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Autore: eos75    28/05/2007    2 recensioni
Ricordi di scuola tornano prepotenti nella vita dell' SGGK, portando un con loro malinconia e una dolce sensazione, come se niente sia ancora perduto per quel cuore chiuso a doppia mandata che si ritrova nel petto. Troverà la donna in possesso della chiave giusta per aprirlo? Forse lo aiuterà un vecchio libro...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole stava tramontando tingendo di rosso l’erba dei campi dell’Amburgo.
Due figure solitarie continuavano ad allenarsi, imperterrite, nonostante tutti gli altri fossero già a casa da un pezzo.
Lei era lì, li osservava da lontano, le dita di una mano  intrecciate nella rete che faceva da recinzione, lo sguardo fisso su quel ragazzo caparbio al centro della porta…
“BUH!” una voce squillante alle sue spalle, un pizzicotto sul fianco che la fece sobbalzare.
“Reb! Accidenti! Per poco non mi facevi morire!” guardò l’amica con aria di rimprovero, cercando di calmare i battiti del cuore.
Sul viso dell’altra un’espressione di malizioso divertimento “Già… perché tu non stavi già morendo! Dietro a qualcuno!” la schernì, scuotendo il caschetto biondo in direzione del campo con fare saputo.
Il viso sotto gli occhiali s’imporporò e gli occhi timidi da cerbiatto si puntarono al suolo. Rebecca si pentì un poco vedendo la reazione dell’amica.
“Ok, ok, scusa!” disse abbracciandole le spalle e voltandola nuovamente verso i due giocatori, i quali avevano finalmente deciso di smettere “Cosa credi?Lo sai che anche io ho il mio motivo d’esser qui!”
Si guardarono, sorridendo complici per poi tornare ad osservare gli oggetti del loro desiderio. Un sospiro sfuggì ad entrambe, simultaneamente, ed entrambe scoppiarono a ridere, tenendo una mano sulla bocca onde evitare che i ragazzi le potessero sentire.
“Tu almeno ci parli…” riuscì a dire la morettina all’amica, che la guardò con disappunto.
“Accidenti, Lena! Ci sei in classe insieme da un secolo e lui manco sa come ti chiami! Quello che comincia è l’ultimo anno, vuoi darti una svegliata si o si?!” nel parlare aveva puntato le mani ai fianchi con fare militaresco, i piedi ben piantati atterra e gli occhi verdi socchiusi con fare minaccioso.
La guardò con un sorriso dolce e riconoscente. In quell’istante udirono dei gridolini provenire dall’altra parte del campo. Si voltarono. Due ragazze della loro età, bionde, perfettamente truccate e vestite alla moda erano evidentemente arrivate a recuperare i loro fidanzatini. Un bacio fugace, un braccio stretto attorno ai fianchi sottili. Le due coppie che si allontanavano.
Un sospiro di rassegnazione.
Le due amiche si squadrarono. L’una coi capelli corti che lasciavano scoperti i lobi delle orecchie strapieni di anellini d’argento, maglia e pantaloni neri, ai polsi decine di bracciali e le dita ricoperte di anelli. Unghie rigorosamente laccate di nero, occhi verdissimi da gatta sottolineati da pesante eye liner scuro e  labbra truccate di viola.
L’altra… l’opposto. Semplice. Fin troppo. Il lunghi capelli mogano raccolti in una coda tenuta da un elastico nero, assolutamente non truccata, i grandi occhi nocciola seminascosti dalla pesantissima montatura degli occhiali. L’abbigliamento, poi… Camicetta bianca, anonima e gonna scozzese sul verde, lunga sotto il ginocchio. In terra, accanto a lei, un libro fantasy.
Sulle labbra della bionda un sorriso “Chi ci ama ci segua!” urlò, raccogliendo il libro da terra e trascinando via l’amica, che rispose mesta  “E fu così che restammo sole…”
Rebecca si fermò di botto, prendendo l’altra per le spalle e guardandola seria “No, Lena. Finchè saremo insieme, non saremo mai sole!”

 

 

 

 


La schiuma morbida riempì il boccale, per poi debordare ed andare a colare sul bancone.
I braccialetti della ragazza tintinnarono quando pulì il bicchiere per poi posarlo sul vassoio, pronto ad essere servito.
La porta della brauhaus si aprì, lasciando entrare una figurina che in quel posto pareva del tutto fuori luogo.
La donna si avvicinò al bancone, salendo agilmente su uno degli alti sgabelli.
La bionda dietro il banco le si avvicinò, porgendole una birra “Hai finito, finalmente! E’ tardi anche stasera!”  le labbra truccate di viola si piegarono in una smorfia di disappunto mentre gli occhi verdi erano velati da un’ombra triste.
L’altra non rispose. Sciolse la crocchia che tratteneva i lunghi capelli, lasciandoli cadere disordinatamente sulle spalle, afferrò il boccale e bevve un lungo sorso. Posò il grande bicchiere dinnanzi a se, continuando a fissarlo. Le sfuggì un sospiro, un’espressione amara si dipinse sulle labbra a cuore. Serrò gli occhi “E’ stato lì di nuovo…”
I bracciali tintinnarono sul bancone mentre la bionda vi si appoggiava a braccia conserte “E?...”
Rispose senza guardare “E nulla! Gli ho dovuto raccontare una delle solite storie!” aveva quasi gridato.
L’amica allungò una mano, scoprendo il tatuaggio che le ricopriva il braccio, e le carezzò il viso con fare affettuoso “Non puoi continuare così! Questo lavoro ti stà uccidendo! Non puoi continuare a lavorare per due  ed in più occuparti anche della vita privata di quella carogna del tuo capo! Le fai da segretaria in tutto e per tutto! Il tuo telefono squilla ad ogni ora del giorno e della notte, da Natale a Pasqua a Capodanno! Non hai ferie, non hai riposi. E, in più, ti devi occupare anche di pararle quel bel sederino quando pianta le corna al suo fidanzato!”
“Reb!” gli occhi da cerbiatto scattarono, furiosi, ma l’altra non si fece intimidire.
“Piantala, Lena! Lo sai benissimo! Quanti anni sono che va avanti questa storia? Quattro? Cinque? E’ sempre così! Lei si trova un giocattolo nuovo, fa di tutto, ma proprio di tutto per averlo, e poi torna diretta tra le braccia di quel maiale del suo ex! Perché, poi, lo sa soltanto lei! E il bello è che per conquistare le sue nuove prede e tenersele finche non si stufa la sua carta segreta sei tu! Tu cerchi ogni informazione possibile ed immaginabile, tu prenoti ristoranti ed alberghi, tu compri i regali! Tu racconti le palle al posto suo…” le ultime parole le si spensero quasi in gola, vedendo le lacrime che affioravano nei grandi occhi dell’amica.
“Reb… lo sai! Questo dannato lavoro mi serve! Non sarei pagata così tanto se non lavorassi ventiquattr’ore su ventiquattro! E se non facessi tutto quello che vuole lei! Mi sento un verme… soprattutto quando devo mentire a lui…  Ma non posso rischiare di perdere questo lavoro! Lo sai quanto costano le cure!” la voce tremava, ma le lacrime erano state ricacciate indietro con determinazione.
Un sorriso triste sul viso della bionda, poi un lampo d’improvvisa allegria “Dai dai! Smettiamola di parlare di cose tristi! Ho chiesto ad Erik di tenerci aperta la pista un po’ di più, stasera! Finisco di riordinare e andiamo!”
“Ma non posso! Mamma mi aspetta e…”
“Tua madre la avviso io! E non ti preoccupare per lei! Le cure vanno bene, mi pare, no? Due ore in più da sola non saranno un problema! Anzi, lo sai che le si apre il cuore quando sente che vai a pattinare!”
Cedette sospirando. Rebecca aveva ragione, sua madre era sempre felice quando la sapeva sul ghiaccio.
Lasciarono il locale e corsero al palazzetto. L’orario di apertura al pubblico era quasi terminato, la gente stava sfollando, ma loro entrarono ugualmente. Erik Koning, il gestore, era loro amico da secoli. Spesso erano andate a pattinare fuori orario con lui come unico spettatore.
Quella sera c’era più ressa del solito, notarono mentre si avviavano verso la pista. Dall’altra parte, oltre il bordo, una torma di ragazzine accerchiava tre  persone, due bionde ed una mora, quest’ultima di struttura particolarmente imponente.
Non le riusciva di distinguere altro. Aveva tolto gli occhiali e, non avendo avuto in programma di andare a pattinare, non si era portata le lenti. In fondo, comunque, non ne aveva poi bisogno. Senza nessun altro in pista, ad esclusione di Reb (che, come sempre, si era fermata a chiacchierare con Erik) si muoveva sul ghiaccio senza problemi pur vedendoci ben poco.
Aprì lo sportello e s’immerse nel suo ambiente naturale. Respirò l’aria gelida e lasciò che il freddo le aggredisse le membra non ancora riscaldate del movimento, assaporando il suono graffiante delle lame sul ghiaccio.
Il mondo non esisteva più. I suoi problemi non esistevano più.
Si mosse agile e sicura sulla gelida superficie bianca, senza più curarsi del baccano che pia piano si allontanava dalla pista. Un poco di riscaldamento, una trottola, un piccolo salto. Poi figure sempre più complesse, man mano che il corpo si scaldava e rispondeva sempre meglio. Un angelo, un’altra trottola e poi… un salto… e subito un altro! L’applauso di Reb che le veniva in contro tagliando la pista e sorridendo. L’abbraccio dell’amica.
Si misero a pattinare insieme, giocando sul ghiaccio e scambiando battute con Erik.
Non si accorse di quello sguardo, di quegli occhi neri che l’avevano fissata per lunghi attimi, sconcertati.
Forse era meglio così…
Poi il suo cellulare che squillava, il suono insistente nel suo auricolare…
Un sospiro.
Il biondo caschetto di Rebecca scosso da un “no” sconsolato.
Un sorriso triste e un poco rassegnato.
“Freuilain Angela…”
“Eleonor ! Ho bisogno di lei qui, immediatamente! Melody Kaltz è a Monaco e dobbiamo ottenere subito un’intervista!”
L’enorme montatura degli occhiali tornò a mascherare il viso, nascondendo gli occhi nocciola mentre la massa ribelle dei lunghi capelli veniva ordinatamente ricomposta in una severa crocchia.
Rebecca guardò l’amica, espirando furiosa “Non può! Non può farti questo! Non sei al suo servizio come nel Medioevo!”
Nessuna risposta, solo  labbra serrate e  movimenti lenti per rivestirsi…
“Reb ha ragione, Lena… Non puoi continuare a farti trattare a quel modo!”
Un sospiro.
Un sorriso triste “Avete ragione….” si voltò, facendo scorrere lo sguardo su gli unici due amici che aveva in quella grande città  “ma sapete perché lo faccio, no? Quindi….”
I due sospirarono, scambiandosi uno sconsolato sguardo d’intesa. Certo, sapevano perché quella donna, dall’apparenza fragile, banale, il classico topo da biblioteca, lavorasse ventiquattrore al giorno e trecentosessantacinque giorni l’anno per quell’arpia del suo capo. Perché lei, una volta stella del ghiaccio, aveva abbandonato tutto, diventando un’ombra al servizio di colei la quale una volta era stata la sua più acerrima rivale.
“Cosa vuole stavolta?” chiese, arrendendosi, Erik.
“Un’intervista con Melody Kaltz…”
Il viso dell’omone s’illuminò “Corri!”
Le due donne lo fissarono come fosse impazzito.
“Erik, che cavolo farnetichi?”  Rebecca l’apostrofò stizzita, ma lui non le diede retta.
“La Kaltz era qui fino a dieci minuti fa! Probabilmente è ancora là fuori! Muoviti!” dicendo così, spinse le ragazze verso l’uscita.
Afferrato il senso delle parole dell’amico, le due iniziarono a correre, sperando di trovare ancora la  star del pattinaggio nei pressi del palazzetto.
Quando fu fuori, non fece caso al rombo dell’auto sportiva che si allontanava a gran velocità, la sua attenzione era catalizzata da due figure che si apprestavano a salire su una grossa Mercedes bianca.
“Melody!”  le venne istintivo gridare. Le parve di fare un tuffo nel passato, a quando la stella del ghiaccio era lei, e Melody una delle tante ragazzine che desideravano emularla. Ma ora….
Grandi occhi azzurri si voltarono verso la figura che correva verso di loro. Sul momento non la riconobbe, pensò ad un’altra delle sue fan… Poi…
“Oddio… Lena!” corse via sbattendo lo sportello dell’auto e lasciando il fratello di stucco. Non le pareva vero! Abbracciò quell’amica che non vedeva ormai da anni.
“Oddio…” ripetè, squadrandola da capo a piedi  “Non sei cambiata di una virgola! E dove ti potevo trovare, se non vicino ad un palazzo del ghiaccio!”
“Tu, direi, sei cambiata non poco, invece!” rispose sorridendo.
“Già…”  un sorriso sicuro. Ora era lei la star del pattinaggio tedesco… Un pensiero improvviso la colpì, sconcertandola  “Certo che Wakabayashi dev’essere telepatico!”
“Scusa?” la donna era sorpresa nel sentire l’amica nominare il portiere.
“Era qui con noi un istante fa… E mi ha chiesto che fine avessi fatto! E’ pazzesco!”
“Già…”  non comprese il perché, ma una stretta dolorosa le serrò lo stomaco… Ricordi di un amore adolescente…
“Ma, dì un po’..”  il filo dei pensieri venne interrotto dalla giovane campionessa  “Cosa fai qui a Monaco?”
“Lavora per Angela Weiss…”  Melody  si accorse solo allora dell’altra figura alle spalle dell’amica. Un sorriso le illuminò il volto  “Reb!”  esclamò, correndole incontro.
“Ciao, campionessa!” disse stringendo la ragazza.
“Reb….”
Gli occhi verdi si sollevarono, incrociando lo sguardo inebetito del centrocampista dell’Amburgo, che fino a quel momento si era tenuto in disparte.
“Hermann…”  rimase un attimo imbambolata, il cuore che prima perdeva un battito per poi accelerare all’impazzata.
Melody colse il disagio e fu lesta ad interrompere quella situazione d’imbarazzo  “Lavori per Angela?” chiese rivolta a colei che era stata il suo idolo da ragazzina.
Un sorriso rassegnato sulle labbra della donna  “Già…”
“Ma… scusa… se lavori per lei, com’è possibile che Wakabayashi non sappia che sei qui?”
Rebecca rispose per l’amica  “Credo che semplicemente non l’abbia riconosciuta… Visto e considerato che praticamente Wakabayashi, ultimamente, vede più Lena che Angela!”
Lena fulminò la bionda con lo sguardo. Il tono tagliente che aveva usato era fin troppo esplicito…
Melody scosse il capo socchiudendo gli occhi.
“Lo sapevo…”
Si guardarono tutte e tre, consapevoli di quello che stava accadendo.
“Si può sapere che avete! Sembrate ad un funerale!”  Hermann si era appoggiato coi gomiti su tetto dell’auto, masticando il suo eterno stecchino mentre le squadrava con disappunto.
Le tre sospirarono, ricambiando lo sguardo del calciatore con compassione: lui era un uomo, non poteva capire…
“Quando mio fratello mi ha detto che si erano messi insieme ho sperato che non fosse una cosa seria… Ma stasera Wakabayashi mi ha confermato che non è così, purtroppo…” si erano portate nella stanza d’albergo di Melody, dopo che Lena aveva avvisato la redazione di esser riuscita ad ottenere un’intervista con la pattinatrice per il giorno seguente.
“Ma si può sapere cos’avete da ridire? Wakabayashi è al settimo cielo, una volta ogni tanto lo vedo soddisfatto della donna con cui stà, e voi lì a tramare!” dovette smettere di parlare, inchiodato dallo sguardo delle tre.
La sorella sospirò, paziente  “Hermann… Sono felice per lui, ma Angela non è mai stata una santa con gli uomini!”
“Wakabayashi se l’è sempre cavata con le donne!”  replicò portando le braccia al petto con fare risoluto. Lui ed il portiere erano da sempre grandi amici. Aveva per il giapponese un’ammirazione reverenziale fin anche superiore a quella che portava al capitano della nazionale, Schneider...
“Comunque, Wakabayashi sembra piuttosto preso da questa storia… Ma non è  tipo tale da farsi mettere i piedi in testa! Vero, Lena?” chiese la bionda principessa del ghiaccio.La domanda aveva un sottinteso… Avvertì gli occhi verdi dell’amica su di sé, si maledisse, e mentì…
“Certo! Quei due fanno davvero una splendida coppia! Sembra che Angela abbia finalmente trovato chi è in grado di tenerle testa!” lo sguardo di Rebecca era una lama tagliente…
Quando furono fuori dall’albergo, lontane dalla vista dei due fratelli, la bionda l’afferrò, facendola voltare di scatto e guardandola dritta in faccia  “Perché?! Perché hai mentito pure a loro!?”  era un urlo disperato: non avrebbe mai creduto che l’amica potesse fare una cosa del genere, non la riconosceva più!
Lacrime scorsero al di sotto delle spesse lenti, la voce rotta  “Se lei… se loro avessero saputo… gliel’avrebbero detto… e…”
“E cosa?! Ma ti rendi conto?! Avevi l’occasione di fargli un favore! E’ tra le mani del diavolo, potevi salvarlo e invece ce l’hai lasciato!”
“Reb…”
La furia si sciolse vedendo il pianto dell’amica. L’abbracciò, tenendola stretta.
“Perché, piccola?”
L’altra rispose tenendo il viso premuto sulla sua spalla  “Lo sai…o lui…o mia madre…non ho molta scelta…Quel maledetto posto MI SERVE! “
La strinse di più. Lo sapeva. E sapeva cosa doveva provare l’amica, lei che era sempre stata trasparente e sincera.
“Mi odio…”
“Piantala, Lena…”
“Ho paura, Reb… Lo so che mi detesti pure tu ora… non voglio restare sola, non ce la farei…”
L’allontanò un poco, asciugandole le lacrime con un dito  “Smettila, scema! Non ti detesto… e non ti mollo… Come dice Hermann, Wakabayashi se la sa cavare con le donne!”  così dicendo le strizzò un occhio.
Sorrise, asciugando il volto  “Speriamo…”  e le vennero in mente i suoi occhi: neri, profondi, magnetici… Quegli occhi, l’unica cosa che l’aveva tenuta in piedi, che le aveva dato la forza quel giorno di tanti anni prima… Una lama sottile le trafisse il cuore. Gli doveva molto… anche se lui neppure lo sapeva.
In quel momento prese la sua decisione.
Sarebbe costata cara, ma non ne poteva più di sentirsi a quel modo. Neppure la sua migliore amica la riconosceva più! Lei stessa stentava a riconoscersi…
Aveva combattuto per tutta la vita, non sarebbe stato un problema ricominciare! D’altro canto di denaro ne aveva messo da parte a sufficienza, in previsione dei periodi bui…
Guardò Rebecca e le sorrise, ricambiata.
No, non era sola. Potevano sempre contare l’una sull’altra.
Quella certezza scacciò ogni dubbio.
Avrebbe agito, anche a costo di perdere quel lavoro che era per lei di vitale importanza.

 

   
 
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