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Autore: Jade MacGrath    30/05/2007    2 recensioni
[Stargate Atlantis] [incompleta]A causa di Thelan e Phebus, e dei loro irrisolti 'problemi di coppia', la dottoressa Weir si ritrova incinta nientemeno di Sheppard. E Kolya decide che non c'è momento migliore per rapire la donna e vendicarsi del suo nemico...
Genere: Generale, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elizabeth Weir, John Sheppard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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tecnicamente è la prima fic su SGA che scrivo, se non conto 'Epiphany' che è un crossover con SG-1 e BSG, quindi siate clementi...

L'ambientazione è dopo The Storm e The Eye, e ovviamente The Long Goodbye, dove abbiamo fatto la conoscienza di quelle due care entità aliene di nome Phebus e Thelan. Ma per l'ambientazione sarei propensa a dire terza stagione... dopo Irresponsible, perchè Kolya semplicemente non può morire. É l'arcinemico di Shep, il solo e unico!

 

***

 

La sorpresa che aveva provato non era paragonabile a niente di quello che aveva sperimentato in vita. Phebus si mise a sedere sul letto, e mosse piano la mano della dottoressa Weir, di nuovo in controllo. La mente della buona dottoressa era completamente senza potere, cosa facilitata dal fatto che stava dormendo.

Questa cosa era incredibile, e totalmente nuova. Non aveva mai sentito di imprinting che duravano tanto, neanche sapeva fosse possibile. Forse era stato un malfunzionamento del guscio quando la sua coscienza era stata scaricata nella mente di Elizabeth. Forse pura fortuna, che l’aveva fatta sopravvivere ai tentativi del corpo di Elizabeth di espellere la coscienza aliena. Poco importava.

Ora che aveva finalmente e stabilmente ripreso il controllo, l’unica cosa che voleva sapere era se anche lui era ancora lì.

 

Thelan come già da un paio di notti si svegliò quando Sheppard si addormentò. Non sapeva come fosse possibile, ma intendeva godersi quel che rimaneva della sua vita il più possibile. E così, come le altre due notti, si vestì e andò in esplorazione di Atlantide. Durante lo scontro con Phebus, non aveva potuto ammirare la città come meritava. Atlantide era meravigliosa. Irradiava pace, un sentimento che aveva dimenticato, e che Phebus non aveva mai conosciuto. C’era stato un tempo in cui amava arte e poesia, ma era stato decadi prima. Prima che la guerra diventasse la sua, anzi la loro, unica ragione di vita.

Incredibile pensare che erano davvero sposati. Per entrambi era stata una missione, per infiltrare le linee nemiche, ma c’erano stati istanti in cui aveva davvero creduto che tra loro due ci fosse realmente qualcosa, a parte un’innegabile attrazione fisica. Uno dei motivi principali per cui Phebus lo voleva morto. Non sopportava di vedere materializzato davanti a sé il suo tallone di Achille.

“Non riesce a dormire, colonnello?”

Dannazione, si disse, Weir.

Si voltò, con il migliore dei suoi sorrisi sornioni, pronto a salutarla… quando vide qualcosa negli occhi di Elizabeth che gli fece far scattare la mano sull’impugnatura della sua arma.

Elizabeth fu però più veloce, e gli puntò una pistola contro.

“Una giornata intera a stanarti, e ora ti trovo così. Thelan, che delusione.”

“Credevo fossi morta.”

“Stessa cosa.”

“Siamo due bravi attori, ma questo lo sapevamo già. Che cosa vuoi?”

“Ucciderti.”

“Mi avresti già sparato. Che cosa vuoi davvero?”

Phebus abbassò l’arma, con gran sorpresa di Thelan che lentamente fece altrettanto “Abbiamo appurato che questi… atlantidei… non ci lasceranno finire la nostra discussione.”

“L’eufemismo dell’anno.”

“E tantomeno ucciderci a vicenda.”

“Non vogliono perdere i loro leader. Gli dai torto?”

“Non avremo il controllo ancora per molto. Lo senti anche tu, l’imprinting sta svanendo. Stavolta moriremo sul serio.”

“Cosa proponi?”

“Un duello. Armi non letali. Ci sarà un vincitore, e nessun morto. E potrò vedere la tua faccia da sconfitto prima di andarmene.”

Thelan sorrise “Fai strada.”

 

L’arma scelta furono i bastoni athosiani. A Thelan piacevano, e il corpo aveva memoria degli allenamenti di Sheppard. Ma il vantaggio che credeva di avere venne annullato subito da Phebus, e dal suo talento innato per il combattimento. Era sempre rimasto stupito da come riuscisse a impadronirsi di tecniche di combattimento nuove in tempi tanto brevi.

Era per questo che quasi rimpiangeva che quella sarebbe stata l’ultima sfida. Era la nemica più stimolante che avesse mai avuto.

“Quasi un peccato” disse parando due attacchi rapidissimi di Phebus.

“Cosa? Il fatto che sto per batterti?”

“No, noi due. Non eravamo male.”

“Sapevo chi eri ancora prima di incontrarti. Niente è stato reale.”

Quello che disse Thelan però la fece vacillare. “Anch’io sapevo chi eri.”

E approfittando della sorpresa, la colpì con entrambi i bastoni allo stomaco e sotto le ginocchia, facendola cadere lunga distesa. Per impedirle di rialzarsi, Thelan la schiacciò con il suo peso contro il pavimento.

“Patetico, davvero patetico, Thelan.”

“Forse. Ma sai cosa credo? Che nessuno possa fingere tutto il tempo. Nemmeno tu.”

Phebus si fece una risata “Sai cos’è l’unica cosa migliore della tua faccia da sconfitto? Quella da illuso. Non ti ho mai amato, Thelan… ma mi piace l’idea ti averti fregato fino a questo punto. Lusinga il mio ego.”

Thelan si chinò per sussurrarle all’orecchio “Perfetto, perché non parlavo di sentimenti. E penso che tu sappia benissimo a cosa mi riferisco.”

Purtroppo sì, Phebus lo sapeva. Lo voleva morto proprio per quella ragione, non poteva tollerare di essere così attratta da un suo nemico. All’inizio andava fiera di quel potere che aveva su di lui, ma aveva ben presto realizzato che era un’arma a doppio taglio che anche lui sapeva gestire perfettamente. E che come lei non aveva nessuna remora ad usare.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno l’aveva toccata in quel senso, e non per torturarla o curarla? Phebus non se lo ricordava, e questo non era mai un buon segno. E poi, quale modo migliore di vincere la guerra, quello di eliminare il suo nemico quando era più vulnerabile?

Weir era quella indispensabile. Sheppard poteva essere sostituito benissimo, e Caldwell non aspettava altro.

E poi aveva la netta sensazione che anche alla sua ospite non avrebbe fatto male quel genere di attività. Specialmente con l’ospite di Thelan, se non aveva interpretato male le urla e le suppliche di non uccidere Sheppard quando aveva avuto l’occasione di farlo.

Decidendo che la situazione avrebbe portato più vantaggi che svantaggi, Phebus colse di sorpresa Thelan e invertì le posizioni.

“Hai dannatamente ragione, so benissimo a cosa ti riferisci” disse sfilandosi la maglia rossa di Elizabeth e baciando Thelan appassionatamente.

Thelan cercò di non sorridere troppo. Tutto stava andando come da programma.

 

Non era stato molto carino riderle in faccia, ma Thelan non aveva potuto trattenersi. Phebus si era sempre vantata di essere una grande stratega e manipolatrice, e di leggerlo come un libro aperto. Questa volta però la sua pazienza aveva pagato. Aveva lentamente imparato a prendere e mantenere il controllo del suo ospite mentre era incosciente, a differenza di Phebus che aveva ottenuto il controllo improvvisamente. E un atto coinvolgente come fare l’amore con lui aveva ottenuto l’effetto sperato. Phebus aveva perso il controllo, e stava abbandonando definitivamente il corpo di Weir. In quel momento lo stava ricoprendo di insulti, mentre cercava di resistere alle convulsioni. Thelan la teneva stretta, e non riuscì a evitare di sussurrarle tronfio, appena prima che Phebus svanisse: “Anche la tua faccia da sconfitta non è male, Phebus.”

Qualche istante più tardi, si trovò tra le braccia il corpo esanime di Elizabeth Weir.

Thelan, che dopotutto era un gentiluomo, rivestì la donna cercando di guardare il meno possibile (un conto era che prima fosse Phebus, ma ora le cose erano decisamente cambiate) e la riportò nella sua stanza.

“Devo proprio dartene atto, Sheppard” disse Thelan a John, anche se non credeva potesse sentirlo. “La signora qui è davvero splendida...”

L’aveva appena rimessa a letto, quando iniziò ad avvertire le fitte dolorose che preludevano alle convulsioni. Riuscì ad arrivare all’alloggio di Sheppard appena in tempo.

Ma non era triste. Decisamente poteva morire in pace. Una seconda occasione, quanti potevano dire di averne avuto una?

Aveva rivisto quella pazza psicotica di sua moglie, e si era preso la soddisfazione di sedurla e sconfiggerla in un colpo solo. Aveva vinto la guerra. E nessuno si era fatto male.

 

Se avesse avuto una vaga idea di cosa sarebbe successo, forse avrebbe voluto rivedere la sua ultima affermazione.

 

***

 

Elizabeth dovette quasi svenire di fronte a Sheppard durante una delle loro discussioni per ammettere finalmente che non stava bene. Ma anche se non l’avesse ammesso, non avrebbe fatto nessuna differenza, perché John l’avrebbe portata di peso – letteralmente – in infermeria in ogni caso.

Carson si era dimostrato affabile come sempre, sgridando pacatamente Elizabeth e dicendole che tutto il suo stacanovismo accoppiato allo scarso rispetto dei pasti e delle ore di sonno prima o poi doveva presentarle il conto. Ascoltò i sintomi, che annotò sulla sua cartella, e decise di tenerla in osservazione. John trovò veramente divertente che per una volta i ruoli fossero invertiti, ovvero che Elizabeth fosse quella che non voleva stare a letto e lui quello che cercava di farcela stare. Dopo aver negoziato con entrambi una riduzione del tempo di osservazione, Elizabeth acconsentì a restare in infermeria e disse a John che poteva andare.

“La città …Bisogna controllare i …”

“Elizabeth, riposati e non preoccuparti. È il punto di avere un secondo in comando, no?”

Elizabeth alzò un sopracciglio dubbioso e John finse di essere offeso, poi le lanciò uno dei suoi sorrisi e uscì dall’infermeria.

Elizabeth lo salutò con la mano, e poi decise di approfittare del tempo necessario agli esami per dormire un po’. Era incredibile come si sentisse stanca. Carson imputava la cosa ad una tabella di marcia troppo serrata, ma ultimamente dormiva perfino più del solito. Il cibo era un problema, perché da un po’ di tempo a questa parte i sandwich confezionati che mangiava di solito le davano attacchi di nausea molto forte, e vivere solo di yogurt e cracker non era esattamente una dieta bilanciata.

E poi c’erano quei sogni assurdi… non era la prima volta che aveva dei sogni erotici, ma niente del genere. Non si era mai svegliata imbarazzata da quel che aveva sognato, per dirne una. E soprattutto da chi aveva sognato. Indubbiamente John Sheppard era un uomo affascinante, le aveva salvato la vita in varie occasioni ed era una donna con un paio di occhi funzionanti, per l’amor del cielo, ma prima di tutto era il suo secondo in comando. Ed era un amico. Aveva definito il loro rapporto con chiarezza nella sua testa, sicura di non tornare più sull’argomento… a quanto pareva però il suo subconscio aveva molto altro da dire.

 

Carson era famoso per la sua aura di calma, che niente e nessuno sembrava scalfire. Era anche uno dei motivi per cui era un ottimo medico: sommato alla sua esperienza, non c’era niente che potesse stupirlo.

O almeno credeva.

Perché visti i risultati degli esami del sangue di Elizabeth Weir, si sentì in dovere di compierne un altro che non aveva pensato di fare, nonostante i sintomi strillassero nella sua direzione. Ripetendosi che non poteva davvero essere e che ci doveva essere un’altra spiegazione, Carson prese un altro campione di sangue dalla provetta e lo infilò in una delle macchine di laboratorio.

Appena lesse il risultato, il personale presente poté scoprire che Carson Beckett aveva anche lui i suoi momenti di agitazione, e che conosceva delle esclamazioni scozzesi molto colorite.

Quando ebbe rifatto tutti gli esami almeno tre volte, e la possibilità di un errore era completamente svanita, Carson prese coraggio e con i risultati in mano andò a svegliare la dottoressa Weir.

Elizabeth si stiracchiò le braccia, cercando di svegliarsi del tutto. Sorrise al dottore, ma il dottore non ricambiò. Non subito almeno, e questo fece capire ad Elizabeth che qualcosa non andava.

“Carson, che cosa hai trovato?”

Il dottore tirò la tenda intorno al letto della Weir, per avere un po’ di privacy, e si sedette sulla sedia al suo capezzale.

“Elizabeth… perché non sei venuta da me prima? Credevo ti fidassi.”

“E mi fido. Solo che non pensavo… Carson, dimmi la verità, è grave? L’SGC e l’IOC devono esserne informati?”

“Grave per la tua salute non direi, ma credo che sì, dovrai informare Landry e Woolsey.”

“Carson, per favore, parla. Cosa hai trovato?”

Carson prese un respiro profondo “Elizabeth, sei incinta.”

 

 

  
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