Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: editio    02/10/2012    3 recensioni
FF a quattro mani scritta in collaborazione con GiallodiMarte.
Abbiamo immaginato Maya e Masumi in un periodo e in una situazione diametralmente opposte a quelle della storia ufficiale... ma alcune cose non cambiano mai. O sì?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maya Kitajima
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 26

Ancora una volta

Qualcuno mi oltrepassa -

sera d'autunno

(Kobayashi Issa)

 

 

«O fedele mercante,

I tuoi veleni sono rapidi: io muoio con un bacio!»

È la mia ultima battuta. Il mio ultimo spettacolo. Con la calata del sipario dirò addio alla compagnia di Talbot. Mi accascio al suolo, senza vita. Non sento più niente, nemmeno il battito del mio cuore. Non provo più niente, a parte una debole sensazione di gelo che pare attraversarmi gli abiti e la pelle, sempre più intensa, alla ricerca delle ossa. Quasi non respiro, tengo il capo reclinato sul braccio, ascolto soltanto. Romeo è morto.

«Questo giorno porta con sé una grigia pace.

Il sole per il dolore naconde la sua faccia.

Andiamo: parleremo ancora di questi fatti dolorosi,

perché fra coloro che vi parteciparono,

alcuni saranno perdonati, altri puniti.

Certo non vi fu mai una storia più infelice

di quella di Giulietta e del suo Romeo.»

Eccolo il verso che aspettavo, la mia condanna e la mia liberazione. Ora manca solo la calata del sipario, gli attimi sospesi di attesa, il giudizio del pubblico. Infine l'annuncio alla compagnia del mio licenziamento, accompagnato dal mio improbabile ottimismo. Alcuni all'interno della compagnia saranno felici del mio abbandono, altri, i pochi con i quali sono riuscito a intrattenere un minimo di rapporto, forse se ne rammaricheranno, sebbene per breve tempo: nel nostro mondo la competizione è troppo alta perché sentimenti quali l'amicizia o la solidarietà abbiano il tempo di costruirsi e la forza di sopravvivere. Per quanto concerne Talbot, il buio più nero avvolge la mia mente. Ha voluto allontanarmi, ma sembra angustiarsene. Possiede una volontà ferrea e un notevole controllo sulle proprie emozioni, ma spesso l'ho scorto osservarmi mentre pensava che non me ne accorgessi e ho percepito una malinconia diversa nel suo sguardo, una paura spesso celata dalla rabbia nelle sue parole e un'ansia costante avvolgerlo nel timore di non avere più tempo.

M'inchino di fronte al plauso con cui viene accolto il mio rientro sul palcoscenico, e voglio omaggiare il pubblico con tutta la riconoscenza che alberga nel mio cuore per il calore dal quale mi sento avvolto e per la stima dimostrata nei miei confronti. So che Maya mi sta osservando, ma i miei occhi non riescono a raggiungerla, e forse è meglio così. Non sopporterei di vederla seduta accanto a quel bastardo di Edmund, e allo stesso tempo, non vorrei mai porla in una situazione imbarazzante poiché difficilmente i miei occhi riuscirebbero a mascherare i sentimenti inequivocabili che provo nei suoi confronti. Porgo un nuovo inchino e con un gesto carico di amore incondizionato e gratitudine lancio verso la platea la rosa che tengo delicatamente tra le dita. Sono sicuro che la mia ammiratrice sia fra il pubblico, e se è così capirà che quella rosa è per lei. Non posso fare altro per comunicare con la mia misteriosa e sconosciuta sostenitrice: non so chi sia, né tantomeno come contattarla. Ma spero con tutto il cuore che possa essere lei, in qualunque modo, a mettersi in contatto con me. Perché in un modo o nell'altro io devo scoprire chi sia, devo capire perché ha voluto fare tanto per me e ringraziarla. Ti prego ammiratrice, dammi la possibilità di ripagarti di tutto. Te lo devo e tu lo devi a me.

 

Dire addio ai miei colleghi è stato più difficile di quanto avessi immaginato. Per quanto pronto, per quanto preparato, si è rivelato comunque essere un pugno nello stomaco, freddo e calcolato, così potente da togliere il fiato. Sono ufficialmente un uomo disoccupato, licenziato da una delle più prestigiose compagnie teatrali londinesi, straniero, con pochi soldi in tasca e un affitto da pagare. La mia mente è un turbinio di pensieri allo sbando, mille domande mi si accavallano senza risposta, e io le accolgo e le ascolto, impotente. Chi mi offrirà un nuovo lavoro nel campo dello spettacolo ora? Con questi presupposti, poi? Perché Talbot mi ha fatto questo, abbandonandomi a me stesso senza punti di riferimento e completamente allo sbando? Che cosa vuole realmente da me? E io sono realmente disposto a dargli ciò che vuole? Lo voglio davvero?

Il volo radente di un pipistrello sopra il mio capo mi distoglie momentaneamente dai miei pensieri. Capisco dove sono arrivato e ho un sussulto. Ho camminato così tanto e così a lungo riflettendo sugli ultimi avvenimenti della mia vita da non essermi nemmeno reso conto di dove le mie gambe mi stessero portando. Sorrido e scuoto il capo. Chi voglio prendere in giro? Sapevo esattamente quale direzione avrei preso una volta lasciata la locanda che mi ha visto condividere la mia ultima cena insieme agli attori della compagnia di Talbot. La verità è che avevo bisogno di Maya, che ho bisogno di Maya. Ho bisogno di sentirla vicina anche se non potrò vederla, anche se non potrò stringerla, o baciarla. Bisogno di sapere che c'è, che è qui, a pochi passi. Tanto mi basta. Guardo la luna alta nel cielo e penso che ormai deve essere tardi, tanto tardi, e che lei starà sicuramente dormendo. La immagino abbandonata al sonno, il capo posato delicatamente sul cuscino, le belle labbra carnose un poco dischiuse, i capelli lisci e setosi ombreggiarle appena il viso. Mi passo una mano tra i capelli, quasi vergognandomi di me stesso per la direzione involontaria e lussuriosa presa dai miei pensieri, quasi volessi aiutarmi, fisicamente, a cacciarli dalla mia testa. E poi la vedo. Sbatto un paio di volte le palpebre, poi socchiudo gli occhi e cerco di mettere a fuoco la figura che intravedo tra le ombre degli alberi proiettate dalla luna su un balcone della casa. Mi avvicino un poco per osservare meglio, furtivamente, celandomi nell'ombra. Si tratta di una donna, e io trattengo il fiato. La osservo stringere le braccia intorno alla veste, quasi a proteggersi dall'aria pungente della notte e contemporaneamente voltare leggermente in viso a incontrare la luce. Esco allo scoperto, incredulo. Maya!

Devo aver pronunciato il nome a voce più alta di quanto avrei voluto, perché la vedo voltarsi nella mia direzione, arretrare un istante e portare impaurita una mano a coprirsi la bocca. Ma si riprende subito. Dopo essersi guardata bene intorno mi fa un cenno con la mano, e io capisco di dover raggiungere un qualche luogo sul retro. Mi avvio rinvigorito da quest'incontro del tutto inaspettato, per quanto anelato, senza sapere esattamente dove andare. Trovo un cancello e aspetto acquattato nell'ombra. Non devo aspettare molto. Una figura incappucciata di nero scivola silenziosa lungo il sentiero di terra battuta e giunta in prossimità del cancello si nasconde all'ombra del muretto di recinzione. Non accade nulla. Accenno un colpetto di tosse, giusto per far notare la mia presenza. Spero di cuore si tratti di Maya, o Mae, in caso contrario, non oso pensare alle conseguenze della mia intraprendenza.

«Masumi?»

È la sua voce e la tensione mi abbandona all'istante. Esco dal mio rifugio d'ombra e mi aggrappo alle sbarre in ferro battuto del cancello.

«Maya, sia ringraziato Dio, sei tu! Per un istante ho temuto il peggio.»

Lei stringe le sue piccole mani intorno alle mie, ma non ha ancora abbandonato il suo atteggiamento guardingo. Un cappuccio le nasconde il volto, e devo chinarmi per guardarla negli occhi. È preoccupata, e penso che dovrei essere più cauto anch'io.

«Non possiamo stare qui, è troppo pericoloso, siamo scoperti. Aggira la recinzione, c'è un piccolo cancello nascosto dietro l'edera e lo riconoscerai perché è sovrastato dai rami di un susino. Ho appena spedito Mae ad aprirlo, io ti aspetterò lì.»

«Maya...»

«Vai Masumi, non possiamo stare così alla luce. Oltretutto la camera dell'ammiraglio dà su questo lato; per quanto dorma profondamente, io ho paura.»

Rifiuta la carezza della mano che avevo allungato verso il suo viso e con un'ultima occhiata si allontana silenziosamente com'era arrivata, divenendo ben presto un'ombra confusa fra le ombre, ingannevole, indistinta e scura. Mi allontano a mia volta dalla luce e mi affretto a raggiungere l'appuntamento con il cuore in gola, le gambe tremanti e un'incongrua euforia nella mente. Scorgo il susino, l'edera, e avvicinandomi anche il cancello lasciato leggermente socchiuso. Lo sospingo guardingo, per accertarmi che non faccia troppo rumore, ma i cardini sembrano essere ben oliati. Lo apro quel tento che basta per riuscire a passare e una volta all'interno sento due braccia esili afferrarmi da dietro e un corpo morbido appoggiarsi con decisione alla mia schiena. Sorrido, la riconoscerei tra mille. Le afferro le mani e allento un poco la sua stretta prima di voltarmi e sospingerla con decisione alla mia sinistra ove l'ombra si fa più fitta, più scura e complice. La bacio con esigenza, desiderio e disperazione, riversando sulle sue labbra tutte le emozioni della serata, il mio amore combattuto, le mie insicurezze e le mie paure. La sento rispondere con trasporto e il desiderio di lei si fa talmente acceso da farmi girare la testa. Affondo allora il viso tra i suoi capelli profumati e la stringo forte, aggrappandomi a lei, sussurrandole dolci parole in una lingua a lei conosciuta, nella nostra lingua, e la sento sorridere contro il mio petto, felice.

«È una follia averti fatto entrare qui, dovrei allontanarti e rientrare in casa all'istante.»

«Ma non lo farai, perché siamo due folli innamorati.»

«Ho messo Mae di guardia all'ingresso. Al primo segnale di pericolo siamo d'accordo che accenderà il candelabro. Da qui ce ne accorgeremmo subito.» Scuote la testa un istante, dubbiosa. «Dio mio, cosa sto facendo?»

Vorrei risponderle ma lei me lo impedisce posandomi con decisione un dito sulle labbra; poi mi prende per mano e io mi ritrovo a seguirla per un bel tratto lungo il perimetro del giardino, il più silenziosamente possibile e a ridosso del muretto sovrastato dai rampicanti, fino a raggiungere una piccola panchina in ferro battuto nascosta tra gli alberi.

«È il mio piccolo giardino segreto, da piccola venivo sempre qui quando volevo scappare da qualcuno o stare un poco da sola.» Abbassa gli occhi un istante, ma anche al buio riesco a vederne il rossore sulle guance. «Sì, non serve che tu me lo dica, non è un granché come nascondiglio segreto, però è ben nascosto e lo sento mio.» Le sfioro una guancia con la punta delle dita, e lei mi sorride. «Ci sediamo?»

Tocca a me sorriderle ora, e senza mai lasciarle la mano prendo posto accanto a lei.

«Non ci speravo d'incontrarti questa notte.»

«Non mentirmi, altrimenti perché saresti venuto?»

«Per sentirti vicina.»

Mi studia un istante, ma non risponde.

«Ho dato l'addio alla compagnia questa sera. Non pensavo mi sarebbe costato così tanta tristezza, pensavo di essermi ormai abituato all'idea.»

«Hai dato l'addio anche alla tua famosa ammiratrice, non è vero? Quella rosa era per lei.»

Non mi aspettavo un tono così piccato da parte sua, e l'espressione lievemente contrita mi strappa un accenno di sorriso. A dirla tutta, mi sento lusingato.

«Certamente, ma non avrei mai sperato di ottenere tanto.»

«Scusami, ma non ti seguo.»

Mi guarda dubbiosa, e questa volta sorrido apertamente. Le prendo il viso tra le mani e le bisbiglio sulle labbra.

«Mi piace saperti gelosa.»

Ma lei si discosta bruscamente, così da evitare il mio bacio, e mi fulmina con lo sguardo.

«Hai preso un abbaglio. Ero solo preoccupata per te, per il tuo futuro.»

«Non è necessario. Troverò una nuova compagnia disposta ad accettarmi tra le sue fila, non ho alcuna intenzione di abbandonare il palcoscenico.» Mi rendo conto di fingere una sicurezza che in realtà non provo, ma non voglio mostrarmi debole o insicuro agli occhi della donna che amo. Non voglio pensare al futuro, mi fa male. In questo momento non esiste altro tempo per me che non sia il presente, il qui e l'ora, al fianco di Lady Kitajima. Poso un gomito sullo schienale della panchina e inclino un poco la testa di lato, per osservarla meglio, consapevole di avere in questo modo il viso in ombra rispetto al suo. «A ogni modo, spero che la mia ammiratrice sia intuitiva quanto lo sei stata tu e che capisca quanto io le sia riconoscente. Probabilmente non sarei qui, se non fosse stato per lei.»

«Magari ci sarei stata io.» Il suo è un sussurro appena percettibile nell'immobilità della notte, e la vedo distogliere subito lo sguardo dal mio, vergognandosi quasi delle parole appena pronunciate.

«Tu non mi potevi soffrire, sono io quello che ti ha desiderata dal primo istante in cui ti ho incontrata. Avresti davvero preso il posto della mia ammiratrice?»

«Per salvarti la vita sì, certo che l'avrei fatto. E diventerei la tua ammiratrice anche adesso se questo servisse a darti coraggio,a farti credere in te stesso, a lottare per ciò in cui credi e desideri.»

Mi guarda di sottecchi e io l'attiro più vicina a me, avvolgendola completamente nel mio abbraccio e le poso le labbra sulla spalla, in un lembo di pelle lasciata nuda dalla veste. La sento rabbrividire e la stringo più forte.

«Lei è preziosa per me, ma tu sei Maya. È da te che ho cercato rifugio questa notte, è fra le tue braccia che sogno di addormentarmi ogni volta che chiudo gli occhi, per cui non dubitare mai del mio amore per te, qualunque cosa succeda questa notte, domani, fra una settimana o un anno...Io ti amo Maya Kitajima, io ti amo.»

È lei a cercare le mie labbra ora, e io non voglio fare altro che assecondarla. Voglio che ricordi i miei baci e che non desideri mai altri baci che non siano i miei.

«Voi baciate come insegna il libro, mio Romeo.»

 

Ora so cosa vuol dire perdere del tutto la cognizione del tempo. Potrebbero essere trascorsi minuti, come ore. Esistiamo solo noi, con i nostri sussurri, i nostri baci e le nostre carezze. E la nostra incoscienza dettata dall'amore e dal bisogno che proviamo entrambi di sentire l'altro vicino, dimenticando di essere soli.

«Sai Masumi, stavo pensando che so davvero poco di te. Del tuo passato intendo.»

Sospiro pesantemente. Non amo parlare di me e avrei preferito continuare ad ascoltare il silenzio abbracciato a lei.

«Possiamo parlarne un'altra volta? Ti racconterò tutto, è una promessa, ma lasciami godere ancora un poco del tuo calore amore mio, prima che canti di nuovo l'allodola, e annunci il mattino e...»

«Era l'usignolo» m'interrompe.

«Era l'allodola, Maya.»

La sento tremare fra le mie braccia e una paura sconosciuta e improvvisa mi contorce le viscere e mi fa serrare impotente palpebre e labbra. Ti prego Maya, non dirlo, non dirlo, non dirlo!

«Masumi, tu pensi che per loro esistesse un'altra possibilità?»

«Non lo so Maya, ma io non sono Romeo.»

Alza il volto e mi fissa bene negli occhi, con una serietà e una determinazione che se possono me la fanno amare e desiderare ancora di più.

«E io non sono Giulietta.»


 

Note:
* W.Shakespeare, Romeo e Giulietta, V, III, vv. 119-120
** W.Shakespeare, Romeo e Giulietta, V, III, vv.305-310
*** W.Shakespeare, Romeo e Giulietta, I, 5, v. 112
Testo di riferimento: Shakespeare, Le tragedie ed. I Meridiani, Mondadori.
  
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