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Autore: Pixel    03/10/2012    5 recensioni
"La sua attenzione viene catturata da un gruppo di ragazzi intenti a fare skate.
Un ragazzo alto, dalla chioma riccia e color del cioccolato spicca in mezzo ai suoi compagni. Porta una larga maglia bianca con un ampio scollo a “V” e dei Jeans ben stretti intorno alle esili gambe. Non è un abbigliamento usuale per uno skater, infatti tutti gli altri ragazzi hanno addosso la classica “divisa da Tony Hawk”.
Eva lo guarda, lo osserva, ne rimane stregata.
Quell’inusuale personaggio potrebbe essere il soggetto che cercava, se solo stesse fermo…"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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A Federica, perché mi ha trasmesso l’amore per la scrittura, perché è una delle persone che stimo di più, perché nonostante gli anni è ancora qui, perché è un’amica.
A Federica che è speciale allora si nasconde, a Federica che non fa vedere agli altri quanto realmente vale..e che a volte non lo fa vedere neanche a se stessa.
A Federica che è molto più di un drum e un paio di pantaloni larghi.
A Federica che a volte è un po’ magica.
A Federica che ha la luce negli occhi.
 

 

"Draw me"
 

 
Non piove oggi a Londra. E’ raro, questo Eva lo sa.
E’ da due anni che ha lasciato l’Italia, che ha salutato la rossa Bologna per regalarsi alla grigia Londra. E’ due anni che studia e si districa tra mille lavoretti part-time, la baby sitter, la cameriera, la cassiera, la centralinista, la donna delle pulizie…
La lista era lunga, una volta li aveva scritti tutti in ordine alfabetico e aveva scoperto che ce n’era uno per ogni lettera.
 Le “C” erano le più ricorrenti, solo una mancava la “A”.
Le piaceva pensare che non fosse un caso, un giorno avrebbe completato l’alfabeto e in cima alla lista ci sarebbe stata, scritta con la sua calligrafia dai tratti larghi, una bella e tondeggiante “A” di “artista”.
E’ per questo che stamattina non si è presentata nell’aula di Scienze della traduzione dell’Imperial College di Londra.
Se ne sta li, seduta sulla panchina di quel parco, il suo parco.
Scruta ogni minimo particolare del mondo che la circonda, il movimento delle altalene, le treccine di una bambina, le diverse sfumature di verde di ogni filamento d’erba che si riflettono nei suoi occhi altrettanto verdi.
E ancora, il cappello di uno strano signore che la ragazza vede ogni volta che va in quel posto, sempre lo stesso vecchietto, gli stessi capelli argentei ma un diverso cappello ogni giorno. Il lembo di una gonna a quadri di una madre tirato dal suo bambino paffutello per reclamare l’attenzione.
Una nuvola, anzi due, tre…tutte bianche come il latte picchiettano il cielo stranamente limpido, il laghetto delle anatre che mangiano le molliche di pane tirate dai passanti che cedono volentieri qualche briciola del loro pranzo.
Sa che deve saper osservare ogni piccola cosa per poter dare il meglio di se stessa.
La sua attenzione viene catturata da un gruppo di ragazzi intenti a fare skate.
Un ragazzo alto, dalla chioma riccia e color del cioccolato spicca in mezzo ai suoi compagni. Porta una larga maglia bianca con un ampio scollo a “V” e dei Jeans ben stretti intorno alle esili gambe. Non è un abbigliamento usuale per uno skater, infatti tutti gli altri ragazzi hanno addosso la classica “divisa da Tony Hawk”.
 
Eva lo guarda, lo osserva, ne rimane stregata.
Quell’inusuale personaggio potrebbe essere il soggetto che cercava, se solo stesse fermo…
A volte sembra che certe persone abbiano la capacità di leggerti nel pensiero, o forse ce l’hanno veramente.
 Il ricco è stanco, visibilmente affaticato dalle sue acrobazie, decide di sedersi su una panchina. Eva rimane colpita, ancora.
Si affretta ad aprire la borsa di tela colorata che si porta sempre dietro, è rovinata, dovrebbe cambiarla, ma non lo farà, a lei piace così.
Estrae il suo fedele blocco di fogli bianchi e le compagne di avventura matita e gomma.
E’ ancora li, con lo skateboard posato sulle gambe incrociate e lo sguardo perso nel vuoto, solo adesso Eva nota quanto siano belli gli occhi del ragazzo, verdi, ma non come i suoi, un verde molto più chiaro, cristallino.
 Rimane a fissarlo senza accorgersi che il suo sguardo e ricambiato, lui guarda curioso e lei, beh, lei arrossisce violentemente, odia la sua pelle così bianca che non le permette di nascondere l’imbarazzo.
Traccia le ultime due linee e lo sfondo è finito. Ora inizia il vero lavoro, pensa.
Decide di iniziare dal basso, dalle scarpe, delle semplici Sneakers blu.
Fatica a rendere l’idea delle gambe incrociate ma ci riesce aiutata anche dalla favorevole posizione dello skateboard che, posizionato sopra di esse, le permette di aggirare l’ostacolo.
Si concentra sul’ombreggiatura laterale dei Jeans chiari fino a riprodurli perfettamente.
Alza lo sguardo dal foglio e lui è ancora li, fermo ad osservarla non meno di quanto stia facendo lei, è come se anche lui si stesse cimentando nel fare un ritratto, mentale.
Il busto non le crea molte difficoltà, qualche tratto leggero e due più decisi per ricreare lo scollo a “V”.  Gli dona quella maglia, decisamente. Un’ altro pensiero che la fa arrossire, questa volta meno perché ha gli occhi bassi sul foglio e sa che lui non può ascoltare quello che ha appena pensato, o almeno lo spera.
Le piace il modo in cui la stoffa bianca cade morbida sul corpo rilassato e snello, in realtà le piace un po’ tutto il suo “soggetto”.
Ecco, ora si sente in colpa, lei un fidanzato ce l’ha, è in Italia, sta finendo gli studi alla facoltà di Ingegneria. Scuote la testa come per eliminare quel pensiero, infondo lei sta solo disegnando.
Si concentra di più e nota i tre bottoncini vicino allo scollo, posa decisa la punta della matita sul foglio e ripete l’azione altre due volte.
Tratteggia l’incavature sul collo e le clavicole sporgenti, cerca di cogliere più dettagli possibili.
Si concentro sulle ombreggiature, è una cosa che ama.
Arriva finalmente al viso e si stupisce di vedere la facilità con cui si può riprodurre tanta bellezza.
Non può negarlo, è bello, una delle persone più belle che le sia mai capitato di disegnare.
Lui sta immobile e la guarda, ma forse è solo una sua impressione.
Qualche ragazzo si avvicina per parlargli, Eva è troppo lontana per ascoltare i loro discorsi ma vede il riccio fare cenno di no con la testa.
Gli altri si allontanano e lui resta la, ancora una volta immobile.
Eva tira un sospiro di sollievo, per un attimo ha temuto che il suo soggetto si alzasse per poi sparire, per sempre.
 E a lei cosa sarebbe rimasto? Il disegno di uno sconosciuto senza testa.
Ma lui è ancora li, sembra che sappia si esserle utile, sembra che non voglia darle un dispiacere.
Intanto i suoi compagni stanno andando via, Eva li guarda, poi guarda lui e una canzone le viene in mente.
 
Cosa ci fai in mezzo a tutta questa gente? Sei tu che vuoi,  o in fin dei conti non ti frega niente?
Tanti ti cercano spiazzati da una luce senza futuro,
altri si allungano, vorrebbero tenerti nel loro buio.
Ti brucerai,Piccola stella senza cielo. 
Ti mostrerai ,Ci incanteremo mentre scoppi in volo 
Ti scioglierai ,Dietro a una scia un soffio, un velo 
Ti staccherai 
Perche' ti tiene su soltanto un filo, sai.

 
Scrive le parole di quella canzone al lato del foglio.
L’ascoltava sempre in Italia, quando la mattina faceva quel breve tratto di strada a piedi per andare a scuola, quando pioveva ma a coprirla c’erano i suoi amati portici.
Quando la prof di latino si perdeva tra Seneca e Catullo lei, con il suo pennarello nero, imbrattava il banco con quelle frasi.
…solo che tu a volte credi non ti basti.
Troppe volte viveva quelle parole, quella canzone che sembrava scritta apposta per lei, ma non si può vivere nelle canzoni si ripeteva ogni volta che era costretta a mettere su la maschera.
E non lo sa perché quel ragazzo dalla pelle bianca tanto quanto la sua le ricorda questa canzone,
lo guarda ancora e improvvisamente le sembra di conoscerlo da sempre,
 le pare di vedere nei suoi occhi limpidi le stesse speranze, le stesse paure, le stesse delusioni e le stesse gioie che erano dentro di lei.
Come si sente stupida quando la sua mente viaggia in questo modo.
Riprende il suo disegno tracciando delicatamente le linee del viso.
Le labbra sono carnose e profondamente rosse, Eva non ha mai visto delle labbra di quel colore carminio. Cerca di studiarne ogni particolare finchè non le vede aprirsi un luminoso sorriso, non è un sorriso perfetto di quelli da copertina, ma la sua spontaneità è disarmante.
Eva non risponde a quel sorriso, si vergogna troppo, preferisce rituffare il viso nel suo disegno, non è mai stata una ragazza sfacciata.
Il naso un po’ a patata gli da l’aria di un piccolo “lord” capriccioso, ma lui non è così, non sa come, ma lei lo sa.
Gli occhi potrebbe ritrarli senza neanche riguardare, ormai li conosce come se fossero i suoi, grandi, limpidi, profondi pozzi verdi.
Si diverte a tratteggiare la folta chioma riccia accentuando forse un po’ troppo il ciuffo che gli ricade morbido sulla fronte. Sarà uno di quei ragazzi fissati con i propri capelli, si immagina, chissà come sarebbe divertente scompigliarli.
Il disegno è quasi finito, quasi.
C’è qualcosa che manca, le mani, lei ha sempre avuto un problema con le mani. Non riusciva proprio a riprodurle sul foglio come avrebbe voluto, c’era sempre un palmo troppo corto o un indice storto.
Le sue dita affusolate stanno giocando con la medaglietta d’acciaio che penzola sul petto, ha delle mani bellissime, c’è qualcosa di femmineo nel loro pallore ma allo stesso tempo i movimenti riescono a trasmettere incredibile forza, le ricordano quelle di un musicista.
Cerca di abbinarlo a uno strumento, il primo che le viene in mente è il pianoforte…lo skate e il piano, non gli sono mai sembrati così affini.
Traccia un paio di linee ma, come sempre, le tocca cancellarle. Non vuole accontentarsi di un semplice scarabocchio come fa di solito, vuole trovare quelle adatte, forse si è un po’ innamorata di quelle mani.
Ha un tatuaggio sul polso destro, Eva lo nota solo adesso, si sforza ma non riesce a capire cosa sia.
E’ delusa, il ritratto non sarà mai completo, le piacerebbe avvicinarsi per guardarlo meglio ma sa che non lo farà mai, è troppo timida.
Da l’ultima occhiata al suo lavoro, le piace.
Rimette tutto il materiale in borsa per poi alzarsi dalla panchina che l’aveva ospitata in quell’ora.
Da un’ultima malinconica occhiata allo skater prima di girarsi e non vederlo mai più.
 
L’autobus è in ritardo, come sempre, è da venti minuti che lo sta aspettando.
Finalmente arriva, si ferma davanti a lei e apre le porte, Eva sale sperando di trovare un posto a sedere, l’autobus è pieno ma ci sono ben due sedili liberi, una rarità.
Si siede vicino al finestrino, le piace osservare la città, Londra riesce a conquistarla ogni volta
L’autobus parte ma dopo qualche secondo l’autista frena bruscamente per riaprire le porte.
 La ragazza sbuffa, i soliti ritardatari,pensa prima di tornare ai suoi pensieri.
 
“Posso?” una voce profonda richiama la sua attenzione costringendola a distogliere nuovamente lo sguardo, questo un po’ la infastidisce.
La prima cosa che la ragazza vede quando si gira è una medaglietta d’acciaio come quella che i militari usano in guerra, ha paura ad alzare ulteriormente lo sguardo, ma lo fa.
Sul viso del ragazzo di fronte a lei si apre un sorriso che quella mattina aveva già visto.
Eva fa di si con la testa e intanto si sente avvampare, non vuole neanche immaginare di che colore siano le sue guance in quel momento.
Lui si siede poggiando lo skateboard tra le gambe “spero che non ti dia fastidio”
Lei scuote la testa, sa che forse dovrebbe rispondere a parole, ma si vergogna troppo
“Comunque piacere, Nicolas” allunga la mano e Eva non può fare a meno di guardare il tatuaggio sul polso, è una stella. Le scappa imperterrito un sorriso.
“piacere, Eva”
I loro occhi si incontrano, ed Eva è sicura di non essersi mai persa in un posto più bello.
Passa qualche minuto in silenzio che viene nuovamente interrotto dalla voce profonda del riccio
“Eva..” Il suo nome è nato per essere pronunciato in quel modo, pensa la ragazza.
“dimmi..”
“com’è venuto?”
“cosa?” non capisce
“il disegno..”
Eva si sente morire. Sta in silenzio.
Il ragazzo ride di gusto.
“Pensi che sia rimasto quasi un ora immobile per niente?”

O soltanto sarà una parentesi di una mezz'ora..
 

 
  
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