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Autore: moira78    20/04/2007    10 recensioni
Prima classificata alla XXIV Edizione del concorso di EFP su Ranma 1/2 Dopo il matrimonio fallito, Ranma fugge via per allenarsi e riflettere. Quando finalmente decide di ritornare per rivelare ad Akane i suoi sentimenti un tragico evento sconvolge Tokyo, intrecciando le vite e i destini di tutti in modo irreversibile.
Genere: Drammatico, Avventura, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Cap.3

Il Disastro

 

 

“Questo non è il momento di fidanzarsi! Io me ne torno in Cina. Chissà, forse là troverò il modo per tornare normale!”

 

“Meglio così, non ci tengo ad essere la fidanzata di un pervertito!”

 

“Guardate, sono già una bella coppia!”

 

“Lui è già una coppia da solo!”

 

Il dolore tornò e la testa parve scoppiarle.

Cosa mi è caduto addosso, il cancello?!

 

Provò a muoversi, e tornò la nebbia.

 

“Fai a botte con loro tutte le mattine?”

 

“Sì, ed è tutta colpa di Kuno!”

 

Il Furinkan. Ranma. “Ma cosa?….”

 

Un altro boato, poi il silenzio.

 

“Mikado Sanzenin! Se ti azzardi a toccare Akane sei un uomo morto! Akane è la mia fidanzata, capito?!”

 

“Ranma!”

 

“Sei molto più carina quando sorridi”.

 

“Ran….Ranma….”

 

“Se ti piace tanto Nabiki, perché non ti metti con lei?!”

 

“Ma che cavolo dici?!”

 

Un dolore lancinante alla testa… flash-back… ricordi.

 

“Ma dove...”

 

“Mi dispiace di aver interrotto il tuo appuntamento romantico con Ryoga!”

“Ranma che dici?!”

 

“...dove...”

 

Il suo volto divenne più vicino… oh, se solo avesse potuto muoversi, toccarlo…

 

“Akane mi senti, non è vero? Svegliati, devo dirti una cosa!”

 

“Dove sono?”

 

“AKANEEEE!”

 

I suoi occhi si aprirono. Era vagamente conscia del grande cancello di casa sua sulla schiena, e delle lacrime che le scorrevano sul volto.

 

Poi ricordò tutto.

 

 

 

“Ryoga, dove ti sei cacciato?!”

 

Ukyo voltò l’angolo, ma Ryoga non c’era… poi sentì un’esplosione, forse un boato.

 

“Ma cosa… Ryoga! Ryo…”

 

La terra le tremò sotto i piedi, e vide un polverone alzarsi intorno a lei mentre tutto si frantumava e crollava. Per un attimo Ucchan pensò che Ryoga avesse usato la tecnica dell’esplosione per sbucare da un muro all’improvviso, ma capì che non poteva essere quello quando vide crollarle tutto il mondo addosso.

 

Un cavo dell’alta tensione si staccò improvvisamente dal pilone di cemento e si diresse in una folle danza elettrica verso di lei.

 

 

Ranma si accorse che qualcosa non andava quando avvertì i nervosi versi degli animali del bosco; gli uccelli volavano via a piccoli stormi ad intervalli regolari, sbattendo le ali e gridando forte il loro verso al cielo; gli scoiattoli si arrampicavano fulminei sugli alberi come per sfuggire ad un terreno ostile, e le civette… anche loro si svegliarono dal loro torpore e volarono via.

 

“Ma cos’è questa fuga?!” Ranma fece un passo, e improvvisamente ebbe chiaro che era inutile fuggire.

 

Sentì una vibrazione crescente solleticargli i piedi fino alle viscere, e poi quella stessa vibrazione divenne il movimento folle del terreno che lo sbatté per terra.

La minuscola frazione di mondo in cui Ranma si trovava parve collassare su se stessa tirandosi appresso tutto quello che c’era: alberi, dune, pilastri di roccia, addirittura le radici degli alberi, tutto gli parve crollare addosso.

 

Una spaccatura nel terreno zigzagò fino a lui aprendosi in pochi secondi in una voragine di vertiginosa profondità.

 

E per la prima volta, Ranma Saotome, seconda generazione della scuola di Arti Marziali Indiscriminate, ebbe paura di morire.

 

 

Akane ricordava di avere appena messo piede fuori del cancello per correre incontro alla speranza, quando le parve che le avessero tolto il mondo sotto i piedi.

Mentre cadeva, la sua mente formulò distrattamente un pensiero folle “Qualcuno ha spostato la Terra...?!”

 

Poi vide una scena che la colmò di un orrore indescrivibile, che anche a distanza di anni avrebbe faticato a dimenticare. In seguito, quella scena sarebbe tornata nei suoi incubi ripetuta migliaia di volte al rallentatore, facendola urlare nel sonno.

 

Vide la sua casa, e il dojo che sarebbe dovuto essere suo e di Ranma, crollare, accartocciarsi su loro stessi, diventando una massa informe di tegole, legno, vetro, marmo…

In pochi secondi la graziosa casa stile classico-giapponese, con tanto di laghetto e giardino smise di esistere divenendo un cumulo di macerie, e lei non vide mai le crepe che si aprirono lungo i muri indebolendo le strutture, o i muri stessi vacillare e cadere ad uno ad uno.

Lei vide semplicemente la metamorfosi da intero a nullo, come se la sua casa fosse stata un’illusione della mente e fosse semplicemente sparita, come se si fosse disintegrata da sé.

 

Le sue labbra formarono una “O” perfetta, ma non riuscì ad articolare che un verso strozzato.

 

Tentò di rialzarsi, e le parve di essere diventata lentissima. Poi sentì delle grida e, portandosi le mani alle orecchie mentre correva…

 

Non voglio sentire Pensò come per far tacere la paura.

 

è solo un incubo, e non griderò

 

Invece cominciò a gridare anche lei, e credette che le corde vocali le si sarebbero spezzate di netto.

 

 

Ranma non aveva mai visto la natura sconvolgersi in un modo così netto, così… definitivo.

Era come se un essere superiore, Budda, o forse Dio, avesse deciso di rompere come un giocattolo quello che aveva creato per costruirsene uno nuovo.

 

“Questa è la fine del mondo...?” Pensò confusamente a quello che aveva letto su quel tizio che prevedeva il futuro… Nostradamus forse?, e maledisse mentalmente il fatto che fosse accaduto proprio ora che aveva deciso di mettere ordine nella sua vita.

 

Solo allora si accorse di essere salvo per puro miracolo o, volendo, per la sua prontezza di riflessi; guardò in alto e poi in basso, e si rese conto che l’unica cosa che lo teneva saldo al terreno distrutto, in perfetto equilibrio fra cielo e terra, era la sua mano aggrappata all’orlo della voragine che aveva sotto i piedi.  

 

Qualcosa cadde sibilando a pochi centimetri dalla sua testa, poi si schiantò con un rumore forte, e Ranma si sentì investito come da migliaia di aghi.

 

Ma non mollò finché la terra non smise quella danza folle.

 

Con un indicibile sforzo riuscì a tirarsi su, e lo spettacolo che gli si parò di fronte lo lasciò senza fiato.

 

Tutto era distrutto.

 

Il bosco che c’era prima era una massa informe di legna e arbusti, radici espiantate dal terreno come fossero di burro, rami spezzati sparpagliati ovunque, alberi dai tronchi secolari caduti come fuscelli al vento.

 

Tirandosi in piedi, Ranma si accorse di avere un taglio profondo al braccio e tanti piccoli tagli un po’ ovunque.

 

Sedette a terra per esaminare la ferita, e capì il motivo per cui bruciava come l’inferno: aveva un grosso pezzo di vetro conficcato dentro, e ne scorse il luccichio solo guardando più attentamente.

 

Capì allora cosa lo aveva investito.

 

Il suo zaino era a pochi metri da lui, aperto.

 

“Non l’ho chiuso e il barattolo di riso è schizzato fuori – pensò - Bene, ora sono anche senza cena!”

 

Ma era stato meglio, si disse, perché se lo avesse colpito direttamente sarebbe svenuto e avrebbe lasciato la presa precipitando.

 

Comunque ora doveva pensare a tornare in città, doveva sapere che effetti il terremoto aveva avuto da quelle parti.

 

“Oh mio Dio…” La voce si riempì di terrore.

 

Se il bosco era in quelle condizioni, quante case avrebbe trovato ancora in piedi?

E quante persone erano scampate al crollo di muri, alberi, edifici…

 

“Akane…”

 

La paura gli si insinuò nelle viscere come una droga forte, e il cuore gli pulsò nelle tempie mentre cominciava a correre.

 

Il dolore e un fiotto di sangue gli ricordarono che aveva ancora il pezzo di vetro conficcato nel braccio destro.

 

“Maledizione!” Sibilò tra i denti.

 

Prese un respiro, lo afferrò con due dita e tirò.

 

Il gemito divenne un urlo di sofferenza e poi di rabbia.

 

“Dio che male!”

 

Si medicò e si fasciò alla meglio l’avambraccio imprecando contro il dolore ancora acuto.

 

Poi cominciò a correre.

 

 

Akane si accorse di avere un braccio rotto solo quando ci si poggiò per non cadere; allora gridò, ma non si fermò. Piangeva e urlava i nomi a lei cari mentre si avvicinava a quella che era stata la sua casa.

 

Distrutta.

 

Non un granello era rimasto in piedi.

 

“Papà! Nabiki! Rispondetemi vi prego!”

 

Udì una voce debole, e riconobbe sua sorella.

 

“Nabiki sei tu?”

 

“… si… ono… io!”

 

La voce sembrava provenire da sotto terra, lontana e flebile.

 

“Continua a parlare sto arrivando!”

 

“...atten… potrebbe croll… tutto!”

 

“Cosa?!” Poi capì. Sua sorella aveva ragione, se avesse camminato troppo sulle macerie le sarebbe crollato tutto addosso e l’avrebbe uccisa.

 

Il braccio le spediva delle ondate di dolore insopportabili ma, invece di perdere i sensi, Akane utilizzò la propria sofferenza per gridare a sua sorella di continuare a parlare; avrebbe individuato dove si trovava, e avrebbe cominciato a scavare con delicatezza fino a tirarla fuori.

 

Si accasciò sul cumulo di macerie e usò le ginocchia e il braccio buono per strisciare fino al punto giusto, poi le gridò: “ Nabiki! Sei ferita?”

 

“No! Mi sono riparata sotto al tavolo!” Ora la voce era più vicina.

 

“Bene, ascolta! Non muoverti, io comincio a scavare piano piano, va bene?”

 

“Ci puoi contare che non mi muovo sorella… sono incastrata!”

 

“Bene!” E cominciò a spostare le macerie a mani nude.

 

“Sai dov’è papà?!” Nessuna risposta.

 

Akane fu colta dal terrore, e scavò più velocemente.

 

“Nabiki! Per l’amor di Dio dov’era papà quando c’è stato il terremoto?!” Urlò

 

“Stava facendo il bagno Akane.” Disse lentamente.

 

“Oh mio Dio… e con cosa si è riparato?” Rifletté.

 

In un attimo la sua mente volò a sua sorella Kasumi che era per strada… e a Ranma.

Chissà dove erano, e come stavano…

Nuove lacrime l’accecarono, quando, scavando, scorse la sagoma informe di quello che era stato il tavolo della camera da pranzo dove tante volte aveva mangiato in compagnia delle sue sorelle, di suo padre, di Ranma…

 

“Nabiki, ti vedo!” La testa castana si era sporta un poco da sotto il tavolo.

 

“Akane… dobbiamo cercare papà!” Le tese il braccio.

 

Mentre allungava la mano, Akane vide un’altra persona nel volto di sua sorella.

 

Lei, che era sempre sicura di se stessa, che sorrideva davanti a tutto, che teneva a mostrare tutta la sua saggezza, ora le apparve solo come una ragazza impaurita, sporca di terra sul viso e sui capelli, pallida e preoccupata per suo padre.

 

“Akane ma… il tuo braccio…”

 

“Non è nulla. Nabiki…!” Pianse tirandola su e abbracciandola “Stai bene sorellina? Niente di rotto?”

 

Nabiki le batté un poco la mano sulle spalle “Coraggio Akane… ero spaventata, tutto qui, ma poi ho cercato di pensare e mi sono nascosta sotto il tavolo… dai, non è il momento di frignare, ora dobbiamo trovare papà!”

 

Akane annuì e si guardò intorno freneticamente. “Dove… dove sarà sprofondato il bagno?!”

 

Nabiki non era solo allarmata e spaventata: era terrorizzata, ma capì che doveva ragionare se voleva salvare suo padre, e non pensare al peggio; si morsicò un po’ le labbra e chiuse gli occhi. Percorse mentalmente il corridoio… e li riaprì indicando un punto. “Lì Akane, scaviamo lì!”

 

Senza esitare, cominciarono a spostare i pezzi più grandi, attente a non tagliarsi ulteriormente con i vetri.

 

“Papà! PAPA’!” Chiamarono all’unisono.

 

Nessuna risposta, finché non scorsero la manica di un accappatoio e la afferrarono.

 

Era privo di sensi, e con un brutto taglio sulla testa.

 

Senza dire una parola, Akane e Nabiki lo stesero sul terreno con delicatezza e lo chiamarono col panico nella voce. Gli occhi dell’uomo si aprirono lentamente, lucidi e confusi.

 

“N… Nabiki… A… Akane?”

 

“Papà stai bene?” Piagnucolò la più giovane delle Tendo.

 

“Akane perché piangi?”

Nabiki disse: “Papà grazie al cielo sei salvo, ma hai un taglio sulla fronte… vieni, cerchiamo un dottore”.

Akane intervenne: “Come hai fatto a salvarti dal crollo?”

 

“Mi sono infilato l’accappatoio non appena ho sentito tremare la terra. Avevo capito che era un terremoto, ma… – si portò una mano alla testa nel momento in cui le figlie lo tiravano in piedi – ma poi…”

 

“Papà stai bene?” Chiese preoccupata Akane.

 

“S-sì… solo un capogiro…”

“Allora papà continua a parlare, e cerca di non svenire di nuovo!” Lo esortò Nabiki intelligentemente.

 

“Ecco io… il tetto mi è crollato sulla testa, pensate un po’! Sembrava un’esplosione più che un terremoto, comunque prima… prima di svenire mi ci sono messo sotto perché la casa… mi stava crollando addosso…” Il pover’uomo non sapeva se ridere per essersi salvato così miracolosamente, o piangere per la disperazione della sua casa distrutta.

 

Ma prima che potesse decidere il mondo si oscurò, e udì una voce lontana…

 

“…papà…. papà che cos’hai?! -… anzi due voci… -papà resta sveglio… PAPA’!”

 

...poi entrò in coma.

 

 

Il dottor Tofu aveva sempre creduto che tutto ciò che di bello gli accadeva nella vita fosse un dono degli dei, ma non sapeva se meritarselo davvero.

 

Dava tutto per concesso, per questo si impegnava nel suo lavoro, aiutando gli altri per ringraziare il Cielo delle giornate in cui per caso incontrava Kasumi.

 

Ma quel giorno, trovandola svenuta e ferita tra le macerie, ringraziò il Cielo solo di averla trovata ancora viva.

 

 

Akane avrebbe voluto caricare suo padre sulle spalle e correre di volata allo studio del dottor Tofu, ma il braccio rotto glielo impedì, e così si fece aiutare da Nabiki.

 

Il tragitto, che di solito richiedeva non più di cinque minuti,  costò alle sorelle quasi un’ora di pellegrinaggio e di slalom tra le macerie della città distrutta.

 

In un paio di occasioni, stentarono addirittura a riconoscere la strada, ma preferirono evitare di commentare l’entità di quel disastro, come per un tacito accordo.

 

Non dovevano permettere alle loro menti di concentrarsi più del necessario sulle case crollate, i pali della luce pericolosamente crepati e spezzati, gli alberi caduti, i cumuli di macerie che avevano coperto l’asfalto di diversi metri, costringendole ad arrampicarsi faticosamente.

 

Ma si costrinsero a fermarsi ogniqualvolta scorgevano delle tracce di sangue.

L’ultima persona che videro semisepolta era una giovane donna con la testa voltata in maniera innaturale. Akane si avvicinò, la toccò sul collo rotto per percepire inesistenti pulsazioni, e stavolta cedette.

Si inginocchiò accanto a lei tremante e piangente e rimise la colazione di circa due ore prima.

 

Nabiki le si accostò.  “Tutto bene Akane?”

 

“Sì… solo che ho visto troppe persone morte per oggi, non ci fermiamo più per favore”.

 

“Ok. Vieni, siamo quasi arrivate, vedrai che il dottor Tofu si è salvato e salverà anche nostro padre, e….ti curerà quel braccio…” Si sforzò di sorridere ad Akane, ma non le riuscì.

 

“Spero tanto che tu abbia ragione Nabiki…” Mormorò stancamente.

 

Non avevano fatto che dieci metri quando videro il buon dottore chinato all’angolo della sua clinica con una borsa del ghiaccio in mano.

 

“Dottor Tofu… grazie a…” Ma Akane non riuscì a continuare quando riconobbe sua sorella Kasumi nella donna stesa accanto a lui.

 

 

Ryoga non capì bene quello che stava accadendo. Ricordò solo un gran fracasso poco dopo che aveva perso di vista Ucchan, poi un crollo seguito da uno schianto.

 

Quando vide il grosso cavo elettrico dirigersi verso Ukyo pensò che non ce l’avrebbe mai fatta, poi saltò.

 

L’afferrò appena in tempo, ma non prima che il cavo le sfiorasse il volto appena sotto l’occhio destro.

La sentì gridare, ma vide che non c’era tempo per fermarsi e vedere quanto danno le aveva fatto la scarica: ora dovevano mettersi in salvo.

 

Saltò a casaccio sui tetti che gli crollavano sotto i piedi pregando di non cadere in quell’inferno di macerie che si andavano accumulando, poi si fermò in cima ad un tetto che sembrava reggere al sisma.

 

Allora si rannicchiò con la sua amica svenuta fra le braccia e aspettò che il mondo smettesse di tremare o si distruggesse per sempr

   
 
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