Capitolo 4:
cosa c’è da festeggiare?
Un’ora dopo, tutti i cittadini si sedettero al banchetto allestito
nell’agorà, per festeggiare la campionessa e le ragazze che avevano conseguito
la vittoria in altre gare.
Gorgo, seduta tra il padre e Filorome, osservava senza appetito il
suo piatto che, per quell’occasione, era stato riempito di cereali, pane e
carne secca.
– Figlia mia, mangia, ti prego. Devi recuperare le tue forze! – la
incoraggiò il padre, posandole una mano sulla spalla coperta dalla bianca tunica
della vittoria e dal rosso mantello della gloria.
Gorgo scosse appena il capo, facendo oscillare i neri boccoli
trattenuti da una corona d’alloro.
– Non ho appetito, padre…- rispose in un lieve sussurro. Ebdacle
sospirò appena; si volse per osservare la moglie al suo fianco, ma dovette
subito volgere gli occhi altrove, per evitare di vedere negli occhi di Ektha la
cruda verità: aveva fallito nel suo dovere di padre. Ma cosa avrebbe dovuto
fare? Gli Efori erano più potenti degli Spartiati stessi, lo avrebbero di certo
punito! Non poteva negare loro nulla, erano più forti…Eppure quella situazione
abbatteva il suo orgoglio spartano, il suo onore paterno, la sua libertà di
uomo.
– Con il vostro permesso,
padre, vorrei fare una passeggiata lontana da qui. Sono stanca e le grida dei
miei concittadini non mi aiutano a riposare la mente, anche se li apprezzo –
disse d’un tratto Gorgo, cominciando a sistemarsi il mantello rosso.
Il padre annuì, osservando gli occhi neri della figlia. Simili ai
suoi, ma quelli della ragazza erano velati da una profonda tristezza e da una
silenziosa rabbia.
Pochi la notarono allontanarsi dal banchetto, prendendo una via
della città. Tra quei pochi vi fu il Re.
Dopo un lungo e silenzioso cammino, immersa nei suoi più tristi
pensieri, Gorgo si diresse verso una tettoia, dove riposava un profondo stagno.
Scese in silenzio i gradini mentre si toglieva dal
capo la corona e la gettava con rabbia in fondo ai gradini. Si sedette,
sospirando, sul bordo del pezzo. Osservò la sua profondità abissale, osservò i
raggi della luna penetrare le lievi tende rosse e posarsi sulle lievi onde
dell’acqua, mossa dal vento notturno.
Socchiuse gli occhi: finalmente intorno a lei c’era pace,
silenzio. Voleva rimanere sola in quelle ultime ore di libertà. Tentava di
affrontare il suo destino con razionalità, eppure non vedeva nessuna via
d’uscita alla disperazione e alla rabbia. Chinò il capo, osservando il terreno
sotto i suoi nudi piedi. Rabbia le scorreva nelle vene. Rabbia,
solo rabbia. Non le restava che pregare.
Perché,
perché proprio io, somma Artemide? Perché non un’altra?Sono stata consacrata a
te, oh Agrotera e a te volevo dedicare tutta la mia vita. Avrei
voluto rimanere a Sparta, avrei voluto allenarmi, fare tante altre gare,
combattere, generare Spartani forti e robusti. Ti prego, Artemide Kourothropos,
se mai è giunta a mia voce fin da te, se mai ti ho soddisfatto ed ho agito in
tuo nome…salvami! Io sono una tua cerva, io sono del tuo seguito, non puoi
lasciare che gli Efori incatenino le ali della mia libertà! Salvami, forte e
libera Artemide!
Pose il viso nelle mani, sospirando
profondamente, impedendosi di piangere ma sentendo gli occhi bruciare. E’ disonorevole piangere per una spartana.
Non mi vedranno mai piangere, quelle bestie! Non sprecherò nemmeno una lacrima
per loro, maledette belve!.
Tratteneva la rabbia, tratteneva la sua rabbia, tratteneva le sue
grida piene di disperazione, odio, disaccordo, lacrime.
D’improvviso sentì un lieve rumore vicino a lei, sul bordo del
pozzo. Sollevò lentamente gli occhi, osservando prima la sua corona, poi,
alzando il viso, l’imponente figura severa del Re Leonida.
- La corona è per te e tu la getti a terra, i festeggiamenti sono
per tu, e tu vai via – osservò l’uomo sedendosi al suo
fianco, raccogliendo nella sua forte mano la corona. Gorgo osservò il terreno,
sollevando appena le spalle:
- Cosa c’è da festeggiare? Dimmelo, mio signore, e provvederò a
gioire…– rispose mestamente con una nota di furore.
Rimasero un attimo in silenzio, ognuno immerso nei propri
pensieri, poi Leonida prese parola di nuovo:
- Tuo padre è un uomo saggio, Spartana, eppure anche un uomo così
saggio deve chinare davanti
la tradizione e gli dèi. Come io stesso
sono costretto- . Gorgo pose l’attenzione su di lui, perplessa.
– Non dovresti dire così, mio signore. Gli dèi…– cominciò, non
capendo.
- Tu credi che gli dèi vogliano tutta
quella corruzione?!? Corruzione nella sacra Sparta! No, io credo di no –
intervenne l’uomo scuotendo il capo.
Gorgo fu davvero colpita da quelle parole: per la prima volta,
vedeva davvero qualcuno che la capiva e che la pensava come lei.
– Non credo nemmeno che Apollo Lyceios mi voglia come suo oracolo.
Non capisco perché non fanno qualcosa…– rispose Gorgo, mesta.
- Questo nessuno può saperlo, nemmeno l’oracolo. Allora tutti
dovremmo chiederci perché io sono Re, perché Sparta è fatta così e non in altro
modo, perché il mondo stesso esiste. Non penso si possa fare molto per gli
Efori, ma quando si ha degli ideali, bisogna seguirli fino alla fine – rispose
l’uomo.
Vi fu un altro momento di profondo silenzio, in cui Gorgo pensò
alle parole del Re: quando si ha degli
ideali, bisogna seguirli fino alla fine. In quel momento pensò che quelle
parole erano state pronunciate per lei, per
incoraggiarla.
Alla fine entrambi si alzarono. Gorgo sollevò gli occhi al cielo:
era ora di andare.
– Devo tornare a casa, devo riposare. Mia madre sarà già
sicuramente tornata – annunciò osservando l’uomo. Questi ricambiò lo sguardo ed
annuì, poi le pose la corona sulla testa. Osservò i suoi ricci neri, poi i suoi
occhi.
– Lieta notte, figlia di Sparta. Ricordati le mie parole- rispose
seriamente. Gorgo annuì appena e, sorreggendo il manto rosso con le mani, salì
lentamente i gradini che portavano all’agorà, sicura ora che le parole del Re
erano state dette per lei.