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Autore: EmaEspo96    22/11/2012    9 recensioni
[ STORIA INCOMPLETA ] Le aveva promesso di dimenticarla, di non trasformarla e di seguire suo fratello Niklaus pur non accettando quanto egli avesse fatto in passato. E lui l'aveva fatto, cercando di seppellire l'insopportabile ricordo di quella notte fresca e cupa in cui l'aveva vista morire. Ma lei non è morta, lei è tornata e non potrà mai più morire.
Dal secondo capitolo:
– Il mio nome è Sofia. – gli disse improvvisamente mentre avanzava lungo quel marciapiede di Firenze al fianco di quell’individuo. Indossava vecchi abiti risalenti agli anni ‘70 che le davano l’aria di una bambola di porcellana. Il vampiro volse lo sguardo verso di lei notando il suo tentativo di rompere il silenzio, un tentativo che era andato piuttosto bene.
– Elijah. – le rispose freddo, guardandola di sottecchi. Lei sorrise piegando le labbra di quel rosso acceso e socchiudendo gli occhi per pochi istanti.
[...]
– Trovo che Sofia sia uno splendido nome. – affermò il vampiro, complimentandosi con lei.
Lei sorrise divertita ed abbassò timidamente lo sguardo – Io invece penso che Elijah sia un nome davvero strano. – commentò, offendendolo.

- E' la mia seconda fanfiction. Spero di vedervi presto leggere e/o recensire. :) -
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Mugolò assonnata in quel posto stretto e chiuso. Quasi sentiva di non riuscire a respirare quando iniziò ad aprire lentamente gli occhi, regalandosi un’immagine scura ed offuscata di un posto dal tetto davvero basso e totalmente privo di luce. Gli esseri umani avrebbero potuto trovare qualche difficoltà nel riuscire a vedere lì dentro, ma lei vedeva perfettamente anche al buio.
Mosse le mani spingendo verso l’alto avvertendo l’oppressione della strettezza, ma ciò che le impediva di vedere la luce di un ipotetico giorno non voleva spostarsi in alcun modo. Restò sorpresa e leggermente spaventata mentre provava continuamente a liberarsi, spingendo contro quelle mura scure che la racchiudevano in ogni lato. Solo dopo essersi lamentata in maniera sommessa, solo dopo aver provato in tutti i modi di aprirsi un varco verso l’esterno, comprese l’identità di quel qualcosa in cui era rinchiusa: una bara.
– Aiuto… – mormorò con poca voce, premendo i palmi delle mani e le ginocchia magre contro il coperchio di quell’oggetto. Iniziò a spingere anche con i piedi mentre graffiava con quelle unghie lunghe contro il legno della bara.
– Aiuto! – esclamò, con più decisione. In poco tempo il panico si impossessò di lei spingendola ad agitarsi maggiormente in quel posto poco accogliente, poco luminoso e in cui faticava davvero a respirare. Chiamò l’aiuto di qualcuno con tutta la voce che aveva in corpo permettendo alla sua voce delicata, ma spaventata, di risuonare in quella bara risultando un fastidio perfino per le sue orecchie, continuò a dimenarsi cercando di rompere quel legno che la teneva rinchiusa presumibilmente sottoterra e si domandò, nella sua testa, per quale motivo l’avessero rinchiusa in un posto del genere.
All’esterno, nel buio di quel cimitero, una figura stringeva una vecchia torcia alimentata dal fuoco mentre correva cercando di capire da dove provenissero quelle urla. Avrebbe giurato di essere da solo, in quel posto, insieme al suo collega e pensò davvero in un primo momento che si trattasse di un fantasma. Ma l’insistenza, la paura palpabile in quelle urla nascoste dal terreno sporco, gli avevano permesso di comprendere la realtà dei fatti. Si avvicinò velocemente alla tomba vicino alla quale le urla ed i rumori sembravano più forti ed in cuor suo sperava intensamente non si trattasse di morti viventi. Afferrò una pala che si era portato dietro ed iniziò a scavare con una certa velocità, non osando affermare nei confronti di quella voce che era riuscito a sentirla e che era corso in suo aiuto.
Lei sussultò sopra la rigida morbidezza che la bara le offriva quando sentì lo scricchiolio del legno provocato dal coperchio che andava spostandosi e strinse gli occhi quando quel minimo di luce notturna la investì. L’uomo le tese prontamente la mano spaventato e colpito dalla presenza di una persona viva in quel cimitero in cui la morte regnava sovrana, la aiutò ad alzarsi in piedi in quella bara ed a scavalcare il muro di terreno che l’aveva tenuta rinchiusa lì sotto per chissà quanto tempo.
– Sta bene, signorina? – le domandò l’uomo preoccupato e lei gli si aggrappò addosso con entrambe le mani una volta fuori. Tremava dalla paura, si guardava intorno con insistenza scorgendo solo tombe, ma quando riportò lo sguardo sull’uomo ricordò il motivo per cui era finita lì sotto: lei era morta. Una mano dell’uomo s’intrufolò premurosamente tra i boccoli biondo platino che le popolavano la testa mentre s’infilava con lo sguardo preoccupato in quegli occhi verdi ed arrossati dal pianto che si era fatta scappare. Era bianca, sembrava una bambola di porcellana. La vide annuire lentamente, ancora tesa.
– Ricorda come è finita lì sotto? – le domandò curiosamente, guardando verso la tomba scoperchiata. Lei scosse il capo avvertendo una forte stretta allo stomaco, alla gola e ai denti. Osò imprimere più forza in quelle prese che aveva su di lui scorgendo lo stupore nel suo sguardo preoccupato.
– Va tutto bene? – le chiese precipitoso ma lei scosse sinceramente il capo, schiudendo le labbra rosee e carnose quel tanto che bastava per permettere all’uomo di intravedere qualcosa di strano nella sua dentatura. Lui chinò lo sguardo a fissare quei canini aguzzi che cercavano di sporgere dalle labbra della ragazza ma quando lo riportò nei suoi occhi non vi scorse più il verde che aveva sino a qualche istante prima, perdendosi nei meandri dell’oscurità mostruosa nei quali si erano trasformati e rabbrividendo a quelle strane ed incomprensibili venature che partivano dalle palpebre e terminavano alle gote tonde e morbide.
– Oh mio Dio… – mormorò l’uomo incredulo e spaventato al contempo – Ho fame. – asserì la ragazza con tono teso e l’uomo non ebbe il tempo di urlare che lei gli si aggrappò al collo privandolo inevitabilmente della sua vita. Succhiò quel sangue alimentando la forza sulle prese che aveva su di lui ed accompagnandolo al suolo quando capì che gli aveva strappato le capacità per restare in piedi e quando sentì le sue gambe afflosciarsi. Si chinò su di lui sotto il tonfo della pala che gli era caduta dalle mani e quando il suo battito cardiaco cessò, sollevò il capo a fissarlo con paura. Deglutì leccandosi le labbra arrossate da quel sangue di cui si era inspiegabilmente nutrita.
– Oh no… – mugolò in un singulto sommesso smuovendo il nuovo cadavere che lei stessa aveva generato come se si aspettasse un qualche miracoloso risveglio – Oh no…no…no… – continuò comprendendo che quell’uomo non si sarebbe mai più svegliato. Si portò di nuovo in piedi e si guardò intorno mossa dalla paura. Calpestò ripetutamente quel terreno sporco coi suoi piedi nudi e intravide una luce fioca abbastanza distante, ma che ugualmente la spinse ad assottigliare lo sguardo come per nascondere la delicatezza dei suoi occhi. Sollevò una mano mossa dall’istinto e la agitò.
– Aiuto, aiutatemi! – gridò a squarciagola attirando l’attenzione di un individuo che iniziò ad avvicinarsi preoccupato. Ne intravide la sagoma, ne distinse i lineamenti e solo quando lui le si avvicinò si accorse di quel rossore sulle sue labbra.
– Cos’è successo? – osò domandare. Probabilmente era anche lui un responsabile di quel cimitero stupito dall’improvvisa mancanza di cupa serenità che di solito regnava in quel posto. Lei lo fissò intensamente, poi scosse il capo mugolando. Non riuscì a trattenersi, nemmeno con lui…

 
– Signorina? – le domandò la voce incuriosita del signor Saltzman. Lei sollevò lo sguardo verso di lui immergendo i suoi occhi di quel verde intenso nello sguardo dell’insegnante, cessando quel moto giocoso che aveva impresso sulla penna che aveva tra le mani. Il professore se ne stava semiseduto su un angolo della scrivania a guardarla, attirando la sua attenzione.
– La prego, venga a presentarsi alla classe. E’ sempre bene farsi conoscere dai propri compagni, soprattutto quando si tratta di una straniera come lei. – affermò Alaric con tono educato e gentile e lei gli sorrise piegando quelle carnose labbra tinte di un rosso acceso in un mezzo sorriso. Appoggiò la penna sul banchetto dietro il quale sedeva e si portò in piedi avvicinandosi con passi misurati alla scrivania prima di iniziare a dare le spalle all’insegnante per guardare la classe. Si passò istintivamente una mano tra i boccoli biondo platino e fece scorrere lo sguardo sui compagni con una certa timidezza.
– Il mio nome è Sofia. Sofia Fiorentini. Vengo dall’Italia, precisamente da Firenze e… – si bloccò per alcuni istanti volgendo lo sguardo ad Alaric che continuava a fissarla, cercando nel suo sguardo un qualche parere sull’inizio della sua presentazione, dopodichè ritornò a guardare davanti a sé.
Ridacchiò imbarazzata – Beh, non credo ci sia tantissimo da dire su di me. – mormorò timidamente, ma un compagno di classe sollevò la mano improvvisamente attirando la sua attenzione.
– Per caso sei la sorella minore di Marylin Monroe? – domandò ironico, facendo sghignazzare buona parte della classe. Lei rimase allibita non sapendo se ridere insieme a loro o offendersi.
– E’ un complimento, somigli davvero molto a Marylin Monroe. – commentò Alaric, informandola. Lei annuì facendosi scappare un sorriso indecifrabile che venne, subito dopo, indirizzato alla classe.
– Se ti interessa, non lo sono. – rispose lei con un movimento delle spalle, impacciata. Scorse i sorrisi divertiti sui volti dei compagni e deglutì per darsi maggiore forza e sostenere quella presentazione – Mi piace molto la storia, e non lo dico solo perché c’è il signor Saltzman dietro di me, è uno dei motivi per i quali mi sono trasferita a Mystic Falls. Poi, ho sempre sognato di venire a vivere in America, e questo ne è un altro. – si fermò per un paio di istanti indagando sui suoi nuovi compagni di scuola, strinse le mani davanti ai jeans attillati mostrando quanto si sentisse nervosa – E Mystic Falls mi sembra una cittadina davvero tranquilla, vivibile e l’aria che si respira è decisamente migliore dell’aria di una città grande come quella dalla quale provengo. – ammise sorridendo imbarazzata.
A quelle sue parole, il signor Saltzman sembrò trattenere dei commenti permettendole soltanto di ritornare a posto. Avrebbe dovuto recarsi in quella cittadina un anno prima per ricredersi veramente su quello che aveva detto. Quando la campanella della fine delle lezioni suonò, lei raccolse tutte le sue cose e si sollevò dalla sedia avviandosi verso l’uscita dell’aula con un fugace saluto verso il professore. Raggiunse il suo armadietto frugandovi distrattamente all’interno e posandovi parte del suo materiale scolastico. Un colpo secco, ma ugualmente delicato, portò l’armadietto a richiudersi ma non fu il rumore da esso provocato a spaventarla bensì la figura di Caroline che era apparsa al suo fianco.
– Allora? Com’è andato il primo giorno di scuola? – le domandò incuriosita non badando alla esile mano della ragazza che veniva portata al petto per riportare regolarità al suo battito cardiaco. Sofia abbassò lo sguardo timidamente e si sistemò la borsa su di una spalla.
– Bene, direi. Questa scuola non è male ed il signor Saltzman è davvero una brava persona. – ammise lei con tutta la sincerità di cui era capace. Caroline sorrise contenta.
– Elena? – domandò Sofia, guardandola interrogativa mentre iniziava ad avviarsi verso l’uscita della scuola. Caroline l’affiancò senza troppi problemi e sorrise maggiormente.
– E’ tornata a casa con Stefan. – le rispose guardandola con uno sguardo complice – Hanno da poco litigato ed avevano bisogno di riappacificare. – aggiunse Caroline e Sofia spostò lo sguardo da lei.
– Mi dispiace. Penso che Stefan sia davvero un ragazzo di buon cuore, mi chiedo come facciano a litigare così spesso. – si domandò la ragazza sperando in una qualche risposta dal cielo, o anche da Caroline.
– Beh vedi, sono cose che succedono. Io penso che i loro litigi non siano indice di mancanza d’amore, anzi. Ad ogni modo, oggi ti accompagno io a casa. – affermò la ragazza uscendo nel parcheggio della scuola seguita da Sofia. Quest’ultima scosse il capo, opponendosi un minimo.
– Oh dai, Caroline. Non ho bisogno che mi accompagni a casa. Non finirò per perdermi a Mystic Falls e, soprattutto, ho bisogno di camminare e conoscere queste strade per potermi reputare effettivamente un’abitante. – mormorò la ragazza, guardandola con un sorriso. Ma la bionda non sembrò desistere.
– Io insisto, Sofia. Non mi piace l’idea che tu torni a casa da sola, sembri una pecorella sperduta. – rispose Caroline. Inizialmente l’altra non sembrò comprendere il paragone ma non vi diede peso, scuotendo il capo.
– Se non mi fai tornare a casa da sola, chiamo lo sceriffo e le dico che mi hai rapita. – continuò Sofia, guardandola con finta superiorità.
Caroline rise divertita – Oh, tesoro, dimentichi che lo sceriffo è mia madre. – le rispose. Solo alla fine sospirò, avvicinandosi alla sua auto – Sei sicura di voler tornare a casa da sola? – le domandò.
Sofia annuì sorridendole gentilmente. Apprezzava la sua insistenza e la sua preoccupazione, ma era davvero disposta a non recarle disturbo con un passaggio fino a casa. – Non preoccuparti, conosco la strada. Ed oggi è una bella giornata, c’è davvero molto sole. Potrei anche decidere di fermarmi da qualche parte a fare un po’ di shopping solitario. – le rispose sicura.
Caroline mosse il capo mostrando una certa, seppur finta, tentazione – Oh, così mi tenti. Quasi quasi ritornerei a piedi con te. – sorrise incalzando maggiormente quelle parole. Sofia sorrise di rimando e poi si avviò salutandola lì.
 
Camminava lungo quella strada di Mystic Falls che l’avrebbe condotta a casa con quegli occhi stretti ed un’espressione apparentemente tranquilla. Era una bella giornata, voleva godersela, ma non riuscì a negare quanto il sole le stesse dando fastidio in quel momento. Il passo rallentò lentamente quando si ritrovò a scrutare le fredde lapidi del cimitero della cittadina dalle quali veniva separata da una bassa ringhiera che circondava interamente quel posto. Perse la sua limpida espressione perdendosi immancabilmente nei meandri dei suoi pensieri, con quei ricordi che le attraversarono tempestosamente la testa sino ad essere cancellati da un’improvvisa mano che si posò su una sua spalla, un tocco che la spaventò inducendola a voltarsi di scatto con un’espressione buffa ed indecente. Jeremy Gilbert la guardò un po’ incuriosito e poi sghignazzò sommessamente.
– Non dovresti arrivare alle spalle in questo modo! – gli urlò leggermente offesa, portandosi una mano al cuore. Sin da quando era arrivata in quella cittadina, pochi mesi prima, non aveva potuto evitare di notare come quelle persone apparissero dal nulla magicamente.
– In realtà eri tu ad essere soprappensiero. – le rispose Jeremy convinto, scostandosi leggermente da lei. La ragazza lo guardò e poi sorrise gentilmente sfilandosi la maschera di inadeguata offesa e riprese la sua camminata verso casa ammettendo, ancora una volta, che il sole le dava fastidio.
– Come mai hai rifiutato l’invito di Caroline a farti accompagnare a casa? – domandò Jeremy, tradendo un leggero tono di voce preoccupato. Lei scosse il capo impacciata.
– Volevo semplicemente fare due passi. Vi ho già disturbati per tutta l’estate per farmi accompagnare di qua e di là, questa volta faccio da sola. – confessò lei, sorridendogli.
Lui si perse in quel sorriso rosso come il sangue cercando di portare lo sguardo sulla strada che stava percorrendo solo qualche istante dopo.
– Però, il sole non ti fa bene. – mormorò Jeremy un po’ titubante – Insomma, per la tua malattia… – continuò ma lei lo interruppe scuotendo il capo.
– Non è un problema, non può rinchiudermi in casa. E poi mi dà solo fastidio messo così, non è niente di grave. C’è un po’ d’ombra ogni tanto, posso fermarmi lì quando capita. – rispose cercando di alleviare le sue preoccupazioni.
Jeremy sospirò rassegnato. In tutti quei mesi che aveva trascorso in compagnia di lei, aveva appurato quanto fosse testarda quella ragazza e stava iniziando ad accettarlo, seppur poco volentieri.
– Ti accompagno io a casa, comunque. – affermò Jeremy, sorridendole. Lei sospirò tradendo una certa contentezza e si sistemò meglio la borsa sulle spalle.
– Mi chiedo quando la smetterete di preoccuparvi per me. Non c’è poi niente di pericoloso a Mystic Falls. – affermò lei con una certa decisione. Jeremy scosse le spalle poco convinto continuando ad avanzare al suo fianco, trattenendo eventuali commenti sulla cittadina. Probabilmente avrebbe dovuto saperlo degli scontri tra vampiri, delle numerose morti che lui ed i suoi cari avevano affrontato, dei licantropi, degli ibridi, del soprannaturale in generale. Ma dirglielo significava allontanarla dalla normalità delle cose, pertanto optò per il trattenere per sé tutto ciò che sapeva.
– Beh, mi preoccupo semplicemente che tu possa sentirti male. In realtà, non riesco ancora a capire come mai i tuoi genitori ti abbiano fatta venire qui da sola senza preoccuparsi della tua salute. – mormorò Jeremy con un certo disappunto.
Lei scosse il capo ridacchiando in maniera sommessa, rallentando il passo quando ormai mancava davvero poco a destinazione. Si fermò davanti a quel piccolo cancello che chiudeva il giardino della casa che si era procurata e lo aprì con cura percorrendo il vialetto che conduceva alla porta d’ingresso. Jeremy la seguì con tranquillità e quando lei l’aprì mostrando l’oscurità dell’interno della casa si portò di un paio di passi in essa. Lui si fermò alla soglia non osando oltrepassarla.
– Allora, io sono arrivata. – mormorò lei, con un sorriso stampato sulle labbra.
Lui annuì – Io adesso vado, allora. – aggiunse Jeremy sorridendole. Fece per voltarsi ma Sofia attirò nuovamente la sua attenzione.
– Ah, ci sono le cascate stasera. Non le hai dimenticate vero, Jer? – gli domandò ridacchiando sommessamente. Lui scrollò le spalle scocciato e si volse nuovamente verso di lei.
– Speravo te ne fossi dimenticata tu. – ammise, incassando la testa nelle spalle. Lei rise cristallina e poi scosse il capo facendogli notare l’evidenza, lei non l’aveva dimenticato.
– Spero di vederti lì stasera, allora. – commentò infine. Jeremy non sembrava esserne convinto eppure il sorriso radioso e colorato della ragazza gli fece dimenticare quanto odiasse quel tipo di feste tra adolescenti. Annuì leggermente vedendola chiudere la porta e rintanarsi all’interno della casa.
Lei lo sentì allontanarsi e richiudere il cancello del giardino così come era stato aperto e lei si appiattì con la schiena contro la porta, come se temesse una sua improvvisa apertura. Socchiuse gli occhi premendo la nuca dorata contro la superficie dell’ingresso e lasciò cadere la borsa al suolo. Stava scaricando tutto ciò che si era tenuta dentro per l’intera giornata ammettendo a sé stessa che non si era ancora abituata ad essere circondata così tanto da umani. Sospirò dispiacere riaprendo gli occhi ed immergendo il verde intenso che li caratterizzava nel soffitto lontano oscurato dalla penombra della casa. Bastò un attimo prima che lei si lasciasse cadere sfregando con la schiena contro la porta e finendo col sedersi al suolo, rannicchiata in quell’angolo di casa. Le mani si portarono alla testa ammaccando i boccoli dorati contro di essa; respirava così faticosamente da sentire il respiro risuonare per l’intera casa. Doveva essere così che si sentiva lui, quando era in sua compagnia. Ogni punto del corpo sembrava pesante quando iniziavi a cadere nella tentazione, si faticava perfino a camminare quando i canini reclamavano il cibo. Doveva per forza essere così che lui si sentiva e lei solo in quell’istante capì quanto fosse forte la tentazione della fame.
Alzò lo sguardo cupo e si sollevò dalla pavimentazione riportandosi nuovamente in piedi. Avanzò con passi veloci e decisi verso la cucina dentro la quale s’inoltrò senza nemmeno accendere la luce, preferendo oltremodo il buio. Aprì il frigo scrutando ciò che esso conteneva: cibarie di ogni tipo ed un’infinita serie di bottiglie bianche. Ne prese una e la tirò fuori richiudendosi il frigo alle spalle e dirigendosi verso il lavello. Aveva lasciato alcuni bicchieri lì dopo averli lavati la sera precedente e fu lì che li trovò, prendendone uno. Lo appoggiò sul bancone ed aprì la bottiglia venendo investita inevitabilmente dal dolce profumo che proveniva dal suo interno. La chinò versandosi un bicchiere di liquido vermiglio riempiendo quasi tutto il bicchiere. Richiuse la bottiglia e la lasciò sul bancone prendendo il contenitore in vetro che aveva riempito e iniziando a berne il contenuto in una maniera alquanto tesa, stringendo il vetro con dita tremolanti che vennero fermate solo quando il gusto fresco e ferreo del sangue le inondò la bocca. In realtà, il sangue aveva diversi sapori per una come lei, il sangue aveva diversi sapori per un vampiro, ed in quel momento sapeva di dolce soddisfazione.
 
Il volume alto della musica le rimbombò nella testa più e più volte man mano che si avvicinava alla festa. Era il primo anno per lei e si sentiva alquanto estranea, soprattutto dopo aver tardato un bel po’ al suo incontro con Caroline. Avanzò con passi lenti e misurati avvicinandosi alla figura della ragazza che l’attendeva con un bicchiere in mano intenta a scambiare qualche parola con una compagna di scuola, una ragazza che Sofia aveva intravisto più e più volte nei corridoi. Si avvicinò cautamente e si fermò a pochi passi da Caroline sentendola salutare l’amica ed avvicinarsi a lei.
– Sai Sofia, quando una persona ti dice di presentarti ad un determinato orario, è buon educazione rispettarlo – l’ammonì la bionda, sorseggiando un po’ del suo drink.
Sofia incassò la testa nelle spalle sinceramente dispiaciuta – Piccolo imprevisto. – mormorò in risposta – Non avevo la minima idea di cosa abbinare ai miei vestiti. – ammise, nascondendo una menzogna dall’odore del sangue.
Era per quello che aveva tardato, per riempirsi di sangue ed evitare di avere fame durante la serata. Venne accompagnata da Caroline a prendersi qualcosa da bere, e lei sperava in qualcosa che non fosse alcolico, ma tutto ciò che trovò fu del punch. Lo sorseggiò con calma camminando lungo quel piccolo ponte in legno dal quale ci si affacciava per guardare le cascate. I riflessi delle stelle e della luna rendevano quelle acque maggiormente incantevoli. La sua attenzione, però, venne catturata da Caroline che si fermò al suo fianco.
– Allora? Perché non ti sei fatta accompagnare da nessuno a questa festa? – le domandò maliziosamente, Sofia scrollò le spalle ridacchiando.
– Sono nuova a scuola, preferisco conoscere qualcuno prima di gettarmi nel mondo degli inviti alle feste. – ammise, strappando un altro sorso al punch. Caroline scosse la testa e bevve un altro goccio della birra che aveva all’interno del suo bicchiere nascondendo oltre il bordo dell’oggetto un malizioso sorriso.
– Chi ha mai detto che avresti dovuto invitare uno di loro? Potevi invitare Matt, per esempio. – commentò Caroline una volta scostato il bicchiere guardandola alla ricerca di un giudizio.
– Matt è un bravo ragazzo. – mormorò Sofia in risposta.
– E allora? Perché non l’hai invitato? – domandò ancora Caroline strabuzzando gli occhi incredula.
– Perché… – stava dicendo Sofia, ma l’arrivo improvviso di Elena e Bonnie interruppe interamente la scena. La Gilbert e la piccola strega si avvicinarono a loro sorridendo, non riuscendo a percepire nemmeno una parola della conversazione.
– Ciao ragazze. – disse Bonnie, guardandole entrambe. Sofia sorrise a tutte e due nel tentativo di ricambiare il loro saluto.
– Sofia, hai per caso visto Jeremy? – domandò Elena tradendo un minimo di preoccupazione. C’erano davvero tante persone lì che era facile perdere qualcuno. Sofia si guardò intorno come se cercasse di scorgerlo, ma da lì era davvero difficile trovarlo, nel caso fosse davvero venuto alla festa come lei gli aveva chiesto nel pomeriggio.
– In realtà no. – rispose con tono di voce basso, ritornando a guardare Elena. La Gilbert si avvicinò al bordo del ponte appoggiandosi ad esso per cercare di vedere meglio la scena, ma finì col graffiarsi proprio nel palmo della mano a causa del legno ben poco curato. Si scostò immediatamente guardandosi la piccolissima ferita appena nata. Caroline la guardò tranquilla ammettendo di essere finalmente riuscita a controllare pienamente la sua natura, ma la stessa cosa non fu per Sofia. Si fermò a guardarla intensamente schiudendo le labbra carnose e rosse e deglutendo pesantemente.
– Allora, io vado a cercarlo. – affermò velocemente, attirando l’attenzione delle altre tre – Se è venuto alla festa, non dovrebbe essere lontano. Se lo trovo gli dico che lo stai cercando. – disse iniziando a muovere alcuni passi per allontanarsi da lì, passi che Elena avrebbe voluto interrompere semplicemente chiamandola, ma non ottenendo i risultati desiderati. Sofia si allontanò dal gruppetto immergendosi nel pieno della festa. Assottigliò le palpebre nell’avvertire quella pressione alla testa ed allo stomaco che le portava la fame, deglutendo più e più volte insieme al punch per riuscire a trattenersi. Ed era stata l’intero pomeriggio a nutrirsi per evitare una situazione del genere, con palesi scarsi risultati. Bevve ciò che restava del punch tutto d’un sorso sospirando di seguito come per cacciare fuori ogni residuo di tentazione che l’aveva attanagliata. Si fermò nel mezzo del posto socchiudendo gli occhi e respirando profondamente prima che qualcuno le prendesse una mano improvvisamente facendola sussultare. Sgranò gli occhi perdendo ogni presa sul bicchiere che cadde al suolo rovinosamente e lei venne trascinata verso il bosco da qualcuno che inizialmente nemmeno aveva riconosciuto.
Quando volse lo sguardo spaventato, confuso e incredulo verso la figura che la trascinava riconobbe la nuca scura di Jeremy che la guidava all’interno del bosco adiacente nascondendola nel buio della vegetazione.
– Jeremy! – esclamò, strattonando la sua mano e costringendolo a fermarsi. Lui si voltò verso di lei con un grande sorriso stampato sul volto.
– Seguimi, Sofia. – le disse semplicemente.
– Dove? – domandò lei immediatamente, ma lui le tirò la mano con più decisione per cercare di convincerla a seguirlo. Non disse altro, quegli occhi scuri del piccolo Gilbert la spinsero a seguirlo lungo quel tratto buio di bosco che li avvicinava sempre di più al sonoro rumore delle cascate. Si ritrovarono poco dopo davanti alle stesse ad ammirare quelle acque cristalline che cadevano verso il basso oscurandosi per la notte. Solo in quel momento Jeremy le lasciò la mano lasciandola sorpresa della vicinanza che aveva con quell’acqua e di quanto potesse essere bella.
– Sono bellissime. – constatò in un sussurro, incantata. Jeremy sorrise ulteriormente e le fece cenno di seguirlo verso quei massi nei pressi dello specchio d’acqua in cui le cascate andavano interrompendosi. Lei lo seguì accomodandosi morbidamente al suo fianco, un po’ titubante, e si guardò intorno notando il silenzio e la solitudine che c’era in quel posto in cui lui l’aveva portata.
– Ti piace qui? – le domandò guardandola contento. Lei annuì ricambiando per brevi istanti il suo sguardo, dopodichè ritornò a guardare intensamente l’acqua. Anche Jeremy sollevò lo sguardo ammutolendosi per alcuni minuti.
– Elena ti stava cercando. – gli sussurrò non distogliendo lo sguardo dalle cascate. Jeremy calò lo sguardo su di lei ammirando silenziosamente il delicato profilo che caratterizzava il volto della ragazza e perdendosi numerose volte su quelle labbra tinte di quel rosso acceso che parevano invitarlo. Sofia notò il silenzio da parte del ragazzo e si voltò col viso verso di lui accorgendosi del modo incantato col quale Jeremy la fissava.
– C’è qualche problema? – domandò accennando un sorrisino inadeguato alquanto divertito, un sorriso che venne rotto dal moto improvviso del viso di Jeremy. Lo notò avvicinarsi improvvisamente e pericolosamente perdendo i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei. Le labbra della ragazza si schiusero leggermente per mostrare quanto fosse sorpresa e confusa ma fece per portare una mano contro una spalla di Jeremy per cercare di tenerlo indietro, impedendogli di avvicinarsi ulteriormente.
– Non va bene, Jeremy. – mormorò con un tono dispiaciuto. Il Gilbert si fermò, abbassò lo sguardo sentendosi ridicolo e volse lo sguardo altrove mostrando una certa offesa. Fece per ritirarsi completamente e rimettersi al suo posto lasciandola titubante e dispiaciuta per la reazione avuta.
– Sono il fratellino di Elena dopotutto, giusto? – domandò lui senza guardarla, perdendo il suo sguardo nell’oscurità della vegetazione a loro adiacente. Lei scosse il capo prontamente.
– No, Jeremy è che… – si interruppe, abbassando lo sguardo. Scostò le mani da lui e cadde nel silenzio. Trovava stupida qualsiasi giustificazione le passasse per la testa in quell’istante. Avrebbe dovuto dirgli che c’era un altro? Che c’era sempre stato un altro negli ultimi trent’anni, un uomo che le era entrato dentro e non era mai più uscito. Un uomo che, molto probabilmente, in quel momento l’aveva dimenticata credendola morta. Sospirò rassegnata sotto lo sguardo di Jeremy che la studiava attentamente.
– Vado a casa adesso, scusa. Mi fa piacere che tu sia venuto come ti avevo chiesto. – gli sussurrò, sorridendogli e si sollevò dal masso passandosi una mano sulla corta gonnella che aveva indossato per l’occasione. Jeremy la guardò portandosi in piedi.
– Ti accompagno. – disse prontamente ma lei scosse il capo.
– No no, non preoccuparti. Goditi la festa. – rispose lei. Ma senza attendere altre sue parole si incamminò verso il boschetto con un passo tanto veloce da impedire a Jeremy di raggiungerla. Si perse nella vegetazione ammirando il silenzio che regnava e senza temere il buio si incamminò cercandone l’uscita per raggiungere casa sua.
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Note dell'autrice:
Eccomi qui con una nuovissima fanfiction. :D
Ovviamente questo, essendo il primo capitolo, era più che altro un capitolo per presentarvi il nuovo personaggio.
Come avrete potuto notare, inoltre, questa Mystic Falls è alquanto modificata rispetto all'originale. Alcuni personaggi
non saranno morti, come invece è successo nella trama, e qui i cattivi si sono momentaneamente allontanati
lasciando i protagonisti alle prese con una normale e monotona vita umana. In poche parole, ho voluto modificarla
in base a come mi piaceva, ecco. :D
Detto questo, mi farebbe molto piacere leggere qualche commento, anche se negativo. :)
Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e mi seguiranno in questa nuovissima impresa di scrivere qualcosa di decente!

   
 
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