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Autore: Darik    29/01/2007    0 recensioni
Arriva il momento della tempesta: mentre un gigante dei mari scompare, vecchi e nuovi nemici attaccano la Mithril. E Sousuke sarà costretto ad avere come unico alleato una persona che difficilmente avrebbe voluto come tale. Nota: questo racconto si colloca dopo la serie FMP The Second Raid.
Genere: Azione, Avventura, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Operazione Hunting'
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8° CAPITOLO

Sousuke corse a perdifiato fino al bivio e andò a sinistra.

Percorrendo un corridoio scavato nella roccia giunse ad una sala in cui si affacciavano una decina di porte blindate ad una certa distanza l’una dall’altra.

“L’equipaggio del De Danaan deve essere prigioniero lì” pensò Sousuke, poi sentì qualcuno correre dietro di lui.

Si voltò e vide il killer che gli andava incontro.

Sparò diversi colpi, ma quello mostrando un agilità straordinaria li evitò tutti muovendosi a zig zag e con uno scatto fulmineo arrivò proprio davanti al ragazzo.

Gli strappò l’arma distruggendola e con un pugno lo fece volare dall’altra parte della sala, mandandolo a sbattere contro una parete.

Sousuke estrasse uno dei suoi pugnali, rendendosi comunque conto che non aveva speranze contro un avversario potenziato.

Ma doveva tentare lo stesso, quindi si fece avanti e attaccò con una serie di velocissimi affondi.

Nonostante Sousuke attaccasse con molta abilità, il killer era ancora più veloce di lui, evitava tutti i colpi come se il giovane mercenario si muovesse al rallentatore.

Poi il nemico sferrò un calcio, Sousuke tentò di pararlo con un braccio, ma all’ultimo istante si limitò ad accompagnare il colpo, che lo spinse a terra.

E il braccio gli doleva moltissimo.

“Merda! Se non avessi accompagnato il colpo, mi avrebbe spezzato il braccio. E’ troppo forte!”

Il killer lo afferrò per il collo cominciando a stringere e Sousuke si ritenne spacciato.

O lo soffocava o gli spezzava il collo.

E il rumore di un secco crack si sentì nella sala.

****

Il cellulare di Cameron squillò ancora.

“Di nuovo? Non c’è pace oggi” sbottò riponendo il suo album di foto e rispondendo alla chiamata, proveniente dalla base a cui era diretto.

“Signore, scusi se la disturbo”.

“Cosa succede?”

“Volevo comunicarle che il nostro addetto sull’isola di Han non ci ha ancora inviato i risultati delle scansioni. Ed è in ritardo di cinque minuti sulla tabella di marcia”.

“Può darsi che abbia avuto dei contrattempi tecnici”.

“Forse. Ma allora come mai non risponde più alle nostre chiamate via radio?”

Cameron si fece pensieroso, poi disse: “Vi richiamo tra qualche minuto per darvi istruzioni”.

Chiuse il contatto e compose un altro numero di telefono.

“Pronto? Si, sono io. Sembra che sull’isola di Han ci sia qualche problema. Non ci hanno ancora inviato i dati sulle scansioni del Tuatha De Danaan e non riusciamo più a contattarli via radio”.

Cameron ascoltò la risposta.

“Ho capito, va bene, continueremo cosi. Arrivederci, Mr. Silver”.

Cameron richiamò la base e ordinò loro di non fare niente.

****

L’aria lì dentro era davvero soffocante, vi erano una cinquantina di persone stipate in un’unica, buia e non troppo grande cella scavata nella roccia.

Kurz non poteva fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro.

Nessuno aveva certo intenzione di arrendersi, non c’erano stati casi di panico, ma la situazione comunque non era rosea.

Il maggiore Kalinin e il vice-comandante si erano dimostrati i più controllati, in mezzo ai vari mormorii dei suoi commilitoni, Kurz li aveva sentiti parlottare di eventuali piani di fuga.

Ma attuare questi piani era impossibile, se non aprivano quella cella.

E finora in quei giorni non l’aveva fatto nessuno, solo tramite una fessura passavano loro delle borracce ogni tanto.

La cosa che più preoccupava Kurz comunque, era il fatto che né la piccola Tessa, né Melissa erano con loro, e non sapevano che fine avevano fatto.

Forse erano in un'altra cella o forse no.

Aveva formulato varie ipotesi sulla loro assenza, e nessuna era positiva.

Poi all’improvviso la porta della cella si aprì: la luce accecò leggermente i prigionieri vicini alla porta, dopo tutti quei giorni di buio.

I prigionieri rimasero fermi e zitti, in attesa.

Kurz, che era abbastanza vicino alla porta, si fece coraggio: “Chi… chi è là?”

“Sergente Sousuke Sagara. Codice identificativo: Uruz 7!”

“Ehi ma… ma è Sousuke!”

A quel nome dal buio arrivarono grida di giubilo, i membri dell’equipaggio del De Danaan uscirono dalla cella e aprirono le altre celle.

In mezzo a tutta quella fiumana di gente, spuntarono anche Mardukas e Kalinin.

“Bel lavoro, sergente Sagara” commentò impassibile l’ufficiale russo.

“Grazie signore” rispose Sousuke.

“Un momento… dov’è il colonnello Testarossa?” chiese Mardukas.

“Non è con voi?” domandò Sousuke.

“No, ci hanno separato all’arrivo qui. Speravamo che fosse in una di queste celle” rispose Mardukas.

“Vado a cercarla, vi consiglio di condurre tutti al De Danaan e aspettarci lì. Non dovreste incontrare nessuno”.

La fiumana di persone verso il bacino trascinò con se anche Kurz che avrebbe voluto chiedere di Melissa a Sousuke.

Ma fece comunque in tempo a notare il cadavere di uomo vestito di nero che giaceva pancia a terra ma col volto girato verso il soffitto.

Sousuke ritornò nel corridoio poi raggiunse il bivio e andò a destra, raggiungendo la stanza dove aveva lasciato Yu Fan

Si avvicinò cautamente muovendosi rasoterra, e quando si affacciò, vide che i corpi dei killer giacevano a terra, decapitati e mutilati.

Due avevano anche il ventre squarciato e gli intestini erano fuoriusciti.

Grosse macchie di sangue ancora fresco sporcavano il pavimento e le pareti.

Nessuna traccia di Yu Fan.

Il giovane si guardò intorno, e notò un particolare: un pugnale conficcato sopra lo scaffale con le fiale, che erano state tutte rotte.

Poteva anche non significare nulla, comunque Sousuke esaminò lo scaffale, e vide dei cardini seminascosti sul lato sinistro.

Andò dall’altro lato, cominciò a spingere e lo scaffale si spostò come se fosse una porta.

Dietro c’era una porta blindata chiusa con un lucchetto.

Sousuke forzò il lucchetto, aprì la porta ed entrò in una cella bianca con un letto.

Neanche due minuti dopo, Sousuke con in braccio Tessa correva verso il De Danaan.


EPILOGO

Kaname si alzò dal letto cercando di reprimere gli sbadigli e di sgranchirsi le ossa.

Sembrava che avesse passato quasi tutta la notte in attesa di notizie, e alla fine era andata a dormire vestita.

Il cellulare giaceva sul tavolo della cucina, nessuna chiamata in arrivo.

“Quello scemo” borbottò preoccupata.

Kaname non aveva ancora deciso se quel giorno sarebbe andata o no a scuola, comunque andò lo stesso in bagno per darsi una sistemata.

Qualcuno bussò alla porta, e lei andò ad aprire con in mano un pettine.

“Chi è?”

Era Sousuke, con in mano una borsa.

“So… Sousuke?!” esclamò incredula Kaname.

“Affermativo. Scusami se non ti ho avvertito, ma ho perso il cellulare, e anche se ovviamente ti sembrerà impossibile in queste dieci ore non mi è riuscito di trovare un telefono. Per questo…”

Kaname non gli diede il tempo di finire e lo abbracciò.

“Bentornato Sousuke” sussurrò sollevata Kaname.

E Sousuke rimase nuovamente di sasso.

Sembrava proprio che non riuscisse ad abituarsi a simili manifestazioni di affetto.

Ma a Kaname questo non importava.

“Sono contenta che hai mantenuto la promessa”.

Sousuke inarcò un sopracciglio, sul suo volto apparve una strana espressione, veloce come un battito di ciglia.

“Una promessa è una promessa” disse poi con calma.

****

Cameron sedeva nel suo ufficio, e controllava alcuni documenti.

La stanza era piuttosto spartana, l’unica cosa che l’uomo si era concessa era una serie di quadri raffiguranti alcuni celebri istanti bellici catturati da una macchina fotografica, come il soldato della guerra civile spagnola colto nel momento in cui, colpito a morte, cade a terra.

Sentì bussare.

“Avanti” rispose.

E non poté fare a meno di restare stupito quando vide chi era entrato.

Un ragazzo molto alto e bello, con i capelli color argento, vestito con un abito nero elegante che sembrava arrivare direttamente dall’XIX secolo.

Cameron si alzò e si mise sull’attenti: “Mr. Silver, non mi aspettavo una sua visita”.

“Oh, sono qui solo per tirarle un po’ su il morale, mio caro Cameron” rispose tranquillo il ragazzo.

“Tirarmi su… il morale?”

“Si. Andiamo, non ha bisogno di nascondermelo, so bene che la distruzione dei suoi supersoldati le pesa. Lei sperava che con il nostro aiuto il suo progetto potesse concretizzarsi, ma purtroppo cosi non è stato”.

Cameron fece per ribattere, per poi desistere davanti allo sguardo deciso e sorridente del suo superiore.

“Si, ha ragione. Avevo puntato parecchio su quel progetto” ammise infine amareggiato.

“Purtroppo, amico mio, anche se i suoi soldati erano molto letali, non hanno potuto cambiare il fatto che un’arma per essere davvero tale, deve essere non di carne e ossa, ma di metallo”.

Mr. Silver si avvicinò ad uno dei quadri contemplandolo.

“Almeno in buona parte” aggiunse il giovane.

“Si, capisco. Ovviamente la sua idea è migliore della mia”.

“Su, su, niente pensieri tristi, Cameron. Non deve pensare che sia ormai tutto finito. Forse non ha ancora passato abbastanza tempo nelle nostre alte sfere per capire che i piani di livello Alpha di Amalgam non possono mai essere sventati completamente. La chiusura di una porta non blocca affatto il nostro cammino, ma ci permette di aprirne un’altra, un’altra ancora e cosi via”.

“Allora, lo continueremo veramente?”

“Certo, e le dirò di più: dei due progetti collegati a quello principale, anche il secondo è già operativo; il progetto Hela lo abbiamo testato efficacemente ieri sera sull’isola. E abbiamo deciso di affidare la sua prosecuzione proprio a lei”.

“Proprio… proprio a me?!”

Nonostante la sua esperienza e la sua età, Cameron non si vergognò del fatto che in quel momento sembrava eccitato come uno scolaretto.

L’arma suprema… affidata a lui!

Il coronamento di una vita!

Continua…

 

  
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