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Autore: Miss I    23/11/2012    4 recensioni
Avete mai sentito parlare del lago di Saint Pardoux?
Io sì e ho avuto la curiosa idea di farne una storia..
Diciamo che non racconto la storia del lago.. Ovvio!
..Ma di come una ragazza ne verrà coinvolta!
Spero di avervi incuriosito abbastanza..
Miss I.
Genere: Avventura, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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«Creatura immobile. Vedo.
Occhi assenti, vitrei, verso il cielo cupo,
braccia lungo i fianchi, colate di sabbia,
come manto si riversano su quel corpo.
Muta. A vedere la fine, lento fluire,
lento dissolversi, la sabbia, lenta, ricopre.
Assisto a quest'investitura, fissi gli arti.»


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Capitolo I

Il mio sorriso si era spento lasciando lo spazio all'acqua. Le labbra avevano assunto un colorito violaceo, abbandonando il rosso acceso del rossetto.
L'acqua investiva, incontrastata, la cornea di entrambi gli occhi, che dalla mia paura rimanevano aperti.
Le vie aerifere superiori non erano più fatte solamente per aspirare l'ossigeno, l'azoto ed altri gas ma per l'acqua. Queste non erano più adibite al loro lavoro.
L'unico aspetto che ancora non riuscivo ad assimilare era che l'acqua, attorno a me, aveva assunto un colore stranamente limpido.
Ma la mente mi riportava al male, a quello che ora mi stava succedendo, rendendo il primo qualcosa priva di importanza.
Non pensavo che le mie vacanze sarebbero finite in questo modo. Non pensavo di ritrovarmi a convivere con gli ultimi respiri verso la cosidetta fine.
Ero, così, costretta alla fine e all'ultimo sguardo. La mia voglia di vivere saliva al contrario del mio respiro che si faceva sempre più flebile e inascoltabile.
Il tempo fece il suo lavoro trascinandomi sempre di più a fondo. Lo seppi quando il mio corpo andò a toccare il fondo roccioso ma allo stesso tempo, sabbioso.

Riuscivo ancora a percepire quello che mi capitava fino a quando il buio, che rimpiazzò le vene centrali retiniche, mi tolse la percezione visuale.
Era, quindi, questo il mio modo di lasciare il mondo?
Sarei stata, ovvero la mia morte sarebbe stata sulla bocca di qualcuno per qualche giorno, per poi rimanere un ricordo penoso?
Già mi immaginavo il titolo sulla prima pagina del giornale: «Cadavere nel lago di Saint Pardoux!» e io avevo paura di essere quel cadavere.
Avevo paura che il cadavere fossi io e, quindi, che leggendo l'articolo del giornale avrei trovato il mio nome.
Avevo sempre avuto paura della morte. Tutti ne abbiamo, chi di più, chi di meno.
Penso, che questa paura sia la causa dei nostri dubbi e delle nostre continue domande sull'origine dell'uomo e la sua, inevitabile, fine.
Siamo, così, spinti da una religione, da un credo, che ci insegna cosa dopo la morte potremmo trovare e potremmo subire.
In base alle nostre benevolenze, contrapposte ai peccati, andremo rispettivamente in Paradiso e all'Inferno. Ogni religione ha il suo Paradiso e il suo Inferno.
Il mio cervello non era mai arrivato a finire su questi ragionamenti, che pensavo si ponessero solo solo sul punto di fine, quando è già troppo tardi.
Non sapevo che cosa, veramente, mi aspettasse dopo aver dato l'ultima possibilità al cuore di battere, anche avendo letto la Bibbia in tutti i suoi canoni.
Avevo perso le speranze e sentivo di essere ultima ad un'infinita lista di deceduti. Ma ad un tratto sentii il mio corpo iniziare a riprendere quota nell'acqua, sino a tornare a galla.
Ora, ero sicura, che qualcosa mi avesse preso e poi, alla fine, lasciato che le leggi della fisica avessero luogo. Ma cosa mi aveva presa in quel modo così rude e violento?
Mi sentii, di nuovo, tremare e il mio respiro riaffiorare nelle vie respiratorie piene d'acqua. Ero felice di essere in vita ma piena di domande sul perché lo ero ancora.
Non potevo essere stata in acqua così tanto - perché non erano solo dei secondi - per poi uscirne illesa.
Qualcosa non andava, qualcosa aveva superato qualsiasi legge che uno scienziato avrebbe scoperto dopo anni e anni di esperimenti scientifici malriusciti.
«
Sono.. - cominciai ad annaspare, cercando di raggiungere la riva, ritornata sotto il mio sguardo - Sono viva!» urlavo, come se qualcuno mi avesse sentita.
Dopotutto poteva essere stata solo una maligna visione, un semplice scherzo della mente.
Mi convinsi di questi ultimi pensieri, creati dalla felicità e raggiunsi la riva, annaspando, contemporaneamente al mio continuo tremolio di tutti gli arti.
La riva. La riva, era sotto il mio corpo. Ero arrivata e questo mi rese ancora più felice.
Rimasi stesa per qualche minuto, assaporando ogni sapore della vita, apprezzandola, per la prima volta, in tutti i suoi aspetti nonostante la società inconcepibile che la caratterizzava. Assaporai ogni battito del cuore adiacente al respiro con la contrazione del diaframma.
Assaporai le stelle, con lo sguardo, che si erano rese luminose in cielo come non mai. Sembravano che lo fossero per me, che fossero lì per far brillare i miei occhi.
La mia attenzione fu, poi, catturata dall'acqua che si muoveva a passo d'uomo, verso di me.
Quell'acqua aveva assunto la forma dell'ultimo, creandomi un istintivo sbarramento degli occhi.
Mi alzai spaventata, interrompendo le mie contemplazioni alla natura che, ora, sembrava così perfetta.
Urlai spaventata nella speranza che qualcuno, sta volta, mi sentisse.
Forse stavo ancora morendo e questo era solo un mondo parallelo, prima dell'ultima deposizione.
Magari, invece, avevo visto troppo film cinematografici di generi talmente fantasiosi, che anche nei miei incubi producevo qualcosa di surreale.
Come poteva l'acqua assumere, nella realtà, la forma di un uomo vero e proprio, creandomi paura e suggestione?
Era, quest'ultima la domanda, che ora mi assaliva i neuroni spezzati dalla paura. L'acqua mi prese per i polsi.
Mi dimenai e il braccio di questo, si rovesciò sulla sabbia della riva, al mio movimento forte e deciso.
Convinta di riuscire a farlo con il resto di quella creazione, così fantasiosa, presi forza e sferrai un pugno nel suo petto trasparente.
Quest'ultimo fece la stessa fine del suo braccio, diventando o per meglio dire, tornando a una normale pozza d'acqua.
Alzai gli occhi dalla pozza e vidi, non uno, ma un esercito degli stessi crearsi contemporaneamente. Successivamente, iniziarono a dirigersi verso di me.
L'unica cosa che si alzò in me fu la paura. Infatti, iniziai a correre, spaventata da quelle figure, che sola, non sarei riuscita a sconfiggere.
Allo stesso tempo urlavo: «
Ho bisogno di aiuto!».
Queste erano in italiano, contrapposte da qualche parola in francese che speravo non avrebbero ignorato, pensando che fossi una pazza ubriacona.
«
J'ai besoin d'aide!» cercavo di farmi capire, con un accento alquanto penoso. «I need help!» se qualcuno avrebbe capito il mio perfetto inglese.
Ma niente, nessuno sembrava essere sintonizzato con le orecchie sulla mia voce. Se questo era un incubo, volevo finisse il più velocemente e prima possibile.
Speravo, che almeno, fosse un incubo. Continuavo a correre, con quelle figure che ad ogni mio passo, acceleravano il loro e aumentavano di numero.
Constatai, infine, che dopo aver corso così veloce ero arrivata dove gli abitanti di
Friaudour, vi vivevano in una dozzina di case, tra cui la mia, affittata temporaneamente per le vacanze. Vista la notte fonda, stavano dormendo ma la mia paura e la voglia di essere aiutata, sovrastarono la ricercata educazione.
Cominciai a bussare ad ogni porta, urlando in francese parole di incompreso aiuto. Stavolta non ero incompresa per la mia ignoranza in tale lingua ma nell'udito.
Nessuno, oltre a me, sentiva le urla. Nessuno.
Diminuendo la mia velocità nel correre, causata dalla stanchezza e dal sudore, quelle forme tornarono a seguirmi a passo d'uomo invece che veloci, come prima.
Decisi, come per provare un pensiero, di fermarmi. Quelli si fermarono, copiando i miei movimenti, ed erano tanti.
Così tanti da occupare il sentiero dalla riva fino al paesino, che sembrava disabitato.
Mossi un braccio, creando un movimento circolare e questi mi copiarono alla perfezione.
Ormai divertita dal fatto che mi copiassero, avanzai di un passo verso di loro e questi tornarono indietro di uno.
Feci una giravolta, mantenendo lo sguardo su di loro che fecero, esattamente, lo stesso.
«E' affascinante.» sussurrai creando un tono di voce, che al massimo potevo sentire io.
Questi dissero le mie testuali parole, ripetendole all'unisono, con la mia stessa voce.
Aprii la bocca, per l'appunto, affascinata dal loro modo di copiarmi. Aprirono la bocca copiandomi, di nuovo.
Cominciai a correre verso di loro e questi andarono nella mia direzione. Andai correndo, fino a tornare a riva, dopo qualche minuto.
Di nuovo la riva ma, ora, il lago era vuoto. Non vi era più l'acqua. Certo! L'acqua si era trasportata in quelli esseri, già detti surreali.
Entrai in quel vuoto e intravidi, finalmente, la mia borsa. La raggiunsi e l'acqua fece la stessa cosa, riempendo di nuovo quel vuoto.
Crearono onde imponenti che mi fecero perdere i sensi per qualche secondo.
Trasportata dalle continue onde temporanee create dall'irrefrenabile riempimento d'acqua da quelli esseri,
chiusi gli occhi e trattenni il respiro, sperando che le prime mi riportassero a riva. Purtroppo, dopo qualche secondo non ci riuscii più liberando il mio respiro alla nuova e strana fine.
Iniziai a respirare ma l'acqua non mi fece nulla. Era, come, se fossi stata sulla terraferma.
Cominciai ad annaspare, come prima, aiutata da questa possibilità fornitami nell'incubo, cercando di raggiungere la riva.
Io credevo che questo fosse un maligno e solenne incubo che, prima o poi, speravo sarebbe finito.
Raggiunsi la riva ma invece di essere felice per avercela fatta, la mia mente era sovrastata da dubbi e domande, di cui avrei voluto avere immediate risposte.
Tremante, dal freddo, decisi di dormire nello stesso posto, spaventata dalla ripetizione del precedente fatto.
Misi la borsa nell'incavo del petto e cercai di dormire, sperando di svegliarmi in un letto caldo.
Chiusi gli occhi, dopo essermi abituata a quella temperatura inconciepibile.
Sentii, ad un tratto, qualcosa stuzzicarmi le guance. Un ramo. Un ramo, retto da una mano così piccola da essere di un bambino, mi stava pizzicando la guancia.
Riuscivo a concepire i fatti, uno alla volta, con gli occhi ancora offuscati dalla notte insonne. «
Maman!» urlò con la propria voce canterina, in francese, il bambino.
Spostai gli occhi verso una figura, più grande, raggiungere il mio corpo.

Era questo che i morti provano pensai osservando i loro sguardi, uno confuso e l'altro preoccupato, contrastati dalla voce della madre che chiedeva aiuto ai presenti.
Altre figure raggiunsero il mio corpo poi richiusi gli occhi cullata dalla spaventosa morte. Non era più una sensazione ma una mia realtà.
Volevo ancora vivere per raccontare quello che si provava prima della fine ma sicuramente mi avrebbero presa per pazza o per una visionaria.
Non l'avrebbero capito finché loro stessi non l'avrebbero provato sulla loro pelle, sul loro subconscio.
La paura sulla mia lenta fine mi assalii, quando sentii una fitta partire dal cuore, creandomi dolore in tutto il corpo.
Urlai in un sussurro mentale cioé in uno silenzioso e interno.
Qualche secondo dopo mi apparse una luce giallognola, unita ad un trepore caldo. Alzai il busto, rimanendo seduta sul letto.
«
Comment êtes-vous?» chiese formalmente come stavo quella donna, entrando nella stanza in cui mi trovavo, appena sentì i miei movimenti nel letto che scricchiolava.
«
Bien.» sussurrai annuendo mentre osservavo il posto, cercando con lo sguardo la mia borsa.
«
Où..» iniziai con un dove, non sapendo come continuare la frase, perché volevo renderla in qualche modo completa.
Mi indicò la borsa, capendo cosa intendevo dal mio sguardo. Sorrisi a quel gesto, così veloce e intelligente.
Non sapevo come parlare ma, di certo, dovevo sdebitarmi con, almeno, una semplice e cauta gentilezza.
«
Merçi!» sussurrai tossendo. La ringraziai per come mi aveva salvato. Le ero debitrice.
Ma qualche altra domanda, pensando bene a combinare le parole giuste, potevo farla.
«
Où suis-je? C'est Friaudour?» combinai qualche regola grammaticale con qualche parola del lessico, cercando di farmi dire dove mi trovavo.
«
Oui, c'est votre maison.» sorrise roteando gli occhi sui muri della stanza. Se non sbagliavo diceva che questa, era casa mia.
Avendo passato un giorno non pieno in riva al fiume e aggiunto quell'incubo, così strano, non mi ricordavo di dove alloggiavo.
Non mi ricordavo nemmeno dei particolari del posto. Era stato tutto così strano. «
Puis-je être seul?» chiesi di restare sola, ancora confusa su, praticamente, tutto.
Lei, semplicemente, annuì con un velo di sorriso e poi lasciò la stanza. Mi osservai intorno, morsicando il labbro inferiore a sangue, per tutti i dubbi che mi ero creata.
Successivamente, convinta dal fatto di non volermi trovare senza un labbro, mi alzai e raggiunsi la borsa.
Appena ne toccai il tessuto potei constatare che fosse, stranamente, asciutta.
Abbassai il capo mettendo le mani su di esso, confusa. Ebbi un giramento di testa appena constatai l'ultimo fatto.
Quindi, era solo un incubo infondato? Dovevo ammetterlo e crederci. Tirai la cerniera, per vedere se anche lì, se fosse asciutto.
Toccai le pareti del tessuto, che ne rivestiva la parte interna, constatando che anch'esso lo fosse, come il primo.
Dopodiché controllai il contenuto, tirandoli, uno ad uno: il telo ancora piegato come io l'avevo messo; il cellulare con la stessa carica della sera prima;
la crema e gli occhiali da sole; ed infine ma non meno importante, il portafoglio, dove vi erano soldi e documenti. Quest'ultimo era asciutto come il resto dei primi oggetti.
Sospirai, con la mente ancora sulle nuvole offuscata, comunque, dalle immagini di quell'incubo.
Riposi gli oggetti nella borsa, uno ad uno. Dopodiché, lasciai la stanza per andare dalla donna, nell'intento di ringraziarla.
Purtroppo, quando uscii da essa, vi trovai un ragazzo. «
Et, – mi avvicinai a lui – et qui êtes-vous?» chiesi chi fosse.
«
Signorina, con il sottoscritto, non vi è bisogno di usare il francese!» mi rispose, nascondendo divertimento.
«
C-come?» spezzai la parola, confusa. «E poi che ci fai a casa mia?» chiesi mostrando serietà.
«
Dovrebbe tornare a Biella.» disse quelle poche parole, con tanta semplicità, dandomi del lei.
«
Perché?» scossi il capo, in segno di negazione. «Come fai a sapere dove abito?» chiesi, poi, curiosa.
«
Lei mi dovrebbe seguire e tacere.» non mi rispose, prendendomi per il polso sinistro.
«
Lasciami, – mi dimenai, invano – lasciami, ho detto!» continuai senza alcun risultato.
Continuai nel mio intento ma poco dopo, rassegnata alla sua forza, mi calmai.
Vedendo che ero diventata tranquilla, tolse la mano attorcigliata al polso e mi regalò uno sguardo.
«
Dovreste seguirmi perché, qui, siete in pericolo.» cercò di spiegarsi con un cenno di sorriso sul viso ma non fece altro che confondermi di più.
«
Chi sei? - affermai con sarcasmo – Sei un agente segreto Italiano?» chiesi, prendendolo per i fondelli.
«
Sono, semplicemente, la persona di cui vi dovete fidare.» rimase sul piano della serietà, a differenza mia.
«
Come posso fidarmi di uno che spunta dal nulla?» urlai alzando le mani al soffitto. «E, poi dov'è quella donna?» mi ricordai di essa.
«
Che fine le hai fatto fare?» stavo facendo troppe domande ma queste mi uccidevano, proprio perché non riuscivo ad avere risposte corrette e chiare.
Sino ad ora, mi ero ritrovata a dover rispondere ai miei dubbi da sola, senza mai l'aiuto di qualcuno.
«
E' complicato.» ammise, continuando a guardarmi. «Voglio delle risposte.» scandii, velocemente.
«
E' complicato.» rinnovò le sue parole come se prima non lo avessi udito.
«
Io, comunque, non ritorno a Biella.. - incrociai le braccia al di sotto del seno – Ho una settimana di vacanze che voglio sfruttare.» dissi quello che, esattamente, pensavo.
«
Non capite che, rimanendo qua, sarete in pericolo?» alzò sempre di più il tono di voce ad ogni singola parola. Scossi il capo, ripetutamente.
«
Da cosa? Dagli alieni?» risi, scuotendo ancora il capo, lentamente. «Adoro la vostra risata.» sentii bene quelle quattro parole risuonare nel mio sistema uditivo.
Successivamente, mise le mani sul suo viso, come da liberarsi di un pensiero poi tornò alla serietà di prima.
«
Dovete andare, - tornò per l'appunto serio – capite?» chiese.
Spaventata e allo stesso tempo condizionata da qualcosa di più alto, da quante volte l'avesse ripetuto,
mi avviai nella camera da letto per prendere le mie cose ma lui, la vide da un'altra prospettiva.
«
Dove state andando?» disse, per l'appunto.
«
Prendo le mie cose.» sospirai rassegnata, rivolgendogli un'ultima volta lo sguardo per, poi, dileguarmi nella camera da letto, ove vi erano i miei oggetti, documenti e gli indumenti.
Ancora scossa da quelle parole che, se pur dolci, rimanevano strane, dette da uno sconosciuto, aprii la valigia.
Presi gli indumenti che avevo messo nell'armadio, solamente il giorno prima e li misi nella valigia lasciando alcuni, fuori, per il cambio.
Dopo varie difficoltà, per quanti indumenti avevo, la chiusi. Presi la pochette dalla borsa, contenente i miei oggetti personali.
«
Avete finito?» entrò cauto, nella stanza. «No.» risposi secca mentre entravo nel bagno.
Accesi la caldaia perché, sennò, avrei dovuto fare una doccia fredda. Appoggiai gli indumenti nel lavandino, insieme all'asciugamano, dopo aver constatato che fosse asciutto.
Mi svestii perché anche se c'era il caldo estivo, sentivo freddo al contatto primitivo. Entrai nella doccia e aprii il getto d'acqua.
Prima fu freddo e quindi mi lasciò in un angolo della doccia, poi diventò caldo e iniziai ad accarezzarmi la pelle, rendendo uniforme l'acqua su di essa.
«
Per favore, – bussò il ragazzo, alla porta del bagno – fate in fretta, siamo in pericolo.» mi avvisò ma io continuai a fare, come la mia mente comandava.
Continuai a fare la doccia con tutta calma ma lui continuava ad insistere, così dovetti sbrigarmi.
Presi il bagno schiuma e dopo averlo distribuito su tutta la pelle, lo sciacquai via.
Uscii dalla doccia e dopo essermi asciugata, mi rivestii degli indumenti che avevo accuratamento scelto, prima.
«
Avete finito?» bussò insistente, per l'ennesima volta. «Un attimo!» mi lamentai, roteando gli occhi verso il soffitto.
Lavai i denti velocemente e ravvivai i capelli con l'olio di mandorle, rendendoli maneggiabili e lisci, senza bisogno della piastra.
Presi i miei oggetti, insieme agli indumenti sporchi e uscii dal bagno.
«
Finalmente!» si alzò dal letto, ove vi era seduto.
«
Perché avevi così tanta fretta?» chiesi con un cenno di curiosità mentre rimettevo gli oggetti che avevo in mano, dove dovevano stare.
Scosse il capo, trattenendo le risate. «
Può darsi che ve lo dica tempo debito.» prese la valigia pesante in mano, come se fosse stata una piuma di un piccione.
Lo guardai confusa. Apparentemente il suo corpo, era esile ma nonostante questo, ci riusciva.
Lasciando quei pensieri in un'anticamera imprecisa del mio cervello, lo seguii, tenendo la borsa in mano, fuori dalla camera da letto.
«
Non mangiamo qualcosa?» chiesi, vedendolo aprire la porta della casa. Appoggiò la valigia e si avvicinò furtivamente a me.
«
Non capite proprio, eh?» sussurrò al mio orecchio mentre con il palmo della mano, mi cingeva il mento.
Lasciò come ultime, quelle parole, prima di uscire dalla casa. Non riuscendo a restare da sola, lo seguii fuori e la visione fu strana.
Nella piccola stradina, che divideva quella dozzina di case, non vi era anima viva.
Tutte le case che riuscivo ad osservare, esclusa la mia temporanea casa, avevano le porte aperte.
«
Che cos'è è successo?» chiesi sperando, che almeno sta volta, mi avrebbe risposto.
«
Le persone nel raggio di un chilometro, da esattamente questo punto, - ci andò camminando sopra - sono scomparse.» mi spiegò, esaudendo le mie speranze.
Sbarrai gli occhi, spaventata.
Ricordando meglio, quel punto, era quello in cui la notte prima, quegli esseri creati dalla componente dell'acqua, avevano copiato alla perfezione i miei movimenti.
«
Non le hai fatte scomparire tu?» chiesi con tono inquisitore. «Siete stata voi a farlo, ieri notte.» osservò il punto, per poi abbassarsi e raccoglierne il vuoto.
«
Io non ho fatto niente.» scossi il capo, non capendo come io avessi fatto scomparire delle persone innocenti. «Venite qua.» si rivolse a me, con ovvia serietà.
Mi avvicinai, anche se non capivo perché mi volesse.
Avevo una confusione in testa, che nessuna cosa sarebbe riuscita a rimarginare, se non delle sane risposte da qualcuno che ne sapeva qualcosa.
«
Toccatene l'essenza.» mi prese la mano destra, facendola combaciare, con la terra.
«
E'-è madido!» dissi lasciandoci la mano appoggiata.
«
Il problema è che, qui, niente ha bagnato la terra.» fece luce sui fatti.
Non seppi che rispondere, essendo del tutto all'oscuro sulla verità.
«
Dovremmo andare, prima che possa essere troppo tardi.» si pulì le ginocchia dalla terra per, poi, allontanarsi.
«
Salite in macchina!» mi ordinò mentre metteva la valigia nel portabagagli, vedendo che rimanevo ritta, a studiare i suoi movimenti.
Salii dalla parte del conducente, siccome lui era salito su quella del passeggero. «
Non sai guidare?» risi di gusto.
«
Ognuno ha le sue qualità.» disse allacciando la cintura di sicurezza mantenendo lo sguardo fisso sull'interessante parabrezza.
«
Ma sei sempre così serio?» chiesi prendendo le chiavi della macchina, che gentile, mi stava porgendo dopo avermele prese dalla borsa senza un mio preciso permesso.
«
Vi sembro serio?» finse un sorriso. «Per niente.» dissi aggrottando le sopracciglia con sarcasmo mentre scrivevo le indicazioni da seguire sul satellitare, per arrivare a Biella.
Misi in moto la macchina e seguendo le indicazioni del satellitare, feci un grande tratto autostradale.
«
Questa qua mi da molto fastidio.» spense il satellitare.
«
Questa qua, – canticchiai imitando la sua voce – mi aiuterà ad arrivare a Biella.» continuai, mentre con una mano la riaccendevo.
«
Questa qua, - imitò la mia – non vi serve.» la spense. «Perché?» allargai il labbro inferiore.
«
Siete intelligente.» si complimentò. «Non vi serve seguire quello che dice il satellitare ma i cartelli autostradali.» spiegò il perché del suo complimento.
«
Gli seguivo entrambi.» ribattei ma, lui, fregandosene, accese la radio.
Era quest'ultimo, il suo intento. «
Se volevi accendere la radio, potevi anche chiederlo.» scossi il capo mentre la rabbia accelerava la mia velocità, nel guidare.
«
State in silenzio.» cercò di zittirmi toccando con tutta l'area del palmo della sua mano, la radio.
«
Nessuno mi zittis- » non finii la frase, che vidi i suoi occhi cambiare di colore. Dal nero, in cui non si distingueva la pupilla dall'iride, ad un profondo blu.
«
Continuate a guidare.» mi ricordò quello che dovevo fare ma non capii il perché di quel cambiamento così veloce e senza alcun fondamento realistico.
Sulla radio sentii parlare persone, prima in francese, in altre lingue ed infine, in italiano.
«
Ma siamo ancora nel territorio francese, – parlai prima di pensare - come fai a sentire le radio italiane?» chiesi curiosa,
come se il fatto degli occhi che cambiavano colore mi fosse passato dalla mente.
«
Capirete tutto a tempo debito.» sospirò, prima di alzare il volume della radio. Ci fu un momento di silenzio, poi i conduttori radiofonici iniziarono a parlare.
«
Buon pomeriggio a tutti i nostri ascoltatori. - mise la musica di sottofondo - Iniziamo con le notizie che stanno causando le più grandi domande sulla scienza odierna.» introdusse l'argomento.
«
Con noi abbiamo il botanico Sandro Illodi, che ce ne parlerà apertamente.» continuò dando la parola a quello citato nella frase.
«
Si tratta di qualcosa di surreale e ancora sconosciuto. - fece un accurata ma piccola introduzione –
Le acque che sono cambiate di colore, diventando limpide, per qualche ora durante la notte scorsa,
rimarranno nei quesiti storici per molto tempo proprio perché non troviamo una risposta corretta a tutto ciò.
» giustificò le sue prime parole.
Sta volta, decisi di stare in silenzio ed ascoltare, in quanto l'acqua era diventata limpida quando io vi ero dentro.
«
Molte persone dicono che questi fatti, siano legati alle apparizioni degli ufo.. - tornò a parlare il primo -
Altre persone dicono che possa essere legata alla fine del mondo dettata dai Maya.» continuò.
«
Ragazzo, sono solo fandonie.» lo rassicurò ridendo. Osservai per un momento, il ragazzo accanto a me e vidi i suoi occhi tornare al nero, di prima.
«
Devi spiegarmi molte cose.» dissi mentre abbassavo il volume della radio. «Quali?» chiese mettendomi una ciocca di capelli, dietro l'orecchio destro.
Rabbrividii a quel tocco così lento e azzardato. «
Praticamente, tutto!» ammisi. «Ma voi sapete già tutto di me.» sorrise osservando le macchine sfrecciare accanto alla mia.
Tutto? «
Mi sa proprio, niente.» scossi il capo, rassegnata alle mie domande senza risposta.
Continuai a guidare e dopo un'ora priva di conversazioni, si addormentò.
Anch'io avrei voluto dormire, come lui, ma tutto questo mi era proibito, dato che ero alla guida.
Quando sarei stata all'estremo delle mie forze, sarei entrata in un area di servizio per rifornirmi di cibo e riposare.
Durante la guida, notai che sotto la manica della camicia di esso, usciva una piccola parte di un segno o meglio, di un tatuaggio.
La tentazione mi assaliva nel guardarlo tutto ma qualcosa di più alto - non il mio buon senso - fermò la prima.
Ero anche giù di morale perché non potevo instaurare una conversazione con nessuno, dato che l'unico che c'era stava dormendo.
Un fatto rilevante durante il suo sonno, era quello che continuava a sospirare rumorosamente, come se prima avesse pianto.
Ad un tratto le nuvole inesistenti che lasciavano spazio al cielo azzurro, venirono colorate da quelle cupe del grigio e del nero.
Dopodiché iniziò a piovere e io misi in moto i tergicristalli, per continuare a guidare meglio.
Il ragazzo accanto a me, si alzò di scatto e confuso, osservò le gocce di pioggia che rigavano il finestrino accanto a lui.
«
Perché siete triste?» chiese leggendomi nella mente. «Volevo parlare con qualcuno – mi giustificai, confusa – ma cosa centra?» chiesi altrettanto confusa.
«
Io ci sono per voi.» sussurrò lasciando un bacio a stampo sulla mia guancia destra, facendomi arrossare.
Le nuvole, cambiarono di nuovo, diventarono rosee come in un bel tramonto e, quindi, smettendo di piovere.
«
Siete stata voi a creare questa pioggia.» confessò mentre con lo sguardo contemplava la trasformazione delle nuvole.
«
E anche, a creare queste meraviglie.» continuò osservandole più attentamente mentre i suoi occhi tornarono a diventare, di nuovo, di quel blu profondo.
«
Eh?» chiesi, con una confusione nella mente, che superava di gran lunga quella dei cavi degli auricolari attorcigliati nei nodi più strani.
«
Avete dei grandi poteri.» mi osservò disattivare il meccanismo del tergicristallo.
«V
i posso dire solo questo, - mise un dito sulle mie labbra, prima che potessi fare qualsiasi domanda – io vi sto proteggendo.» confessò.
«
Giurate che non farete più domande sul mio conto quando toglierò il mio indice?» mi chiese, prima che io annuissi consenziente.
«
Posso fare solo una domanda?» chiesi riprendendo a guidare con tutta l'attenzione.
Sbuffò, per quanto fossi stata sleale ma, poi, accettò annuendo. «
Da cosa mi stai proteggendo?» chiesi sfoggiando il mio miglior sorriso che avevo tra le carte.
«
Da chi vi vuole usare per scopi rei, – spiegò, ipnotizzato dal mio sorriso – e personali.» finì prima di rivolgere lo sguardo ai suoi piedi, imbarazzato.
«
Mmh.» mugugnai stringendo di più il volante. Guidai per un paio di ore, in silenzio con l'unico appiglio di qualche sguardo ricambiato.
«
Siamo in Italia!» dissi entusiasta osservando il cartello autostradale blu con le stelle dell'Unione Europea attorno alla scritta, che dichiarava, per l'appunto, l'inizio del territorio italiano.
Si limitò a sorridermi e dopo, iniziò a osservare la vegetazione che si sviluppava accanto alla barriera di protrezione autostradale.
«
E' l'Italia che ti rende così triste?» chiesi vedendolo per tanto assolto nei suoi pensieri.
Tornò a guardarmi e i suoi occhi erano tornati al primo colore: il nero.
«
Sì.» disse solamente, coprendosi gli occhi con le dita. Quando, infine le tolse, vidi che dai suoi occhi usciva del sangue e non delle lacrime.
«
Oddio!» urlai, cercando di mantenere l'attenzione sulla guida. «Tenete gli occhi sulla strada.» disse cercando di tenere il volante, al posto mio.
Ripresi a guidare e ogni tanto rivolgevo lo sguardo a lui che, con dei fazzoletti che aveva cercato nella mia borsa dopo la mia insistenza sul farlo, si puliva.
Rallentai la velocità perché dopo qualche metro, mi sarei fermata ad un pedaggio.
«
Buonasera, – mi salutò gentilmente il gestore – sono trentotto euro e quarantotto centesimi.» continuò, infine.
Lo stesso prezzo appariva in un contatore elettronico, in basso. Presi la borsa e dopo aver tirato il portafoglio, presi la liquidità che mi serviva.
«
Ecco a lei.» finsi un sorriso mentre gliene porgevo quaranta. Quando mi diede il resto e fece alzare la stanga, con un tasto a me sconosciuto, misi la marcia giusta e andai via.
Quello vicino a me, rise di gusto. «
Cosa c'è?» chiesi, io, che ero seria. «Niente, – disse ridendo – niente.» continuò a prendermi in giro mentalmente.
«
Tu dove abiti?» chiesi con un pizzico di felicità, dato che mancava poco prima che arrivassi nella mia città.
«Per ora con te.» confessò, cosa che io non sapevo. «C-con me?» chiesi confusa.
«
Se vi devo proteggere, lo dovrò fare il più vicino possibile a voi.» spiegò le sue prime parole, osservandomi attentamente.
Annuii consenziente condinzionata da qualcosa che mi manipolava – qualcosa più forte di me - incontrastata dal mio pensiero.
Continuai a guidare e dopo una quarantina di minuti, dovetti passare in un altro pedaggio, prima di uscire dall'autostrada o meglio, dalla strada a pagamento.
Qualche minuto dopo entrai nella città di Biella e procedei per qualche metro sino ad arrivare alla mia dimora.
«
Sono stanca.» sbattei la fronte contro il volante, dopo aver parcheggiato. Mi osservò compiaciuto poi si lasciò andare ad una semplice affermazione:
«
Io non lo sono.». Non mi ero resa conto di quanto le sue guancie fossero un bel riparo per schiaffi e pugni.
«
Sì, - ripresi l'attenzione su di lui – perché tu non hai guidato.» espressi la mia rabbia in poche parole.
«
Voi avete perso le forze, per l'impegno incoscente che avete messo nel cambio del tempo, di prima.» spiegò agitando entrambe le mani mentre mi osservava.
«
Sì, certo – risi di gusto – e io sono un asino che vola.» presi la borsa, prima di uscire dall'auto velocemente.
«
Signorina, io non vi stavo prendendo in giro.» rispose mantenendo lo stesso tono,
che ora come ora si usava solo per rispetto verso un individuo, dopo avermi seguita nei miei stessi movimenti.
Annuii ripetutamente, cercando di mostrarmi consenziente e credente alla sua ultima frase ma nella realtà dei miei pensieri, viveva l'esatto contrario.
«
Vivete in questa umile dimora?» chiese osservando il posto, ovvero un'insieme di tanti condomini.
La mia vita era stata sempre costellata del
tutto che mia madre, essendo l'unica e la sola a potermi mantenere, poteva permettersi di acquistare.
Una volta raggiunta la maggiore età avevo ambizioni che risiedevano in città estere.
Purtroppo per vari inconvenienti, soprattutto economici, decisi di rimanere in Italia e lavorare come operaia in una semplice e tipica fabbrica di filatura;
con il solo compenso di potermi comprare una casa nuova.
«
Qualche problema?» usai un tono freddo e distaccato perché oltre all'iritazione che mi procurava,
dovevo sopportare i ricordi di ambizioni abbandonate al tempo, che sapeva solo scorrere veloce crudelmente.
«
Una ragazza come te – mi osservò iniflare la chiave del portone principale, nella sua serratura - non dovrebbe vivere in questo malfamato quartiere.» mi seguì dentro.
«
E' l'unica cosa che mi sono riuscita a permettere, in questo paese.» spiegai, con la mia voce che rimbombava nelle mura dell'entrata.
Stette in silenzio, senza emettere alcun suono, perché magari aveva percepito la profondità delle mie parole.
Cliccai il tasto per richiamare l'ascensore, che illuminato di un colore verdognolo, era installato sul muro.
Osservai curiosa il ragazzo. Osservai i suoi occhi, che fin'ora, non avevano ancora cambiato colore.
Osservai il suo corpo esile, intento a tenere la valigia, al peso della mano destra, come se fosse stata la penna di un volatile.
«
Sono stanca.» ripetei, come se sarebbe bastato a farmi tornare la vitalità che avevo perso.
«
Lo so.» mi sorrise ripetutamente, entrando, con me al seguito, dentro l'ascensore.
Quest'ultimo era poco spazioso e illuminato di una sola lampada. C'era, poi, uno specchio che ne ricopriva le pareti.
Quando riuscii a spiecchiarmi, la prima cosa che notai, fu il colore della mia pelle.
Ero riuscita a guardarla mentre guidavo ma continuavo a ricredermi, rassicurandomi su uno scherzo della luce.
Invece, no. Il colore della mia pelle era cambiato, lasciando spazio a un colore pallido bianco,
che spesso avevo visto in tante di quelle puntate che trasmettevano alla sera, sul duro lavoro della scientifica.
Abitavo al terzo piano e quando vi arrivai, la porta scorrevole dell'ascensore si aprì, così come io l'avevo impostata all'inizio.
Nell'uscire dall'ascensore, mi diressi, seguita da lui, verso la porta di casa.


 


  
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