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Autore: Leo    06/10/2012    2 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le due sedevano l’una di fronte all’altra. La ragazza guardava con insistenza, per cercare di capire se i ricordi che aveva di quella donna appartenevano a lei o alla Cheryl che sparì diciassette anni prima. Sapeva di conoscerla in qualche modo, e sapeva che c’entrava qualcosa con quello che era successo quella volta. La donna dal canto suo sorseggiava tranquillamente il caffè dalla tazzina che aveva davanti. Era molto più buono l’espresso rispetto ai caffè lunghi e serviti nei cartoni tipici dei bar americani, secondo lei, e quando era possibile cercava sempre di gustarne uno.

Sollevò lo sguardo ad incrociare gli occhi castani della ragazza che aveva di fronte. Sorrise, di un sorriso rassicurante, che trasmetteva una vera felicità.

“Sei cresciuta” disse pacatamente, anche con una punta di soddisfazione nel tono.

Cheryl non parlava. Si limitava a guardarla negli occhi celesti, e a godere del suo sguardo di rimando.

“Beh, in fondo è normale” continuò lei con naturalezza, che mal si addiceva a quell’incontro così anormale. “In fondo non ti vedo da 12 anni”

“12 anni?” chiese conferma Cheryl. Questo significava che apparteneva alla sua vita, a quella che stava vivendo! Ma era tutto ancora così confuso.

“Si, non ricordi?! Sono passati dodici anni da quando siete andati via da Portland!”

La ragazza abbassò lo sguardo, sforzandosi di ricordare cosa poteva essere successo tanti anni fa. Ma non ricordava né dove abitava prima, né perché si erano trasferiti. E a renderla ancora più confusa c’era lei, Alessa, che aveva modificato irrimediabilmente la sua memoria, aggiungendo ricordi su ricordi, di una vita non sua.

La donna notò la sua difficoltà. Ma anche quella volta sorrise tranquillamente. “va benissimo non ricordare…avevi solo cinque anni allora!” Sollevò lo sguardo, quasi imbarazzata, o dispiaciuta.

“Anzi, mi dispiace doverti riportare alla memoria quei brutti ricordi…”

La ragazza sbottò leggermente. “Adesso basta: dimmi chi sei!”

“Te l’ho detto, sono Cybil Bennet!”

“Si, ho capito come ti chiami!” disse Cheryl con una punta di sarcasmo. “Voglio sapere come mi conosci, e come fai a conoscere mio padre! E soprattutto perché sei comparsa proprio adesso!”

Cybil assunse un’espressione seria, che gelò il sangue della ragazza, placandola. Era un brutto sguardo di rimprovero, e aveva un ché di…materno…Cheryl reagì d’istinto, e quando se ne accorse, si domandò il perché di quella sua strana reazione.

La donna distolse lo sguardo, prendendo a guardare la tazzina vuota che aveva davanti. Sembrava malinconica, anche se le sue espressioni non lasciavano trasparire molto delle sue emozioni. In ogni suo sguardo trasmetteva tranquillità e sicurezza, e anche ora che il suo volto era serio, con le sopracciglia leggermente aggrottate, alla vista di Cheryl appariva una donna fidata, e sentiva che poteva confessarle di tutto. E tutto ciò non le piaceva affatto. Si sentiva così solo davanti a suo padre…

“Diciassette anni fa…” cominciò Cybil “…ero presente anch’io!”

Il cuore le balzò in gola e la confusione aumentava.

“Ti ho vista nascere, sai?!” continuò recuperando un sorriso, che aveva un ché di triste.

“Durante uno dei miei ritorni a Silent Hill trovai una raffigurazione di Alessa. Teneva in mano una bambina in fasce, e trasmetteva quella potenza e quella sicurezza che provai nel vederla in quell’inferno, quando Harry sconfisse il demone che quella donna partorì. Il quadro era stato finito da poco, era stato dipinto con grande cura, per conto dell’Ordine. Ricordo che c’era una didascalia, con su scritto “Alessa, madre di Dio, figlia di Dio”…Solo allora capii che cosa avevo visto laggiù, in quell’inferno.”

Sollevò lo sguardo per incrociare quello della ragazza.

“Avevo assistito alla reincarnazione di Alessa, della madre di Dio. Tu sei figlia di Alessa, ma allo stesso tempo sei lei in persona.”

“Tu eri con mio padre quando uccise Dio?”

Cybil annuì leggermente con la testa. “Io gli diedi l’arma che lo protesse, e lui mi salvò la vita in quell’occasione. Ci proteggemmo a vicenda, ci legammo indissolubilmente l’uno all’altro, per sopravvivere, per necessità.”

Cheryl la guardava allibita. Le venne una forte emicrania, sentiva i ricordi riaffiorare dolorosamente, i ricordi che non le appartenevano, i ricordi di quella bambina dagli occhi azzurri. Vedeva le immagini susseguirsi velocemente nella sua testa, ricordava le fogne sotto il Lake Side Amusement Park, e il carosello. A quel punto le immagini si mischiavano, la confondevano, e il suo mal di testa aumentava vertiginosamente, tanto da costringerla a infilare le mani nei capelli, e abbassare la testa sul tavolo. Cybil la osservava preoccupata, e le si avvicinò. “Hey, ti senti bene?”

Ma Cheryl non la sentiva, continuava a cercare di ricordare. La sua confusione era dovuta alle due immagini, una in cui lottava corpo a corpo con sé stessa, e una in cui spingeva una sedia a rotelle con una persona sopra.

“Aaaah”

Colpì il tavolo con la sua testa, aumentando la preoccupazione di Cybil, che ora si era alzata in piedi e le si era avvicinata. L’afferrò per le spalle con forza, e cercò di calmarla in qualche modo. Cheryl spalancò gli occhi, e si voltò con forza a guardare Cybil.

“Ora ricordo…”

Cybil la guardò stupita.

“Io…io ho cercato di…ucciderti…?!...”

La donna a quelle parole tornò seria. Si rimise a sedere, con calma, senza tradire le sue emozioni. Ma anche con la freddezza che mostrava, si poteva intravedere la sua sofferenza.

Cheryl invece continuava a guardarla, sperando di essersi sbagliata in qualche modo. Faceva appello a tutta la sua forza di volontà, per cercare di ricordare se le sue parole erano giuste, o se c’era dell’altro. Fissava gli occhi azzurri della donna che aveva davanti, che ora erano puntati verso il basso, e non ricambiavano il suo sguardo. Ancora una volta la sua mente mischiò delle immagini passate con quelle che ora aveva davanti. Per un istante le sembrò di vedere due iridi rosse, sanguinolente.

“No…non volevo ucciderti…”

Le parole di Cheryl giunsero come un fulmine a ciel sereno. Anche Cybil non riuscì a trattenere lo stupore.

“In realtà…separai il demone che avevo dentro…per precauzione…per renderlo…incompleto, nel caso in cui non fossi riuscita a completare il sigillo di Metatron in tempo. Tu non eri prevista in quella dimensione, non saresti dovuta essere lì! Ma fu proprio perché sentii la tua presenza che misi a punto una scappatoia, un piano alternativo. Versai parte del mio fardello nel tuo corpo, indebolendo così il mostro che avrei partorito.”

Cybil stava a sentire più che mai meravigliata. Cheryl continuava, come in trance, come se a parlare fosse la stessa Alessa di quei giorni, la ragazzina impaurita che cercava di scongiurare i piani di una folle invasata.

“Quando avvertii la tua aura, la tua sofferenza, capii che saresti stata abbastanza forte da reggere una piccola parte di me, e quindi di separare e indebolire il Dio di mia madre. Questo significava che nel caso in cui costui fosse riuscito ad essere evocato, avrei avuto ancora la speranza di abbatterlo, in quanto molto indebolito dalla separazione.

Ma ero talmente tanto spaventata da quell’eventualità che sbagliai, e ti affidai una parte troppo grande. Una parte che non potevi sopportare. E quella malvagità si impossessò della tua mente, lo avvertii immediatamente. Non volevo farti del male, ma il processo era irreversibile, e comunque avevo ottenuto ciò che volevo.

Poi ti portai al luna park, pensando che non ti avrei mai più vista…aaaah!”

Di nuovo quel mal di testa. Era talmente arrabbiata per quella sofferenza, che colpì di nuovo il tavolo con un pugno, attirando l’attenzione di sguardi indiscreti dagli altri tavoli, compresa quella di Douglas, che se ne stava in disparte al bancone, per lasciare spazio alle due.

Cybil sorrise. Poi vista la reazione della ragazza chiamò un cameriere, che a bocca aperta aveva assistito alla scena.

“Mi porta il conto per favore?”

Quello annuì senza dire una parola, e quando si allontanò la bionda tornò a guardare Cheryl, che era rimasta appoggiata al tavolo, con una mano sulla testa.

“Adesso mi è tutto più chiaro. Ti confesso che ancora non capivo cosa mi era successo. Per quanto ricordavo io, un secondo prima ero nelle fogne e subito dopo mi risvegliai tra le braccia di tuo padre. Invece così ha tutto molto senso!”. Portò una mano al petto, abbassando lo sguardo ma continuando a sorridere. “Ma non darti troppa pena…innanzitutto è stato un ottimo piano, perché Harry riuscì a battere quel demone proprio per questa tua mossa! E poi non dimenticare una cosa importantissima”

Avvicinò la mano al suo viso, e, accarezzandole una guancia, la costrinse a guardarla.

“Non sei stata tu a fare quelle cose!”

 

Le tremavano gli occhi. Quel tocco era così caldo, e trasmetteva una serenità e una fiducia a lei ignote. E quella cosa continuava a non piacerle. Così si scansò abbassando di nuovo la testa e spostandola in modo da rompere il contatto. Adesso nel punto in cui la mano era poggiata sentiva quasi freddo.

Cybil la guardò seria. Poi prese ad armeggiare con la borsa, cercando all’interno di essa il portafogli.

“Comunque, credo che dobbiamo andarcene da qui. Non possiamo attirare troppo l’attenzione. Che ne dici, posso venire a casa tua? Così continuiamo a parlare.”

“Di solito in casi del genere si invitano le persone, e non si chiede di andare a casa loro.”

“Vero, ma casa mia non è in questa zona, e credo che arrivare in quella città sia scomodo per voi due che invece siete di qui…”

Cheryl non rispose subito. In qualche modo sapeva già la risposta, ma volle domandarglielo lo stesso.

“Dove abiti?”

Cybil sorrise a quella domanda. “Non lo immagini? Nel nostro vecchio appartamento a Portland!”

Cheryl annuì quasi impercettibilmente.

 

Quando il cameriere le raggiunse, le trovò in silenzio, a guardarsi negli occhi. Era giovane, e forse fu proprio a causa della sue età, ma aveva un leggero timore di quelle due donne, senza neanche conoscerle. Si avvicinò con cautela, e appoggiò lo scontrino al centro del tavolino. Vide la donna prenderlo con calma, leggere l’importo ed estrarre una banconota dal suo portafogli, nel più assoluto silenzio. Spostò lo sguardo sulla ragazza, che fissava la sua accompagnatrice con uno sguardo glaciale, che sembrava voler penetrare l’anima di quella donna. Pensò che non avrebbe mai voluto ricevere uno sguardo del genere. Lo avrebbe mandato in paranoia, non sarebbe riuscito a rispondere in alcun modo. A pensarci bene, in realtà, non credeva sarebbe stato in grado neanche di avere lui stesso uno sguardo del genere. Era così intenso, così strano…

Quando tornò a guardare la donna, questa gli porgeva sia lo scontrino sia la banconota, e la sentì rivolgergli la parola con il suo splendido sorriso. “Tieni il resto”. Non riuscì a mantenere il suo sguardo, ma ringraziò educatamente, anche se con un po’ di imbarazzo, e si avviò verso il bancone.

Lì quell’altro uomo strano continuava a gustare la sua birra. Era entrato con quelle due ragazze, ma si era messo in disparte congedandosi con poche parole, e continuava a sorseggiare birra voltandosi ogni tanto come se volesse controllare la situazione. Non erano stati molto in quel bar, ma avevano attirato la sua attenzione fin da subito…

 

“Agente Cartland”

Douglas si girò, incontrando gli occhi azzurri di Cybil. Provò una strana sensazione a sentirsi chiamato a quel modo.

“Le chiedo scusa, sto accompagnando a casa Cheryl, è un posto più tranquillo per parlare.”

“Si, lo credo anch’io…” rispose l’uomo con la sua voce roca, ripensando a ciò che aveva appena visto.

“Mi dispiace causarle questi fastidi. Per me non c’è bisogno di lasciarci sole, se vuole può stare con noi”

Ma Douglas non sembrava dello stesso avviso. Cybil poco prima gli aveva già raccontato molto, e sentiva di non dover intromettersi in quel rapporto, sentiva che poteva essere importante per la ragazza. Così semplicemente sorrise e disse “In realtà adesso avrei da fare. Devo sistemare delle faccende importanti a lavoro, e sono già tre giorni che la mia agenzia investigativa è chiusa. Verrò stasera, se necessario”

Cybil sorrise. Conosceva quell’uomo da pochi minuti, e già sentiva di potersi fidare di lui, che era un brav’uomo con una triste storia nel suo passato. La poteva leggere nei suoi occhi, quando lo coglieva a guardare Cheryl.

“Come posso ringraziarla?”

L’uomo pensò qualche istante, poi con un sorso finì di bere la sua birra. Si voltò soddisfatto verso la bionda. “Cominciamo col non chiamarmi più Agente Cartland!” disse sorridendo.

Anche Cybil sorrise a quelle parole. “D’accordo!”

Si voltò, per vedere che Cheryl era già fuori davanti la porta a vetri del locale. “Allora a dopo!”

 

“Dannazione, guidi persino più lenta di Douglas!”

Cybil sorrise anche quella volta. Sembrava non fosse in grado di offendersi in nessun modo. Cheryl era già da un po’ che non sorrideva, invece. Non riusciva più neanche a usare quel sorriso triste che la contraddistingueva. L’arrivo di quella donna l’aveva scombussolata non poco. Perché era lì? E perché proprio adesso? E perché ancora non riusciva a riorganizzare tutti i suoi ricordi? Sicuramente quella donna apparteneva ai ricordi di Alessa e di Cheryl, la piccola bambina con i capelli corti, neri, ma sentiva che questo non era tutto. Provava sensazioni strane a starle vicino, sensazioni che solo il padre riusciva a farle provare.

Decise tuttavia di ricominciare da dove avevano lasciato.

“Come hai fatto a sopravvivere?”

Cybil non tolse gli occhi dalla strada.

“Quando mi risvegliai, trovai tuo padre che mi teneva fra le braccia, e mi chiamava insistentemente. Mi raccontò di essere stata posseduta da una specie di mostro, e che avevo rischiato di farmi uccidere da lui, o peggio di ucciderlo…la mia pistola aveva il caricatore vuoto, e infatti pare che io glielo abbia sparato tutto contro. Fortunatamente in quello stato ero lenta e poco abile nella mira, e tutt’attorno i cavalli della giostra erano ottime barriere per Harry. Quando i proiettili finirono cercò di immobilizzarmi e di farmi riprendere, ma nella colluttazione si ruppe un flacone che aveva preso all’ospedale e che teneva in tasca.”

La donna a quel punto sorrise. “Mi disse che lo aveva preso perché “sapeva di buono”! A volte mi domando ancora chi mi fece quel regalo. Comunque il liquido all’interno del flacone mi costrinse a vomitare il mostriciattolo che avevo all’interno del corpo. Harry lo schiacciò ponendo fine a quell’incubo.

Non ebbi la forza di seguirlo, quando andò a cercare Alessa, ma di lì a poco l’ambiente tutt’attorno cambiò, e mi ritrovai catapultata a mia volta in quello strano mondo contorto, e senza forma. La giostra era sparita, e al suo posto era comparsa un’immensa stanza vuota. Tuttora non so dire se fosse all’aperto o al chiuso, se avesse mura e soffitti. So solo che a un certo punto…finiva…senza traccia, semplicemente facendo vincere il buio nero, e la grata rugginosa e sanguinolenta che avevamo sotto i piedi spariva alla vista. Al centro, su quel simbolo strano, c’erano Dahlia e Alessa…e c’era anche l’altra bambina, il corpo ormai senza anima che era stato rinchiuso tutti quegli anni in quello stanzino sotterraneo dell’ospedale. Le sentii parlare, gridare, ma non potei fare nulla. Quando ebbi la forza di alzarmi Dahlia non volle quasi ascoltarmi. Aspettava Harry…non so perché, avrebbe potuto evocare quella mostruosità in qualsiasi momento, ma lei aspettava Harry! Io non ero importante per lei. Non avrei sofferto abbastanza nel vedere le due bambine sparire, non serviva mostrarlo a me.

Non passò molto tempo che Harry arrivò, e con lui anche quel dottore, quel Michael. Aveva un’altra fiala di quella sostanza, la stessa che aveva salvato la mia vita. Ma qualcosa non funzionò, e invece di aiutare Alessa, ormai completa e potente più che mai, accelerò il processo del parto, e il demone, il dio di Dahlia, venne fuori  squartandole il ventre.

Ma adesso scendiamo; siamo arrivati!”

Cheryl si voltò a guardare fuori dal finestrino. “Che cosa?!”

Era talmente assorta in quel racconto che non si era accorta di aver percorso tutta la strada che separava il bar vicino al cimitero da casa sua.

“Ehi, un momento! Tu come fai a sapere dove abito?”

Cybil sorrise tristemente, stavolta lasciando trasparire tutta la sua frustrazione.

“L’ho scoperto qualche anno fa…vi ho cercato a lungo, perché l’idea di non avere nessuna traccia di voi mi uccideva. Ma avevo promesso a Harry che non sarei tornata fino a che non mi avesse chiamato lui, fino a quando il pericolo non fosse cessato…”

Sollevò la testa, fissando un punto indefinito con malinconia. “Ma credo che non si arrabbierà sapendo che ora mi sono fatta vedere…”

La ragazza osservò a fondo quell’espressione. Non sembrava l’espressione di una persona innamorata. Era qualcosa di più profondo dell’amore. Qualcosa che andava forse al di là della comprensione umana. E lei riusciva a coglierne l’esistenza, ma non l’essenza.

Fu risvegliata dal sorriso di Cybil che riprendendo forza si voltò verso di lei. “Vogliamo andare adesso?”

 

Dentro l’aria aveva ancora l’odore del sangue rappreso. I poliziotti avevano evidenziato le prove, ogni singola goccia rossastra era cerchiata con un gessetto, e un’intera zona della casa era circondata da un nastro giallo per impedire l’accesso. Fortunatamente quei segnali non valevano più, ora che Douglas aveva preso il caso e aveva impedito l’accesso alla casa a tutti i poliziotti. Del resto quella scena era talmente raccapricciante che nessuno sarebbe entrato di sua spontanea volontà.

Cheryl esitò a entrare. Ogni volta che doveva entrare in quella casa pensava sempre di voler andare via, di scappare chissà dove. Invece anche quella volta si fece forza, e senza una vera intonazione fece entrare anche Cybil dicendo: “Scusa il disordine”

La donna entrò, e anche per lei il familiare odore di ferro fu una dura prova da superare. Richiuse la porta alle sue spalle, e si inoltrò seguendo la ragazza che aveva di fronte, che si dirigeva a passi sicuri verso il tavolo. Passarono davanti a una poltrona che stava nella zona “inaccessibile”. Cybil la guardò di sottecchi, vedeva una scia di gocce di sangue finire proprio in quel punto, ma da dove stava passando riusciva a vedere solo lo schienale. Immaginava cosa avrebbe potuto trovare sul cuscino, e decise di non inoltrarsi.

Cheryl si sedette su una delle sedie, e Cybil fece lo stesso, mettendosi al suo fianco. Per qualche istante il silenzio regnò sovrano, e la donna guardava tutt’attorno la casa che non l’aveva mai potuta ospitare.

“Come mai ti sei tinta i capelli?” chiese all’improvviso.

Cheryl rispose annoiata da quella domanda. “Le bionde piacciono di più…”

“Davvero?” Cybil sembrò sinceramente stupita. Ma forse stava cercando di smorzare la tensione. “Non ci avevo mai fatto caso. Beh, buon per me, no?!”

Cheryl non aveva l’umore adatto. Se ne accorse subito, ma voleva comunque parlare con lei di tutto, voleva dirle cose che per dodici anni non era riuscita a dirle. Ma forse era meglio continuare la sua storia…

“Il mostro che uscì non era completo. Il piano di Alessa, quello che mi hai raccontato prima, era riuscito. Mancavano delle parti del suo corpo, ed era molto lontano dall’onnipotenza di un Dio. Ma faceva comunque molta paura. Uccise Dahlia mentre ancora rideva della sua creazione, e avrebbe ucciso anche noi, se non fosse stato per il coraggio di Harry. Lui attirò l’attenzione del demone, e con pochi, precisi colpi riuscì ad abbatterlo. Scomparve nel nulla, inghiottito dalle tenebre.

Alessa invece era ancora la, a terra, ferita gravemente. La vidi stracciare le sue vesti, e usare la stoffa per avvolgerci una bambina. L’unica spiegazione che riesco a dare è che usò una magia. Un potere speciale, che le permise di partorire quella bambina in quei pochi minuti. Ma d’altronde tutto era incredibile laggiù.

Diede la bambina ad Harry, e gli chiese di proteggerla, di farla crescere circondata dall’amore, di darle la vita che lei non aveva avuto. Gli chiese di essere suo padre. Harry era confuso, ma prese ugualmente la bambina…”

“…e poi Alessa aprì il varco dimensionale per farvi scappare.”

Cheryl parlò con voce greve. “Com’è brutto ricordare la propria morte!

Senza Alessa quel mondo non poteva esistere, e sarebbe scomparso insieme a lei. Per cui usando le ultime forze aprii quel varco e vi feci scappare via. Tutti tranne quel maiale, Kaufmann. Lui lo feci prendere dal mio angelo. La feci vendicare, la mia piccola, dolce Lisa…”

Cybil osservò la biondina dire quelle parole con tranquillità, tenendo la testa appoggiata su un gomito. Anche in quel caso sentiva che erano i ricordi di Alessa a parlare, e non lei.

“Capisco…ecco perché non trovammo più quell’uomo…”

“Se lo meritava, quell’essere spregevole.” Cheryl sembrava scaldarsi con le sue parole. La testa riprese a farle male. “Ammazzò Lisa senza pietà, proprio davanti a me, come se non fossi stata presente. Bastardo! Doveva pagare.”

Tirò un pugno al tavolo. Poi il suo sguardo si fece lontano, assente. Sembrava persa nella sua testa.

“…e poi…e poi…”

Cybil capì cosa stava succedendo. Non voleva soffrisse in quel modo, ma sembrava inevitabile. Le si avvicinò, cercando di calmarla, ma era tutto inutile.

“…e poi…sono…morta…”

 

Rialzò la testa con uno scatto. Girava ancora, ma il dolore era passato almeno. Incontrò subito gli occhi azzurri e il sorriso rassicurante. “Va un po’ meglio?”

Si guardò attorno, un po’ spaesata; poi tornò a guardare Cybil. “Che è successo?”

“Sei svenuta per qualche minuto. Non ti fa bene ricordare quelle cose!”

In effetti sentiva al petto un senso di vuoto e il suo corpo era intorpidito e privo di sensibilità. Non riusciva a muoversi facilmente, dovette provare più volte a sollevare le braccia o a spostare i piedi. Quella visione era stata talmente tanto reale, da farle provare l’intensa esperienza della morte senza abbandonare la vita. Ma il cervello, evidentemente esausto da quella prova, stava cercando ora di riacquisire le sue capacità lentamente, e se prima aveva recuperato la coscienza di sé ora cercava di riprendere controllo sul corpo donando alla ragazza l’istinto della vita ancora una volta. Sentiva dei formicolii lungo tutto il corpo, ma lentamente riuscì a riprendere il controllo di sé.

“Ti preparo qualcosa. Che cos’hai in cucina?”

Cheryl era ancora abbattuta per quella sensazione.

“Non lo so, sono tre giorni che non guardo cosa c’è in cucina.”

“Hai mangiato qualcosa?”

La ragazza scrollò le spalle. In effetti era molto dimagrita in quei due giorni, e si sentiva debole e spossata. Aveva dormito meno di quattro ore a notte, e se la prima notte dormì sul tavolo, la seconda andò peggio, e la passò in una stazione di polizia. Dormì su una brandina, in una cella. Chiaramente lasciarono la porta aperta, ma non sarebbe riuscita ad addormentarsi. L’inconscio e l’istinto vinsero nuovamente sul corpo e sulle sue paure, e verso le 3 di notte svenne letteralmente, svegliandosi qualche ora dopo intontita e più stanca di quando aveva perso i sensi.

“Un paio di biscotti, ieri sera…”

Cybil la guardò apprensiva.

“Non mi meraviglia allora che tu sia svenuta. Non credi sia il caso di mangiare? Dovrai pur nutrirti…”

Cheryl si fece scura in volto.

“Credo sia il caso che tu continui la tua storia!”

La sua determinazione stupì la donna, che per un istante rimase in silenzio. Poi si alzò, sorridente, dirigendosi verso la cucina, e provocando un sonoro sospiro della ragazza. Sembrava una gara a chi aveva la testa più dura.

“Hai ragione anche tu…” disse dalla cucina, mentre apriva il frigorifero per vedere cosa c’era dentro. “Per questo continuerò a raccontartela mentre ti preparo da mangiare. Ma vorrei che ti avvicinassi anche tu, non mi va di urlare tutto il tempo”

In effetti per farsi sentire aveva dovuto alzare la voce. Non che stesse urlando per davvero, anzi, sembrava quasi che fosse divertente, per lei, parlare così, come quando provi qualcosa di nuovo. Ma non era certo un tono che si addiceva a quella storia. Così Cheryl si alzò svogliatamente dal tavolo, e si avvicinò alla donna, che guardava con disappunto delle uova, e un po’ di lattuga e pomodori, le uniche pietanze rinvenute, oltre a qualche bottiglietta di salsa e latte. Ma decise di accontentarsi, così prese un tegamino e cominciò la preparazione. Cheryl si era appoggiata al muro, lontana dai fornelli, e la guardava quasi annoiata da quella premura. Il cibo lei se lo sapeva cucinare da sola! Non c’era bisogno di tutte quelle attenzioni. Non capiva proprio il perché.

Cybil si voltò, e la vide con lo sguardo imbronciato e le braccia incrociate. Sorrise, poi accese il fornello.

“Sai, ho sempre pensato che Harry fosse un padre perfetto, fin da quando lo incontrai in quel bar con la premura di ritrovare sua figlia a tutti i costi, sfidando la sorte e l’ignoto, rischiando la vita…non tutti lo avrebbero fatto!”

Cheryl non rispose. Si limitò ad assentarsi con il suo sguardo, cercando di ricreare con la mente la figura rassicurante di quell’uomo. Si, lo sapeva che suo padre era il migliore, il padre che tutti avrebbero desiderato.

Le uova cuocevano lentamente, producendo un rumore continuo, quasi rilassante, e contrastando finalmente l’aria pesante della casa con il loro odore. Si tinsero di bianco, con quella sfera gialla al centro.

“Non ebbe tempo di piangere quando tutto fu finito. Sua figlia era sparita nel nulla, e lui non poté piangerla o fare nient’altro. Non trovammo mai nemmeno il suo corpo. In compenso eri apparsa tu…”

Il cuore di Cheryl sussultò.

“…non c’era spiegazione per quello che era successo, e non poteva essere un sogno o un incubo. Tu eri reale, e Harry ti teneva stretta al suo petto.”

La donna guardò senza voltarsi. Vide Cheryl con gli occhi socchiusi, che spostava gli occhi da un punto a un altro, senza guardare nulla in particolare.

“Cheryl…”

La ragazza sembrò destata da un sogno.

“…non puoi ricordare. Eri appena nata!”

Cybil si voltò a mostrarle il suo sorriso rassicurante. Cheryl spostò lo sguardo facendo una smorfia, ma invece che offenderla, questo gesto procurò un sommesso risolino divertito. Poi la donna tornò verso il bancone.

“Ci sorprendemmo nel trovare gente per strada.” continuò, mentre lavava alcune foglie di lattuga. “Ci guardavano come se fossimo di un altro pianeta, mentre camminavamo incerti verso nessun luogo in particolare. La mia motocicletta era completamente in panne, mentre dell’auto di Harry non c’era alcuna traccia. Credo sia perché io fui sbalzata via dalla moto prima di entrare in quel mondo, non saprei. Comunque noleggiammo un auto per arrivare a Brahms e raccontare tutto ai miei superiori.”

“Avete raccontato quella storia ad altre persone?!”

Cybil spense il fornello. Inarcò le sue labbra, mostrando un sorriso amaro.

“Anche tu lo hai notato subito, vero? Che stupidaggine che facemmo…”

 

  
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