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Autore: Yvaine0    21/11/2012    7 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans

 

38

 

 

Da quando Kameron era a conoscenza del fattaccio, era iniziato un nuovo gioco. Si chiamava ‘metti in imbarazzo Pan’ e, se Terrence era stato il campione in carica fin dal primo giorno di scuola, l’altro era deciso a prendere il suo posto al più presto. Ora che aveva indovinato la mia cotta, si sentiva più uomo, più forte: aveva il coltello dalla parte del manico, poteva ottenere qualunque favore sotto la minaccia di andare a spifferarlo a Dean – o, peggio ancora, a bocca-larga-Terrence.

Era ormai di fondamentale importanza fargli capire che non era lui a comandare. Ecco perché la mia principale occupazione, in quei giorni, era indagare e trovare il punto debole di Kameron Towell. Il fatto che nessuno a scuola lo considerasse più di tanto, però, non aiutava questa mia ricerca. Quando si dice ‘Non tutti i male vengono per nuocere’...

Sfruttando la sua neo-influenza su di me, Kameron aveva approfittato dei primi compiti a casa assegnatici per fare di me la sua nuova compagna di studi, motivo per cui quel pomeriggio la fattoria Fletcher fu l’ultima fermata del suo pick-up. Quando finalmente l’auto parcheggiò nell’aia, Dean era in agguato, pronto a infamarmi per il mio ingiustificato ritardo – nemmeno fosse mia madre.

Pensavi di rientrare dopo cena, per caso?” mi abbaiò contro non appena mi vide.

Fui sorpresa da questo comportamento, visto che solitamente nulla gli importava di ciò che facevo, finché non combinavo disastri. “Qual è il tuo problema? È colpa del tuo amico se ho fatto tardi”.

Ah, ora è mio amico? Però quando ti scarrozza è anche tuo!”

Era una discussione piuttosto insensata e mi ricordava molto quella tra Mufasa e Sarabi all’inizio de Il Re Leone. Siccome avevo la netta sensazione che si stesse delirando un po’ troppo, mossa dalla certezza che una parola di più avrebbe scatenato le battutine allusive di Kameron per tutto il pomeriggio, mi sistemai lo zaino sulle spalle e lo guardai male. “Dobbiamo studiare” lo congedai, filando in casa.

Non avevo mai pensato a dover fare i compiti lì dentro e non sapevo bene quale fosse la stanza giusta in cui occupare il tavolo. Quello del salotto era spazioso e invitante, ma sarebbe stato utile pulirlo prima. Avrei dovuto tenere a mente quell’idea per un altro giorno. La mia scrivania era ingombra di tutte le mie cianfrusaglie, quindi optai per il tavolo della cucina.

Corsi su e giù per le scale un paio di volte per recuperare tutto l’occorrente, poi mi sedetti e attesi lì Kameron, che era rimasto fuori con Dean.

Tardò. E neanche poco.

Tardò più di mezzora, durante la quale, stufa di aspettare, mi misi a buttar giù una lista delle cose da fare, in ordine, scandendo anche i tempi della tabella di marcia che avremmo dovuto seguire.

Quando finalmente Kameron mi degnò della sua presenza, stavo giusto mettendo il punto al mio piano tattico. “Finito!” esclamai entusiasta.

Lui si gettò a sedere sulla sedia di fronte alla mia e mi guardò scioccato. “Come, hai già finito?”

Ovvio. Si fa presto!”

Ma avevi detto che mi avresti aiutato!”

Cosa? Io non ho detto proprio...” Lo guardai stranita. La sua espressione da cane bastonato mi suggerì che forse non stavamo parlando della stessa cosa. “Kameron, stai parlando della mia lista?” chiesi conferma, assottigliando lo sguardo.

Lui si accigliò. “Di quale lista stai parlando?”

Lo prendo per un no” sorrisi tra me per la mia stupidità e poi gli mostrai il foglio con un certo orgoglio. “Questa è la nostra tabella di marcia!” gli annunciai.

Lui mi guardò confuso, poi mi prese la lista dalle mani e la scorse rapidamente. “In pratica hai ricopiato i compiti su un pezzo di carta” valutò, una volta concluso il suo studio.

Sbuffai sonoramente: come si poteva essere così ottusi? “Non li ho ricopiati! Cioè, anche. Ho scritto tutto quello che faremo oggi pomeriggio. Così saremo organizzati e non faremo casini”.

Kameron mi osservò a lungo, forse per capire se stessi scherzando, e io sostenni il suo sguardo con sicurezza. Quando capì che facevo sul serio, lanciò un’occhiata frettolosa al foglio e lo posò sul tavolo davanti a me: “Non c’è nulla a proposito della merenda” disse, come se avessi dimenticato una cosa ovvia. E, effettivamente, l’avevo fatto, ma c’era un lato positivo in questa piccola dimenticanza: “Vorrà dire che mangeremo una volta finiti i compiti” proclamai.

Mi guardò male. “Finiremo tardissimo!”

Ricambiai lo sguardo truce. “Se perdiamo l’intero pomeriggio oggi, sotto Natale saremo davvero nei guai” replicai sarcastica. La mole di compiti per il giorno successivo era davvero infima – e se lo dicevo io, che sono la pigrizia fatta persona, doveva necessariamente essere vero.

Kameron mi guardò in modo strano, poi riacciuffò il foglio di carta e lo guardò un po’ più attentamente. “Qualche esercizio di matematica, un dialogo di spagnolo e un capitolo di storia da leggere” elencò, contando sulle dite. “Hai intenzione di leggerlo?” mi domandò incredulo.

Mi strinsi i capelli nella coda di cavallo, prendendo tempo. Era imbarazzante. Io avrei dovuto essere la sua tutor, no? Avrei dovuto aiutarlo a studiare, cercare di impedirgli di prendere lezioni di lavoro a maglia anziché studiare, ma... “Non ci penso neanche” risposi, sincera.

Kameron rise forte, sollevato. “Ecco, ora ti riconosco! Perché l’hai messo in lista, allora?”

Per sentirmi più responsabile e poter dire che ci ho provato. O che lo ho inserito nel programma, almeno” ridacchiai.

Lui rise di nuovo, scrollando il capo. “Mi piace questa cosa della lista!”

 

Quando Abe tornò a casa quella sera, trovò me e Kameron in preda all’ennesimo attacco di ridarella sui libri di storia – addirittura aperti sulla pagina giusta.

La sua espressione era la prova lampante che secondo lui qualcosa non quadrava. Questo era probabilmente il fatto che per i due giorni seguenti non ci sarebbe stata scuola: com’era possibile far studiare Towell con la prospettiva di avere due giorni di riposo davanti a sé e nessuna fretta di finire? No, no – continuava a ripetere – lì gatta ci covava. Questo interrogativo lo spinse ad una serie di ragionamenti tutti sbagliati che provocarono una grande quantità di risate e imbarazzo.

In realtà la domanda più intelligente da porsi sarebbe stata la seguente: perché Pan Fletcher dovrebbe portarsi avanti con lo studio se non spinta dall’urgenza di prepararsi per il giorno seguente? La risposta era semplice: spinta da un del tutto nuovo senso di responsabilità, avevo deciso di affrettarmi a svolgere quegli ingrati compiti, prima che sia a me che a Kam passasse del tutto la voglia. Non che ne avessimo molta, ma l’idea di studiare insieme era una novità, che in qualche modo incuriosiva entrambi. Io, tanto per dirne una, non avevo mai fatto da tutor prima di allora – anzi, di solito era Emily a spingermi a lavorare ogni santo pomeriggio.

Forse dipendeva dal fatto che durante la prima settimana di scuola i compiti a casa erano davvero pochi, ma non era stato per nulla male studiare assieme a lui. Molto probabilmente dovevo ringraziare Kameron, che riusciva a trovare qualcosa di divertente anche in un’equazione fratta, per cui ogni esercizio sembrava molto meno noioso.

La nostra inaspettata e del tutto ingenua laboriosità, però, non impedì al nonno di cacciarlo in modo burbero e sbrigativo, chiedendogli se non avesse altro da fare oltre ad importunare le ragazze.

A nulla valsero i nostri tentativi di spiegare che avevamo passato il pomeriggio studiando – il tavolo ingombro di materiale scolastico ne era una prova lampante –, Abe da quel giorno non lo guardò più allo stesso modo.

Se la cosa da un lato mi divertiva a dismisura, dall’altro mi imbarazzava terribilmente. Il momento peggiore, però, fu quando il nonno riprese l’argomento quella sera a cena.

Ai miei tempi” se ne uscì, gli occhi fissi sulla bistecca che stava tagliando e le sopracciglia aggrottate “le ragazze si cercavano dei giovanotti laboriosi”.

Lo guardai allibita, la forchetta infilata nella carne e il coltello ancora a mezz’aria. “Di cosa stai parlando?” domandai, temendo di aver capito a cosa si stesse riferendo.

Dico solo che ci sono partiti migliori di Towell. Non che non sia un bravo ragazzo, ma è così pigro che preferirei affidare un incarico a quel rintronato di Terrence Doyle piuttosto che a lui...”

Sgranai gli occhi. “Ma cosa stai dicendo?”

Un sogghigno. Dean aveva appena sogghignato malignamente – maledetto! Aveva già capito dove il nonno volesse arrivare, cosa che il mio cervello si rifiutava categoricamente di metabolizzare.

Lo guardai male, mentre il nonno masticava un pezzetto di carne. “Ci sono partiti migliori” ripeté.

Ovvio che ce ne sono!” sbottai, stizzita. Ce n’erano anche di peggiori, però. Quello seduto al tavolo con noi, per esempio. L’unico problema era che la mia testa vuota era fin troppo idiota per capirlo.

O magari no. Lanciai una seconda occhiataccia a Dean, che rideva sotto i baffi fissando il proprio piatto, e decisi che quella era la volta buona: la mia testa avrebbe avuto la meglio. Avrei buttato fuori di casa la mia cotta a calci nel didietro.

Oh, meno male che te ne rendi conto” bofonchiò Abe tra sé. “Quindi lascerai perdere”.

Mi versai l’acqua nel bicchiere, decisa a schiarire le idee. Come poteva essergli venuta in mente un’idea simile? Kam e io? Era uno scherzo? “Non c’è niente da lasciar perdere, nonno. Kameron non mi piace” arrossii di vergogna, pronunciando quelle parole. L’argomento era davvero imbarazzante – dovevamo proprio parlarne davanti a Dean, per di più? “Non in quel modo” misi in chiaro, poi mi affrettai a bere, per potermi nascondere almeno un momento dietro al bicchiere.

Scelsi il momento sbagliato.

E in quale modo ti piace, si può sapere?” infierì a quel punto Dean con un sorriso sornione.

Mi andò di traverso l’acqua, come da copione. Dopo diversi colpi di tosse, annaspando, riacquistai le mie funzioni cerebrali e fui libera di fulminarlo con lo sguardo per l’ennesima volta. “Nessun modo! Cioè, come amici!”

Sogghignò. “Non si direbbe: sei tutta rossa”.

Tutt-?” boccheggiai, incredula. “Mi sono appena strozzata con l’acqua, ecco perché sono tutta rossa!”

Stronzo! Si stava divertendo da morire, vero?

Ah-ha” fece lui in tono di superiorità. Mi lanciò un’occhiata scettica e tornò alla sua bistecca.

Lo odio! Lo odio, lo odio, lo odio!

Occorse tutta la mia determinazione per mantenere la calma e ignorare l’arroganza del mio adorabile – mpf! - coinquilino. “Siamo buoni amici” fu l’ultima frase che uscì dalla mia bocca, rivolta a lui. Da quel momento, con quell’affermazione, decisi che la mia cotta per Dean era ufficialmente finita. Non era una reazione troppo drastica ad una presa in giro – per quanto io fossi permalosa e vendicativa –, era semplicemente un punto di partenza. Da qualche parte dovevo pur iniziare a dimenticarmi di lui e decisi che il momento giusto era quello.

 

Tra le diverse qualità di Sperdutolandia, una che mi piaceva particolarmente era che di sabato non c’era scuola. Certo, se solo mi fosse stato permesso di dormire fino a mezzogiorno, sarebbe stato molto meglio, ma in mancanza di questo privilegio, mi accontentavo di non dover affrontare ore e ore di lezione.

Quel giorno Dean, autoproclamandosi padrone di casa in assenza del nonno, mi aveva mandato da Kameron a fare rifornimento di becchime per i polli. Considerato che l’alternativa sarebbe stata rimanere in casa con lui a fare la lavatrice, avevo accettato di buon grado.

In quel momento ne stavo approfittando per prendermi una pausa, beandomi della presenza dei bovini nella stalla dei Towell, dove Kameron si stava prendendo cura del bestiame.

Avevo giusto finito di raccontargli della ridicola discussione della sera precedente, mentre lui riempiva le mangiatoie delle vacche, quando lui cambiò argomento con noncuranza: “Mi fai ascoltare la canzone?”

Ritrassi la mani con cui stavo per accarezzare un grosso muso bovino e lo fulminai con lo sguardo. “Io ti sto dicendo che mio nonno è convinto che tu mi faccia la corte e l’unica cosa di cui ti importa è scroccarmi l’mp3?”

Lui sghignazzò. “Ma cosa dici? Io non scrocco proprio nulla! Volevo solo sapere che canzone avete scelto, ma se dev’essere una sorpresa...”

Sul momento non diedi peso a quelle parole e credetti che mi stesse di nuovo prendendo in giro. Pensando che l’influenza di Terrence gli facesse proprio male, gli feci una linguaccia mo’ di saluto e me ne andai, lasciandolo con un’espressione interrogativa che la diceva lunga sul fatto che nessuno dei due avesse capito molto di quella conversazione.

Solo quel lunedì ebbi modo di capire cosa mi fossi persa esattamente e anche il perché dell’improvviso interesse di Dean a proposito del mio ritardo – che detto così, è un po’ ambiguo. Non fatevi strane idee: ero solo un povero capro espiatorio, tanto per cambiare.

Prima dell’inizio delle lezioni, camminavo pigramente con Kameron e Agatha verso il portone della scuola. Terrence si era ovviamente già volatilizzato alla ricerca del suo caro amico Phil, borbottando a proposito di un’idea geniale su cui decisi di indagare. Non mi fidavo molto delle idee geniali di quel ragazzo.

Mentre Aggie mi raccontava dei problemi avuti il giorno prima con il recupero di alcune recensioni assegnate per le vacanze – il suo sguardo volava continuamente ad accusare Kameron – , Bethany Peterson ci corse incontro in mezzo alla mensa scolastica, con un’allegria davvero insolita per un lunedì mattina scolastico.

Ehi, Pan!”

Ciao, Beth” la salutai di rimando.

Buongiorno!” intervenne Kameron solare.

Lei gli rivolse un sorriso bonario e tornò a rivolgersi a me: “Ci sarai alla festa del raccolto? Io sarò con i miei cugini, mi farebbe piacere vedere un volto amico”.

La guardai, sorpresa, senza avere la più pallida idea di cosa stesse parlando. Festa del raccolto? Festa? Quale festa?

Sì, ci sarà” rispose Kameron per me. “Altroché, se ci sarà!”

Lo guardai sorpresa. Ci sarei stata, diceva lui. Peccato che non sapessi dove o perché. Avevo dato per assodato, negli ultimi due giorni, che si sarebbe arrogato il diritto di ordinarmi di fare mille piccole commissioni al posto suo – stupido ricattatore pigrone! –, ma non credevo sarebbe giunto a decidere dove sarei e non sarei andata. Gli avrei chiesto spiegazioni più tardi, l’ultima cosa che volevo era farlo sembrare ancora più imbecille agli occhi dei nostri compagni. Per il momento mi sarei limitata a piegarmi al volere dei mio burattinaio. “Sì, pare che ci sarò” risposi con un mezzo sorriso divertito. La mia inconsapevolezza a riguardo era lampante, ma per lo meno non mi ero messa a bisticciare con lui pubblicamente, cosa che avrebbe mosso pettegolezzi a go go su quanto ‘Towell fosse insopportabile: persino la sua nuova amichetta non lo regge più’.

Oh, fantastico! Ci vediamo a lezione, devo dare la notizia a Terry!” rispose, allegramente.

Le sorrisi, divertita. “A più tardi” la salutai.

Ciao!” mi fece eco Kameron, guadagnandosi a sua volta un sorriso.

Quando Bethany fu abbastanza lontana da non poterla sentire, Agatha sghignazzò. “Bethany Peterson, vero?”

Sorrisi. “Bethany Peterson” confermai.

Bethany Peterson” ripete lei, sogghignando al ricordo della nostra performance del primo giorno di scuola. E di quella di Bethany Peterson stessa. (*)

Qualcuno mi spiega perché quando si parla di lei si ripete il suo nome sempre un sacco di volte?” se ne uscì in quel momento Kam, facendoci ridere entrambe.

 

La prima lezione del giorno era educazione fisica. Per qualche motivo a me sconosciuto, però, si svolgeva in un’aula come una comune lezione. Inspiegabilmente il professor Lloyd aveva l’abitudine di dare lezioni di teoria durante il primo mese di scuola, il che significava principalmente che aspettava fosse terribilmente freddo prima di lasciarci fare esercizio fisico. Non che avessi nulla in contrario – più la fatica tardava, meglio era –, ma l’idea di dover correre attorno alla scuola a metà Ottobre, per esempio, non mi allettava particolarmente. Forse però io ero di parte, visto la mia leggera tendenza alla nullafacenza.

Il professor Lloyd esplicava in maniera fin troppo energica le regole del salto in alto, con tanto di aneddoti pseudo-interessanti, origini e cambiamenti storici di tale sport. Era tremendamente assorto in quello che diceva, che nessuno si prendeva il disturbo di ascoltare. Camminava avanti e indietro tra la cattedra e la porta e ogni volta che pronunciava il nome di un importante atleta, lo gridava perché ci rimanesse più impresso. Naturalmente ogni tanto che strillava qualcosa, mezza classe sobbalzava, violentemente strappata ai propri pensieri. Tra tutti solo Theresa Donovan, una ragazza alta dai capelli rossi con due spessi occhiali a nascondere gli occhi verdi, ascoltava e prendeva appunti.

Decisi dunque di sfruttare quel momento per chiedere spiegazioni a Kameron. Optai per iniziare l’argomento con un sempre efficace “Dai che ti odio, vero?”.

Lui si voltò a guardarmi, cessando l’ammirazione del proprio banco. “Perché, che ho fatto?” domandò sulla difensiva.

Che significa che sarò alla festa del raccolto? Che diavolo è la festa del raccolto?”

Kameron mi fissò per qualche istante, con un’espressione divertita in volto, poi scosse il capo e spostò lo sguardo sul professor Lloyd. “Ma smettila, non fa ridere”.

No, infatti, non faceva ridere proprio per niente. Che razza di scherzo era quello? Non aveva nemmeno senso! “Kameron!”

Cosa?” chiese di nuovo, senza capire.

Cos’è la festa del raccolto?” ribadii con impazienza. “Perché devo andarci, poi? Mica sono una contadina, io a malapena spazzo il pavimento in casa! Senza offesa per i contadini” aggiunsi poi, domandandomi se quelle parole non potessero sembrare offensive alle orecchie di eventuali ascoltatori indiscreti.

Pan, scherzi?” mi domandò, facendosi improvvisamente serio.

Ti sembra che io stia scherzando?” commentai, aggrottando le sopracciglia. Il mio solito sarcasmo doveva essere davvero dannatamente convincente.

Sgranò leggermente gli occhi, incredulo: “Dean non ti ha detto niente!”

Sbuffai. “Kam, ho capito che la cosa” e con ‘cosa’ intendevo chiaramente la mia non-più-cotta, “ti diverte, ma stai diventando pesante. Non puoi menzionarlo ogni volta che ti dico qualcosa, sembra quasi che sia tu a...”

Dovete esibirvi!” mi interruppe.

Eh? “Ma di che diavolo parli?” sibilai, esasperata.

Prima di potermi rispondere, Kameron guardò distrattamente davanti a sé e impallidì alla vista del professor Lloyd che aveva interrotto la lezione per occuparsi di noi. “Fletcher, Towell! La vostra conversazione è interessante come sembra? Se è così mi piacerebbe partecipare”.

Arrossii inevitabilmente per la vergogna – non faceva mai piacere essere rimproverati davanti a tutti. “Ci scusi” borbottai, abbassando lo sguardo sul banco.

Quando Lloyd tornò alla sua lezione, Kameron mi diede di gomito per attirare la mia attenzione. Gli risposi con un’occhiataccia e lui ridacchiò in silenzio. “Stavi scherzando, prima, vero?”

Non feci in tempo a rispondere, che il professore aveva già di nuovo gridato “Towell!”

Come non detto” ridacchiò lui, imbarazzo. “La smetto, promesso!” assicurò, mimando di cucirsi la bocca.

Mi impegnai parecchio per non mettermi a ridere, ma decidemmo implicitamente di rimandare la conversazione all’intervallo.

 

Dobbiamo andare da Aggie” proclamò, trascinandomi per il corridoio.

Sei impazzito?”

S- no! Dobbiamo dirglielo, lei saprà cosa fare”.

Ah, certo. Dillo a lei, non è importante che io sappia di cosa stiamo parlando” commentai. Mi scrollai dalla sua presa e allungai il passo per evitare che lui mi portasse di peso a spasso per il corridoio. La scena ricordava tanto quando mia madre aveva trascinato un dodicenne Joshua fuori dal negozio di videogiochi, dicendogli che, no, non poteva acquistare anche quel quinto DVD, quattro erano abbastanza. A quel tempo ancora mio fratello non aveva assunto l’aria da super-figo, poteva quindi permettersi di fare la figura del cretino in mezzo alla strada. Al contrario, mia madre si era vergognata tanto, che da quel giorno, aveva iniziato ad aspettarlo in macchina fuori dal negozio.

Aspetta, aspetta, te lo spiego dopo... Matthew!” Inchiodò in mezzo al corridoio, come mi accorsi solo dopo un’altra decina di passi.

Mentre facevo dietro front per raggiunger il mio – ufficialmente decerebrato – amico, lui stava già parlando a macchinetta con il nostro professore di spagnolo.

Come sarebbe a dire che non ti ha detto niente?” mi chiese Matthew, colto alla sprovvista.

Sarebbe stato carino capire di cosa stessero parlando.

Io gliel’ho detto venerdì!”

Lo so, lui a me lo ha detto il giorno stesso” confermò Kameron, agitato.

Si può sapere di cosa state parlando?” mi informai, a costo di sembrare egocentrica. Kameron parlava con me, di me, senza dirmi nulla di sensato. Perché tutti quei complementi oggetti sottintesi? ‘Non glielo ha detto’. Che diavolo stava succedendo?

Della vostra esibizione!” rispose Matthew tranquillamente, riprendendo poi a confabulare con Kameron.

Oh, certo, ora capivo.

Ascoltai pazientemente una serie incoerente di ‘Solo quattro giorni!’, ‘Poco tempo’, ‘Impossibile’, ‘Il solito idiota’ e ‘Non è così idiota, se conosci bene’, prima di perdere la pazienza.

Quale esibizione?” ringhiai allora, passando totalmente inosservata ai due cervelli in fase di spremimento di meningi.

Quella situazione era piuttosto frustrante. Stavano borbottando frasi spezzate e senza senso e, seppure fosse ormai ovvio che parlassero di me, non capivo cosa stessero dicendo. Forse era così che si sentivano le persone normali quando sentivano me ed Emily discutere a proposito di una qualche scena di Harry Potter che nel film non era stata inserita.

Mi ero appena decisa ad andarmene, quando Matthew sospirò e si girò verso di me. “È un bel problema”.

Gli rivolse un’occhiata truce, dimentica che si trattasse di un mio insegnante. “Ma davvero?”

No. È un po’ un casino, ma Dean odia passare dalla parte del torto, quindi è risolvibile”.

Ah, certo. Qualcuno gli aveva detto che bastava evitare di attaccar briga con chiunque per non essere nel torto? Avrebbero dovuto dirglielo, si sarebbe evitato la fatica di rimediare ai problemi che causava. Qualunque essi fossero.

Allora, posso finalmente sapere qual è il dramma?”

 

Scesa dalla macchina, mi diressi a grandi falcate verso i campi sul retro, dove stava lavorando quel meschino biondo mestruato quella mattina.

Quel ragazzo voleva essere sepolto vivo dai miei insulti, era chiaro come il sole. Esibirci! Ora che sapevo cosa intendevano Kameron e Matthew non avrei voluto saperlo.

Stavo già preparandomi mentalmente una sclerata coi fiocchi, mi accorsi che non c’era traccia di lui. Per un momento

Senza scoraggiarmi, girai sui tacchi e filai dritta in casa, trovandolo seduto sul suo letto abbracciato beatamente alla sua chitarra.

Vedendolo feci una smorfia. Evidentemente il suo sesto senso lo aveva avvisato in anticipo dell’argomento della nostra prossima lite.

Festa del raccolto” sputai, prima ancora di aver messo un piede sull’ultimo gradino.

Lui alzò pigramente lo sguardo dalle corde e lo posò su di me. “È il giorno dell’equinozio”.

Gli rivolsi un’occhiata truce. “Questo lo so, ora”.

Fammi indovinare: ti hanno aggiornata” buttò lì con un sorriso di scherno, tornando a osservare lo strumento.

Al diavolo! Come poteva essere così bello mentre mi sfotteva miseramente?

Perché non mi hai detto niente?” ringhiai, incrociando le braccia e appoggiandomi al muro. Avevo corso per tutto il giardino e su per le scale; le gambe mi reggevano a stento, ma non avevo la minima intenzione di mostrare di essere affaticata. Quale credibilità avrei avuto facendo una sfuriata con il fiatone?

Mi rivolse una rapida occhiata di sufficienza. “E chi sono io, il tuo agente?”

No, uno stronzo. Uno stronzo schifosamente sexy abbracciato in quel modo alla sua chitarra...

No. Come non detto. A me non piaceva più, era un dato di fatto.

Sospirai. “Devo farlo?”

Non volevo. Non volevo assolutamente farlo. Cantare alla festa del paese? Davanti a tutti? Era inaccettabile. Tanto più perché non mi era stato chiesto se volessi partecipare. Con Dean, per di più!

A Kameron era parsa un’idea geniale e se solo non mi avesse detto che non era stato lui a combinare quel casino, lo avrei preso a pugni fino a fargli venire qualche livido. Tuttavia la colpa non era sua, era di quel simpaticone di Matthew McDonnel, che da quel giorno avrei depennato dalla lista dei bravi professori e delle persone che avrebbero potuto potenzialmente piacermi.

Mi aveva iscritto al concerto della festa del raccolto di Sperdutolandia.

Assieme a Dean.

Senza dirmi niente.

Assieme a Dean!

L’avevo o non l’avevo detto che quando una persona veniva adorata da tutti, finiva per essere sopravvalutata? L’avevo o non l’avevo detto che Matthew McDonnel avrebbe finito per starmi sulle scatole? Be’, era giunto il momento.

Cantare era l’unica cosa che sapevo fare. Era il mio sfogo, il mio rifugio. Non era giusto costringermi a farlo. Per di più, questa volta nessuno avrebbe cantato le prime strofe assieme a me, cercando di infondermi coraggio.

Strano ma vero, in quel momento sentii la mancanza di mio fratello più forte che mai.

Dean scrollò le spalle. “Hai paura, forse?”

Diavolo sì! “No. Qual è la canzone?” domandai, cercando di suonare il più naturale possibile. Tanto ormai il danno era fatto.

A te la scelta”.

Sì, certo, perché lui sapeva suonare tutto il repertorio di qualunque cantante io avessi scelto, no? Buttai lì la prima che mi venne in mente: “Crazy little thing called love”. Almeno era allegra, forse mi avrebbe tirato su il morale.

No” mi freddò, senza alzare lo sguardo dalla chitarra né darmi un’ulteriore spiegazione.

Fantastico”. Non aveva detto che la scelta sarebbe stata mia? “Prendo l’mp3 e diamo un’occhiata” suggerii, intuendo l’antifona. Avrebbe bidonato tutte le mie proposte, probabilmente.

Mi sorprendo del tuo buon senso”.

Mentre andavo in camera mia ad appoggiare lo zaino e cercare il mio fidato mp3, mi scivolò accidentalmente il dito medio, che schizzò fuori dal pugno chiuso in sua direzione. Era evidente che a quel dito la cotta per Dean non fosse passata. A me sì, ma a lui no.

Quando tornai in stanza, mi fermai incerta in piedi davanti a lui. Avrei dovuto sedermi lì accanto? Avremmo dovuto mettere un auricolare ciascuno quindi era più che ovvio, ma non meno imbarazzante. Prima che lui potesse notare la mia indecisione e lanciarmi una frecciatine delle sue, trattenni il fiato e mi sedetti sul letto. “Tieni” gli porsi una cuffietta.

In quel momento iniziò l’ennesima lotta, un auricolare ciascuno e gli occhi fissi sul display.

Alleluia” proposi, leggendo il titolo del primo brano che iniziò, non appena accesi l’mp3.

Evviva la banalità”.

Gli rivolsi un’occhiataccia di sottecchi e passai alla canzone successiva. “Come vuoi” sussurrai, irritata.

Click, click, click.

Le donne lo sanno?”

Ti piacerebbe”.

Misogino”.

Egocentrica! Perché leggi i titoli ad alta voce? So leggere!”

Non l’avrei mai detto. Quest’uomo è una sorpresa continua. “Perché altrimenti non rispondi! Ah, fai come ti pare”.

No”.

Non è una canzone, è un consiglio spassionato”. Cambiai traccia.

Smoke on the water dei Deep Purple.

Questa!” esclamò, convinto.

Non mi piace” replicai, felice di avere finalmente anche io qualcosa da criticare.

Lui mi lanciò un’occhiataccia. “Il lettore è tuo” osservò.

Che c’entra? Mica mi deve piacere tutto quello che ci capita dentro!” borbottai, stringendomi nelle spalle.

Ero in imbarazzo. Sembrava un’impresa titanica solo scegliere una canzone, come avremmo fatto ad impararla e... oddio, avremmo anche dovuto fare le prove! L’equinozio era quel giovedì quindi avevamo quattro giorni di tempo e...

Mi trattenni a stento dal gettarmi sul letto e gridare contro il materasso, aiutata dalla consapevolezza che quello su cui ero seduta non era il mio e che Dean avrebbe avuto conferma della mia totale imbecillità. E noi non volevamo questo. O meglio, il mio dito medio non voleva, ci teneva troppo.

La canto io” suggerì allora con naturalezza.

Sì, ottimo. E io che faccio?”

Nulla” mi diede corda, con un pizzico di sarcasmo nella voce.

Davvero?” mi illuminai.

Certo che no”.

Guarda che per me non c’è problema, posso sempre andarmene da qualche altra parte a mangiare pannocchie arrosto. Ci saranno pannocchie arrosto?”

Mi guardò male. “Non sai quanto mi alletta questa idea. Cambia” ordinò, alzando gli occhi al cielo.

Quel pomeriggio scoprii tante cose a proposito della musica. Tanto per cominciare che “la musica italiana fa schifo” – e se lo diceva lui... –, inoltre quella commerciale era “anche peggio”, Two Princes e Wherever you will go erano “Schifosamente sdolcinate. Devo suonare o vomitare?”, ma soprattutto, udite udite, Hey there Delilah dei Plain Whit T’s, era “ok. Segnatela e fammi vedere se c’è di meglio”.

Bastano altri dieci minuti di sbuffi e commenti acidi, per farmi capire che meglio di quell’ok, non avrei ottenuto.

Quando Kameron tornò, dopo aver riaccompagnato Terrence e Agatha, per fare i compiti, convenimmo che non era più il caso di perdere tempo. In fondo si trattava solo di una canzone e anche se un ‘ok’ non era un giudizio particolarmente entusiastico, ce lo saremmo fatti andare bene – se lo sarebbe fatto andar bene, perché per me quella canzone era molto più che ‘ok’. 

 

 

 

 

DubbiDomandeDelucidazioni:

  • Il festival del raccolto nel Regno Unito si celebra la domenica della Luna piena più vicina all'equinozio di settembre.

Sperdutolandia è in un luogo X, ma mi sono ispirata a questa nota trovata su Wikipedia per decidere che la Festa del raccolto viene festeggiata il 23 Settembre (il giorno prima del mio compleanno, yay! E generalmente uno dei miei giorni preferiti – per come suona ‘ventitré settembre’, mica per un motivo particolare XD).

 

In der Ecke – Nell'angolo:

Oh. Oh, erano secoli che non mi facevo viva, vero? A dirla tutta, se avessi continuato secondo la mia idea di aspettare di aver finito il capitolo successivo, non sarei qui nemmeno oggi. Ma non ce la facevo più, iniziavo a sentirmi tremendamente in colpa.

Vi ho fatto penare per questa cosa... non è neppure betata, spero che non ci siano troppi errori (mi sono limitata ad usare il correttore automatico).

Quest'anno è dura, gente. Credevo che avrei trovato comunque il tempo di scrivere e spero ancora di riuscirci, ma soprattutto voglio finire questa storia. Il vero motivo per cui ho postato – oltre i sensi di colpa – è che venerdì andrò ad una fiera a Bologna – credo. La stessa a cui due anni fa andai con mio padre, prendendo per la prima volta il treno, il giorno in cui scrissi le prime righe di questa storia. Due anni. Due anni, capite? Saranno due anni il 2 Dicembre che questa storia è su EFP. È un'eternità. È ora di concluderla. Qui dentro c'è un fetta piuttosto consistente della mia vita. Ci sono un sacco di cambiamenti... c'è un sacco del mio tempo, forse quello speso meglio. :)

Ci sono gli incontri con delle persone fantastiche, che prima di questa storia non conoscevo, c'è... tanto. Questa storia significa tanto per me. Non so perché lo sto dicendo, ho un momento di sentimentalismo, credo. Mi capita spesso ultimamente. XD

Vi ringrazio da morire se siete arrivate fino a qui, se ci siete ancora dopo tutto questo tempo, se ancora avete voglia di sopportare le mie scuse, le mie paturnie, i miei stupidi deliri “nell'angolo”. Un enorme grazie di cuore per avermi accompagnato fino a questo punto della storia.

E perdonatemi. Perdonatemi per il ritardo, per il fatto che nemmeno questa volta risponderò alle recensioni e per il fatto che probabilmente non riuscirò a farlo nemmeno le prossime volte. Non avrei mai creduto di avere così poco tempo quest'anno – o in qualunque momento -. Credo non farei in tempo a rispondere a tutte, e non voglio rispondere solo a qualcuno e lasciare indietro qualcun altro, perché siete tutte meravigliose e non ve lo meritate, affatto. Ogni parola che avete speso per me, sappiatelo, è stata apprezzata e la mia gratitudine verso di voi cresce continuamente. :)

(E fu così che aveva già risposto alle recensioni tempo fa e non se lo ricordava...)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Se volete, ci ricordo che esiste un gruppo in cui essere stalkerate/stalkerare la sottoscritta (oltre che un profilo facebook a cui potete aggiungermi). Trovate i link sul mio profilo, come sempre.

Inoltre, ora, sul gruppo trovate le storie partecipanti al contest indetto la volta scorsa. E, ragazze, non ho dimenticato il vostro premio, giuro, sono solo un po' indietro coi lavori! :D Aspetto le vostre domande, comunque. :3

Basta, fuggo. A presto – si spera! :D

E grazie, grazie, grazie e ancora grazie! A tutti! 

  
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