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Autore: Yvaine0    13/08/2012    11 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans
 
35
 
 
“McDonnel, salutami tuo fratello!” era una frase ricorrente alla Sperdutolandia-high-school. Veniva gridata, sussurrata o semplicemente detta nei corridoi, nelle aule e anche a mensa da ogni genere di studente ad Agatha. Ecco, c’era qualcosa in quella frase che stonava terribilmente e avevo la netta sensazione che fosse quel ‘salutami’ associato al fratello. In base alle informazioni fornitemi da Kameron e a quelle che io stessa avevo raccolto negli ultimi due giorni, Dean McDonnel non aveva mai riscosso molto successo all’interno della scuola, senza contare che aveva finito di frequentare il liceo da ormai due anni, quindi pochi dei suoi ex compagni dovevano essere ancora tra quelle mura. Se il mio senso logico non mi ingannava, chiedere a qualcuno di riportare i propri saluti a qualcun altro è un gesto di apprezzamento o comunque di interesse. Perché allora metà della popolazione scolastica era così ansiosa di far sì che Dean McDonnel ricevesse i propri saluti? La cosa mi metteva a disagio. Non era assolutamente questione di gelosia – e come sarebbe stato possibile? Io stavo congedando la mia cotta! –, ero per lo più confusa. I conti non tornavano, per niente. Il suo lato peggiore veniva a galla solo con me? Eppure Kameron aveva detto che era così antipatico con tutti – e sì, antipatico è solo per essere carini, servirebbero parole molto più scurrili per definirlo come si conviene.
Fu solo quando una ragazza della mia classe aggiunse “Matthew, mi raccomando, non Dean” che la mia lotta interiore si placò. Matthew, non Dean! Non avevo la più pallida idea di chi fosse questo Matthew, ma sicuramente non era Dean e tanto bastava a tranquillizzarmi. Quindi il trenino Thomas non era stronzo solo con me, lo era con tutti. Per un momento l’idea mi riempì di gioia, poi di malinconia e anche un po’ di sensi di colpa: perché essere felice se una persona era odiata da tutti? La verità era che, anche se non l’avrei mai ammesso a nessuno e tantomeno a me stessa, ero estremamente felice di sapere che il suo carattere non fosse terribile solo in relazione a me, era così e basta. A prescindere dalla persona con cui era, Dean McDonnel si comportava allo stesso modo. Era stronzo di natura, non per colpa mia. Quindi, di riflesso, mi rallegravo del fatto che non odiasse me in quanto Pan Fletcher, ma il mondo intero e me solo in quanto essere umano. Non aveva nulla contro di me, in sostanza. Il che forse non faceva alcuna differenza, ma era una consapevolezza che mi rallegrava e intristiva al tempo stesso.
 “Chi è Matthew, Aggie?” le domandai mentre eravamo in fila per riempire il vassoio della mensa.
Lei si voltò all’indietro per un istante e mi rivolse un’occhiata sorpresa. “Non sai chi è Matt?”
Certo che sapevo chi fosse Matt: era la cotta della mia migliore amica, nonché il mio personale spacciatore di musica. Va be’, non proprio personale, ma... “Ehm, no” risposi. “Dovrei?”
Lei si strinse nelle spalle. “È strano, perché qui intorno non c’è una sola persona che non l’abbia mai sentito nominare. È mio fratello maggiore. Maggiore anche di Dean, intendo” spiegò con semplicità, mentre la signora Carla le riempiva un piatto di una decisamente poco invitante poltiglia biancastra. Si sarebbe abbinata perfettamente con le mie lasagne carbonizzate.
“Ah. Hai due fratelli?” Quanti fratelli McDonnel c’erano in circolazione? E di quanti non conoscevo l’esistenza?
“Due. Dean e Matthew. Tipico di Dean non averti parlato di lui, in effetti” sospirò, leggermente contrariata.
È tipico di Dean non parlarmi affatto, in realtà. “Sì, be’, non è che le nostre conversazioni siano troppo civili, solitamente...” commentai. Un po’ mi dispiaceva. No, fermi tutti, non per il motivo a cui state pensando voi. Perché io non avevo più nessuna cotta, no. O non l’avrei avuta più molto presto, comunque. Mi dispiaceva semplicemente perché eravamo coinquilini, costretti a vivere assieme per un sacco di tempo e... Diavolo, ma come si fa a convivere con una persona del genere a tempo indeterminato!
“Giusto” sogghignò. “Ma anche se andaste d’accordo dubito fortemente che te ne avrebbe parlato”.
Neanche io parlavo troppo spesso di mio fratello, in effetti. Non che in quel momento ce ne fosse bisogno, visto che si trovava alla fattoria di Abe e tutti avevano avuto modo di conoscerlo, ma non lo facevo nemmeno prima che venisse a farci visita. “Fammi indovinare, un’altra persona che non gli va a genio?”
Chissà per quale motivo non faticavo a credere che Dean non andasse d’amore e d’accordo neanche con il suo fratellone.
Aggie ringraziò la signora Carla per la poltiglia non ben identificata e le polpette annesse e passò in coda alla fila successiva. “Assolutamente: lo detesta. Ed è l’unico tra paese e dintorni, tra parentesi”.
“Io prendo solo le polpette” dissi con un sorriso tirato. La mia cucina era già abbastanza cancerogena, le poltiglie incolori e inodori altrui potevano tranquillamente rimanere fuori dal mio stomaco. Quando raggiunsi Aggie nella fila per i dolci, ripresi il discorso: “Pensa che questo tizio mi sta già simpatico!” risposi ironica. Quando mi si presentava qualcuno dicendo che piaceva a tutti, era matematico che a me stesse già un po’ antipatico. Non si può piacere a tutti, e, quando qualcuno piace a tutti, i casi sono due: è una persona davvero favolosa oppure se la tira da morire proprio perché piace a tutti e si crede il Signore in terra.
Agatha abbozzò un sorriso. Non doveva essere semplice avere due fratelli che non si sopportavano a vicenda. Probabilmente non era diverso dalle mie domeniche al ristorante in famiglia. Mi dispiaceva davvero per lei. Non è mai facile trovarsi in mezzo quando gli altri si creano problemi a vicenda. Il che mi fece pensare a Kameron, che si ritrovava in mezzo tra me e Dean e la nostra continua lotta immotivata.
 “Avrai modo di conoscerlo molto presto, fidati”.
“Ah, bene!” commentai, incerta. Avevo impiegato due mesi per entrare in confidenza con Aggie, mentre tre mesi sotto lo stesso tetto con Dean non erano bastati nemmeno per intraprendere una conversazione priva di insulti. Quanto sarebbe stato difficile rapportarsi al maggiore dei McDonnel?
Prendemmo una fetta di torta e una bottiglietta d’acqua dal distributore, poi le nostre strade si divisero proprio come il giorno precedente; Agatha raggiunse le sue amiche in mensa, mentre io andai a cercare Kameron nel cortile.
Lo trovai seduto sotto un albero, da solo. Quando mi sedetti accanto a lui, mi sorrise e iniziò a scartare il proprio panino. “Ti aspettavo”.
“Grazie, Messer Mietitrebbia. A volte la vostra civiltà mi stupisce!” scherzai, sistemandomi il vassoio sulle ginocchia.
Kameron rise e mi diede una gomitata, addentando poi il suo panino.
Gli feci una linguaccia e, senza accorgermene, mi ritrovai a torturare una delle polpette con la forchetta, riflettendo su ciò che mi aveva detto Aggie e su come si sentisse lei a riguardo.
“Sei pensierosa oggi. Stai pensando alla proposta di Christine Johnson di sederti con lei?”
Sorrisi, divertita e grata a Kameron per l’interessamento. “Ah, no, a quella ho già pensato abbastanza e sono giunta alla conclusione che non merito tale onore. No, stavo pensando... insomma, Aggie mi ha detto che ha un altro fratello” buttai lì.
“Oh, sì, Matthew. È un tipo a posto, a Dean però non piace molto”.
Ecco, appunto. “Come mai?”
Kameron non era Agatha e su questo non ci pioveva. Non erano persone simili, erano quasi l’uno l’opposto dell’altra, ma contemporaneamente avevano qualcosa in comune. Erano cresciuti insieme, essendo Kameron il migliore amico di Dean, e, bene o male, erano diventati amici. Nonostante per certi versi potessero somigliarsi, io non riuscivo – e molto probabilmente non ci sarei mai riuscita – a parlare con Aggie come facevo con Kameron. La consideravo un’amica e la pensavamo alla stessa maniera su diversi argomenti, ma lei era sempre così severa e distaccata che non potevo non aspettarmi un commento ‘alla Dean’ ogni volta che parlavamo. Anche perché era più che evidente quanto, fondamentalmente, i due fratelli si somigliassero. Con Kameron era tutta un’altra storia. Sapevo di poterlo considerare un amico, un amico vero. Non lo conoscevo da molto, ma fin da subito c’era stata confidenza. C’era un’intesa tra noi che non riusciva a eguagliare quella che mi legava a Emily, ma ci si avvicinava molto. Forse, in mezzo a tanti problemi tra fratelli, dire che per me Kameron era come un secondo fratello sarebbe stato strano, ma difatti era così.
“Be’...”indugiò qualche istante, pensandoci su, poi scosse il capo. “Non mi va di dirti che non lo so, Pan” ammise con un sorriso. “Dean non vorrebbe che te ne parlassi, dovresti chiedere a lui”.
Inarcai le sopracciglia e gli rivolsi un’occhiata eloquente.
Rise. “Ok, non te lo direbbe. Puoi sempre provare a chiederlo a Aggie, però”.
“Sì, forse potrei. Ma sarebbe meglio se smettessi di ficcanasare, in effetti” conclusi, addentando finalmente una polpetta. “Ah! È pure buona!”
“Sì, non è male. Carla se la cava in cucina, ma sono troppo pigro per fare la fila”.
Questa volta fui io a ridere. “Ma fa da mangiare per tutti?” domandai sconcertata. Magari la scuola non era particolarmente popolosa, ma si rimaneva a mangiare in mensa ogni santissimo giorno, eccetto sabato e domenica. Come faceva una persona sola a star dietro a tutti?
“No, in effetti no” convenne Kameron. “Ma la tua espressione quando scopri qualcosa di nuovo che ti pare assurdo è impagabile, non potevo proprio perdermela”.
Lo guardai incredula per qualche istante, poi gli rifilai un pugno sulla spalla. “Sei un cretino!” costatai.
“Sai quante volte mi hai chiamato così oggi?”
“Sì: non abbastanza!”
Quando tornai a casa, quel giorno, fui parecchio sorpresa nel trovare un’altra automobile nell’aia. Accanto a quella di Kameron, si metteva in gran mostra una sconosciuta Audi grigia metallizzata.
“Ah!” fu l’esclamazione stupita di Agatha che, prima ancora che tirassi il freno a mano, si era già fiondata fuori dall’abitacolo ed era corsa in casa. Evidentemente l’auto non era sconosciuta a tutti.
Fu anche più sorprendente vederla ridere come una bambina, praticamente in braccio a un ragazzo sconosciuto nella cucina di casa mia, mentre Joshua osservava la scena appoggiato al frigorifero. Prima che potessi chiedergli cosa stesse succedendo, Agatha era tornata coi piedi per terra e si era voltata, raggiante, verso di noi, mostrandoci il nuovo arrivato. Ovvero un ancor più scioccante Agatha al maschile, castano e coi capelli lunghi fino al mento.
“Matthew!” esclamò Terrence, palesando la propria sorpresa. “Ciao, amico!” gridò entusiasta, andando a riempirlo di pacche sulle spalle.
“Ciao, Matt” si unì ai saluti anche Kameron con un sorriso allegro.
“Salve, ragazzi!” rispose lui, con una voce paurosamente simile a quella di Dean, ma un tono totalmente diverso, decisamente più cortese e disteso. “Ciao!” completò, salutando anche me.
Mi schiarii la voce, abbozzando un sorriso. “Ciao” risposi.
“Da quanto sei qui?” trillò Agatha con un entusiasmo che si addiceva molto più a Terrence che non a lei.
Il ragazzo sorrise. “Non molto”.
“È arrivato poco prima di voi” specificò Joshua, lanciandomi un’occhiata. “Non l’ha ancora visto nessuno”.
“Ahia” fu il soffocato commento di Kameron, che tuttavia io udii perfettamente, poiché era rimasto in piedi accanto a me, vicino alla porta.
 
“Ah, fantastico” sbottò a quel punto Agatha, perdendo tutto il suo entusiasmo. “Dean non sa che sei qui?”
Matthew si strinse nelle spalle. “No, ero giusto venuto per salutarlo e...”
Agatha sbuffò di nuovo. “Grandioso. Davvero.”
“Aggie, non fare così ora. Dean si abituerà all’idea di avermi tra i piedi. Non può non farlo, ormai ho trovato lavoro qui”.
“Sì, come ti pare” bofonchiò lei incrociando le braccia e fissando ostinatamente il pavimento. “Be’, allora andiamocene. Non voglio essere qui quando si incontreranno, non...”
Non seppi come aveva intenzione di concludere quella frase, perché la porta di ingresso si spalancò rumorosamente e le parole le morirono in gola.
Dean era appena entrato, probabilmente incuriosito dalla quantità fuori norma di auto nell’aia. Camminò a grandi passi fino alla cucina, si fermò proprio dietro di me e Kameron, sulla porta, e trattenne il fiato alla vista del fratello. “Che cosa ci fa lui qui?” sibilò, adirato. Poi mi spinse di lato, mandandomi a sbattere contro Kameron. “Levati!”
“Buongiorno anche a te” brontolai sarcastica, mentre lui mi superava.
“Vaffanculo!” ricambiò il saluto, lanciandomi un’occhiataccia.
“Evvai...” borbottai piano. Mi mancava proprio la sua benedizione quotidiana. Fu una fortuna che quel giorno fossi sorprendentemente tranquilla, perché ciò mi permise di mantenere la calma e non farmi tangere dalle sue dolci parole.
“Ciao fratellino” lo salutò Matthew con un sorriso di cortesia.
“Già, come ti pare” lo freddò lui. “Che diavolo ci fai qui?”
Lui respirò a fondo e lo guardò dritto negli occhi, con una serietà impressionante. “Non diamo spettacolo, Dean. Sono venuto per... ”
“Dare spettacolo? Sei sempre il solito megalomane. Non gliene frega a nessuno delle nostre discussioni, ormai mi conoscono tutti”.
Eh già. Lo sanno tutti che sei un rarissimo esemplare di biondo mestruato.
“No, non tutti” rispose lui, pacato, accennando a me e Joshua.
Sì invece, fidati.
Dean soffiò una risata. “Non preoccuparti, nessuno ti prenderà per una persona maleducata, sei perfettamente cavalleresco anche così. Lui non si scandalizza per poco e lei... lei è troppo impegnata a pensare a se stessa per farci caso”.
Saltai sull’attenti a quelle parole. Ma perché doveva sempre lanciarmi frecciatine? Una volta che non c’entravo niente! “Grazie, eh!”
“Smettila di prendertela con lei!” intervenne in quel momento Agatha, arrabbiata come non l’avevo mai vista. Non si trattava del nervosismo causato dai dispetti dei ragazzi o dalle discussioni con Kameron, era davvero, davvero arrabbiata. Aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. Una ragazzina inviperita di fronte all’infantilismo del fratello. O dei fratelli – non conoscevo Matthew e non avrei saputo dire se lo fosse anche lui.
Nonostante sapessi che la sua indignazione non era motivata dalle offese rivolte a me, le fui immensamente grata per avermi difesa.
“Tu sei il primo a pensare sempre a se stesso!” lo accusò.
“Io, Agatha?” abbaiò Dean, perdendo le staffe. “Io? Non sono io che ho piantato tutti e me ne sono andato a farmi i cavoli miei lontano da tutti!”
Lei strinse i pugni. “Ma sei tu quello che…”
“Avanti, smettetela” intervenne Matthew a voce alta. “Aggie, va’ a casa. Io devo parlare con Dean”.
Dean annuì con stizza. “Sì, vattene, è meglio” approvò abbassando il tono, ma senza abbandonare l’amarezza che accompagnava ogni sua frase. “E smettila di frignare, per favore” sottolineò, seccato.
Fu come ricevere una gomitata in mezzo allo stomaco. E forse la ricevetti davvero, ma fu più la vista di Aggie che si asciugava le lacrime con stizza e usciva a grandi passi dalla stanza a farmi male. Io non mi ero mai ritenuta una persona forte. Dovevo sforzarmi come una matta per non piangere ogni volta che qualcosa non andava e questo non mi rendeva tale. Ma Agatha McDonnel, per come la conoscevo io, non solo era forte, era una forza della natura. Non si lasciava sopraffare dagli avvenimenti, dalle circostanze; rimaneva sempre se stessa, rigida e imparziale, spietata nei propri giudizi e coerente con ciò che pensava. Vedere una persona come lei, apparentemente intangibile e intaccabile, piangere era estremamente triste. Devastante era una parola troppo grossa, forse, ma vederla soffrire in quel modo, mi fece venire i lucciconi agli occhi. Fu in quel momento che feci un cenno del capo a Joshua e uscii dalla stanza. Era il momento di lasciare i fratelli McDonnel per i fatti propri, a discutere di ciò che volevano, senza ficcare il naso dove non ci riguardava.
Kameron e Terrence fecero lo stesso e uscimmo in cortile. Agatha era già risalita sul retro del pick-up quando la raggiungemmo. Fissava la lamiera, assorta, con un’espressione corrucciata in volto.
“Tutto a posto?” le chiesi.
Si limitò a lanciarmi un’occhiataccia. Un chiaro ‘no’.
“Aggie...”
Lei mi guardò interrogativa, ma improvvisamente non sapevo più cosa dire. Avevo bisogno di parlare con lei. C’erano un sacco di cose che avrei voluto dirle, ma non era sicura che le avrebbe fatto piacere sentirle proprio da me. C’era confidenza tra noi, ma non eravamo amiche intime, non sapevo come l’avrebbe presa. Fortunatamente – o magari no – non ci fu bisogno di attendere la sua reazione alle mie eventuali parole.
“Bene, noi andiamo” mi interruppe Kameron, come sempre nel momento opportuno. Era incredibile il sesto senso di quel ragazzo. Riusciva sempre – sempre! – a salvarmi da situazioni spinose come quella. “Più tardi torno in città a comprare i libri, venite con me?”
“Puoi contarci!” rispose Joshua per primo.
Gli rivolsi un’occhiata incerta, troppo scossa da ciò che era accaduto per esibirmi in una delle mie solite esclamazioni sarcastiche. “Va bene, quando vuoi”.
“Io lavoro da mia zia” disse Terrence a mo’ di giustificazione.
“Zia?” chiesi senza nemmeno rendermene conto.
Lui annuì con naturalezza. “Zia Ginger!”
Oh. Ginger era sua zia. Si spiegavamo molto cose. Come, per esempio, il perché lui non pagasse mai al saloon. “Ah. Be’, a domani allora” salutai. “Portate una monetina: faremo testa o croce per decidere chi guida!” scherzai, rivolgendo un sorriso che voleva essere incoraggiante ad Agatha.
Lei abbozzò un sorrisetto, poi distolse lo sguardo.
Quando l’auto uscì dall’aia, io e Joshua tornammo in casa, ma non ci fermammo ad ascoltare la discussione in cui Matthew e Dean erano immersi, nonostante fossimo entrambi estremamente curiosi. Come se ci fossimo messi d’accordo, ci rifugiammo al piano superiore, dove iniziammo a darci da fare: rifacemmo i letti, ritrovammo il pavimento sotto tutti i vestiti lasciati in giro da Dean, spazzammo e ci mettemmo di buona lena per ripulire il bagno. Il tutto con il mio portatile che mandava musica ad alto volume, per lasciare un po’ di privacy ai fratelli litiganti, e cantando forte tutte le canzoni che conoscevamo entrambi o quelle che sapevamo non piacessero all’altro – per dispetto, perché eravamo pur sempre Joshua e Pan Fletcher. Anzi: Pan e Joshua Fletcher, mica ero più grande per nulla.
La mattina seguente all’intervallo, io e Kameron stavamo attraversando la scuola per raggiungere in tempo l’aula di spagnolo, sbocconcellando le nostre merendine per recuperare un po’ di tempo. I nostri zaini erano insolitamente pesanti, riempiti con i libri di testo comprati il pomeriggio precedente. Strano ma vero, lo spagnolo era una lingua che mi piaceva molto. Forse perché l’unico insegnante in grado di farmi piacere lo studio, nella scuola di prima, era stato proprio quello di spagnolo. Una volta tanto mi ritrovavo ad essere io a far pressione a qualcuno per non arrivare in ritardo e quel qualcuno era proprio il mio pigro e perdigiorno compagno di banco.
“Litigano spesso in quel modo?” domandai a Kameron.
“Abbastanza” fu la sua laconica risposta. “La mangi tutta, quella?” domandò, indicando la mia merendina.
Assottigliai lo sguardo con fare sospettoso. “Perché, il tuo serbatoio è senza fondo, mietitrebbia? Non ti bastano i litri e litri di roba che...”
“Come mai sei così logorroica oggi?”
“Non sono logorroica!”
“Me ne sono accorta, non hai detto una parola per mezza giornata.”
“Ma non dire sciocchezze!” lo interruppi. “Sono solo di buon umore oggi”.
Kameron aggrottò le sopracciglia. “Quindi quando sei di buon umore ti chiudi a riccio? Ha senso” annuì compiaciuto e ironico.
Risi. “No, non ha senso” lo contraddissi. “Quando sono nervosa parlo poco. Oppure molto, a seconda delle volte”.
“E questo che c’entra? Hai detto di essere di buon umore!”
Sghignazzai di nuovo. “Questo non mi impedisce di essere nervosa” osservai, divertita.
“Sì, invece!”
 “Oh, quindi la mietitrebbia vuole sindacare sul mio stato d’animo!”
Lui alzò gli occhi al soffitto e mi rubò la merendina dalle mani. “Ma smettila, gnomo! E poi tu sei una ragazza, come mai non sei sempre a dieta? Non devi mangiare schifezze”.
“Be’, è semplice” risposi, senza tuttavia avere la minima idea di come continuare la frase.
“Davvero?”
Ehm. “Certo.”
“Allora?”
“Allora... allora io non sono a dieta perché...” perché? Be’, se è vero che la miglior difesa è l’attacco... “Andiamo, stai dicendo che dovrei mettermi a dieta?” sbottai, ostentando rabbia. Incrociai le braccia per dare maggior enfasi alla cosa.
Kameron fu sorpreso dalla mia reazione; mi osservò stranito qualche istante, poi cedetti e scoppiai a ridere.
“Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò, dandomi una ‘leggera’ spintarella e poi afferrandomi per un braccio prima che finissi addosso al tizio con cui avevo bisticciato il primo giorno a causa sua.
“’Giorno!” lo salutò Kameron, mentre lui gli lanciava un’occhiataccia a causa di ciò che era quasi successo.
“Ciao” gli feci eco io con un sorriso di scuse.
Lui ci fece un cenno col capo e ci precedette in classe con l’aria di chi aveva appena incrociato due poco di buono per strada e aveva tutta l’intenzione di starci alla larga.
Rimanemmo fuori dall’aula ad aspettare che finisse l’intervallo, giusto per non essere troppo puntuali. “Ah, che tipo simpatico!” commentai sottovoce.
Kameron ridacchiò. “Mark non è molto propenso a perdonare”.
“E che gli hai fatto di tanto male, scusa?”
“Io? Niente! Sei tu che l’hai insultato davanti a tutti in classe”.
No, un attimo, come? Quindi era colpa mia! Dovevo immaginarlo. Eppure non ero stata io a chiamarlo ‘Vaccameron’ e il motivo di quell’appellativo non potevo di certo essere io. I conti non tornavano. “Io non l’ho insultato! Non ho mai detto che i suoi capelli sono ridicoli, tanto per dirne una, né che forse dovrebbe mettere su un po’ di peso, visto che siamo in argomento, altrimenti rischia di essere portato via dal vento. E, per inciso, non gli ho detto che è uno stronzo, anche se l’ho pensato, né tantomeno che...”
“Sì, va bene: lo detesti!” tagliò corto Kameron, prima che, nella foga di elencare tutto ciò che non mi piaceva di Mark, alzassi troppo la voce facendomi così sentire da tutti, lui compreso.
“Non lo detesto” puntualizzai. “Semplicemente si è presentato nel peggiore dei modi”.
“Chiedendoti se fossi il tuo coinquilino?” mi sfidò divertito.
Inarcai le sopracciglia. Voleva scherzare? “Guarda che lo so che ti sei accorto di quando ti ha chiamato ‘Vaccameron’” gli dissi con un’occhiata severa. “Sei grande e grosso come un carrarmato e ti lasci insultare da quel... – ‘Quel’ cosa? Era magrissimo e aveva in testa una massa informe di capelli biondicci. –...quel dente di leone ambulante?!” conclusi in grande stile.
Kameron mi osservò con un misto di rassegnazione e sorpresa, poi, dopo qualche istante, distolse lo sguardo e scosse il capo. “È facile per te, dirlo”.
Come? Mi schiarii la gola. “No, Kameron, è facile anche per te” gli assicurai. “Perché ti fai mettere i piedi in testa?”
“Ma quali piedi...”
Sbuffai. “In senso figurato!”
Ridacchiò. “Lo avevo capito” rispose. “È solo che tu la fai facile, Dean la fa facile, persino Agatha! Ma non è facile per niente”.
Be’, se lo diceva Dean ero quasi tentata di ricredermi. “Ehi, senti, ascoltami un attimo” esordii poi. “Il fatto è che tu sei troppo buono, ma non hai alcun bisogno di farti insultare solo perché non vuoi offendere a tua volta. Ci sono le occhiatacce, tanto per cominciare!” esclamai, iniziando a elencare le possibilità sulla punta delle dita. “Poi le smorfie e, be’, tu sei grosso, potresti dargli un pugno in teste e accartocciarlo come una lattina. Inoltre...”
Fu la campanella a interrompere il mio elenco. Prima di entrare in classe, gli diedi un pizzico su un braccio e gli sorrisi. “E poi nessuno può pretendere il tuo rispetto, se non te ne porta a sua volta” conclusi.
“Sì, mamma” fu la sua risposta, accompagnata da un’alzata di occhi al soffitto. “Entriamo?”
“Entriamo!” gli accordai, precedendolo poi nell’aula, pervasa da una notevole carica positiva.
E poi mi cadde la mascella.
Indovinate chi c’era già seduto sulla cattedra, con un sorriso smagliante e le mille speranze per il nuovo anno scolastico stampato in faccia?
Matthew McDonnel.
Matthew McDonnel era il mio nuovo professore di spagnolo.
 
 
 
In der Ecke - Nell'angolo:
Buongiorno a tutti! Eccoci finalmente al capitolo 35. 
Prima di tutto, ci tengo a ringraziare di cuore Korat, che si è presa la briga di betare questo capitolo (e questa volta posso dire che è stata una fatica, per lei. :)) Ti ringrazio tanto, hai fatto un ottimo lavoro, meticoloso ed efficiente, dandomi tanti consigli e facendomi notare errori di cui non mi sarei mai accorta da sola. Spero di non averti fatto passare la voglia di betare e che non sia stato terribile come penso sia stato. XD
Non sono pienamente soddisfatta di come ho scritto questo capitolo, ultimamente non mi soddisfa quasi niente di questa storia, ma non per questo mollerò. Ho momenti in cui scriverei quindici capitoli in un'ora e altri in cui mi sforzo come una dannata solo per poter buttar giù qualche riga. Mi succede spesso quando mi concentro troppo su una storia sola - e si avvicina Mr. Mestruo, anche.
Cercherò di impegnarmi per non rovinare proprio la fine della storia, ad ogni modo.
A questo proposito... l'avevo già scritto sul gruppo (Per la barba di Merlino, Pan!), ma lo ripeto qui per coloro che non sono iscritti o a cui è sfuggito il post. Ho fatto una botta di conti e in base alle mie bozze, si arriverà per certo al capitolo 39. A quel punto, però, ne mancheranno davverodavverodavverodavvero pochi alla fine. :)
Basta, sto scrivendo un poema. Spero vi sia piaciuto almeno un po'. Non è un granché, ma c'è qualche novità. ^^,
  
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