Cap.3
Il
Disastro
“Questo non è il momento di fidanzarsi! Io me ne torno in Cina. Chissà, forse là troverò il modo per tornare normale!”
“Meglio così, non ci tengo
ad essere la fidanzata di un pervertito!”
“Guardate, sono già una
bella coppia!”
“Lui è già una coppia da
solo!”
Il dolore tornò e la testa
parve scoppiarle.
Cosa mi è caduto addosso, il
cancello?!
Provò a muoversi, e tornò la
nebbia.
“Fai a botte con loro tutte
le mattine?”
“Sì, ed è tutta colpa di
Kuno!”
Il Furinkan. Ranma. “Ma
cosa?….”
Un altro boato, poi il
silenzio.
“Mikado Sanzenin! Se ti
azzardi a toccare Akane sei un uomo morto! Akane è la mia fidanzata,
capito?!”
“Ranma!”
“Sei molto più carina quando
sorridi”.
“Ran….Ranma….”
“Se ti piace tanto Nabiki,
perché non ti metti con lei?!”
“Ma che cavolo
dici?!”
Un dolore lancinante alla
testa… flash-back… ricordi.
“Ma
dove...”
“Mi dispiace di aver
interrotto il tuo appuntamento romantico con Ryoga!”
“Ranma che
dici?!”
“...dove...”
Il suo volto divenne più
vicino… oh, se solo avesse potuto muoversi, toccarlo…
“Akane mi senti, non è vero?
Svegliati, devo dirti una cosa!”
“Dove
sono?”
“AKANEEEE!”
I suoi occhi si aprirono.
Era vagamente conscia del grande cancello di casa sua sulla schiena, e delle
lacrime che le scorrevano sul volto.
Poi ricordò
tutto.
“Ryoga, dove ti sei
cacciato?!”
Ukyo voltò l’angolo, ma
Ryoga non c’era… poi sentì un’esplosione, forse un boato.
“Ma cosa… Ryoga!
Ryo…”
La terra le tremò sotto i
piedi, e vide un polverone alzarsi intorno a lei mentre tutto si frantumava e
crollava. Per un attimo Ucchan pensò che Ryoga avesse usato la tecnica
dell’esplosione per sbucare da un muro all’improvviso, ma capì che non poteva
essere quello quando vide crollarle tutto il mondo
addosso.
Un cavo dell’alta tensione
si staccò improvvisamente dal pilone di cemento e si diresse in una folle danza
elettrica verso di lei.
Ranma si accorse che
qualcosa non andava quando avvertì i nervosi versi degli animali del bosco; gli
uccelli volavano via a piccoli stormi ad intervalli regolari, sbattendo le ali e
gridando forte il loro verso al cielo; gli scoiattoli si arrampicavano fulminei
sugli alberi come per sfuggire ad un terreno ostile, e le civette… anche loro si
svegliarono dal loro torpore e volarono via.
“Ma cos’è questa fuga?!”
Ranma fece un passo, e improvvisamente ebbe chiaro che era inutile
fuggire.
Sentì una vibrazione
crescente solleticargli i piedi fino alle viscere, e poi quella stessa
vibrazione divenne il movimento folle del terreno che lo sbatté per
terra.
La minuscola frazione di
mondo in cui Ranma si trovava parve collassare su se stessa tirandosi appresso
tutto quello che c’era: alberi, dune, pilastri di roccia, addirittura le radici
degli alberi, tutto gli parve crollare addosso.
Una spaccatura nel terreno
zigzagò fino a lui aprendosi in pochi secondi in una voragine di vertiginosa
profondità.
E per la prima volta, Ranma
Saotome, seconda generazione della scuola di Arti Marziali Indiscriminate, ebbe
paura di morire.
Akane ricordava di avere
appena messo piede fuori del cancello per correre incontro alla speranza, quando
le parve che le avessero tolto il mondo sotto i piedi.
Mentre cadeva, la sua mente
formulò distrattamente un pensiero folle “Qualcuno ha spostato
Poi vide una scena che la
colmò di un orrore indescrivibile, che anche a distanza di anni avrebbe faticato
a dimenticare. In seguito, quella scena sarebbe tornata nei suoi incubi ripetuta
migliaia di volte al rallentatore, facendola urlare nel
sonno.
Vide la sua casa, e il dojo
che sarebbe dovuto essere suo e di Ranma, crollare, accartocciarsi su loro
stessi, diventando una massa informe di tegole, legno, vetro,
marmo…
In pochi secondi la graziosa
casa stile classico-giapponese, con tanto di laghetto e giardino smise di
esistere divenendo un cumulo di macerie, e lei non vide mai le crepe che si
aprirono lungo i muri indebolendo le strutture, o i muri stessi vacillare e
cadere ad uno ad uno.
Lei vide semplicemente la
metamorfosi da intero a nullo, come se la sua casa fosse stata un’illusione
della mente e fosse semplicemente sparita, come se si fosse disintegrata da
sé.
Le sue labbra formarono una
“O” perfetta, ma non riuscì ad articolare che un verso
strozzato.
Tentò di rialzarsi, e le
parve di essere diventata lentissima. Poi sentì delle grida e, portandosi le
mani alle orecchie mentre correva…
Non voglio
sentire
Pensò come per far tacere la paura.
è solo un incubo, e non
griderò
Invece cominciò a gridare
anche lei, e credette che le corde vocali le si sarebbero spezzate di
netto.
Ranma non aveva mai visto la
natura sconvolgersi in un modo così netto, così…
definitivo.
Era come se un essere
superiore, Budda, o forse Dio, avesse deciso di rompere come un giocattolo
quello che aveva creato per costruirsene uno nuovo.
“Questa è la fine del
mondo...?” Pensò confusamente a quello che aveva letto su quel tizio che
prevedeva il futuro… Nostradamus forse?, e maledisse mentalmente il fatto che
fosse accaduto proprio ora che aveva deciso di mettere ordine nella sua
vita.
Solo allora si accorse di
essere salvo per puro miracolo o, volendo, per la sua prontezza di riflessi;
guardò in alto e poi in basso, e si rese conto che l’unica cosa che lo teneva
saldo al terreno distrutto, in perfetto equilibrio fra cielo e terra, era la sua
mano aggrappata all’orlo della voragine che aveva sotto i piedi.
Qualcosa cadde sibilando a
pochi centimetri dalla sua testa, poi si schiantò con un rumore forte, e Ranma
si sentì investito come da migliaia di aghi.
Ma non mollò finché la terra
non smise quella danza folle.
Con un indicibile sforzo
riuscì a tirarsi su, e lo spettacolo che gli si parò di fronte lo lasciò senza
fiato.
Tutto era
distrutto.
Il bosco che c’era prima era
una massa informe di legna e arbusti, radici espiantate dal terreno come fossero
di burro, rami spezzati sparpagliati ovunque, alberi dai tronchi secolari caduti
come fuscelli al vento.
Tirandosi in piedi, Ranma si
accorse di avere un taglio profondo al braccio e tanti piccoli tagli un po’
ovunque.
Sedette a terra per
esaminare la ferita, e capì il motivo per cui bruciava come l’inferno: aveva un
grosso pezzo di vetro conficcato dentro, e ne scorse il luccichio solo guardando
più attentamente.
Capì allora cosa lo aveva
investito.
Il suo zaino era a pochi
metri da lui, aperto.
“Non l’ho chiuso e il
barattolo di riso è schizzato fuori – pensò - Bene, ora sono anche senza
cena!”
Ma era stato meglio, si
disse, perché se lo avesse colpito direttamente sarebbe svenuto e avrebbe
lasciato la presa precipitando.
Comunque ora doveva pensare
a tornare in città, doveva sapere che effetti il terremoto aveva avuto da quelle
parti.
“Oh mio Dio…” La voce si
riempì di terrore.
Se il bosco era in quelle
condizioni, quante case avrebbe trovato ancora in piedi?
E quante persone erano
scampate al crollo di muri, alberi, edifici…
“Akane…”
La paura gli si insinuò
nelle viscere come una droga forte, e il cuore gli pulsò nelle tempie mentre
cominciava a correre.
Il dolore e un fiotto di
sangue gli ricordarono che aveva ancora il pezzo di vetro conficcato nel braccio
destro.
“Maledizione!” Sibilò tra i
denti.
Prese un respiro, lo afferrò
con due dita e tirò.
Il gemito divenne un urlo di
sofferenza e poi di rabbia.
“Dio che
male!”
Si medicò e si fasciò alla
meglio l’avambraccio imprecando contro il dolore ancora
acuto.
Poi cominciò a
correre.
Akane si accorse di avere un
braccio rotto solo quando ci si poggiò per non cadere; allora gridò, ma non si
fermò. Piangeva e urlava i nomi a lei cari mentre si avvicinava a quella che era
stata la sua casa.
Distrutta.
Non un granello era rimasto
in piedi.
“Papà! Nabiki! Rispondetemi
vi prego!”
Udì una voce debole, e
riconobbe sua sorella.
“Nabiki sei
tu?”
“… si… ono…
io!”
La voce sembrava provenire
da sotto terra, lontana e flebile.
“Continua a parlare sto
arrivando!”
“...atten… potrebbe croll…
tutto!”
“Cosa?!” Poi capì. Sua
sorella aveva ragione, se avesse camminato troppo sulle macerie le sarebbe
crollato tutto addosso e l’avrebbe uccisa.
Il braccio le spediva delle
ondate di dolore insopportabili ma, invece di perdere i sensi, Akane utilizzò la
propria sofferenza per gridare a sua sorella di continuare a parlare; avrebbe
individuato dove si trovava, e avrebbe cominciato a scavare con delicatezza fino
a tirarla fuori.
Si accasciò sul cumulo di
macerie e usò le ginocchia e il braccio buono per strisciare fino al punto
giusto, poi le gridò: “ Nabiki! Sei ferita?”
“No! Mi sono riparata sotto
al tavolo!” Ora la voce era più vicina.
“Bene, ascolta! Non
muoverti, io comincio a scavare piano piano, va bene?”
“Ci puoi contare che non mi
muovo sorella… sono incastrata!”
“Bene!” E cominciò a
spostare le macerie a mani nude.
“Sai dov’è papà?!” Nessuna
risposta.
Akane fu colta dal terrore,
e scavò più velocemente.
“Nabiki! Per l’amor di Dio
dov’era papà quando c’è stato il terremoto?!” Urlò
“Stava facendo il bagno
Akane.” Disse lentamente.
“Oh mio Dio… e con cosa si è
riparato?” Rifletté.
In un attimo la sua mente
volò a sua sorella Kasumi che era per strada… e a Ranma.
Chissà dove erano, e come
stavano…
Nuove lacrime l’accecarono,
quando, scavando, scorse la sagoma informe di quello che era stato il tavolo
della camera da pranzo dove tante volte aveva mangiato in compagnia delle sue
sorelle, di suo padre, di Ranma…
“Nabiki, ti vedo!” La testa
castana si era sporta un poco da sotto il tavolo.
“Akane… dobbiamo cercare
papà!” Le tese il braccio.
Mentre allungava la mano,
Akane vide un’altra persona nel volto di sua sorella.
Lei, che era sempre sicura
di se stessa, che sorrideva davanti a tutto, che teneva a mostrare tutta la sua
saggezza, ora le apparve solo come una ragazza impaurita, sporca di terra sul
viso e sui capelli, pallida e preoccupata per suo padre.
“Akane ma… il tuo
braccio…”
“Non è nulla. Nabiki…!”
Pianse tirandola su e abbracciandola “Stai bene sorellina? Niente di
rotto?”
Nabiki le batté un poco la
mano sulle spalle “Coraggio Akane… ero spaventata, tutto qui, ma poi ho cercato
di pensare e mi sono nascosta sotto il tavolo… dai, non è il momento di
frignare, ora dobbiamo trovare papà!”
Akane annuì e si guardò
intorno freneticamente. “Dove… dove sarà sprofondato il
bagno?!”
Nabiki non era solo
allarmata e spaventata: era terrorizzata, ma capì che doveva ragionare se voleva
salvare suo padre, e non pensare al peggio; si morsicò un po’ le labbra e chiuse
gli occhi. Percorse mentalmente il corridoio… e li riaprì indicando un punto.
“Lì Akane, scaviamo lì!”
Senza esitare, cominciarono
a spostare i pezzi più grandi, attente a non tagliarsi ulteriormente con i
vetri.
“Papà! PAPA’!” Chiamarono
all’unisono.
Nessuna risposta, finché non
scorsero la manica di un accappatoio e la afferrarono.
Era privo di sensi, e con un
brutto taglio sulla testa.
Senza dire una parola, Akane
e Nabiki lo stesero sul terreno con delicatezza e lo chiamarono col panico nella
voce. Gli occhi dell’uomo si aprirono lentamente, lucidi e
confusi.
“N… Nabiki… A…
Akane?”
“Papà stai bene?” Piagnucolò
la più giovane delle Tendo.
“Akane perché piangi?”
Nabiki disse: “Papà grazie al cielo sei salvo, ma hai un taglio sulla
fronte… vieni, cerchiamo un dottore”.
Akane intervenne: “Come hai fatto a
salvarti dal crollo?”
“Mi sono infilato
l’accappatoio non appena ho sentito tremare la terra. Avevo capito che era un
terremoto, ma… – si portò una mano alla testa nel momento in cui le figlie lo
tiravano in piedi – ma poi…”
“Papà stai bene?” Chiese
preoccupata Akane.
“S-sì… solo un
capogiro…”
“Allora papà continua a parlare, e cerca di non svenire di
nuovo!” Lo esortò Nabiki intelligentemente.
“Ecco io… il tetto mi è
crollato sulla testa, pensate un po’! Sembrava un’esplosione più che un
terremoto, comunque prima… prima di svenire mi ci sono messo sotto perché la
casa… mi stava crollando addosso…” Il pover’uomo non sapeva se ridere per
essersi salvato così miracolosamente, o piangere per la disperazione della sua
casa distrutta.
Ma prima che potesse
decidere il mondo si oscurò, e udì una voce lontana…
“…papà…. papà che cos’hai?!
-… anzi due voci… -papà resta sveglio… PAPA’!”
...poi entrò in
coma.
Il dottor Tofu aveva sempre
creduto che tutto ciò che di bello gli accadeva nella vita fosse un dono degli
dei, ma non sapeva se meritarselo davvero.
Dava tutto per concesso, per
questo si impegnava nel suo lavoro, aiutando gli altri per ringraziare il Cielo
delle giornate in cui per caso incontrava Kasumi.
Ma quel giorno, trovandola
svenuta e ferita tra le macerie, ringraziò il Cielo solo di averla trovata
ancora viva.
Akane avrebbe voluto
caricare suo padre sulle spalle e correre di volata allo studio del dottor Tofu,
ma il braccio rotto glielo impedì, e così si fece aiutare da
Nabiki.
Il tragitto, che di solito
richiedeva non più di cinque minuti,
costò alle sorelle quasi un’ora di pellegrinaggio e di slalom tra le
macerie della città distrutta.
In un paio di occasioni,
stentarono addirittura a riconoscere la strada, ma preferirono evitare di
commentare l’entità di quel disastro, come per un tacito
accordo.
Non dovevano permettere alle
loro menti di concentrarsi più del necessario sulle case crollate, i pali della
luce pericolosamente crepati e spezzati, gli alberi caduti, i cumuli di macerie
che avevano coperto l’asfalto di diversi metri, costringendole ad arrampicarsi
faticosamente.
Ma si costrinsero a fermarsi
ogniqualvolta scorgevano delle tracce di sangue.
L’ultima persona che videro
semisepolta era una giovane donna con la testa voltata in maniera innaturale.
Akane si avvicinò, la toccò sul collo rotto per percepire inesistenti
pulsazioni, e stavolta cedette.
Si inginocchiò accanto a lei
tremante e piangente e rimise la colazione di circa due ore
prima.
Nabiki le si accostò. “Tutto bene
Akane?”
“Sì… solo che ho visto
troppe persone morte per oggi, non ci fermiamo più per
favore”.
“Ok. Vieni, siamo quasi
arrivate, vedrai che il dottor Tofu si è salvato e salverà anche nostro padre,
e….ti curerà quel braccio…” Si sforzò di sorridere ad Akane, ma non le
riuscì.
“Spero tanto che tu abbia
ragione Nabiki…” Mormorò stancamente.
Non avevano fatto che dieci
metri quando videro il buon dottore chinato all’angolo della sua clinica con una
borsa del ghiaccio in mano.
“Dottor Tofu… grazie a…” Ma
Akane non riuscì a continuare quando riconobbe sua sorella Kasumi nella donna
stesa accanto a lui.
Ryoga non capì bene quello
che stava accadendo. Ricordò solo un gran fracasso poco dopo che aveva perso di
vista Ucchan, poi un crollo seguito da uno schianto.
Quando vide il grosso cavo
elettrico dirigersi verso Ukyo pensò che non ce l’avrebbe mai fatta, poi
saltò.
L’afferrò appena in tempo,
ma non prima che il cavo le sfiorasse il volto appena sotto l’occhio
destro.
La sentì gridare, ma vide
che non c’era tempo per fermarsi e vedere quanto danno le aveva fatto la
scarica: ora dovevano mettersi in salvo.
Saltò a casaccio sui tetti
che gli crollavano sotto i piedi pregando di non cadere in quell’inferno di
macerie che si andavano accumulando, poi si fermò in cima ad un tetto che
sembrava reggere al sisma.
Allora si rannicchiò con la sua amica svenuta fra le braccia e aspettò che il mondo smettesse di tremare o si distruggesse per sempr