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Autore: Akarai92    14/06/2007    10 recensioni
Titolo La storia di una ragazza, che si ritroverà invischiata nei cambiamenti e nelle avventure che la porteranno ad essere la compagna del nuovo Cavaliere dei Draghi...
CAPITOLO 4 [E Rae urlò come non aveva mai urlato in vita sua. Un urlo straziante, che venne udito a molti metri di distanza, da Roran e Garrow che lavoravano nei campi. Un urlo terribile che Eragon non avrebbe dimenticato mai.]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brom, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Roran
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Requiem for a dream 4. Requiem for a Dream



Aprì lentamente gli occhi. Una delicata luce mattutina illuminava la stanza. A quanto pareva aveva dormito per tutta la notte. A giudicare dal mal di schiena e dal giaciglio che somigliava a tutto meno che ad un materasso, doveva anche aver dormito tutto il tempo a terra. Cautamente, per non aggravare la situazione della sua schiena, fece per alzarsi, ma qualcosa che le piombò dritto dritto sullo stomaco glielo impedì. Il piccolo essere sbucato dalla “pietra” si era appena accovacciato su di lei. “Grazie mille, …coso. Sei molto gentile. Spero di essere abbastanza comoda.” Sospirando, guardò la sua spalla: il tatuaggio era tornato normale, non bruciava e nemmeno brillava. Poi si voltò verso la presenza al suo fianco: Eragon ancora dormiva accanto a lei. Rae sorrise, sembrava un angioletto con quell’espressione. Lentamente, fece per avvicinarsi a lui con una mano, sostenendosi in bilico su un gomito, per sfiorargli il volto con le dita. Ma quando fu a pochi centimetri, il ragazzo aprì gli occhi di scatto. Presa alla sprovvista, lei sobbalzò, facendo cadere il piccolo drago a terra, proprio dietro la sua schiena. Il draghetto, abbastanza seccato, si scosse e, stizzito, allargò le ali, molto larghe nonostante la sua giovane età. Ed anche molto forti. Infatti, con la sua solo apertura alare, riuscì a sbilanciare Rae, facendola franare su Eragon. Il ragazzo, solo in quel momento totalmente sveglio, se la ritrovò praticamente sdraiata sopra. “Un buongiorno normale sarebbe bastato sai?! Ma devo dire che questo non mi dispiace!” Il suo sorrisetto malizioso non prometteva nulla di buono. “Non farti strane idee… il tuo drago è parecchio nervosetto a quanto pare…” disse lei rialzandosi. Stiracchiandosi, tentò di rimettere a posto quel poco di spina dorsale che le era rimasta. “Anche tu non mi sembri da meno!” anche lui si era alzato e la guardava negli occhi. Erano stanchi e affaticati, gli occhi di una persona gravata da un peso più grande di lei. “Che hai?” Le mise delicatamente una mano sulla spalla. Lei sospirò, stanca. “Quei sogni, Eragon, quelle visioni… mi stanno distruggendo. Prima o poi mi faranno impazzire. Quella notte, ieri sera,… sono sempre più frequenti. Ho paura di addormentarmi la notte!” Sembrava davvero spaventata. Anche se le capitava spesso di avere sogni premonitori, nessuno di loro aveva avuto questa pressione su di lei. Dolcemente, la abbracciò, stringendola tra le braccia. Non sapeva cosa dire. Semplicemente voleva farla sentire al sicuro. “Sai Eragon… tu ci sei spesso nelle mie visioni… anzi ci sei quasi sempre…” “Mmmmmh…  ma davvero? Allora non sono poi così terribili queste visioni!” le sussurrò nell’orecchio. Rae rise e lui sorrise di rimando. Era riuscito a farla tornare allegra.
I due si divisero, ed Eragon le fece un’affettuosa carezza sulla guancia. Rae gli prese la mano e la strinse nella sua. Fu proprio in quel momento che si accorse di un particolare. “Eragon… cosa hai fatto alla mano?!!” Sul palmo della mano del ragazzo era apparso un simbolo, che sicuramente non c’era la sera prima, rassomigliante ad un drago stilizzato avvolto a spirale. Era come inciso nella pelle del ragazzo, quasi una scottatura. “Ma cosa…?!” Lui sembrava stupito quanto la ragazza. “Ieri non c’era nulla… cosa…?” Mentre parlava, la ragazza avvicinava sempre di più la punta delle dita allo strano segno, percorrendo lentamente l’intera mano di Eragon. Lo sfiorò delicatamente e… urlò. Urlò e si portò la mano sulla spalla. Fuoco. Fuoco sulla sua pelle. “RAE!!! Che succede?!” “Brucia… il tatuaggio… brucia da morire!” Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore, mentre la luce rossa del grande tatuaggio si poteva vedere oltre la stoffa della sua tunica. Si stringeva convulsamente la spalla, respirando a fatica. Lui non sapeva cosa fare. “Accidenti…” pensò rabbioso. Lei urlò di nuovo. Eragon prese un gran respiro, poi con risolutezza le scostò il braccio dalla spalla. Rae lo guardò stupita, per poi passare ad un’espressione incredula. Eragon le stava abbassando in malo modo la spalla della tunica, dopo averle praticamente slacciato tutti i lacci che la tenevano ferma davanti. “Ma che stai facendo?!!!!” “Sto cercando di fare qualcosa per quel maledetto tatuaggio!!!” Sembrava risoluto. Lei prese un gran respiro, semplicemente per calmarsi, non pensare al dolore e tentare di riprendere fiato, poi gli diede uno schiaffo sulla mano. “Ahi!! Ma cosa…?!” “Stupido!! Non ti viene in mente di alzarmi la manica, invece di metterti a spogliarmi?!” Era color peperone, e questo la faceva arrabbiare ancora di più. “Ah… è vero…” Sembrava alquanto stupito. Sbuffando, lei si alzò la manica della tunica, completamente aperta davanti. Per fortuna ne portava un’altra sotto, più leggera. Al contatto con l’aria il tatuaggio, che sembrava aver smesso di bruciare, riprese la sua tortura. Lei urlò per la terza volta, colta impreparata. Eragon guardò il simbolo: il colore del sangue sulla neve, brillava come se fosse stato veramente incendiato. All’improvviso le gambe della ragazza sembrarono cedere. Di scatto, lui la sorresse. “Io… cosa posso fare…” Lei sembrava non ascoltarlo. Il suo primo istinto fu di darle sollievo: le sue mani erano fredde, così decise di tentare di avvicinarle al simbolo bruciante. Lentamente, mentre con la sinistra la sosteneva, con la destra le si avvicinò. “NO ERAGON NO!!! QUELLA MANO NO!!! NON LA DESTRA!!!” Troppo tardi. La mano marchiata dal simbolo del drago si appoggiò sul tatuaggio degli indovini.

E Rae urlò come non aveva mai urlato in vita sua. Un urlo straziante, che venne udito a molti metri di distanza, da Roran e Garrow che lavoravano nei campi. Un urlo terribile che Eragon non avrebbe dimenticato mai. Roran e il padre si guardarono per un attimo, poi corsero immediatamente in casa. Irruppero nella stanza di Eragon e li trovarono. Lui la teneva tra le braccia, terrorizzato, lei ansimava e piangeva di dolore, non avendo neanche la forza di stringere la spalla. “Eragon cosa…?!” Garrow sembrava confuso ed estremamente preoccupato. Eragon scosse la testa, scosso. “Il tatuaggio… di nuovo… io l’ho appena toccata…” L’uomo pensò solo un momento al da farsi: “Io andrò a chiamare Norvadia. E’ sua figlia e lui capisce queste cose meglio di noi! Voi due… ve la affido. Prendetevi cura di lei!” Detto questo uscì dalla stanza, diretto verso la porta. Aveva anche cominciato a piovere. Roran, senza una parola, si avvicinò alla ragazza e la prese in braccio, stringendola tra le braccia. La appoggiò delicatamente sul letto di Eragon, facendole una delicata carezza sulla fronte. Lei aprì gli occhi. Sussurrò il suo nome. “Roran… … scusami…” Il ragazzo non resistette. Voltandosi, uscì dalla stanza. Lasciando Eragon a guardarla. Aveva chiuso gli occhi di nuovo, e ansimava, spasimando ogni tanto, quando il dolore si faceva più acuto. Il ragazzo uscì precipitosamente dalla porta, raggiungendo il cugino. Roran era seduto su una panca, con le mani tra i capelli. Eragon gli si parò davanti. Alzò gli occhi: stava piangendo. A quella vista, anche ad Eragon scappò una lacrima. Roran si alzò e abbracciò stretto il cugino. “Mi sento in colpa… tantissimo” Eragon aveva la voce spezzata. “Anch’io… come posso abbandonarla in un momento simile… io…” “Non starà per sempre così… forza!” Si divisero, asciugandosi le lacrime. “Allora, io vado a farle compagnia, tu vai a prendere un po’ d’acqua dal pozzo e dei pezzi di stoffa, dobbiamo bagnarle la fronte!” Roran ora sembrava veramente deciso. Eragon annuì.

Quando Eragon rientrò, Roran era seduto accanto al letto e teneva la mano a Rae. Non era cambiato assolutamente nulla nel suo comportamento: ancora ansimava, ancora spasimava. Occasionalmente anche qualche lacrima cadeva dai suoi occhi serrati, provocata dal dolore tremendo.
In poco tempo le posarono delle bende fredde sulla fronte, per darle sollievo, ma non cambiava ancora niente. Eragon era sdraiato accanto a lei sul letto, e occasionalmente le cambiava la benda e le bagnava il viso, che scottava come se fosse febbricitante. Roran le teneva la mano e la accarezzava ritmicamente sulla guancia. All’improvviso, la porta si aprì. Un uomo vestito di bianco e di nero entrò nella stanza, quasi correndo. Norvadia. Garrow era con lui. Roran si fece da parte per farlo avvicinare al letto. Lentamente, l’indovino si sedette, accanto a sua figlia e le spostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso. Rae aprì gli occhi, e scrutò il padre. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma non uscì nessun suono. Norvadia sembrava avere gli occhi pieni di lacrime. Poi lo sguardo gli cadde sul suo braccio: il tatuaggio brillava come se fosse stato fatto di sangue. Preoccupato, lo sfiorò: scottava come il fuoco. Sua figlia emise un piccolo lamento, a quanto pareva le aveva fatto male anche solo sfiorandola. Si alzò, serrando gli occhi. “Non credevo che il suo tempo sarebbe mai giunto…” pensò, mentre li riapriva per scrutare i due ragazzi, che lo fissavano ansiosi. Cosa gli aveva detto Garrow prima che lui corresse da sua figlia? Lui e Roran avevano trovato Rae accasciata tra le braccia di Eragon, in preda al dolore. E lui sapeva benissimo che una sola cosa poteva provocare quella reazione in una persona marchiata dal simbolo degli indovini. “Eragon…” Il ragazzo lo guardò con occhi preoccupati. “…vieni fuori, devo parlarti…” Eragon si alzò lentamente, e, prima di uscire, diede un’ultima occhiata al letto, e allo spazio buio sotto di esso: sapeva che il piccolo drago si era nascosto là sotto dopo l’urlo di Rae.

Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Norvadia non lo stava guardando, era voltato di spalle. Rimasero così per qualche secondo, poi l’uomo si voltò. Lo guardò fisso negli occhi e Eragon sostenne il suo sguardo, uno sguardo inquisitore e allo stesso tempo mortalmente preoccupato. “Mostrami le mani, Eragon.” Lo disse calmo, ma in realtà stava fremendo. Il ragazzo ebbe un attimo di esitazione, poi capì che poteva fidarsi dell’indovino, e gli mostrò le mani, con i palmi protesi in alto. Il marchio del drago brillava come se avesse catturato la luce del sole e la volesse mostrare in quella giornata così cupa. A quella vista, Norvadia sobbalzò, poi si passò stancamente una mano sugli occhi. “Così sei tu… dovevo immaginarlo…” Lo guardò di nuovo dritto negli occhi, serio, poi si aprì in un sorriso luminoso e triste allo stesso tempo. “Trattala bene, Eragon. Sappi che mia figlia non lascerà mai il tuo fianco, qualunque sia la situazione. Questo ormai è il suo destino. Io e te non ci rivedremo più. La mia parte ormai è finita.” Detto questo si allontanò verso la porta principale. “Norvadia!!” L’uomo si voltò. “…cosa posso fare con Rae? Io…” “Fai quello che ti consiglia il tuo istinto… dovrai farlo sempre più spesso, d’ora in poi…” Aprì la porta, scoprendo un cielo sereno e senza nuvole. “Addio, Eragon… o meglio… Cavaliere…” La porta si chiuse alle sue spalle. In quel momento Eragon seppe che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe parlato con Norvadia l’indovino.

Eragon tornò silenziosamente nella stanza: Roran e Garrow erano ancora accanto a Rae. Il ragazzo incrociò lo sguardo dello zio, poi abbassò gli occhi. Roran fece per aprir bocca, ma… “Roran, andiamo! Abbiamo delle cose di cui parlare!” Lo guardò interrogativamente per un secondo, poi si alzò e lo seguì fuori dalla porta. Eragon rimase solo nella stanza con Rae. Si distese lentamente accanto a lei, e ripensò alle parole di Norvadia. “Il mio istinto…” era più un sospiro che una frase vera e propria. Cosa gli comandava di fare il suo istinto? Guardò il simbolo sulla sua mano. Poi pensò al perché Rae soffriva così tanto. Era stato il contatto di quello strano segno con il tatuaggio degli indovini a farla star male, quindi forse…
Prima di pensarci due volte, le accarezzò dolcemente la spalla marchiata con la mano destra, provocando un piccolo bagliore nel momento in cui i due simboli entrarono in contatto. Ma non successe nient’altro. Eragon sospirò rassegnato, poi la vide: Rae aveva aperto gli occhi e si stava guardando attorno spaesata. Non poté mai descrivere la sensazione che provò in quel momento. Ridendo di felicità, la abbracciò, baciandola sulle guance. “Eragon… ma che… cosa è successo???” Lui sembrava non trovare le parole adatte. “Io… tu… il tatuaggio… scottava…” “Eragon! Eragon! ERAGON!! Stai calmo!!!” Rae lo prese per le spalle, per guardarlo negli occhi e soprattutto per staccarselo da dosso. Il ragazzo prese un respiro profondo, tentando di calmarsi. “Va bene, va bene! Ora sono calmo…” Entrambi, più tranquilli, si tirarono a sedere. La giovane sembrava essersi ripresa, anche se ancora qualche goccia di sudore le imperlava la fronte. Eragon sospirò. “Non… non ti ricordi proprio niente?” Rae scosse la testa. “Ricordo solo… che Norvadia mi si è avvicinato e ha detto qualcosa… era triste…” Il ragazzo la guardò in viso: era ancora leggermente pallida, e i suoi occhi verdi al pensiero del padre erano diventati tristi, senza motivo. Delicatamente, le posò una mano sulla guancia. Lei alzò gli occhi. Lui le sorrise. “Mi hai fatto preoccupare tantissimo… ti ho toccata appena…” Mentre parlava faceva lentamente scivolare la mano, percorrendole il collo, appena sfiorandola. “Qui…” Era arrivato alla spalla, ancora scoperta. “E tu hai urlato… di dolore… non lo dimenticherò mai più…” Rae prese la mano che il ragazzo ancora le teneva sulla spalla, e la strinse tra le sue. “Poi sono arrivati lo zio e Roran… ti hanno poggiata sul letto… zio Garrow è andato a chiamare tuo padre, e Roran è rimasto con noi…” Fece una piccola pausa, per guardarla dritto negli occhi. “E alla fine è arrivato Norvadia…” “ E cosa ha detto?!” La ragazza lo guardava trepidante. “Lui… ha detto…” Ma Eragon non fece in tempo a finire la frase, che la porta si aprì all’improvviso. Una testa bionda fece capolino, assieme a tutto il corpo. Roran. “Eragon, come…?” E anche lui non riuscì a finire la frase, perché si ritrovò davanti una Rae in piena forma, seduta sul letto assieme a suo cugino. “Rae…” Lei sorrise allegra. “Ciao Roran!!” Dopo neanche un secondo, la ragazza si ritrovò di nuovo sdraiata sul letto, schiacciata da Roran, che le era praticamente saltato addosso. “Roran!! Roran!! Calmati!!” esclamò lei tra le risa. Lui continuava a baciarla sulle guance, sulla fronte, senza fare caso a dove capitassero le sue labbra. “Ehi, cugino, guarda che sono contento anch’io!!” E detto questo Eragon lo spinse via, prendendo Rae tra le braccia, e stringendola come se dovesse proteggerla da un nemico. “Ah! Vuoi la guerra, cugino?!!!” Quell’aria di sfida non prometteva nulla di buono. “No, no, no, no!! Non cominciate a litigare, non sono in vena!” esclamò la ragazza, spingendo Eragon per farsi mollare. Il ragazzo non fece obiezioni e la mise a terra. Non appena pose i piedi sulla terraferma, il mondo cominciò a girare vorticosamente, facendole improvvisamente perdere l’equilibrio. Pronta all’impatto con il terreno, chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente quando sentì attorno a sé la stretta di forti braccia. Entrambi i ragazzi la stringevano tra le braccia. Infatti sia Eragon che Roran erano scattati non appena l’avevano vista cadere, arrivando a “salvarla” contemporaneamente. Così, Roran la stringeva per la vita e Eragon le cingeva le spalle. Rae sospirò sollevata e improvvisamente rassicurata dalla presenza accanto a sé di quei ragazzi fantastici, che considerava come fratelli. Felice, abbandonò la testa sulla spalla di Roran, proprio dietro di lei. “Sono felice che siate con me. Tutti e due.” Eragon le sorrise, posandole un bacio delicato sulla fronte. Roran invece non fece nulla, anzi abbassò gli occhi, puntandoli sul pavimento, guardando fisso le assi che lo componevano. Cosa avrebbe dato per restare ancora con lei…

Erano passati giorni dal giorno dell’incidente del tatuaggio e la vita scorreva normale e tranquilla nel villaggio di Carvahall. Solo a volte la pace era turbata dai soldati del re, che portavano via qualche giovane per arruolarlo come “volontario” nell’esercito. Anche i ragazzi vivevano tranquilli, continuando a vedersi e a passare intere giornate assieme. Eragon e Roran come al solito lavoravano alla fattoria dello zio, mentre Rae continuava a ballare e ad esercitarsi con suo padre.
E proprio come al solito, i due ragazzi stavano lavorando nel campo della fattoria di Garrow, arando e piantando nuovi germogli. Ma all’improvviso, Roran si fermò, posando la pala che aveva usato fino a poco prima sul terreno. Eragon si accorse che qualcosa che non andava, e smise anche lui di lavorare. Entrambi si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Roran prese la parola. “Ho deciso… i soldati passeranno tra qualche giorno e io ho l’età per essere reclutato… non voglio arruolarmi, soprattutto per servire un uomo che non è il mio re… partirò domani mattina!”Eragon rimase in silenzio per un po’ poi disse: “Glielo hai detto?” Roran sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. “No… non potresti…” “No Roran! Questo devi farlo tu!” Il fatto era che nessuno dei due sopportava l’idea di vederla soffrire ancora. Roran provava una morsa al cuore ogni volte che tentava solo di pensare al volto della ragazza rigato di nuovo di lacrime. Ma fu quando Eragon guardò oltre la sua spalla e gli indicò un punto sulla collina che il suo cuore fece davvero un salto mortale: Rae stava correndo giù per la collina, con il mantello che si faceva maltrattare dal vento e i capelli raccolti nella solita treccia.

Rae era finalmente arrivata al margine della foresta, proprio in cima alla piccola collina. Il cielo era, come al solito in quei giorni, sereno, e solo alcune nuvolette bianche macchiavano l’azzurro. I campi verdi attorno alla fattoria di Eragon lasciavano intravedere l’arrivo della piena estate. Due figure erano in piedi in mezzo ad uno di quei campi, a prima vista stavano parlando tra loro. Ovviamente, anche da lontano la ragazza seppe riconoscere le teste bionde dei suoi due migliori amici. Ad un tratto, Eragon e Roran si voltarono e lei cominciò a correre giù per il versante della collina, sventolando le mani in segno di saluto. I due non fecero in tempo a salutarla, che il piccolo tornado piombò loro addosso, stringendoli entrambi nel solito abbraccio collettivo. Ma l’abbraccio quel giorno era diverso. Roran, senza guardarla negli occhi, si scostò e la lasciò tra le braccia di Eragon. “Roran… tutto bene…?” Si liberò dalla stretta di Eragon e raggiunse il biondino. Roran la guardò di sottecchi, poi la prese per mano e la trascinò in un angolo del giardino, più ombreggiato del resto dell’area, dicendo: “Ti devo parlare!” Quando si trovarono faccia a faccia, Rae aspettò che Roran spiccicasse parola, ma il ragazzo non si decideva a parlare. “Roran… hai detto che mi devi parlare…” Quelle parole sembrarono scuoterlo, perché Roran alzò la testa e la guardò fissa negli occhi. Come in trance, mosse la mano e la poggiò sulla pelle liscia della sua guancia, in una carezza amara. C’era nei suoi occhi dorati tanto di quel dolore che Rae stentava a riconoscere il suo caro Roran. “Forse… forse Eragon aveva ragione quella notte, sulla collina… non avremmo dovuto rivelare i nostri desideri…” Lei non riusciva a capire. Adesso cosa significavano le stelle e i desideri? Cosa voleva dirle il ragazzo? “Roran, spiegati… non capisco” Una pausa ed un sospiro, come a voler raccogliere il coraggio per pronunciare quelle due parole, quelle parole maledette, che non volevano uscire dalla gola.
“Domani parto” detto con una semplicità unica, come se quella certezza non scalfisse minimamente il suo cuore di adolescente, ma fu come una frustata per la giovane di fronte a lui. Solo per pochi secondi, il suo cuore sembrò cessare di battere, il suo respiro spezzarsi per non tornare mai più, lacrime prepotenti salirono a lambire quegli smeraldi preziosi che le illuminavano il viso. Chiuse gli occhi, per fermarle, per impedire loro di scendere perfide sulle sue guance e così mostrare a Roran il suo dolore. Il suo orgoglio glielo impediva. “Dove andrai?” La sua voce era ghiaccio. Non disperata, non triste, solo fredda. Lui rimase esterrefatto a quella reazione. “Voglio… voglio andare a Dras-Leona, lì i soldati sono già passati” Un altro silenzio. “Bene! Buona fortuna!” Adesso sorrideva. Rae sorrideva con uno di quei sorrisi aperti e dolci che solo lei sapeva tirar fuori. “Ma…!” Roran non ebbe il tempo di replicare: lei era già corsa via, verso Eragon. L’unica cosa che gli restava da fare era guardarla allontanarsi, con il cuore stretto, con la quasi certa sensazione di averla persa per sempre.
“Torno a casa… ero passata solo a salutarvi” Eragon avrebbe creduto a qualsiasi altra cosa: -Inventati qualcos’altro-  Mentre la stringeva a sé, cercava di guardarla negli occhi, per capire. Anche se era più che certo di sapere il perché di quell’improvvisa voglia di tornare a casa. “Rae… sei sicura di star bene?” Domanda retorica. Ovvio che non stava bene. Per niente. Era chiaro che non avrebbe mai fatto tutta la strada da casa sua alla fattoria di Garrow solo per andarli a salutare. E poi quei grandi occhi verdi non potevano mentire. “Ma certo che sto bene, cosa vai a pensare!… Però adesso devo proprio andare…” E così salutandolo con la mano si avviò per la strada, intenzionata a mettere tutta la distanza possibile tra lei e i suoi due amici prima di scoppiare a piangere.
Ma quando fu arrivata a metà sentiero, sentì dei passi dietro di lei. Cocciuto. Un pezzo di marmo. Ovviamente era Eragon. Senza lasciarle nemmeno il tempo di parlare, la abbracciò, stringendola al suo petto, tentando di farla sentire protetta, al sicuro, …capita. Ma ottenne solo l’effetto contrario. Stava facendo esattamente ciò che lei non voleva facesse. (contorta lo so!^^” NdA) In malo modo, si allontanò da lui, sciogliendo l’abbraccio, e incrociò le braccia davanti al petto, a mo’ di scudo. Eragon non tentò nemmeno di riavvicinarsi. Era come una lupa selvatica, in quei momenti. Intrattabile. Rassegnato, fece per andarsene, ma all’ultimo momento ricordò cosa realmente doveva dirle: “Rae… verrai domattina a salutarlo?” Lei lo guardò solo per un momento, poi senza una parola gli voltò le spalle e corse via, verso la foresta, verso la sua casa, lasciandolo lì a guardare il bosco pieno d’ombra. Affranto si voltò di nuovo verso la sua stessa casa.
Leggere gocce caddero sul suo viso. Alzò gli occhi al cielo: cupe nuvole nere avevano coperto l’azzurro, gonfie d’acqua. Altre piccole ma pesanti gocce caddero su di lui, bagnando la sua pelle e i suoi vestiti. Poi lo sguardo gli cadde su un angolo del giardino: Roran era ancora lì, dove lo aveva lasciato. E guardava alternamente lui e il bosco dove Rae era sparita. I vestiti e i capelli color del grano erano fradici. Il suo viso rigato di pioggia.
Ma Eragon avrebbe giurato che non fossero tutte gocce.



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Salve a tutti, rieccomi qua!!! Scusate la lunghissima attesa, ma la scuola mi ha distrutto! xp Comunque ecco a voi il nuovo capitoletto. Da qui in poi le cose cominciano a farsi movimentate!!! Ghhghghghgh!! Mi raccomando commentate!! Alla prossima!!
Akarai
  
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