IV
CHAPTER
FOUR
To
the right, to the left.
We
will fight to the death.
To
the Edge of the Earth.
It's
a brave new world, from the last to the first.
____
A destra, a sinistra.
Combatteremo fino alla morte.
Dal confine della terra.
È un nuovo mondo coraggioso,
dall'ultimo al primo.
Il corpo di
Nikolas Paciock è stato
rinvenuto questa notte. Il ventiduenne aveva infranto il Coprifuoco per motivi
tutt'oggi ignoti. La causa del decesso è l'attacco di un Dissennatore.
Parenti e amici si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni. […]
Pagina di
cronaca nera – resoconto a cura di Frederick Dubois.
*
Il primo
ricordo che Albus aveva di Teddy era la sua risata
sguaiata. Se lo ricordava mentre serrava le labbra, sforzandosi di non farlo,
perché, per Merlino, quando si lasciava andare lo sentivano tutti i residenti
nell'arco di cento metri, e il petto – e quello non riusciva proprio a evitarlo
– prendeva a sollevarsi e abbassarsi come se stesse singhiozzando. Rimaneva per
un po' così, scosso da singulti e con la bocca ermeticamente chiusa, poi però
arrivava sempre il rumore frastornante delle sue risa, calde, avvolgenti,
energiche.
Se lo
ricordava così, Teddy, con la camicia rimboccata fino al gomito, gli avambracci
scoperti, i capelli violacei e la cravatta rossa allentata, mentre scendeva dal
treno per Hogwarts col suo sorriso sghembo e una luce negli occhi che non aveva
mai visto in nessun altro.
«Lysander, Lorcan, voi due
pattugliate Brixton. Controllate ogni singolo vicolo,
rivoltatelo da cima a fondo: Rose mi ha detto che hanno visto una Chimera
l'altra notte, potrebbero essercene in circolazione delle altre».
Teddy era
sempre stata una persona esuberante, e aveva continuato a esserlo anche dopo
essersi iscritto a Medimagia, quando tutti si
aspettavano che la sua irruenza sarebbe stata sedata dai compagni di corso –
quelli che si portavano il dizionario tascabile nella tracolla. Le aspettative
di quei tutti che, evidentemente, non sapevano che Teddy il dizionario
lo lasciava a prender polvere a casa e una tracolla non l'avrebbe comperata
nemmeno sotto tortura, erano state ampiamente deluse. Lui era rimasto il solito
ragazzo perentorio, un po' troppo schietto, che si vergognava del proprio amore
per i libri e aveva il vizio del Rum.
«Scorpius,
Rose, stasera pattugliate Nocturn Alley...
Ah, Rose?».
Rose si
fermò accanto al camino, con una manciata di Metropolvere strabordante
dalle mani chiuse a coppa. «Che c'è?»
«Sparare
fatture a caso non è il modo migliore per difendersi» precisò Teddy, accennando
a un libro sul tavolo, accanto alle mappe sparpagliate.
Difesa
contro le Arti Oscure e Incantesimi – Volume I.
A modo suo
era anche premuroso, nonostante ci fosse anche chi l'avrebbe amorevolmente
soprannominato bastardo. Aveva una particolare propensione nel trovare le faccende da
sbrigare più impellenti e al contempo fastidiose, che, oltretutto, annunciava
provando un'innata soddisfazione.
Rose si
raggelò. «Stai scherzando, vero? Dimmi che stai scherzando».
Teddy
raccattò le carte e le impilò una sopra l'altra, mettendole da parte e distendendo
una mappa fitta di linee e parole abbozzate con una calligrafia incerta.
«Fa' come
dice Scorpius, almeno lui ha aperto un libro in diciassette anni e mezzo di
vita».
Rose si
morse la lingua e arpionò il braccio del proprio – sventurato – compagno, con la
stizza che trasudava dalla stretta ferrea. «La prossima volta che mi ritroverò
davanti a quella sottospecie di Capra Leone gli tirerò in testa uno dei
vostri preziosi libri».
«Non trovi
che leggerlo potrebbe rivelarsi un impiego più utile?»
«No, penso
proprio di no».
«Sai cosa
penso io? Penso che devi risparmiarmi una seccatura e andare ad ispezionare
anche la casa di quel membro del Wizengamot, Adam
Miller».
In quegli
anni Teddy era rimasto un ragazzo burbero, stronzo come quando aveva sedici anni
e con gli ormoni in subbuglio, ma aveva smesso di ridere in quel modo: giorno
dopo giorno, attimo dopo attimo, la scomparsa della sua risata era stata tanto
graduale da risultare impercettibile. Così s'era inasprito e, poco alla volta,
trasformato in una specie di comandante, mezzo stratega e mezzo allenatore,
flessibile come il palo di una staccionata. E ora sarebbe peggiorato. Catastroficamente
peggiorato.
«Sei
sicuro, Teddy?» s'intromise Scorpius, rimasto in silenzio fino ad allora. «Il
Ministero...»
«Il
Ministero tiene d'occhio me e James. Voi due non siete ancora sotto torchio: approfittatene».
Alzò il capo dalle carte, facendo rimbalzare lo sguardo da Rose a Scorpius, da
Scorpius a Rose. «Al minimo segno di pericolo, andatevene via».
Rose
mugugnò qualcosa a proposito del suo odio
spassionato nei confronti delle Missioni Burocratiche, quelle in cui
doveva annotare una sfilza di appunti per Harry e Teddy, ed entrò nel camino,
seguita da Scorpius.
«Tienila
d'occhio!»
La
raccomandazione di Teddy, coperta dalla secca pronuncia della loro
destinazione, si perse in una nuvola di pulviscolo verde.
Quando i
fratelli Scamandro se ne andarono, l'unica cosa
sensata che Teddy pensò di fare fu rintanarsi in soffitta con Albus.
Quel posto
puzzava di rancido e legno marcio, e proprio per questo non rischiavano di
incontrarci qualcuno. Non voleva pensare a niente: né a Nik,
né a James, né a Rose – quella ragazza si sarebbe fatta ammazzare, prima o poi
–, e Albus incarnava la distrazione perfetta. Il
fatto che, al contrario, per Albus lui fosse tutto
tranne che una distrazione era l'unico dettaglio che stonava: è difficile
sgomberare la mente quando i crucci della persona che si sta palpando sono
tanto asfissianti. A maggior ragione se la persona in questione ha gli occhi
sbarrati e non la smette nemmeno per un secondo di fissarti.
Cinque
minuti, diciassette occhiate e trentaquattro sospiri di disapprovazione dopo,
Teddy lo scostò bruscamente.
«Così non
va» sbottò, rotolando fino al bordo del vecchio materasso cigolante su cui
stavano pomiciando come due ragazzini alle prime armi. E Albus
lo era, un ragazzino, ma Teddy non più.
Albus si lasciò cadere a peso morto, coprendosi il volto con le mani.
«Soggetto,
Teddy, soggetto» sbuffò laconico.
«Continui a
fissarmi, maledizione!»
«Quindi
sarei io a non andare?»
«Non... »
Teddy si umettò le labbra e distese le palpebre, la fronte, le sopracciglia.
«No, Al, no».
«Vuoi
parlare di Nik?»
«No»
lo interruppe con troppa enfasi – rabbia. «Non voglio. Cazzo, complimenti»
sibilò poi, inarcando la schiena per poter allacciare il bottone dei jeans. «Mi
hai rovinato gli unici dieci minuti in cui potevo almeno provare a pensare ad
altro».
«Solo dieci
minuti? Mi offendi».
«Non sono
in vena».
«Strano, di
solito sei tu quello ironico».
«E a te da
fastidio, o sbaglio?»
«Perché hai
dei problemi con la tua omosessualità?»
Teddy
rimase spiazzato per un momento, il tempo necessario per capire cosa gli avesse
realmente domandato.
«Cosa
diamine c'entra?»
Albus era rimasto sdraiato, con lo sguardo puntato sulle travi del
soffitto. Aveva gli occhi verdi e i capelli scuri, spettinati; assomigliava
così tanto ad Harry che a volte Teddy aveva l'impressione di baciare il proprio
padrino – e il pensiero era ben lontano dall'essere piacevole. Era
obiettivamente carino, forse aveva un'aria da secchione con quegli occhiali che
portava quando doveva leggere, ma rimaneva comunque carino. Eppure, per quel
che ne sapeva, non aveva mai avuto una ragazza. Oppure non l'aveva mai voluta,
ipotesi più verosimile e, per un certo verso, anche più rassicurante. Anche se
questo, Teddy, non l'avrebbe mai ammesso.
«Sto
cercando di fare conversazione, visto che ogni volta che ci vediamo non
spiccichiamo neanche due parole» rispose atono, continuando a guardare il
soffitto.
«Sei fuori
luogo».
«Non sono
la tua puttana personale, Teddy. Non mi puoi chiamare solo quando hai bisogno
di una bambola gonfiabile con cui giocare».
«E parlare
del mio orientamento sessuale ti farebbe sentire meglio?»
«Parlare
mi farebbe sentire meglio. Vuoi discutere di Quidditch? Perfetto. Preferisci la
cronaca nera? Non è di certo un argomento felice, ma se è quello che vuoi...»
Teddy
sbatté la mano contro il muro e i gingilli – souvenir dei viaggi di zii e nonni
– posti precariamente su una mensola traballarono, la miniatura di una scopa
s'infranse sul pavimento.
«Sai cosa
significa baciare finalmente la ragazza che desideri da una vita e renderti
conto di non provare niente? Niente, niente di niente. Toccarla e capire
che quello che stai facendo è innaturale? E fingere, fingere, fingere...
Costruire un castello di carte con tutte le menzogne dette, vederlo crollare e
ogni maledettissima volta e ricostruirlo con un'altra ragazza, e un'altra,
e un'altra ancora... Fino a capire che il vero problema non sono Victoire, Kate o Madison».
«Non c'è
niente di sbagliato in te» lo interruppe Albus,
scattando seduto. «Non c'è niente di sbagliato in noi. L'hai detto tu stesso: è
più innaturale smanacciare Victoire – o chi
per lei – che un ragazzo».
«Lo so, ma
devi capire che non tutti la prendono con la tua stessa filosofia».
«Sono gay,
mica in punto di morte. Non è la fine del mondo, potresti anche dirlo a
James...»
«Cosa?»
strillò Teddy. «Così lui lo direbbe a Dominique e, nel caso in cui non te lo
ricordassi, Victoire è sua sorella!»
«Non credo
che James si lascerebbe sfuggire il fatto che il suo migliore amico è
dell'altra sponda così facilmente!»
«Non si sa
mai. Diventa strano quando si tratta di Dominique, non ragiona».
«Uhm». Albus si distese di nuovo, sostenendosi il capo con la
mano. C'era una celata sfumatura di preoccupazione in quel mugugno. «James ha
iniziato a ragionare solo da un anno a questa parte».
«James non
ragiona ora. Ragionare significa anche ascoltare, e lui è sordo».
«È solo
prudente».
«No, Al, è
sordo e cieco, ma sfortunatamente non muto. Lui non sente quello che gli dico e
non vede ciò che gli accade davanti agli occhi, però continua a lamentarsi. Lo
preferivo prima dell'arrivo di Dominique».
«Non penso
che lei c'entri più di tanto nel suo cambiamento».
«Pensavo di
spedirla in Francia da sua sorella. Lì sarebbe al sicuro e non distrarrebbe
James».
«Come sei
melodrammatico. Non arriveremo mai a tanto».
«Non mi
piace tua cugina, Al, lo sai. Non mi hanno mai incantato le creaturine
come quella».
«Davvero?»
lo irrise Albus. «Se la guardi bene, ti accorgi che
Dominique è la copia sputata di Victoire».
«Al, Al,
Al...» sbuffò Teddy, con aria accondiscendente. «Hai la memoria breve? Ti ho
appena detto che mi faceva schifo farmi Victoire, più
di questo che vuoi? È già tanto essere posto un gradino sopra a una che ha
sangue Veela che scorre nelle vene». Allungò le dita
fino ai passanti della sua cintura, e lo strattonò un po' più vicino. «Ora,
possiamo ritenere la seduta psicologica conclusa e riprendere da dove eravamo
rimasti?»
Albus si lasciò spostare mollemente, senza opporre resistenza. «Tanto
per la cronaca, non credere che non mi sia accorto che mi hai rifilato la
dichiarazione di Tyler in American troubles* cambiando solo i nomi».
«Quarta
stagione, ottavo magifumetto*: il migliore».
*
«È la prima
nevicata della stagione».
I fiocchi
cadevano fitti, soffici, ma si scioglievano nelle pozzanghere e nella
fanghiglia prima di poter coprire la terra ancora smossa, e inzuppavano i
cappucci e le spalle dei cappotti: per essere neve, era decisamente annacquata.
Dominique
si strinse nel mantello, incassando il collo nelle spalle per coprirsi il viso
col colletto del maglione. Sarebbe voluta andare via dal cimitero il più in
fretta possibile – quel posto le metteva i brividi –, eppure James la teneva
ancorata lì, al fianco di quella tomba dove, al posto di una lapide, vi era
conficcata una lastra di legno incisa grossolanamente, una di quelle
provvisorie. Dopotutto, nessuno se lo aspettava. O forse sì, però tenere una
scorta di pietre tombali in soffitta doveva portare decisamente sfortuna.
E non
avevano di certo bisogno che la Sfortuna avesse un occhio di riguardo per loro.
«Hai
freddo?» le chiese James, squadrandola dalla testa ai piedi, come se il solo
tremore non fosse un sintomo già abbastanza evidente.
Dominique
si morse la lingua. C'erano sì e no dieci gradi, un vento tutt'altro che
piacevole che frustava la pelle scoperta, la neve che s'insinuava tra le toppe
dei vestiti e lei di certo non era Big Foot,
con diversi strati di pelliccia e tenerla calda, quindi sì, era palese
che avesse freddo, ma quello non era né il momento, né il luogo in cui fare del
sarcasmo.
«Andiamo a
casa?» si limitò a balbettare, sforzandosi di non battere i denti. «Non mi
sento più le dita dei piedi».
«Ti
accompagno e poi ritorno qua».
«Jamie...
per favore».
«Ci
metteremo un attimo, Dom».
«Jamie...»
«Neanche a
me piace Materializzarmi, però è il modo più veloce per muoversi».
«Non è per
quello, Jamie. Per favore, andiamo via. Tutti e due, insieme».
Una folata
di vento colpì il cimitero, i marmi secolari, la pelle arrossata del loro viso. Le
foglie marce erano disfatte sul sentiero, mischiate al pantano e alla ghiaia e
solcate da orme di scarpe da tennis e galoches; i
rami degli alberi rinsecchiti creavano ombre spigolose e scure sul prato
incolto: un quadro degno della notte del trentun ottobre.
La
inquietava quel posto, le dava la sensazione che un branco di creature bavose e
strepitanti potesse spuntare all'improvviso da dietro l'angolo: voleva
andarsene in fretta di lì.
James
spostò il peso da un piede all'altro, dondolandosi leggermente, e cacciò le
mani nelle tasche dei pantaloni. «Tre righe sul giornale» soffiò, abbassando il
capo. «Lui... fino all'altro ieri dormiva nel letto accanto al mio, e ora...
ora quel letto è vuoto. Mi sveglio di notte e non ci credo ancora. Come faccio
a metabolizzare il fatto che del ragazzo con cui ho passato gli ultimi sette
anni della mia vita sia rimasto solo un trafiletto sulla Gazzetta?»
Lo disse
piano, come se dovesse assimilare lui stesso le proprie parole, senza
distogliere lo sguardo dalla lapide.
Dominique
posò la fronte contro la sua spalla, le mani strisciarono lungo il suo
mantello, e le nocche arrossate e le unghie bluastre si avvinghiarono attorno
all'orlo del collo del maglione.
«Mi
dispiace» mormorò. «Mi dispiace tanto, Jamie».
«Anche a me
dispiace».
«Andiamo a
casa. Magari non subito, se non te la senti. Possiamo fare una passeggiata nei
dintorni. Abbiamo un paio d'ore prima che faccia buio».
«Non ne ho
voglia. Trovo deprimenti tutti quei negozi transennati, la gente che corre a
destra e sinistra come formiche...»
«Okay, possiamo
rimanere ancora un po'. Ma solo un po', se no divento un cubetto di ghiaccio».
«... disse
colei che fino all'anno scorso se ne andava in giro con un maglioncino di
cotone a gennaio inoltrato. Da quando soffri il freddo?»
Dominique
si allontanò di qualche passo, quindi incespicò su una panchina. «C'è una
temperatura polare: non mi stupirei di incrociare qualche pinguino!»
«Dicembre
si avvicina, non ti puoi aspettare trentacinque gradi all'ombra».
«Sì, ma ciò
non toglie che si crepi comunque dal freddo».
«Dominique
Weasley, un po' di freddo non ha mai ucciso nessuno».
«James Sirius Potter, se facciamo a gara a chi ha il nome più
altisonante, sappi che mi hai già stracciata in partenza».
«Dicono che
porti fortuna avere il nome di persone morte, sai?»
«Ah, beh,
io avrei detto che portasse sfiga. Insomma, c'è... c'è... Ma che diamine è
quella roba?»
James si
voltò, appena in tempo per intravedere un leggero banco di nebbia
farsi strada tra le vie lastricate del cimitero.
«Ora ci
mancava pure la nebbia...»
James
afferrò Dominique per la vita e la fece scendere dalla panca con ben poca
delicatezza.
«Jamie,
c-cosa...»
«Dissennatori».
Era
pomeriggio. Pomeriggio, pomeriggio, pomeriggio.
Doveva
essere diventato paranoico, sperava con ogni fibra di se
stesso di essere diventato paranoico. I Dissennatori
non attaccavano di giorno, non l'avevano mai fatto. Perché mai, dopo quasi
quattro anni di assalti notturni, avrebbero dovuto iniziare ad uscire alla luce
del sole proprio quel giorno?
James
rallentò un poco il passo, fessurizzando gli occhi
per riuscire a vedere oltre la neve che cadeva ormai a fiotti: oltre i
cipressi, a qualche metro dalla siepe che delimitava l'entrata del cimitero,
una macchia scura si faceva sempre più vicina.
Prima che
potesse dire niente, una sottile lastra di ghiaccio coprì l'asfalto sotto ai
loro piedi, incollando la suola delle scarpe a terra.
Quella
doveva essere colpa della neve, del cambiamento climatico: i Dissennatori non potevano ghiacciare le strade. Portavano
con sé un po' di freddo, ma non gelavano l'asfalto.
«Oh,
cazzo...»
A meno che
non se andassero in giro in compagnia, a decine.
«Jamie...»
James si
guardò attorno. Non potevano Smaterializzarsi, il cimitero era protetto. Le
cancellate erano alte – troppo per poter essere scavalcate –, in ferro
battuto, costeggiate da siepi di due metri e mezzo: avrebbe potuto bruciare la
siepe, causare uno di quegli incedi che vanno a finire sulla Gazzetta la sera
stessa, e sfondare le sbarre in qualche modo, magari con un Bombarda Maxima. Forse avrebbe funzionato, forse no.
Tempo, non
aveva abbastanza tempo.
«Jamie!»
Trentatré,
approssimativamente. Li aveva contati in fretta, a due a due, indietreggiando
di qualche passo man mano che la cifra aumentava. Suo padre gli aveva
raccontato di essere riuscito a respingerne tanti – non aveva
specificato quanti, però –, ma James non era Harry Potter, il ragazzo
sopravvissuto, colui che aveva ucciso Voldemort e
messo fine a un'era segnata dal terrore. Non era capace neanche lontanamente in
grado di evocare un Patronus che avrebbe protetto sia
se stesso che Dominique da trentatré Dissennatori.
Avrebbe
dovuto farsi spiegare da suo padre come aveva fatto, a cosa aveva pensato.
«JAMIE!»
Dominique si aggrappò al suo braccio. La sua voce doveva essere acuta, forse
disperata, ma James la percepì come ovattata. «Cosa diamine facciamo, Jamie? Cosa
diamine facciamo?!»
James non
ne aveva idea: per quel che ne sapeva al momento, l'ipotesi più accreditata li
dava per morti in quel cimitero. Ma questo, a Dominique, non poteva di certo
dirlo.
«Jamie, per
Merlino!»
James lo
sapeva che Dom era troppo piccola per certe cose, lo sapeva che suo padre non
avrebbe dovuto permetterle di entrare nell'Ordine, lo sapeva, cazzo, che prima
o poi le sarebbe successo qualcosa. Sapeva anche che si sarebbe fatta male per
colpa sua: quella sensazione che lo accompagnava ogni volta che usciva con
Dominique era un presagio, un monito, e lui non l'aveva ascoltato. Stupido,
stupido, stupido.
Quando la
sentì scoppiare a piangere avrebbe voluto dirle: «Mi dispiace, non volevo
finisse così». Non lo fece, non ne ebbe il coraggio.
Come si può
dire a una ragazzina che sta per morire? Come poteva, James, dire a Dominique –
Dominique, non una qualunque: l'aveva vista crescere, sua cugina, ed era
cresciuto insieme a lei – che di lì a qualche minuto il suo cuore avrebbe
smesso di battere? Niente ragazzo, niente primo bacio, niente prima volta,
niente lavoro, niente famiglia: niente futuro, niente di niente. Nero, vuoto.
Strofinò il
palmo della mano destra contro i pantaloni e impugnò la bacchetta, poi prese la
mano di Dominique.
«Quali
incantesimi ti riescono bene?»
«N-non so» balbettò Dominique. «Non me ne viene in mente
nessuno. Ho paura, Jamie, ho paura».
James posò
le mani sulle sue spalle e la scosse debolmente. «Concentrati, Dom, concentrati
e andrà tutto bene. Sai padroneggiare uno Stupeficium?»
«Sì, ma non
serve a niente coi Dissennatori!»
«Infatti
non lo userai contro di loro». James si abbassò alla sua altezza, assicurandosi
che Dominique fosse lucida, che lo stesse ascoltando attentamente, e indicò la
cancellata del cimitero. «Dovrai Schiantare quelle sbarre. Qualsiasi
cosa succeda, non ti voltare. Non importa se mi sentirai urlare, se quell'orda
di Dissennatori mi verrà addosso o quant'altro: tu
non ti voltare. Hai capito?»
Dominique
singhiozzò più forte. «No, Jamie, non puoi...»
«Dom,
guardami». Le alzò il mento con due dita e piantò gli occhi nei suoi. «Ti fidi
di me?»
«Non è
questione di fiducia, Jamie, non ti lascerò morire così! No!»
«Rispondi».
«James, ci deve
essere un'uscita secondaria!»
«Non c'è,
Dom, siamo circondati da quella cancellata. Quindi ora fa come ti dico, per
favore».
«No, no,
Teddy sa che siamo qui...»
«Non se ne
accorgerebbe in tempo, Merlino! Prima d'ora i Dissennatori
non avevano mai attaccato di giorno. Dom, guardami, non piangere». Catturò con
la punta del pollice una lacrima. «Ti fidi?»
«Ciecamente,
ma...»
«Allora
corri più veloce che puoi, ti porterò via di qui».
James non
credeva a quello che aveva appena detto, ma l'importante era che lo facesse
Dominique.
*
«Harry?»
Teddy batté
debolmente le nocche sulla porta socchiusa ed entrò nello studio, senza
attendere una risposta.
Harry sbuffò,
infastidito, e ingoiò un sorso di un liquido giallognolo dall'odore
pestilenziale, poi poggiò il bicchiere sulla scrivania e si lasciò cadere sulla
poltrona.
«Qualcosa
non va, Teddy?»
Teddy si
appoggiò alla scrivania, evitando magistralmente l'occhiata di disappunto del
padrino. «Voglio sapere cosa sta succedendo. Subito. Non domani, tra un
mese, un anno o quando cazzo crederai che sarò pronto. Ora».
Harry
contrasse le dita, lunghe e nodose come quelle di un vecchio. Aveva tolto tutti
gli specchi da casa: non voleva vedersi ridotto nello stato penoso in cui si
era ridotto. «Modera il linguaggio» lo ammonì. «Non mi sembra il cas...»
«Non me ne
fotte niente del linguaggio! Fin'ora ho aspettato, ho spalato tutta la merda
che ci hai buttato addosso e ho fatto finta di niente. Ma non posso più andare
avanti così, non ora che Nik è morto! Cazzo, freddato
in un vicolo, e non so neanche perché lo hanno ammazzato! Ho scelto io
di andare con lui e James, sono stato io a volerlo con me: era sotto la mia
fottutissima responsabilità».
«Non è
colpa tua».
«Non ho mai
detto che fosse colpa mia. Dico solo che voglio sapere cosa sta succedendo
veramente. Non mi bevo la storia dei Dissennatori
sfuggiti dal controllo del Ministero, non sono un idiota».
«Questa è
l'unica spiegazione plausibile, al momento».
«E allora
cosa c'entra Weber? Sento te e Ginny che ne parlate spesso: perché?»
«Teddy,
smettila. A tempo debito ti dirò tutto, ma non adesso. Sei sconvolto».
«Ora
è giunto questo fantomatico tempo debito».
«Se ti
dicessi quel che so – cosa che, per inciso, non ho alcuna intenzione di fare –
rimarresti estremamente insoddisfatto».
Teddy
attraversò la stanza fino a piazzarsi davanti a lui, e lo prese per il bavero
della camicia, forzandolo ad alzarsi.
«Levami le
mani di dosso, Teddy» sillabò Harry lentamente, ostentando un tono di voce
neutro, troppo per uno che, con ogni probabilità, sta per prendersi un pugno in
faccia. «Non fare niente di cui potresti pentirti».
«Io
sto con quei ragazzi tutto il giorno, io li spingo a superare i loro
limiti, io li porto d'urgenza al San Mungo quando qualcosa va storto! E
non so neanche perché lo faccio. Perché tu dici che è la cosa giusta?
Non ho più ventidue anni e la foga di fare l'eroe, non sono più un coglione che
si beve ogni sillaba che esce dalla tua bocca. Per cosa stiamo combattendo
davvero? Perché non ti stai sbattendo per capire perché Nik
è morto? Cazzo, ma da che parte stai veramente? Non me ne fotte niente se sarò insoddisfatto!»
Teddy serrò la stretta attorno al suo colletto, per poi scioglierla e spingere
Harry sulla poltrona. Gli diede le spalle e tirò un calcio al divano, facendolo
slittare contro la parete. «Quindi ora, Harry, mi dirai tutto quello che c'è da
sapere. Immediatamente».
Il problema
di Teddy era sempre stato quello: non riusciva a rispettare la gerarchia. Non
capiva che se gli si taceva qualcosa, era perché non si riteneva necessario che
lo sapesse: Harry sapeva quello che faceva sin da quando aveva undici
anni, e non gli sembrava di aver mai deluso le aspettative di nessuno. Era
riuscito laddove molti prima di lui avevano miseramente fallito, aveva ucciso
il mago oscuro più potente di tutti i tempi, mentre ora stava cercando di
vederci chiaro nella faccenda dei Dissennatori. E
l'unico modo per farlo, ovviamente, era indagando.
«Con questo
tuo stupido gesto ti sei giocato tutto» sibilò Harry, dopo aver preso la
bacchetta dal tavolino da tè accanto alla poltrona. «Sei più immaturo di un
bambino. Che credevi di fare? Di picchiarmi a sangue e sperare che ti dicessi che
succede davvero là fuori? Credevi davvero che avrei cantato come un uccellino?
Oh, ma certo! Pensavi che ti avrei svelato le mie teorie su Weber! Già, mi pare
giusto: l'aiuto di un ragazzo egocentrico, egoista e avventato è quello che mi
serve».
Fu un attimo,
un movimento troppo rapido perché Harry potesse accorgersene: Teddy sfilò la
bacchetta da un passante dei pantaloni e gliela puntò contro.
«Parla.
Subito».
Harry fu
certo che, se qualcuno non si fosse Materializzato in salotto, Teddy non
avrebbe esitato a scagliargli contro un Imperio.
Note varie ed eventuali
Ecco qua il quarto
capitolo.
Beh, al solito
interrompo sul più bello *schiva i pomodori*, ma non prendetevela con me: è colpa di The
Vampire Diaries e tutti quegli altri stupendi
telefilm che fanno questo scherzetto. Sono una povera vittima contagiata.
Bon, veniamo alle note
vere e proprie:
-
American troubles è una serie fittizia di mia invenzione
composta da varie stagioni. Ho pensato che nel mondo magico ci fosse una sorta
di corrispettivo del nostro fumetto con le immagini animate, ma, al solito,
sono solo congetture elaborate dalla mia testolina.
-
Visto che Harry e Hermione nel settimo libro non si Materializzano
direttamente nel cimitero, ho pensato che questi fossero soggetti a un qualche
tipo di protezione.
-
Forse
non tutti l’avrete notato perché, nelle storie sulla NG, è alquanto insolito
come avvertimento, però è presente l’OOC. Non riguarda ovviamente i
personaggi della New Generation, bensì Harry, Hermione e Ginny. Più in là sarà
motivato, ma sempre di OOC si tratta.
-
Ho
cambiato font e impaginazione. Come scoprirete andando più avanti, sono una
maniaca dell’html XD Ho inoltre deciso che, man mano che posterò i capitoli
successivi, eliminerò le note d’autrice dei passati per una questione di
ordine. Nell’epilogo saranno poi postate tutte.
Grazie a tutte coloro
che hanno commentato o semplicemente letto! Leggere le vostre recensioni mi fa
veramente piacere.
Alla prossima,
Seph