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Autore: Neko no Yume    22/09/2012    2 recensioni
Un'accozzaglia di case multicolore a cui qualcuno ha dato il nome di Skjiord.
Un ragazzo che ama il rumore delle mareggiate.
Un uomo che viaggia da troppo tempo.
Mentre le sterne migrano instancabili.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alla lunga, ci si poteva anche abituare.
Era questo ciò di cui Hibari stava cercando di convincersi, pomeriggio dopo pomeriggio.
Dino non gli aveva più chiesto di portarlo da qualche parte, ma ogni tanto gli capitava di vederlo passeggiare per le vie del villaggio con il solito quaderno sotto braccio e l'aria allegra.
Sembrava aver fatto amicizia con la maggior parte degli abitanti, specialmente coi proprietari dell'unica, sgangherata pensione della zona, i Sawada.
Non che la cosa lo sorprendesse, del resto quella pensione era sempre mezza vuota e alcune stanze erano occupate da anni da abitanti di Skjiord a cui piaceva la cucina della signora Sawada.
In quel paesino le cose non andavano decisamente come avrebbero dovuto, ma data la sua popolazione di erbivori senza speranza era un miracolo il solo fatto che, in qualche modo, queste cose continuassero ad andare da qualche parte che non fosse lo sfacelo.
Ad ogni modo, gli unici momenti in cui doveva realmente sorbirsi la compagnia dell'altro erano quelli che trascorreva sul tetto del faro.
Ai quali, si ripeté per l'ennesima volta con flebile convinzione, avrebbe anche potuto abituarsi.
Il guardiano era seduto a pochi metri da lui, il quaderno aperto sulle gambe e la penna in mano.
Kyoya aveva imparato suo malgrado a riconoscere le sfumature della sua perenne espressione spensierata e sapeva che nei momenti in cui disegnava arricciava le labbra o le mordicchiava nervosamente, mentre gli occhi si riducevano a due fessure cariche di concentrazione.
Quando lo vedeva così, il ragazzo sapeva di potersi permettere di abbassare la guardia e lasciarsi cullare dal suono del mare e lo scrivere della penna sulla carta ruvida.
Tutto sommato era rilassante, almeno finché continuava a sentire Dino disegnare, cosa che aveva appena smesso di fare.
-Mmh, non sono molto convinto-, lo sentì borbottare tra sé e sé -Hey, Kyoya! Che ne pensi?-.
Gli occhi avevano ripreso la loro invadente lucentezza, purtroppo.
A Hibari sfuggì un sospiro rassegnato mentre si preparava a rivestire come al solito il ruolo di giudice degli schizzi dello straniero e afferrava di malavoglia il quaderno.
Sulla pagina, disegnato di traverso, c'era un uccello dall'aria familiare vergato con pochi tratti nervosi, forse per dare l'idea che stesse volando.
Kyoya inclinò la testa, vagamente perplesso e allo stesso tempo seccato dal non riuscire a capire cosa gli ricordasse il volatile.
-È una sterna artica-, spiegò il guardiano con un sorriso -O anche sterna paradisea. Da queste parti si dovrebbero vedere tra poco-.
-Periodo di migrazione?-, nel tono di Hibari c'era un'impercettibile nota di curiosità sotto i vari strati di scetticismo e freddezza.
-Oh, sì! Tra gli uccelli sono quelle che compiono la migrazione più lunga, da un polo all'altro-.
La voce di Dino si perse nel vento carico di salsedine, mentre lo sguardo si perdeva tra ricordi irraggiungibili.
A volte capitava che si perdesse in quel modo, sommerso dalla marea di tutto ciò che aveva visto e i chilometri che aveva percorso chissà per quale motivo, e Kyoya si sentiva attanagliato dall'istinto di toccarlo per assicurarsi che fosse ancora lì.
Durava solo un attimo, per fortuna, altrimenti si sarebbe probabilmente picchiato da solo per aver pensato una cosa del genere.
-Ormai credo di aver viaggiato quanto una di loro-, ridacchiò il Cavallone, questa volta quasi con orgoglio.
-Perché?-, si limitò a chiedere l'altro, un sopracciglio inarcato nel tentativo di capire e gli occhi penetranti fissi su di lui.
-Oh, non pensavo ti interessasse del mio passato-.
Hibari gli rifilò un pugno sulla spalla, senza smettere di scrutarlo.
-Non voglio lasciare il mio faro nelle mani di un criminale in fuga, stupido erbivoro-.
-Non sono un criminale in fuga! Avevo solo bisogno di allontanarmi un po' da... Beh, da casa-.
Se c'era qualcosa in cui Kyoya era esperto che non fosse riempire di ecchimosi la gente, era fiutare la paura negli altri, forse perché ne instillava lui stesso.
In quel momento avrebbe giurato di aver avvertito una punta di paura nella voce di Dino, la stessa che l'aveva fatto impallidire al porto.
-E quei tatuaggi li hai fatti in viaggio?-, decise di cambiare argomento nel tentativo di non collezionare spunti per gettarlo giù dalla scogliera.
-No, li ho fatti quando ero un ragazzino in fase di ribellione-, ammise con aria per niente contrita lo straniero -Mio padre mi inseguì per tutto il paese sventolando la scopa, non fu affatto carino-.
A Hibari sfuggì un ghigno divertito, che venne immediatamente soffocato con un colpo di tosse.
Per un po' rimasero in silenzio, cullati dalla marea e persi ognuno nei propri pensieri, poi il Cavallone tornò a ubbidire al suo istinto primario di presenza invadente e gli si accovacciò vicino.
-Ti va di mostrarmi il bosco, eh?-.
Kyoya si concesse un istante per trapassarlo da parte a parte con lo sguardo, le labbra storte in una smorfia irritata mentre cercava di capire cosa ci fosse che non andava nelle capacità cognitive del suo interlocutore.
-Cosa ti fa pensare che mi vada di portarti a passeggio per la foresta?-, sibilò, scandendo le sillabe dopo essere giunto alla conclusione di trovarsi alle prese con un cretino.
-Che ti vada o meno non importa, me l'hai promesso!-.
-La promessa si limitava al paese, erbivoro imbroglione-.
-Ma il bosco fa parte dell'anima di Skjiord, vi rifornisce di cibo e ossigeno, quindi la promessa si può estendere-.
-... Anche se venissi con me, non riusciresti a vedere niente-, provò a obiettare Hibari spazientito -Sei troppo rumoroso e faresti scappare gli animali-.
Dino unì le mani davanti al viso e gli scoccò un'occhiata implorante, che gli fece guadagnare un tentato calcio in pieno viso schivato per un soffio.
-Prometto che non aprirò bocca-, dichiarò portandosi una mano al petto -Tsuna mi ha detto che sono abbastanza fortunato potrei incontrare qualche riccio-.
Kyoya si ripromise mentalmente di farla pagare al Sawada per aver dato all'altro quella pessima idea.
Sapeva che, per quanto si fosse rifiutato di accontentarlo, lui avrebbe continuato ad assillarlo finché non si fosse arresto e questo significava perdere anche l'esiguo ritaglio di calma che riusciva a trovare al faro.
-Non puoi andarci da solo?-, fece un ultimo tentativo, la voce già venata di rassegnazione.
-Mi perderei, ho un pessimo senso dell'orientamento-.
-Ma se sei una specie di vagabondo-.
-Appunto! Vago a caso, non presto attenzione alle strade-.
Il ragazzo si concesse uno sbuffo esasperato mentre si chiedeva quante altre scuse avrebbe dovuto sentire prima di capirci qualcosa, poi si alzò in piedi e si strinse nella felpa, tirandosi il cappuccio sul capo.
-Bene, facciamo in fretta-, bofonchiò come se ogni parola gli costasse uno sforzo immane.
Il Cavallone si concesse una risata entusiasta e rimase seduto ancora un istante, gli occhi scuri che seguivano il profilo di Hibari con un'espressione che non gli aveva mai visto.


In previdenza del voto di silenzio che avrebbe dovuto mantenere nel bosco, Dino non smise un attimo di canticchiare canzoncine nella sua lingua madre o sfornare storielle sui suoi viaggi, finché non si ritrovò a dover bloccare col palmo della mano una gomitata poco amichevole diretta alle sue costole.
-Ah, siamo arrivati!-, glissò con una risatina nervosa -Mi cucio la bocca-.
Kyoya si limitò ad alzare gli occhi al cielo e scansare con malagrazia la mano, per poi inoltrarsi tra gli alberi.
Forse era l'avere finalmente la mente sgombra dalla parlantina dell'altro, ma il silenzio della foresta gli sembrava più avvolgente del solito.
I passi di entrambi sprofondavano nei cespugli di muschio verde e una nebbiolina fresca offuscava i contorni dei tronchi chiari delle betulle incrostate di licheni azzurrini.
Il ragazzino sfiorò distrattamente un ramo, voltandosi per controllare che l'altro lo stesse ancora seguendo e si ritrovò a strusciare la punta del naso contro la sua giacca.
Trasalì impercettibilmente, con l'intenzione di pestargli un piede a dovere, quando un movimento improvviso attirò la sua attenzione, un lieve frusciare che non avrebbe dovuto esserci.
A pochi centimetri dalle sue scarpe c'era il nasino umido di un riccio che, appena si accorse di loro si chiuse immediatamente in se stesso.
Hibari si portò un dito alle labbra in un gesto eloquente, poi si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un pugno di briciole di pane che lasciò cadere davanti all'animale.
Attese, accovacciato sul muschio umido, che lui fiutasse il cibo e nel frattempo si concesse di soffermarsi sul respiro di Dino.
O meglio, sul fatto che in quel momento non riuscisse a sentirlo, evidentemente lo stava trattenendo per paura di spaventare il riccio semplicemente con un respiro più brusco del normale.
Dopo qualche istante, il muso allungato tornò a fare capolino dagli aculei e l'animaletto si gettò sulle briciole con gli occhi che brillavano.
Il Cavallone si azzardò ad avvicinarsi e nel farlo notò che a Kyoya era sfuggito un lieve sorriso, impalpabile come la foschia che li circondava e rendeva la sua pelle di un pallore quasi preoccupante.
Nelle iridi grigie, oscurate in parte dal cappuccio della felpa, si specchiava la stessa soddisfazione di quelle del riccio, che scomparve in un guizzo di irritazione nel rendersi conto del suo sguardo fisso su di lui.
-Beh, non volevi incontrare un animale selvatico?-, gli chiese a bruciapelo, mentre la bestiola finiva di mangiucchiare le ultime briciole e tornava a sparire nel folto del bosco.
-Ne ho visti due, direi che posso ritenermi soddisfatto-, rispose con una scrollata di spalle, per poi sbrigarsi ad aggiungere -Torniamo? Sto iniziando ad avere freddo-.
-In effetti sta per piovere-, rifletté ad alta voce Hibari, troppo preso dal seguire lo sguardo gli ultimi aculei che sparivano tra il fogliame per fare caso all'allusione.
L'altro parve irrigidirsi improvvisamente e osservare la nebbia con occhi improvvisamente sospettosi.
-Questo vuol dire che il mare sarà più agitato del solito?-, azzardò, ricevendo in risposta un cipiglio scettico.
-È probabile, perché? Non dirmi che hai paura, erbivoro-.
Di nuovo il sorriso tirato e una scrollata del capo.
E forse era di nuovo colpa della foschia, ma la mano di Kyoya si mosse da sola per aggrapparsi alla manica della giacca di Dino e trascinarlo verso casa.
-Non ho intenzione di fradiciarmi solo perché tu non vuoi tornare al faro, quindi niente storie-, sibilò tutto d'un fiato, il viso ostinatamente voltato e nascosto dalla felpa.
Avvertì il suono attutito di una risata stanca dietro di sé e accelerò il passo, cercando di scacciare dalla mente l'espressione che, lo sapeva con certezza quasi spiazzante, il guardiano aveva sul viso in quel momento.
Probabilmente gli avrebbe fatto venire voglia di pestarlo fino a ridurlo a un cumulo di ecchimosi e ossa rotte, bistrattato come la manica che stava torturando tra le dita.


La mareggiata aveva preso d'assedio la scura parete a strapiombo del promontorio e alcune ondate si stagliavano in spruzzi grigi e azzurri contro il cielo carico di nubi, facendo sembrare il faro tutt'altro che sicuro.
Dino deglutì, paralizzato davanti all'ingresso, finché Hibari non lo spinse dentro a forza.
-Darti dell'erbivoro sarebbe un'offesa agli erbivori-, borbottò il ragazzo, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Si aspettava una risata divertita, ma si ritrovò a dover fronteggiare uno sguardo improvvisamente serio, lo stesso che vedeva negli occhi dei bambini quando si improvvisavano adulti durante i loro giochi in piazza, e un sorrisetto colpevole.
-Se esci adesso ti inzupperai dalla testa ai piedi-, asserì lo straniero -Perché non rimani qui ad aspettare che spiova?-.
Kyoya storse le labbra in una smorfia contrariata, l'acquazzone che batteva furioso contro le finestrelle del faro non sembrava decisamente qualcosa che potesse smettere in fretta, ma l'altro aveva ragione e lui non voleva bagnarsi.
Sbuffò, ma si andò ad accovacciare sul divanetto incassato nella parete di una finestra, le gambe ripiegate e una guancia posata contro il vetro fresco, mentre le gocce di pioggia scorrevano via.
Dino gli si sedette accanto e raccolse il solito quaderno dal tavolo, immergendosi quasi subito nel suo lavoro.
A volte il cipiglio che gli solcava la fronte si distendeva con un ghigno allegro, rasserenato, che a un certo punto gli rimase stampato in faccia fino a quando non finì di disegnare.
Hibari gli lanciò un'occhiata interrogativa e lui gli passò il blocco aperto su quella pagina.
Accanto alla sterna che aveva disegnato la volta prima c'era il suo profilo illuminato da un sorriso fugace mentre si chinava a dar da mangiare al riccio nel bosco.
Per alcuni secondi rimase in silenzio a osservare il suo stesso viso, così somigliante e completamente diverso allo stesso tempo, senza gli aculei a proteggerlo, poi, forse per riflesso, si sentì terribilmente allo scoperto.
E arrossì contro il freddo della pioggia che gli rimbombava nelle orecchie al sospetto ritmo del suo stesso cuore.






Yu's corner.
Sonoinritardosonoinritardosonoinritardo!
Colpa della scuola, chiedo venia a tutti voih.
Bene, finalmente ho finito anche questo capitolo, ma devo dire che SCRIVERE DAL POV DI HIBARI STRESSA.
Eniuei, ormai abbiamo capito che Dino ha qualche problema col mare e presto ne sapremo qualcosa.
Molto presto, in realtà, dato che questa fanfiction è stata pensata di pochi capitoli e credo che stia volgendo verso una risoluzione.
Le long non sono il mio forte, purtroppo. -si prostra-
Beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e gradirò conoscere le vostre opinioni.
Bye bye,
Yu.
  
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