmi, a sorprendere. Non sapevo come dirti dove stessimo andando perché vedevo nei tuoi occhi l’ebrezza e l’eccitazione. Ma non avrei mai potuto colmarla, volevo vederti sorridere col cuore. Volevo vedere i tuoi occhi… brillare come le stelle, quelle che ti ho mostrato l’altra sera. Tutto ciò nonostante non lo facessero con me. Nonostante non lo facciano con me. Non mi importava, seppure non ti ignoro che me ne doleva e duole tutt’ora. Me ne sono convinto sempre più andando lì, ho capito che non avrei mai potuto organizzare qualcosa che rimpiazzasse il tuo bisogno di avere accanto qualcuno che ti ami, qualcuno che tu inspiegabilmente ami. L’ho fatto con rabbia perché… non volevo. Io non volevo farti andare lì, sapendo cosa poi sarebbe successo. –Digrignai i denti e scossi il capo, tentando di non pensarla fra le sue mani. - A cosa sarebbe servito mostrarti Los Angeles? A cosa sarebbe servito parlarti di come l’ho vissuta io, di cosa ho vissuto in tutto questo tempo. Tu pensavi continuamente a lui e questo mi ha fatto render conto della completa inutilità che rappresentavo, in quel momento. –Mollai la presa sulla porta, sedendomi sul letto. –Non potevo farlo con dolcezza, Caroline. Non potevo correre da te e dirti che mi dispiaceva vederti piangere in quel modo. Tyler stava arrivando, avrei rovinato tutto. L’ho fatto per te! –Battei i pugni sul letto. –Lo capisci? –Mi avvicinai, accarezzandole il viso troppo pallido. –Per te. –Terminai, aprendo la porta e fuggendo via da quella dannatissima stanza, evitando così la sua risposta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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POV CAROLINE

Il vampiro si avvicinava a passo felpato, con un ghigno malefico che dipingeva il suo volto.

-No, ti prego! –Esclamai, in preda alla disperazione più totale, cercando di divincolarmi con le gambe che mi conducevano sempre più vicino al sudicio muro.

-Ho un’idea! –Affermò, prima di sparire dalla stanza.

Respirai, cercando di calmarmi. Se ne era andato, non mi interessava perché, come.

Era sfumato via, col vento.

Purtroppo non passò molto prima che tornasse, procurando in me ancora più paura.

-Penso proprio che ci divertiremo, mia cara Caroline. –Teneva stretto fra le mani un arnese rosso, come le fiamme.

-C… cosa vuoi fare? –Mi sentii la protagonista di quei stupidi film horror che vedevo sempre a casa di Elena con Bonnie, Matt e Tyler prima dell’arrivo di tutti quei vampiri. Prima di tutto quell’immenso ed interminabile casino.

-Magari conficcarlo nella tua pelle, che ne dici? –Con scatto fulmineo si avvicinò.

Prese il cellulare. –Adesso lo richiamiamo. Non c’è bisogno che ti dica cosa fare! –Partì la chiamata, udii la sua voce e non potei ricambiare in nessun modo, se non con le urla.

-Klaus, sarà meglio che tu ti muova! –Incitò al vampiro, mentre quel ferro infiammato perforava la mia candida pelle.

-Ti scongiuro, basta! –Urlai ancora, quando mi sentii lo stomaco scoppiare all’interno. Finalmente lo ritrasse, guardandomi compiaciuto.

-A presto, originario! –Chiuse la chiamata, sorridendo maleficamente.

-Tutto bene? –Carezzò le mie gote che grondavano di sudore.

Non avevo le forze per rispondere. Non potevo fare nulla, se non sperare che Klaus arrivasse.

Si avventò ancora su di me, lasciando cadere ai nostri piedi l’arnese.

Mi alzai, cercando di fuggire alle grinfie di quell’essere, fino a quando la catena risultò tirata del tutto.

Scossi il capo, implorante.

-Mi ecciti molto, sai dolce Care? Specie quando mi implori di smettere! –Si sbottonò i pantaloni, leccandosi i baffi.

Accorciò ogni distanza e bloccò le mie gambe in fermento. Voltai lo sguardo dall’altra parte, evitando di incrociare quegli occhi famelici. Lui non me lo permise. Non potevo neanche decidere di volgere l’attenzione altrove, ai ricordi, a Klaus.

Afferrò il mio mento, per baciarmi avidamente. Passò le sue esili mani sulle mie gambe nude, ricoperte appena dal vestito che indossavo.

-Mh! –Sfiorò, prima delicatamente, le mie parti intime, convincendomi che oltre non sarebbe andato. Poi, però, tutti quei castelli e quelle speranze scoppiarono come una bolla di sapone: tirò via le mutande, per poi aprire le mie gambe che non opponevano più resistenza, entrando dentro. In una maniera brutale, animalesca e invadente: avrei preferito morire.

 

POV KLAUS

Le indicazioni che Caroline mi aveva dato non erano chiarissime, ma bastarono a farmi capire dove si trovasse. Nel bosco fitto, lontano da quello di Mystic Falls, c’era una villa in cui streghe e stregoni complottavano contro i vampiri, al fine di distruggerli. Io e i miei fratelli, uccidemmo tutti quelli che trovammo in una gelida notte di inverno, mille anni prima. Mi chiedevo se sarei riuscito ad entrare, e speravo fosse così. Mia madre mi perseguitava anche dall’altro lato, dovevo ammetterlo.

Giunto davanti all’enorme dimora, non trovai opposizioni e varcai la soglia, senza limiti o confini.

Feci attenzione a non farmi udire in quel silenzio tombale.

Poi sentii delle urla e ansimi spasmodici, accompagnati da rumori violenti.

-Ti prego, smettila! –Riconobbi quella voce e la seguii.

Mi affacciai ad una stanza piccola e buia, privata della porta.

Quell’essere stava letteralmente abusando di Caroline, legata alle catene.

Con uno scatto fulmineo, lo scaraventai dall’altra parte della camera.

-Klaus! –Sospirò con voce agonizzante e tremante.

-Ehi, sono qui amore! –Le staccai quelle enormi catene di ferro, liberandola da quell’atroce posizione.

Mi voltai presto, attento a non abbassare la guardia.

Non avevo notato di chi si trattasse, sulle prime. Poi, scrutai quel volto ghignante mentre si allacciava la cintura dei jeans, soddisfatto. Serrai la mascella e strinsi i pugni, pronto a fare scudo a Care, nascosta alle mie spalle. Nessuno mi avrebbe potuto battere, neanche quell’idiota.

-Connor! –Sospirai quel nome, sorpreso di vederlo lì.

-Fratello! Da quanto tempo! Deliziosa la tua ragazza! –Esclamò, indicando con un cenno la figura dietro il mio corpo. Lei si nascoste, stringendomi le spalle. Era traumatizzata.

-Non chiamarmi in quel modo, e inizia a pentirti per quello che hai osato fare, feccia! –Sputai per terra, disgustato da quella visione. Comunque mi concentrai, spazzando via il ricordo e ingoiando giù il veleno amaro: dovevo fargliela pagare.

-Stai calmo! Non ricordi quando ci dividevamo il pranzo, in passato?

Improvvisamente delle immagini presero forma nella mia mente: io, Connor e Elijah stavamo sempre insieme.

Lui era un originario.

Lui era mio fratello, quello vero.

Rabbrividii ricordando tutto, il periodo agonizzante che seguì la trasformazione, il suo cibarsi delle persone. Io ero l’unico a saperlo, io ero l’unico a conoscere le sorti della mia famiglia.

Connor era stato il primo ad essere trasformato, il mio patrigno lo odiava e decise di usarlo come test. Ma io e lui eravamo così legati che non ci pensò due volte a raccontarmi tutto, a svelarmi ogni segreto, a svelarmi ogni aspetto delle nostre maledizioni.

Non esisteva solo quella del sole e della luna, c’era anche quella dello stregone.

Lui ne era letteralmente ossessionato. Mi convinse ad uccidere mia madre, il cui sangue un giorno si sarebbe rivelato indispensabile per diventare i padroni del mondo.

-Ce la faremo Nik. Io e tu. Per sempre!

-Io non posso tradire i miei fratelli, Connor. –Cerai di divincolarmi da quella presa, allontanandomi dalla casa del villaggio.

Lui mi seguì sotto l’albero di quercia bianca, nella strada appena illuminata dalle candele.

-Io. Sono. Tuo. Fratello! –Scandì quelle parole, scrollandomi le spalle.

-Lo so, lo so Connor! –Lo abbracciai, decidendo di essere apparentemente dalla sua parte.

Scrollai il capo, ricordando di cosa avesse bisogno. Poi, una voce, mi portò alla realtà.

-Elijah! Questa è una vera e propria riunione di famiglia, allora? –Continuò sorpreso quanto me nel vedere il più elegante dei fratelli prender forma sulla soglia.

-Esattamente! –Aggiunse, poi, Bekah, seguita da Kol.

-Benissimo! –Esclamò il primo ad esser diventato vampiro, sfregandosi le mani.

Era eccitato, riconoscevo quello sguardo.

Non ci pensai un attimo e mi scaraventai su di lui, costringendolo sul muro.

-Cosa vuoi? –Digrignai i denti, incrociando il suo sguardo.

Alle mie spalle la mia vera famiglia, si teneva pronta all’attacco.

-Rientrare nelle vostre… g… grazie! –Cercò di respirare, strozzato dal mio gomito.

L’unica sorella scoppiò in una fragorosa risata.

-Tu? –Rise ancora, toccandosi la fronte. Poi si fece improvvisamente seria. –Tu sei una bestia! –Concluse, sprezzante come solo lei sapeva essere.

Afferrai il collo di quel mostro, scaraventandolo nuovamente per terra. Posizionai il mio piede sul torace, facendolo sussultare.

-Permettiti a sfiorare Caroline un’altra volta e…

-E tu cosa? –Domandò, curioso, prima di sputare sangue. –Dammi la pietra e io non le torcerò più un capello.

Spostai il piede premendo sul collo.

-Con me non fai nessun tipo di contratto, ci siamo intesi? Eh? Siamo i.n.t.e.s.i? –Scandii perfettamente ogni lettera, prima di dargli un calcio nello stomaco, facendolo sobbalzare da terra.

-Elijah, Kol, Bekah, ci pensate voi? –Mi voltai, consapevole di aver vinto la battaglia. Almeno per allora.

Afferrai Care per il braccio.

Entrammo in macchina, nella quale si creò una tensione assurda.

Non capii se lei avesse ricordato, se fosse spaventata o sotto shock.

-Stai bene? –La domanda più stupida del mondo. Complimenti Klaus, complimenti.

Strinsi il manubrio, pensando a quello che avevo visto. Pensando a tutto. Non potevo sopportare quel ricordo che continuava ad invadere la mia mente. Il problema era che risultava inutile qualsiasi tipo di distrazione. Anche Caroline risultava tale, poiché il suo viso, la sua espressione che prendeva forma sul volto sfigurato, mi ricordava quanto fossi stato scioccor ingrato di averla accanto.

Annuì, impercettibilmente.

-Tu… tu ricordi tutto? –Ancora una nuova domanda, uscita fuori come un sospiro accarezzato dall’aria pesante che si respirava.

Annuì ancora, osservando il vuoto e abbracciando le ginocchia strette al petto, quasi fossero un’ancora di salvezza.

-Care io…

-Non preoccuparti. –Si asciugò una lacrima che scendeva copiosamente sul viso.

Allentai la mano verso il suo braccio, quasi lo sfiorai, prima di ritrarre tutto.

Non l’accompagnai a casa sua, ma a villa Mikaelson.

-Vuoi restare qui?

-Sì. Non posso tornare così a casa. Mia madre mi ucciderebbe. –Tirò su col naso, quasi stesse dicendo la cosa più normale di questo mondo.

-V… vuoi che chiami un medico? –Aprii la portiera, attendendo una sua risposta.

Scosse il capo, chiudendomi lo sportello in faccia.

La raggiunsi, spalancando la porta di ingresso. Il silenzio ci stava letteralmente ingoiando, in una mossa lenta e dolorosa.

Cercai di osservare il suo comportamento, attento a qualsiasi cosa.

Posava le mani su un tavolo di legno, poi diede un’occhiata al camino e alle scale, che salì fino all’ultimo gradino, fino al terrazzo. Le lasciai il suo spazio, in balia dei ricordi.

Andai in bagno e presi il kit medicinale. Non che servisse, in quella casa.

La raggiunsi sul tetto, lì, dove tutto era iniziato.

Mi sedetti accanto a quella figura persa nel buio del cielo, illuminato da tante stelle, una più bella e vicina dell’altra. Sembrava volessero accarezzarci per benedire e coronare quell’apparente riunificazione.

Osservai quel medicinale, capendo quanto poco fosse inutile.

Volse il suo sguardo nei miei occhi.

Incrociai due iridi bellissime, erano azzurre come il mare e piene, piene come il cielo. Brillavano ancora, di quella luce che tanto amavo.

Morsi il mio polso e le concedetti di bere il mio sangue per riprendersi. Lei non rifiutò e si inebriò di quel momento, sentendosi meglio, almeno fisicamente.

-Grazie. –Sussurrò, quasi come se non volesse farsi sentire.

Presi della garza e dell’acqua ossigenata e iniziai a premere lievemente sulle gote trasfigurate. Lei mi lasciò fare, passivamente.

Le carezzai il capo, baciandole la fronte.

Quando presi fra le mie mani il suo viso per incrociare nuovamente quello sguardo, notai che le lacrime iniziarono a stravolgerle il volto.

-Ehi! Shh, no, non piangere tesoro! –Le carezzai ancora le guance e poi le labbra tremanti.

-Io… -Singhiozzò, portandosi le mani sul viso, per coprirlo. Poi si strofinò animatamente il braccio, quasi come volesse pulirsi. –Io mi sento così sporca! –Boccheggiò, producendo un suono strano con le labbra e guardando nel buio della notte, attenta a difendersi da qualsiasi tipo di insidia. Cercava di impedire che quelle lacrime continuassero a sgorgare, indiscrete. Lottava, la mia Care. E io l’amavo per questo, per questo e per tante altre cose. Dopo, però, sentii la rabbia pervadermi, distruggere tutta la tranquillità e le certezze che volevo trasmetterle. Avrei aspettato che si fosse calmata o addormentata per concludere ciò che dovevo fare. I miei fratelli avevano il compito di picchiarlo, ma non di ridurlo in fin di vita. Quello sarebbe spettato solo ed unicamente a me, che fremevo dalla voglia di farlo.

Duellava anche contro l’impossibilità di parlare.

-Tu sei perfetta, è chiaro? –Avvicinai il suo capo sotto il mio mento, lei odorò il mio collo. Poi cinsi la sua schiena, per farla sentire meglio e al sicuro.

-Mi dispiace io…

Le presi ancora il viso fra le mani, tremanti anch’esse.

-Tu cosa? Non hai fatto niente, hai capito? E’ solo colpa mia, sono stato io a farti dimenticare, ad allontanarti, ad ignorare la tua esistenza per proteggerti. –Sorrisi, nervosamente. –E guarda qual è il risultato? –Alzai la mano al cielo, incolpandomi per tutto.

Lei scosse nuovamente il capo, contrariata.

-No, no, non dirlo! Tu l’hai fatto per tutelarmi, lo so meglio di chiunque altro. Io ho ricordato tutto! –Disse per la prima volta quelle parole, sorpresa pure lei di sentirle. Era una cosa impossibile ricordare dopo il soggiogamento, soprattutto se questo era stato fatto da un originario, in tal caso io.

La leggenda, infatti, narra che l’unica possibilità di scampare al soggiogamento era quella di aver vissuto un amore impossibile seppur imparagonabile. L’unico modo, insomma, era aver trovato la così chiamata anima gemella. E io avevo soggiogato l’altra parte di me. Il riferimento è al noto mito dell’Androgino. Noi nasciamo come un’unica persona: vi era un tempo in cui esistevano tre generi: maschio, femmina e Androgino, che possedeva entrambe le fisionomie. Aveva una forma rotonda, perfetta, quattro gambe e quattro braccia e due teste. La spiegazione per questi tre generi era che il maschio discendeva dal sole, la femmina dalla terra e l’androgino dalla luna, che partecipa sia all’Idea del sole che della luna. L’androgino era felice, poiché completo. Un ibrido, insomma.

Ma Zeus e gli Dei erano gelosi della loro felicità, e si riunirono a  discussione: non potendo annientarli, Zeus decise di spaccarli in due. Avrebbero camminato eretti, su due gambe.

Io e Caroline ci eravamo separati, per poi ritrovarci.

 -Lo so, ed è… fantastico! –La attirai ancora  a me, baciandole il capo.

-Solo promettimi di non lasciarmi più. Promettimi che la prossima volta non mi soggiogherai, promettimi di esserci… per sempre.

Restai sorpreso da quella supplica, da me condivisa.

-No, io non ti lascerò mai più. Lo prometto.

-Abbiamo stipulato un accordo, allora? Dovrei ritenermi soddisfatta, non è facile giungere a conclusioni con Klaus Mikaelson. –Cercò di sdrammatizzare, ridendo appena.

Le diedi un buffetto sul capo, quasi impercettibile.

Passarono pochi minuti prima che si addormentasse sulle mie ginocchia.

Mi tolsi la maglia, restando a petto nudo, per coprire quel corpo gracile e così apparentemente debole e indifeso.

Stretta fra le mie braccia, la posai sul letto della mia camera.

-Mai più. –Unii le sue labbra alle mie, sentendomi completamente ed inesorabilmente riempito dalla perfezione.

Osservai per tutta la notte quel viso, pensando a quanto fossi fortunato e felice di averla accanto: sarebbe durato per sempre, che nel nostro gergo vampireso viene preso di parola.

 

NOTE DELL’AUTRICE: Beneeeeeeee! E’ finitaaaaa! La pace regna fra i due protagonisti e l’autrice di questa stramba storia, vi assicura che ci sarà molto presto un sequel!

Ringrazio di cuore tutte voi. Mi avete accompagnata in questo percorso, avete sostenuto la storia, amato ed odiato alcuni personaggi, avete espresso sempre le vostre opinioni riempiendomi di complimenti e io avrò detto seicentomiliardidivolte GRAZIE! GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! Siete state… stupende! Lo so, mi odierete per questo “finale” che in realtà così finale non è………….

Non dico altro! Spero solo di poter continuare presto e di essere nuovamente apprezzata da tutte voi.

Ora concludo questa straziante –sì, MAI QUANTO CONNOR CHE ATTACCA CARE!-

Confessione, con tantissimi baci a tutteeeee! Ci sentiamo presto,

Lisa <3

   
 
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