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Autore: Stray    08/06/2007    4 recensioni
ce la posso fare. Tutti e 100 i titoli del Royai 100 themes: 100 modi di reinventare questa coppia tanto sconclusionata che mi lascia sempre senza fiato. 100 modi di dire Ti Amo, Ti Odio, Ti Proteggerò, 100 modi di dire tutto senza dire una parola. Un'overdose di Roy & Riza... anche se non bastano mai!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Gira e prilla torno sempre a questo bellissimo episodio… il numero 51!!!

Nonostante il titolo, non sono proprio riuscita a fare una fic triste… anche perché sto andando avanti (ormai sono alla 48) e vi garantisco che una bella scorta di themes allegri ci servirà per il futuro…

Questa volta mi è venuta fuori una cosina bella lunga… ma l’attimo mi ha catturato, e se non era per l’interruzione di mia sorella andavo avanti all’infinito! Buona lettura!

P.S.: a me le recensioni fanno solo piacere… un ENORME piacere, perché è sempre bello vedere che il proprio lavoro viene in qualche modo apprezzato… spero di continuare a non deludervi, tutti/e quanti/e, e nel caso non l’abbia già fatto, vi ringrazio infinitamente dal profondo del cuore per il sostegno sempre presente (che in un progetto pachidermico come questo, non guasta mai, ve lo assicuro… ^^”)!

 

 

028. Pain & wounds (Dolore e ferite)

 

 

“Ahi… ahi ahi ahi! Ma insomma, tenente: pensavo fossi più delicata, visto come tratti amorevolmente le tue pistole!”

“Stia fermo! Se continua a dimenarsi, per forza che- COSA?!

Unclick’, la sicura scattò quasi da sola, e Roy valutò velocemente la mossa migliore per salvare quel po’ di pellaccia che gli rimaneva.

“Scusa, è il dolore che mi fa straparlare… non farci caso.

La pistola tornò nella fondina e Riza riprese il lavoro lasciato in sospeso, silenziosamente.

Non era vero che le mancasse la delicatezza: la maggior parte delle ferite gliele aveva medicate durante il sonno, senza nemmeno svegliarlo. Questo Roy, non poteva saperlo. Ma lei decise che le scuse potevano bastare.

“Hawkeye… il tuo braccio come va?”

Si stupì che se ne fosse ricordato. O meglio, non riusciva a spiegarsi come lo avesse saputo, visto che in quel momento aveva perso i sensi.

“Era solo un graffio. E’ già guarito.”

“Ne sei sicura? Le ferite non medicate, anche poco gravi, possono portare dei seri problemi. Non vanno sottovalutate.”

“Senti chi parla…” le scappò, insieme a un mezzo sorriso.

Touché

“Scusi, non volevo essere irrispettosa…”

“Riza, non mi sono offeso, stai tranquilla.

Ma notò la sfumatura purpurea che improvvisamente le invase il viso, e sorrise dell’innocenza di quella donna.

“E tu? Ti sei offesa?”

“Per… per cosa?”

“Perchè ti ho chiamato per nome.”

“No. No, mi fa… piacere…”

La voce si era abbassata, ridotta quasi ad un sussurro, senza che lei se ne rendesse conto.

“Spero solo che non sia il dolore a farla parlare così…”

Le sue mani lavoravano veloci, cambiando le fasciature, disinfettando, senza premere troppo sulle lingue di carne viva e il rosso del sangue ancora troppo fresco.

C’era una strana esalazione di medicamenti, nella stanza, misto all’odore di chiuso, tanto da rendere l’atmosfera irrespirabile.

“Non sei costretta a stare qui. Puoi andartene quando vuoi.”

“Non posso.”

“Perché? Hi paura che mi lasci morire?”

I suoi movimenti si fermarono improvvisamente, congelati e immobili.

“No. E’solo che…”

Raccolse le mani in grembo, sospirando. Quando sollevò lo sguardo, Roy seppe che stava per parlargli liberamente, da pari.

“Signore, lei pensa sempre troppo agli altri, prima che a se stesso. Lo ha sempre fatto, non pretendo di cambiare questa sua attitudine proprio ora… ma vorrei solo farle capire quanto la cosa mi preoccupi, ogni volta, perché un simile comportamento, alla lunga diventa autodistruttivo…”

Fece una piccola pausa, cercando le parole più adatte, guardandosi attorno.

“Ci sono delle ferite… delle ferite che tardano più delle altre a rimarginarsi. E’ un dolore diverso, più… sottile. E per questo tipo di ferite, la cura migliore… è non rimanere da soli.

Roy sorrise, ma era un sorriso amaro.

“Rimane il fatto che non devi sentirti obbligata a-…”

“Lo sto facendo di mia spontanea volontà. La smetta di pensare che la segui solo per dovere!”

Questo sì, attirò la sua attenzione. E lei maledisse le parole che erano riuscite a sfuggire alla censura del suo cervello razionale.

“Scusi, intendevo…”

“Non importa. Posso interpretare come voglio?”

Fu il turno di Riza, di spalancare gli occhi in stato confusionale.

“… se vuole…”

“Grazie.”

Il silenzio si intrufolò di nuovo tra loro, rotto solo dai guaiti di Hayate, di tanto in tanto.

“Penso che sia l’ora della pappa, per qualcuno…” sospirò Riza, mentre si alzava, raccogliendo le bende e i medicinali, sparsi sul letto.

“E io?” piagnucolò Roy, che si era già ben immedesimato nella parte del paziente moribondo.

“Lei, se proprio ha fame, può terminare la porzione di carne che oggi non ha voluto finire, … L’ho insegnato anche ad Hayate: se prima non finisce quello che ha nella ciotola, non riceverà altro.”

“Mi stai mettendo sullo stesso piano di un cane?!?

Lei si limitò a soffocare una risata tra le labbra, visibilmente più rilassata.

Mentre il tenente cercava la scatola di croccantini nella borsa di plastica vicino alla porta, Roy allungò di nascosto una polpetta al cane, chiamandolo con due fischi silenziosi.

“Signore, non ci provi nemmeno!”

Hayate si rifugiò sotto il letto, mentre la padrona lo rincorreva, per togliergli il cibo proibito di bocca. Lui rise così tanto da sentire le costole tirare e fare male. Riza se ne accorse, e mise subito fine agli scherzi.

“Gliel’avevo detto, di stare tranquillo…”

“Non ti preoccupare, non è niente. E’ un dolore… buono, no? Avevi ragione: a stare insieme a te, certe ferite non fanno male…”

Si schiarì la voce, improvvisamente conscio di quello che aveva detto. Non era una delle sue battute maliziose e studiate. Era stata una frase così spontanea, da coglierlo di sorpresa.

“Volevo dire…”

Riza sorrise, scombussolando ancora di più i suoi pensieri.

Non si era schernita, non aveva protestato.

“Posso interpretare come voglio?” gli fece il verso.

Ma sotto sotto, era una domanda sincera.

“Certo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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