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Autore: Antony_    28/08/2012    5 recensioni
La mia storia inizia da una sfida.
Sfida che, stupidamente, ho accettato una noiosa mattinata di scuola.
Con la mia compagna di banco.
Ora che ci penso, quasi tornerei indietro. Quasi.
Avevo promesso qualcosa di pericoloso, estremamente pericoloso e avevo giurato che avrei combattuto per ciò in cui credevo, quello che propriamente, la maggior parte delle persone chiama il proprio ideale, comunque, avrei combattuto e, se fosse stato necessario, sarei morta.
Promessa da coglioni, vero? Me ne accorgo ora, ma ora è troppo tardi.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4

Mi avviai con lui alla sua moto. Quanto era bella. Desideravo guidarla da un bel po'.

-Non ho un altro casco- si scusò.

-Non c'è problema...- 'aspetta, cogli l'opportunità Ronny' -Aspetta, c'è il problema, se non hai il casco guido io-. Sfoderai il mio sorriso più seducente da ragazza ribelle.

Mi fece segno di salire, mi scortò come una principessa. Chissà perché tutti mi trattavano come una principessa, non lo sopportavo. E soprattutto non ne comprendevo il motivo.

Feci finta di niente e salii. Sapevo come guidare una moto, ma una da cross sarebbe stata un'esperienza unica.

Salì anche lui. Il ragazzo che avevo sempre desiderato era seduto proprio dietro di me e io pensavo alla moto.

-Ti faccio vedere come fare- mi disse, mi voltai, i nostri nasi si sfioravano -So come guidar­la- esclamai -Scusa padrona- abbozzò un sorriso.

Io rimasi scherzosamente seria e misi in moto.

Rombai via. Non percorsi la strada di Milano, sapevo dove andare per fare un bel viaggio.

Mentre le fronde degli alberi scorrevano intorno a noi, lui mi posò le mani sui fianchi, si avvicinò al mio orecchio e sussurrò -Sei bravissima-.

Non parlammo più immersi nel silenzio speciale del tuono del motore.

Arrivammo al parco a piedi dopo aver abbandonato la moto lì vicino.

La piadina era calda e fumante nelle nostre mani, avevo preso formaggio e prosciutto cru­do, niente di complicato e velocemente mangiabile, lui anche e ne fui molto felice.

Mangiammo per cinque minuti scarsi e poi iniziammo a parlare bevendo lui una coca-cola e io tè alla pesca.

-Allora, come va con questa scommessa?- la scommessa, già...

-Bene, diciamo... non ci ho ancora pensato molto, è appena stata fatta- scommetto che Cloe è a casa a pensarci, invece.

-Cloe si starà già dando da fare da brava secchiona- leggi nel pensiero?

-Vero... non voglio parlare di Cloe- ammisi.

-Ok, allora parliamo del fatto che è una scommessa inutile, sarà impossibile per te vincere- credeva molto nelle mie capacità.

-Lo conosci il libro Hunger Games? Ne hanno fatto anche il film...- dissi tutto d'un tratto. Annuì.

-La protagonista non ha delle possibilità, eppure gioca, si offre per salvare la sorella più piccola. Io sono la minoranza, io sono la cattiva, la non religiosa, io, però, non lo faccio per me, io lo faccio perché non rinuncerò mai in ciò in cui credo. Perché voglio cambiare qual­cosa in questo mondo, lo faccio per tutti.-

-Soprattutto per te- valutò lui. Aveva ragione, volevo propagare le mie idee. Mie. Feci un segno di resa.

-Però ho capito, quali sono le tue idee? Vorrei ascoltarle, devo ancora decidere da che par­te stare- rise, ma non sembrava uno scherzo, sembrava qualcosa di particolarmente impor­tante, per la prima volta capii che non combattevo solo per me, lottavo anche per coloro che credevano in me.

Parlai tutto d'un fiato, ogni mia parola ne trovava altre, come tasselli di un puzzle e faceva sorgere sentimenti diversi.

Stava attento a quello che dicevo. Il mio non era un blaterare, stavo parlando emozionata.

Io volevo davvero vedere le mie idee prevalere sulle altre, vincerle e urlarle al mondo.

-Sto dalla tua di parte- esclamò infine. -Devo ammettere, però, che sono un po' influenzato da te- disse con un sorriso.

Il mio sorriso, invece, si spense.

-Cosa c'è?- era facile? Era facile stare lì ad ascoltarmi e dirmi che sarebbe stato con me? Era facile prendere una piadina e conquistarmi? Che numero ero io?

Non potevo accettare di essere un numero, un'altra e basta, preferivo amarlo per sempre e rimanere single e soffrire per la vita, piuttosto che avere una storiella in cui tutte le mie fantasie sarebbero state smontate. Il primo giorno di scuola. Niente più puttanelle. Niente più Fabio.

Sapevo di non essere speciale, era un sogno troppo bello nel quale io non mi ero mai lascia­ta trasportare al contrario di tante adolescenti innamorate. Io ero diversa, non speciale.

Un animale sconosciuto, non una tigre delle nevi. Sarei andata avanti. Non riuscivo a spie­garmi come mi fossi lasciata ingannare. Me lo vedevo lì davanti con un'espressione interro­gativa dipinta sul volto e poi vedevo la nostra storia: due uscite al cinema, mille baci, una scopata e fine della storia d'amore.

Non dissi niente, di sicuro non una di quelle frasi tipo: “Scusa, non posso” e se ne andò via piangendo. Mi alzai da terra scrollandomi l'erba dal sedere e dalle gambe, presi lo zaino nero e andai via.

-Ronny! Ma dove vai?- mi corse incontro -Sei sempre stata strana, così mai, però-. Mi bloccai, mi cadde quasi addosso.

-Come scusa?!- strana? Ero strana, aveva ragione. Non aspettando una risposta sgambet­tai avanti.

-Non sono abbastanza per te Ronny?- chiese sprezzante. Per me sei tutto, volevo risponde­re e lo feci. -Allora perché te ne vai?-

-Per questo-.

Restò a fissarmi scappare dal mio amore, dai miei sentimenti. Avrei fatto così anche con la mia battaglia? Sarei scappata, perché con una simile vigliaccheria avrei dovuto correre al­l'istante a farmi suora. Osservavo le mie all star nere muoversi velocemente, fermai un pie­de e lasciai l'altro raggiungerlo. Non ero una vigliacca, strana forse, ma non vigliacca.

Mi voltai. -Ti ho appena detto che per me sei tutto, non è così?-

-L'hai detto- lo guardai correre dov'ero, fu lì in un microsecondo -E io contraccambio-.

Non è vero, abbassai gli occhi e sorrisi di amarezza. -Non ci credi?-

Scossi il capo sempre con la testa china, poi, spontaneamente, la rialzai e lo guardai negli occhi.

-Così mi piaci, sicura come sempre, orgogliosa come sempre e strana come solo tu- passa­rono dei minuti avvolti nel silenzio, un silenzio spaventoso che ti costringeva a riflettere e a fare mille supposizioni.

-Sai da quando mi sono innamorato di te? Ricordi in prima liceo, io ero vicino a Giacomo e tu a Cloe, eri dietro. Tu hai chiesto una cicca a Giacomo. Non mi rivolgevi nemmeno la pa­rola, sembravi una snob, ma sei cambiata in fretta. L'ho visto la prima volta che ho avuto il coraggio di provocarti...- mi ricordavo quella volta, era venuto vicino a me e aveva chiesto “scommetto che vuoi stare vicino a me di banco”, mi guardava negli occhi e pareva sicuro di sé al cento per cento.

Scoppiai a ridere. La tensione scivolò via e cominciò a piovere.

-Quando ridi sei bellissima e ridi sempre- scherzò.

-Ridere fa bene alla salute!- e risi più forte. La pioggia cadeva silenziosa, ma il temporale si prospettava nel cielo. Mi misi a ballare come una matta. In fondo lo ero, no? Ah no, ero... -Pensi ancora che sia strana?- chiesi piroettando.

-Assolutamente, ma forse strana non va bene, che ne dici di inimmaginabile?-

-Troppo lungo!- urlai.

-E pazza?-

-Ah ah, è perfetto- mi fermai barcollando. Camminai verso di lui, assaporando ogni passo, simile ad un ghepardo che prova a catturare la sua preda.

Mi gettai su di lui facendolo cadere. -E' bagnato!- rise.

-Shhh...-.

Le sue labbra... potevo sentire il sapore delle fragole che avevamo mangiato e della coca-cola mista al mio tè alla pesca. Così fruttato e buono. Le labbra morbide e calde che mi ba­ciavano l'anima. Le mani che mi accarezzavano la schiena.

Rotolammo sull'erba non smettendo di baciarci. Lo sentite il profumo di fragola? L'amore mi scoppiava nel cuore come un petardo. Non volevo fermarmi mai, sarei morta baciando­lo, non volevo altro. Solo lui e i lampi sopra di noi. Ecco un tuono, stava urlando il mio amore, la bocca era impegnata e i tuoni le davano voce. Durante quel fragore ci stringem­mo di più, più lo baciavo più lo volevo. Avevo sempre considerato il bacio come uno scam­bio si saliva, ora era la porta del mio amore. Il cuore palpitava fortissimo, come un martello che presto mi avrebbe rotto la cassa toracica. Bum. Bacio. Bum. Tuono. Stretta. Di più.

Il terreno tremava? C'era anche il terremoto? Non importa, voglio morirci qui con te.

-Vi divertite?-.

Fine del momento magico. Le nostre labbra si erano ormai staccate con uno schiocco. Era­vamo ancora distesi, mi girai, la schiena sul prato fradicio. Aveva smesso di piovere e tuo­nare, c'era soltanto uno schifoso grigino sciacquattoso. Grigio come la ragazza che ci aveva interrotti. No, lei era verde d'invidia. Giuro che avrei voluto darle un pugno in faccia.

Mi alzai d'impeto pronta a sferrarglielo, ma Diego fu più veloce di me e mi agguantò il braccio. Storsi le labbra.

-Cloe- disse lui.

-Sei sempre stata un'atea- sibilò in tono sprezzante -ma puttana credevo di no, tu non sei sua! Lui ha già un'altra ragazza!- Che?

-Francesca!- chi?

Ero pietrificata... non si era lasciato con Francesca...?

-Ma che dici? Io l'ho mollata Francesca!-

-Allora non sei una puttana- si rimangiò le parole.

-Cloe, tu sei suonata, grazie comunque per averci interrotti- uffa, proprio non la volevo lei.

-Ma guarda chi c'è là!- Esclamò lei senza far caso a me.

Seguì la traiettoria del suo braccio puntato, Don Franco. Spalancai gli occhi, dovevo filar­mela all'istante, lui mi voleva portare in un riformatorio come minimo dopo che avevo pre­so la sua Bibbia, dove ci stava spiegando l'immondo peccato del sesso, e l'avevo buttata a terra sul suolo polveroso dell'oratorio urlando che era un atto d'amore non un peccato e avevo anche aggiunto un piccolo aggettivo denigratorio...

-Veronica, fermati cara, non abbiamo mai modo di parlare-.

-Chi è?- mi domandò Diego.

-E' uno che mi mette nei casini- risposi.

-Veronica, per la Santa Chiesa, fermati!-. Mi fermai, non obbedendo al suo ordine, ma al mio istinto primordiale di spaccargli la faccia. Guardai verso il cielo e pensai: “Ma se pro­prio dovevi esistere, non potevi non farti conoscere, Dio?”. Tirai un respiro. Gli occhi del parroco mi disgustavano, erano cinici, come quelli del Papa, erano falsi con la loro finta bontà. Opportunisti e anche sadici in un certo senso.

-Veronica, ma da quanto? Ah, sì, dal piccolo incidente con la Bibbia-

-Mi chiami Ronny-

-Veronica- m'ignorò lui -ce n'era bisogno? Una così bella ragazza, come te, comportarsi da disertore dei Testi Sacri e disonorare i nostri amati modi?-

-Sì- risposi semplicemente.

-E tu, hai già compiuto quel peccato?- mi sta chiedendo se ho fatto sesso? Ah ah.

-Questo non la riguarda- dissi gelida.

-Sarebbe una vergogna, poi tu devi essere una femmina fedele-.

Mi montò la rabbia, ora la faccia gliel'avrei spaccata davvero, provai a contare fino a 10, ma niente, non mi trattenni.

-Io sono fedele solo a me stessa, parroco, e io sono una ragazza, non certo una femmina, non certo un animale, se ho fatto sesso o no, poi, sono problemi miei e non è peccato: è il più grande gesto d'amore che si possa fare! Voi categorizzate come peccato qualcosa che fa nascere una nuova vita- mi guardò come se avessi detto un'assurdità, figurarsi, parlare con un religioso è come dire ad una televisione impallata su Gambero Rosso di trasmettere la Champion's League.

-Vergognati, Veronica...-

-Basta, lei non mi può dire di vergognarmi, sono le mie idee e le tengo così, se voi non le volete ascoltare è un problema vostro-

-Voi chi?- chiese con una punta provocatoria. Stava cedendo.

-Voi, bigotti- sorrisi a Cloe -vale anche per te-.

Io le loro idee le avevo ascoltate mille volte ed era così che avevo capito che non mi ero de­dicata alla religione, ma i preti e altri bigotti non mi hanno mai ascoltata e continuano a dirmi che mi dovrei vergognare.

Non mi vergogno di ciò che sono.

-Ah, Don, spero vivamente che lei vada al Diavolo, se lo merita- risi -lo vede quel ragazzo?- indicai Diego, lui lo guardò con la faccia ancora scossa -lo amo da sempre e spe­ro vivamente di fare sesso con lui, prima del matrimonio e lo farò se me la sentirò, io non devo niente a nessuno, lo ricordi bene-.

Diego mi prese la mano e mi baciò, un bacio che mi fece svenire, ma che serviva soprattut­to a dimostrare il nostro amore.

-Vergognati, andrai tu al Diavolo, sei una figlia di Satana-

-Si risparmi le prediche, quelli esistono solo per chi ci crede- feci un sorrisetto furbo e girai i tacchi.

   
 
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