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Autore: eos75    09/06/2007    2 recensioni
Ricordi di scuola tornano prepotenti nella vita dell' SGGK, portando un con loro malinconia e una dolce sensazione, come se niente sia ancora perduto per quel cuore chiuso a doppia mandata che si ritrova nel petto. Troverà la donna in possesso della chiave giusta per aprirlo? Forse lo aiuterà un vecchio libro...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era la finale del Campionato Nazionale di pattinaggio artistico.
“Quanta gente! Quasi come a vedere una partita!”
“Sorpreso, Wakabayashi?”
“Beh, si, abbastanza!” il giovane portiere si guardava intorno sorpreso. Effettivamente il palazzetto del ghiaccio era stracolmo di gente!
“Sai, questa finale è piuttosto importante! Ci sono i selezionatori della squadra nazionale e, inoltre, quest’anno c’è pure in palio una borsa di studio!”  la piccola Melody aveva parlato con gli occhi che luccicavano. Lei non poteva ancora gareggiare in gare di quel livello, qualcun’altra sì!
“Tanto sono sicura che vincerà Lena! Quella smorfiosa di Monaco non vale neppure la metà di lei!” e così dicendo, intrecciò le braccia, portando in fuori il mento.
“Certo, certo, sorellina!”
La gara ebbe finalmente inizio.
Erano iscritte trentasei concorrenti.
Lena era la penultima, dopo di lei, la sua diretta rivale, la stella del Monaco Ice Skate…
Vestiva un abito nero, a tuta, decorato con una fascia larga di brillantini che ne sottolineavano i lineamenti del corpo acerbo da ragazzina, ma elegante e sinuoso. Non era altissima, ma prometteva di diventare una splendida donna.
Si concentrò ad osservarla. L’esercizio era lo stesso che le aveva visto provare qualche mese prima…
Uno cosa lo turbò: il viso pallido, le occhiaie nascoste dal trucco e gli occhi un poco lucidi.
La vide mettersi in posizione, e subito il viso di lei mutò: se prima v’era incertezza, ora in quegli occhi nocciola si leggeva una fortissima determinazione.
Era fantastica: leggiadra, elegante, armoniosa. Da lei sprigionava una sensazione di benessere e levità che non aveva mai provato.
La seconda parte dell’esercizio era la più difficile. Una sequenza di salti interrotta dalla serpentina ad angelo.
I pattini graffiarono il ghiaccio, l’esecuzione pareva perfetta, invece…
 Si rialzò subito, solo per un attimo la disperazione passò in quegli occhi.
Un angelo perfetto, poi l’Axel. E di nuovo una caduta. Il pubblico era esterrefatto.
La musica si spense, e così la luce nei suoi occhi.  Raccolse velocemente e con un sorriso triste i pupazzi che le amiche le lanciavano, poi si diresse mestamente verso l’istruttrice, che l’accolse con un abbraccio.
Dopo di lei, una ragazza rossa dagli occhi freddi come il ghiaccio che calcava. La sua esibizione, perfetta.
Sul podio, sul gradino più alto, la rossa di Monaco. Appena sotto, la ragazzina di Amburgo. Teneva stretta la coppa, lo sguardo perso davanti a se, il sorriso triste, assente.
Non aveva pianto.

 

 

 

Il monitor lampeggiò e si spense.
Tutt’intorno il buio dell’enorme ufficio era rotto solo dalla fioca luce di una piccola lampada da studio.
Si lasciò andare pesantemente sulla sedia, per poi appoggiarsi coi gomiti alla scrivania, il capo reclinato in avanti, gli occhi chiusi dietro le spesse lenti.
Con un gesto morbido sfilò lo spillone che tratteneva i lunghi capelli che si posarono morbidi e disordinati sulle spalle. Tolse gli occhiali, rialzando la testa e massaggiando le palpebre affaticate. Dalle labbra sfuggì un sospiro triste mentre lo sguardo nocciola si soffermava sulla cartelletta rossa posata sul tavolo dinnanzi a lei. Ne sfiorò la copertina, e per la millesima volta in quel giorno, l’aprì. Un’espressione quasi disperata, la mano destra tra i capelli, la bocca serrata a trattenere il pianto. Quella mattina il mondo le era crollato addosso, tutti i piani progettati la notte precedente, spazzati via da quella notizia.
“Fiori, ristorante, lista degli invitati, sartoria…”  scorse meccanicamente quella lista di cose da fare col cuore che le rimbombava nelle orecchie.
“Ma perché?...”  si chiese.
Poco più di dodici ore prima, Angela Weiss era entrata in quell’ufficio spumeggiante di gioia e l’aveva chiamata intimandole di lasciar perdere qualsiasi altra cosa stesse facendo.
Aveva sospirato, rimettendo a posto gli occhiali con due dita e serrando la cartelletta degli appuntamenti fra le braccia, pronta a soddisfare l’ennesimo capriccio del suo capo.
Ma tutto si sarebbe aspettato, tranne quello…
Angela le dava le spalle mentre osservava Monaco dalla grande vetrata del suo ufficio. Quando si era voltata, un sorriso radioso aveva illuminato gli splendidi occhi azzurri ma le parole che erano fuoriuscite dalle labbra perfettamente truccate le avevano gelato il sangue, mentre il cuore smetteva per un attimo di battere. Aveva trattenuto le lacrime, continuando a recitare il ruolo della segretaria perfetta, fingendosi felice per quella notizia.
Si sposavano…
Tutta la sua giornata era stata spesa nella compilazione di quella lista di impegni e compiti da svolgere per i preparativi del grande evento. Aveva svolto il suo lavoro meccanicamente ma con la solita precisione e professionalità, senza farsi sfuggire nulla. Nessuno si era accorto del dolore che le straziava il cuore, non aveva lasciato trasparire nulla. Pochi in redazione erano a conoscenza degli altarini del loro capo, e chi sapeva evitava di fare qualsiasi battuta di qualsiasi genere. In ogni modo, anche il ben chè minimo accenno veniva prontamente stroncato da un’occhiata severa dell’impeccabile segretaria privata.
Già…
Si sentiva un cane da guardia…
Era un cane da guardia.
Rabbia le montò dentro e lacrime amare riempirono gli occhi da cerbiatto, ma di nuovo vennero ricacciate indietro, appena in tempo…
Aprì silenziosamente la porta e si trovò immerso in un buio profondo, rotto solo dalla luce fioca di una  lampada da tavolo seminascosta dal monitor di un pc.
Si soffermò un istante ad osservare la piccola figura seduta alla scrivania e per un istante il ricordo di una ragazzina dal sorriso dolce gli riempì il cuore e la mente. I lunghi capelli castani erano finalmente liberi dalla rigida acconciatura che li costringeva durante il giorno e sfioravano i fogli sparsi sul tavolo mentre una mano sorreggeva delicatamente il mento. Lo sguardo nocciola era concentrato nella lettura, gli occhiali posati accanto al computer.
“Buona sera!”  esordì, facendo sobbalzare la ragazza. Una piccola rivincita, in un certo senso.
Gli occhi castani si spalancarono sorpresi per poi socchiudersi nel tentativo di metterlo a fuoco, la mano corse automaticamente agli occhiali e li posò al loro posto.
Il cuore perse un battito, forse anche due…
Cosa ci faceva lui lì, a quell’ora!?
Un sorriso divertito piegò le labbra del portiere  “ Lena Miller… Quando Melody me l’ha detto quasi non ci potevo credere…”  la guardò, squadrandola ed appoggiandosi allo stipite a braccia conserte. Lei sostenne lo sguardo, sorridendo appena, le braccia incrociate sulla scrivania.
“Già...”  le uscì in un sospiro.
Gli occhi neri si socchiusero mentre scuoteva lentamente il capo allontanandosi dalla porta per andarsi  ad appoggiare con entrambe le mani pesantemente sul tavolo  “Perché?…”
Si strinse nelle spalle, sorridendo appena  “Perché non ti ho detto chi sono? Francamente dubitavo perfino ti ricordassi di me...”  una strana emozione l’assalì, partendo dallo stomaco e la rese come molle, incapace di muoversi, stroncandole il respiro, anche se il suo ormai collaudatissimo autocontrollo le impedì di farsi scoprire. Lui era lì, davanti a lei, il suo sogno di ragazzina. La luce morbida della lampada disegnava i tratti decisi di quel viso addolcito da un leggero sorriso che piegava appena le labbra carnose. Gli occhi scuri, profondi, lampeggiavano nella semioscurità.
E lui si ricordava ancora di lei, dopo tutti quegli anni... Lasciò che il profumo del suo dopobarba le riempisse le narici, che quella sensazione di tempo sospeso la coccolasse ancora un poco, mentre si godeva quei pochi, brevi attimi di solitudine con il suo sogno impossibile.
“Si, mi ricordavo di te… ma non mi aspettavo di trovarti tanto lontana da Amburgo e dopo tanto tempo! E con un altro cognome…”  un sospetto, un’occhiata fugace alla mano sinistra di lei che non le sfuggì.
“No… è il cognome di mia madre…”  rispose al sottinteso alzandosi ed afferrando la borsa lì accanto, senza terminare la frase.
“Suppongo avessi bisogno di me, visto che sei in redazione ad un orario improbabile ed Angela non è qui…” già, non era lì, pensò con una stretta al petto. Era da Lukas… forse per dirgli del matrimonio, o forse per fare di nuovo l’amore con lui…
Non ascoltò la risposta che il portiere le stava dando, travolta da mille pensieri, dal desiderio di rivelargli tutto ma anche attanagliata dal dubbio che, se Angela aveva accettato di sposare lui dopo che altri sei uomini le avevano fatto la stessa richiesta e si erano visti rifiutare, forse, dopo tutto, ne era  davvero innamorata.
“Lena, tutto bene?”  la voce profonda del giovane la risvegliò. Le aveva posato delicatamente una mano sulla spalla, avvolgendola con un caldo sguardo preoccupato nel quale si perse per una frazione di secondo, riprendendosi quasi subito e rendendosi conto di essere avvampata.
“Scusa… è che oggi è stata una giornata particolarmente pesante!” rispose, massaggiando le palpebre al di sotto degli occhiali, sperando di dissimulare il rossore.
“Immagino… e credo sia anche un poco colpa mia.”  e sorrise, spezzandole definitivamente il cuore.
“Già...” seppe solo replicare.
“Angela mi ha detto che ti avrei trovata ancora qui. Dovevo farle avere alcuni documenti e la lista dei miei invitati. Domani, dopo l’allenamento, partirò per il Giappone e mancherò almeno una settimana…”  disse porgendole dei fogli  che la ragazza scorse velocemente per poi riporli ordinatamente nella cartelletta.
“Grazie. Con questi domattina potrò cominciare le pratiche burocratiche…”
“Ma c’è qualcosa qui dentro di cui non ti occupi tu?”  le chiese con un sorriso divertito.
“Mmmm… No, direi di no!”  rispose, sorridendo a sua volta e scuotendo il capo. Per un istante gli apparve dinnanzi il viso di una ragazzina timida e gentile, i capelli raccolti in una lunga treccia ed un sorriso dolce ad illuminare il viso.
“Ti spiace se andiamo?”  lo riscosse dai ricordi, facendo il gesto di spegnere la lampada.
“Certo…”
Uscirono dall’enorme palazzo a vetri e l’aria gelida e tagliente di fine ottobre li investì, costringendo la ragazza ad alzare il bavero del cappotto.
“E ora, a casa?”  era un invito? O una semplice domanda? La stava fissando con curiosità, le mani in tasca del giaccone di pelle, i capelli neri, un poco lunghi, mossi leggermente dal vento freddo, aspettando una risposta.
“No”  scosse il capo  “oggi il palazzetto chiude alle undici…”
“Ti accompagno”  le parole gli sfuggirono prima ancora che potesse accorgersene, e lasciarono interdetti entrambi. Ma ormai erano state pronunciate e non poteva più tirarsi indietro…
La pista non era molto affollata e vi s’immerse con piacere, lasciandosi il portiere alle spalle. Avevano chiacchierato del più e del meno, senza parlare del suo passato e di questo gliene era grata.
Volteggiò, libera come ogni volta che indossava i pattini, leggera, senza pensieri… no, non senza pensieri, non quella sera. Sentiva lo sguardo profondo di lui puntato addosso e il suo cuore batteva accelerato.
“Sei sempre molto brava…”
“Grazie”  rispose con un sorriso  “In realtà non ho mai smesso di pattinare…”   non ebbe la forza di sostenere ancora il suo sguardo, il suo sorriso. Scivolò via, eseguì una esse perfetta sulla pista, caricò il salto e si librò con potenza e leggerezza in aria, ricadendo con precisione ed eleganza sul ghiaccio.
Le sorrise, scuotendo divertito il capo. Accelerò, caricò il salto e…
Se la trovò accanto, una risata trattenuta e la sottile mano tesa verso di lui  “Il ghiaccio non è esattamente morbido come l’erba dei campi da calcio!”  un luccichio divertito negli occhi nocciola.
“Ho notato…”  rispose ridendo ed afferrando la mano che gli veniva tesa  “Credo, tutto sommato, di essere un po’ arrugginito. Tu sei davvero brava come una volta.”  la fissò, rimettendosi in piedi.
“No... Il tempo passa e non ho certo più l’agilità di una ragazzina. Ma i salti sono sempre stati la mia specialità!”  sorrise, reclinando il capo da una parte e pattinando a ritroso.
“Lena Miller… Eleonor Schumacher… continuo a non credere che siate la stessa persona…”  si fermò alla balaustra, fissandola intensamente.
Voleva sapere.
Si strinse nelle spalle, accennando un sorriso  “A scuola nessuno, neppure i professori mi chiamavano col mio nome, eravate tutti abituati a chiamarmi Lena.”  ricambiò lo sguardo, e lui vi trovò qualcosa di profondamente diverso da allora. Non era più la ragazzina timida e semplice di quando avevano quattordici anni. In fondo a quegli occhi nocciola si leggevano una determinazione ed una forza che mettevano quasi soggezione. Era cambiata, era molto cambiata.
“Mio padre se ne andò che avevo tredici anni. Mia madre fece di tutto per farmi continuare a studiare e pattinare, ma l’anno seguente le diagnosticarono una malattia che la rese inabile al lavoro e per la quale sono necessarie cure costosissime…”  sospirò, stingendo le labbra.
“Se non vuoi parlarne...”  lo interruppe, facendo segno di diniego e zittendolo con gesto secco della mano.
“Sai come finì la finale del Campionato… Quella era la mia ultima speranza di continuare a pattinare a livello agonistico senza pesare su mia madre. Ci trasferimmo qui a Monaco, da mio nonno, che venne a mancare due anni dopo. Studiavo, lavoravo, e nel tempo che mi rimaneva venivo qui a pattinare.”  c’era tristezza in quello sguardo, ma anche un coraggio invidiabile.
“E il cognome?”
Sospirò, appoggiandosi pesantemente al bordo pista con le braccia conserte, senza più guardarlo  “A diciott’anni rinnegai il nome di mio padre e presi quello di mia madre… Ci aveva lasciate sole, e non era tornato sui suoi passi neppure quando aveva saputo della malattia di lei.”
“Mi spiace…”
“Non importa, acqua passata…”
Le si affiancò, sfiorandole la spalla con la sua, osservandone il profilo delicato del viso  “Come sei finita a lavorare per Angela?”
Un sorriso amaro piegò le labbra morbide dalle quali uscì un sospiro rassegnato.
Avrebbe voluto dirgli tutto. Tutto... Ma…
“Prima di finire l’Università  spedii dei curriculum. Angela era già lanciata nel mondo del giornalismo, ed in più gestiva l’ingente patrimonio dei genitori che, come saprai, sono molto anziani. Lei aveva bisogno di una segretaria tutto fare, io di un lavoro ben remunerato… E così, eccomi qui.”  si voltò a guardarlo, il viso più sereno, come si fosse tolta un peso.
“Mi ero sempre chiesto che fine avessi fatto…”

Rientrò in casa cercando di fare meno rumore possibile. Qualcosa di morbido le sfiorò le gambe e  fù lesta ad acchiappare il gatto prima che fuggisse giù per le scale.
“Ehi, tu! Dove credi di andartene, Matisse?!”
Il batuffolo peloso le si sistemò istantaneamente in braccio, cominciando a fare le fusa allegramente.
Chiuse piano la porta dietro di sé ed avvicinò il viso alla testolina morbida, parlando adagio.
Si sentiva leggera come non le capitava da tempo immemorabile. Eppure un peso enorme le gravava in fondo al cuore.
“Oh, Matisse! E’ stata la serata più bella della mia vita!”  la passeggiata sul ghiaccio, la cena veloce in un piccolo kebab lì vicino. Chiacchiere, ricordi… Non si capacitava ancora di quello che era successo. Ai tempi delle medie non aveva mai avuto né l’occasione né tanto meno il coraggio di parlargli, mentre quella sera….
“Ben tornata!”  la voce gentile della madre la fece sobbalzare, riportandola alla realtà  “Hai mangiato?”
“S-si…”  rispose trasognata.
“Lena, cos'è successo? Hai la febbre? Sei così strana…”
“No… no mamma, non è niente!”  rispose con un sorriso, cercando di non far preoccupare la madre  “Tu, piuttosto, cosa ci fai ancora in piedi? A letto, su!”  liberò il micio dall’abbraccio e costrinse la donna a tornare a riposare.
Era felice. Sapeva di stare godendo di una felicità effimera e transitoria, sapeva che l’indomani la vita sarebbe ricominciata come sempre, anzi, forse peggio, ma voleva godere di quei pochi attimi fino in fondo. Si addormentò ripensando ad un paio d’occhi scuri che la osservavano mentre si accingeva ad incominciare il suo esercizio in mezzo alla pista gelata.
 

 

 

 

 

   
 
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