Aveva freddo, tanto freddo ma faceva di tutto per
non darlo a vedere. Cercava disperatamente di non tremare, anche se il gelo, più
che provenire dalla pista candida, l’attanagliava da dentro. Sentiva il sangue
pulsarle nelle tempie, gli occhi bruciare.
Era arrivata al palazzetto già
truccata, più pesantemente del solito. Non voleva che l’istruttrice si
accorgesse che aveva la febbre.
Reb era al suo fianco, lo smeraldo degli
occhi offuscato da una profonda preoccupazione. Lei sapeva ma non era riuscita
ad impedirle di presentarsi comunque a quella gara.
La sua ultima speranza di
continuare a pattinare.
Se avesse vinto, la borsa di studio sarebbe stata sua
e avrebbe potuto continuare a praticare quello sport che era la sua passione
senza pesare su sua madre.
Istintivamente la cercò tra il pubblico, pur
sapendo che non l’avrebbe vista al suo solito posto in prima fila, non quella
volta…
Sospirò, stringendo i denti.
Mai gara era stata tanto importante
per lei, che aveva sempre calcato il ghiaccio solo per passione e
divertimento.
Deglutì, ricacciando le lacrime e stringendo i pugni.
La
voce dell’insegnante la riportò alla realtà.
“Sei minuti di riscaldamento!”
decretò lo speaker “In pista: Kristine Lehemann, Julia Schwarz, Maria Strauss,
Erika Moss, Lena Miller, Angela Weiss.”
Incrociò lo sguardo con quello della
sua diretta rivale. Gli occhi azzurri lampeggiarono mentre un’espressione sicura
si dipingeva sul bel viso della ragazza di Monaco. Non si fece intimidire, c’era
davvero troppo in gioco.
S’immerse nel candore del ghiaccio, eseguendo
qualche semplice figura ma…
Si sentiva stanca, le gambe non rispondevano a
dovere, il fiato era corto, l’equilibrio instabile. Il viso e gli occhi
scottavano terribilmente, ogni respiro era un sacrificio.
Una trottola
velocissima ed uno stop improvviso con una mano al fianco e l’altra puntata
verso il pubblico, come la parte finale del suo esercizio. E lui era là,
esattamente di fronte a lei. Rimase incatenata per un istante a quello sguardo
nero e profondo che pareva avvolgerla e sostenerla. Si era accorto che qualcosa
non andava e quegli occhi non la lasciavano un istante, come a volerle dare la
forza di andare avanti.
Tirò un sospiro e si sentì più leggera.
Quattro
atlete prima di lei. Quattro buone prestazioni che però non potevano aspirare al
podio.
Di nuovo freddo, di nuovo quella maledetta spossatezza negli
arti, la gola secca e dolorante, gli occhi che non sopportavano più lenti.
“Reb,vieni un secondo…” si trovò la bionda amica al fianco in un
baleno “ Gettale, per favore…” e così dicendo tolse rapidamente le lenti a contatto
dagli occhi arrossati.
“Ma, Lena! Come?...”
“Non
preoccuparti” le sorrise “è meglio così, mi danno fastidio. Poi lo sai che non
ne ho bisogno in pista!” e le fece l’occhiolino.
“Sei incredibile!”
disse l’altra, scuotendo il caschetto biondo “Dovrei essere io a sostenerti, invece
è il contrario!”
Vennero interrotte dalla chiamata in pista.
Un
sospiro.
Un sorriso.
Le dita che s’intrecciavano in un silenzioso augurio
di buona fortuna.
Di nuovo il ghiaccio l’accolse.
Il gelo della pista si
andò a sommare a quello provocatole dalla febbre, ma cercò di non farci
caso.
Si mise in posizione, di profilo alla giuria, le mani intrecciate
dietro la schiena, il viso rivolto al pubblico di fronte a lei. Senza lenti non
riusciva a vederlo, ma sentiva quello sguardo nero e profondo seguirla ad ogni
passo, e vi si aggrappò come ad un’ancora di salvezza.
Le prime note della
melodia che accompagnava il suo programma, la mente che si svuotava, il puro
piacere di danzare sul ghiaccio.
Passi, trottole, la prima parte
dell’esercizio eseguita perfettamente.
La fatica che cominciava a farsi
sentire, il fiato che iniziava a mancare.
Due salti in sequenza.
Il primo
quasi perfetto, il secondo…
Si rialzò subito, rabbia e dolore che sfiorarono
appena il suo viso.
Attraversò leggera la lastra gelata con un angelo
perfetto, poi di nuovo un salto…e di nuovo lo sgomento del pubblico.
Una
trottola bassa, il cambio di filo per poi sollevarsi roteando sempre più veloce
e poi immobilizzarsi esattamente sull’ultima nota, una mano al fianco, l’altra
puntata innanzi a se, aggrappata a quegli occhi scuri che non l’avevano
abbandonata mai.
Non potè che applaudire l’esecuzione perfetta della rivale
ed andare sportivamente a stingerle la mano poco prima di ricevere il premio per
il secondo posto.
Strinse con dolore quella coppa di cristallo trasparente,
ma le lacrime non rigarono il viso smunto.
Doveva andare avanti, ora
più che mai…
Rebecca l’accolse fuori dalla pista, le rimise in spalla una
felpa, abbracciandola stretta. Si lasciò coccolare e girò intorno lo sguardo. Lo
vide. Le dava le spalle, chiacchierando con Hermann.
Sospirò, lasciandosi
trascinare negli spogliatoi. Non si avvide di quegli occhi scuri che di nuovo
l’avevano cercata.
“Lena? Tutto bene?...”
L’ultima cosa che ricordò di
quel giorno fu il rumore della coppa che cadeva, infrangendosi al suolo mentre
le braccia dell’amica l’afferravano premurose, appena prima che il buio
l’avvolgesse.
Fotografie, biglietti aerei, prenotazioni d’albergo, una
grande busta marrone senza mittente, stracciata e gettata negligentemente in
terra.
Gli occhi erano serrati, il capo stretto tra le braccia, le mani
intrecciate dietro la nuca, il respiro corto ed un dolore attanagliava il
petto mentre lo stomaco era chiuso dagli spasmi.
Non ci credeva.
Non
voleva crederci!
Quando poche ore prima aveva aperto quella busta, in
principio aveva pensato ad uno scherzo di cattivo gusto.
Ma sfogliando le
fotografie che accompagnavano le lettere, le registrazioni delle conversazioni,
le copie delle prenotazioni di camere d’albergo e ristoranti, si era dovuto
ricredere.
Ed il dolore, la rabbia, la delusione l’avevano travolto.
Lui
che non aveva mai concesso il suo cuore a nessuna prima d’allora, che non si era
mai sbilanciato, nascondendosi dietro una sprezzante maschera di ghiaccio e
ironia, era stato beffato dalla sorte. O forse che la Dea dell’amore,
scocciata dal suo atteggiamento, l’avesse voluto punire a quel modo per i
continui dinieghi alle molte opportunità che gli erano state offerte?
L’unica
cosa che sapeva, era che lì, su quel tavolo, c’erano le prove che Angela l’aveva
tradito, e non una volta…
Era deluso, amareggiato, ferito nel più profondo
dell’animo.
Riaprì gli occhi e fissò nuovamente i fogli sparsi sul tavolo.
Freddezza e lucida determinazione in quello sguardo che più volte aveva
incrinato le certezze degli avversari in campo. Si levò in piedi con
risolutezza, afferrando alcune fotografie e si diresse verso la porta a grandi
passi. Nel prendere le chiavi dell’auto da un tavolino, sfiorò un’elegante
scatola rossa posata lì accanto. Un lampo d’ira negli occhi scuri ed un gesto
violento che scagliò l’oggetto sul pavimento, facendolo aprire e svelandone il
contenuto: un filo delicato di perle ed un paio di orecchini di perla ed oro
bianco.
In redazione era una giornata come un’altra, seppure un’atmosfera
quasi di festa aleggiasse tra le scrivanie. Mancava pochissimo al fatidico
giorno ed un’allegra frenesia aveva contagiato un po’ tutti.
Tutti, tranne
lei.
Fredda, impassibile, controllatissima come sempre, la professionalità in
carne ed ossa.
Non fece una piega quando lo vide entrare. Rispose
meccanicamente con tono assolutamente piatto quando le chiese se Angela fosse in
ufficio, mentre lo sguardo d’alabastro nero, gelido, la trapassava da parte a
parte.
Se l’aspettava…
Quando lui scomparve dietro la pesante porta di
legno massiccio che la separava dall’ufficio del suo capo, facendola sbattere
con violenza, fulminò ad uno ad uno gli occupanti di quell’angolo di redazione,
invitandoli a trovarsi qualcos’altro da fare lontano da lì. Lei stessa si
allontanò, dando un’ultima occhiata a quella porta, le labbra strette ed il
cuore che batteva veloce.
Rientrò un’ora dopo. Le due ragazze che erano
dovute tornare al loro posto per forza maggiore accennarono domande ma vennero
subito zittite.
La porta si aprì e si richiuse alle sue spalle. Il viso
atteggiato in una maschera gelida ed impenetrabile nella quale brillavano
come tizzoni ardenti quegli occhi colmi di furore.
Le si fermò davanti, di
nuovo trapassandola con quello sguardo che lei sostenne impassibile, senza
batter ciglio. Dopo alcuni secondi le parole uscirono come un sibilo dalle sue
labbra “Tu… sapevi, non è vero?”
“Si.” il cuore si era fermato. Aveva
visto il pugno serrarsi, per l’ira, per il dolore, perché si sentiva tradito
anche da lei.
Se ne andò, voltandole le spalle, senza proferire altra parola.
Sentì su di se gli sguardi delle persone intorno, ma non vi fece
caso.
Lui, ora, la detestava. No, forse addirittura la odiava, e lei si
sentiva morire per questo.
“Eleonor!” la voce di Angela tuonava
dall’ufficio.
Un sospiro, una mano che correva a sistemare meglio gli occhiali
sul viso. Un sorriso leggero, freddo e determinato le piegò appena le
labbra. Fissò per un istante quella porta dalla quale era appena uscito l’uomo
che era stato il suo sogno di ragazzina, e ripensò alle parole di sua madre,
qualche settimana prima…
Era mezzanotte e lei era ancora in
piedi. Matisse girellava curioso sul mucchio di carte sparse sul
tavolo.
“Non dormi?” la voce della madre l’aveva fatta sobbalzare
“Ma tesoro! Piangi!”
L’aveva abbracciata ed aveva consolato quella figlia
che pur di starle accanto e non farle mancare nulla, aveva rinunciato ai suoi
sogni ed alla sua adolescenza, diventando prima del tempo una donna responsabile
ma sola…
“Genzo Wakabayashi…” sorrise pronunciando quel nome “Mi
ricordo di lui! Me ne parlavi tanto spesso quand’eri ragazzina! Tanto che ho
sempre creduto che ne fossi innamorata, non era così?” un sorriso complice ed una
carezza sulle gote bagnate di pianto. Non aveva risposto, era solo arrossita,
distogliendo gli occhi.
“Qualcosa mi dice che tu lo sia ancora, che tu lo sia
sempre stata…”
“Mamma!”
“Digli la verità su Angela, tutta la verità! O
non ti perdonerai mai di avergli mentito.” mentre diceva così, carezzava piano i
morbidi capelli castani della sua bambina.
“Sai cosa succederà, vero? Perderò
il lavoro e…”
“E sarai finalmente in pace con te stessa!” le strinse le
mani tra le sue, piccole e delicate “Ce la caveremo… ma tu DEVI dirgli la
verità! Non puoi continuare a questo modo…”
Le parole della madre le
risuonavano ancora nelle orecchie mentre varcava la soglia dell’ufficio di
Angela.
“Tu!” un sibilo furioso era fuoriuscito dalle labbra rosso fuoco,
mentre l’azzurro degli occhi era d’acciaio e brillava di lampi d’ira.
Sostenne tutto ciò con calma ed impassibilità.
“Si, io.” le rispose
semplicemente, spiazzandola. L’altra non si sarebbe mai aspettata una tale
ammissione di colpa.
“Come hai POTUTO!” era furibonda, aveva perso
totalmente il controllo davanti alla freddezza glaciale di quella piccola strega
che le aveva fatto sfuggire l’occasione della vita.
“Io, come ho potuto?
Tu l’hai tradito.” il tono era severo, piatto, non consentiva repliche. La
direttrice rimase senza parole, attonita, lo sguardo fisso su quella donna che
per anni era stata al suo totale e completo servizio. Perché aveva bisogno di
lei, perché aveva bisogno quel dannato stipendio… Una smorfia cattiva si disegnò
sulla sua bocca, mentre un lampo maligno passava negli occhi socchiusi “E così
la piccola Lena è innamorata… E pensi che uno come lui ti
calcolerà mai?!”
Era andata a segno. Avvertì una stretta al cuore. Ma tanto,
ormai, dopo tutti quegli anni passati a sognare, aveva fatto l’abitudine a
quel sottile dolore. Non rispose, restando impassibilmente immobile di fronte
all’altra, gli occhi negli occhi.
“Vattene, e non farti più vedere. Sei
licenziata!”
Un’espressione compiaciuta apparve sul viso della segretaria
“Mi spiace, Angela, troppo tardi…”
I grandi occhi azzurri erano sgranati
dalla sorpresa mentre osservavano la lettera che veniva posata sulla scrivania,
già firmata…
“Ho rassegnato le dimissioni tre settimane fa e tu,
come sempre, hai firmato tutto quello che ti ho passato senza degnarlo di
uno sguardo.” soddisfazione e rivincita si leggevano sul viso della ragazza “Oggi è
ufficialmente il mio ultimo giorno di lavoro, Freuilain Weiss!”
Così dicendo
si voltò, lasciando la sua ormai ex principale stordita, senza fiato per
quella sonora sconfitta.
Uscì dall’enorme palazzo a vetri, si guardò intorno
e poi volse lo sguardo verso l’alto, alla finestra di quello che per sei lunghi
anni era stato il suo ufficio, la sua prigione. Sorrise, liberando i lunghi
capelli dallo spillone ed aspirando la gelida aria di fine gennaio. Era
libera.
La porta del brauhaus si spalancò con violenza e si richiuse con
altrettanto rumore. I lunghi orecchini sbatterono contro il viso della
ragazza che si era voltata di scatto, sorpresa da quell’ingresso. Tirò un
sospiro e le decine di braccialetti d’argento tintinnarono quando incrociò le
braccia al petto con fare risoluto, prontissima ad affrontare il panzer che le
si stava facendo incontro.
Hermann Kalz non proferì parola. Si sedette con
movimenti lenti e misurati di fronte alla bionda, senza staccare gli occhi
azzurri da quelli smeraldo di lei. Dopo alcuni minuti si decise a
parlare.
“Tu… voi… sapevate! E non avete detto nulla! Avete
lasciato che venisse trattato a quel modo, che lo rendesse ridicolo, che lo
utilizzasse come un burattino! L’ha preso in giro, dal primo all’ultimo giorno, e
voi lo sapevate! Non siete meno colpevoli di quell’arpia!” aveva urlato le
ultime parole, facendo sì che gli astanti si zittissero, voltandosi verso di lui.
Si alzò, facendo cadere l’alto sgabello su cui era seduto e le diede le spalle
per andarsene ma le parole di lei lo raggiunsero, immobilizzandolo “E secondo te,
brutto idiota, chi gli ha mandato tutta quella roba su Angela?”
Si
girò piano a guardala. Un sopracciglio biondo scattò verso l’alto con
fare spazientito mentre la donna lo raggiungeva aggirando il bancone e
piazzandoglisi di fronte “Klaus Reiner, ex fidanzato di Angela, secondo te, da chi ha avuto
tutte quelle informazioni che poi ha dato a Wakabayashi, eh?”
Il
centrocampista deglutì, spiazzato. Sovrastava Rebecca di tutta la testa, eppure
in quel momento si sentiva piccolo piccolo.
“Tu…
Voi…”
“No” il
biondo caschetto scosso in segno di diniego “Non io. Lena.”
“Lena? Lei
sapeva tutto! Ha continuato ad uscirci facendo l’amica innocente e non gli ha mai
detto nulla! Lei…” non riuscì a terminare la frase, fulminato dallo sguardo della
ragazza.
“Io e te dobbiamo fare un discorsetto…” così dicendo afferrò il
giovane e lo trascinò al bancone, obbligandolo a sedersi. Spillò due birre,
gliene porse una e gli si mise davanti, le braccia appoggiate al banco e lo
sguardo dritto nel suo.
Sospirò, cominciando a parlare piano
“Se Lena viene a sapere quello che stò per dirti mi ammazza…” zittì l’altro prima
che potesse interromperla “ Quando eravamo alle medie lei era innamorata persa
di Wakabayashi. Credo che in quattro anni in cui sono stati in classe assieme
gli abbia rivolto si e no tre volte la parola… E’ sempre stata timida ed
introversa e la sua situazione famigliare non l’ha certo aiutata ad aprirsi… Quel
porco di suo padre prima ha cornificato la madre e poi l’ha piantata in asso
con una figlia a carico, senza farsi vedere neppure quando alla madre
di Lena diagnosticarono una malattia che la rese inabile al lavoro e che
necessita di cure costose. La finale del Campionato era la sua ultima speranza
di poter continuare a pattinare. Se ricordi era in palio una borsa di studio…” un
cenno del capo in risposta “Ma cosa c’entra…” di nuovo venne fulminato e si
zittì.
“Il giorno prima della finale erano arrivate diverse ragazze della
squadra di Monaco. Erano nel parco fuori dalla scuola, vicino al laghetto. Non
era gelato, ma faceva freddo. Lena stava andando a prendere l’autobus. Non mi
disse mai di chi si trattava, ma quattro ragazze di Monaco iniziarono a
prenderla in giro per il suo abbigliamento, la strattonarono ed alla fine tanto
fecero che arrivarono a farla cadere nel laghetto. Come ti ricorderai non era
profondo e lei ne venne fuori da sola. Purtroppo l’autobus era in ritardo a
causa della neve. Il giorno della gara aveva quasi quaranta di
febbre.”
“Oddio… ricordo che sbagliò quei salti… Mel ci rimase malissimo! Lena
per lei era un idolo da imitare…”
“Hermann, Lena mi disse che ero maligna, ma
sono sicura che Angela sapesse quello che era successo…”
Il centrocampista dell’Amburgo era esterrefatto “Ma…” un dito dall’unghia laccata di
viola si posò sulle sue labbra.
“Lei non ci ha mai voluto credere… Di
quel giorno mi ha raccontato però una cosa: ricorda che Wakabayashi non ha
mai smesso di guardarla, che il suo sguardo l’ha sostenuta dall’inizio alla fine
di quel dannato esercizio…Tu non lo sai, ma Lena è svenuta negli spogliatoi.”
sorrise triste.
“Perché si è messa a lavorare per lei?” chiese il ragazzo,
sconcertato da quello che aveva appena ascoltato.
Reb si levò in piedi, sospirando “Te
l’ho detto… Le cure di sua madre sono piuttosto costose… Sei anni fa
Angela era alla ricerca di una supersegretaria che le gestisse sia gli affari privati
che il lavoro. Puntava già alla direzione di Sport & Sport ma doveva anche
amministrare il patrimonio di famiglia e… gestire una vita privata
piuttosto complessa, diciamo così. Non mi chiedere perché, ma Angela ha
rifiutato ben sei proposte di matrimonio, prima di quella del tuo amico. E tutti
i sui fidanzati sono stati puntualmente traditi... con Lukas Bauer, il suo primo
fidanzato, l’unico che non le abbia mai chiesto di sposarla ma che l’ha sempre
tenuta in pugno.”
“Accidenti…” Hermann si lasciò andare sul bancone, scuotendo
il capo. Sollevò lo sguardo e fissò la ragazza che aveva di fronte. Improvvisamente
la mente venne travolta dai ricordi di quand’erano ragazzini ad Amburgo,
secoli prima. Rebecca gli era sempre piaciuta, ma quella ragazza aveva un
carattere dannatamente aggressivo, difficile, scostante. Faceva la dura, il maschiaccio
e spesso e volentieri si cacciava nei guai. Lui poi non ci sapeva
fare con le ragazze come il suo amico… E così si erano semplicemente persi
di vista, e a lui era rimasto il rimpianto di non averci mai provato.
“Ehi, Kalz, ci sei?” la voce della bionda lo riportò alla realtà e si sorprese ad
arrossire mentre si perdeva per un attimo negli occhi verdi di lei.
“E…
e così è stata Lena…” disse, ancora frastornato. Rebecca storse le
labbra, spazientita e lo osservò socchiudendo gli occhi “Già… ovvio che è stata
lei! Lei aveva in mano l’agenda di Angela, lei le faceva le prenotazioni,
lei raccontava le balle al posto suo, lei comprava i regali ed organizzava le
serate con il “fidanzato ufficiale”, parando il sedere a quella strega!” pronunciò
tutto quanto d’un fiato, in un sibilo d’ira. Il giovane ci mise un attimo a
mettere a fuoco il significato di quelle parole.
“Regali? Aspetta
un attimo! Vuoi dire che era Lena ad occuparsi di tutto? Regali, appuntamenti, le
serate al Wagner?” lo sguardo di Reb fu una risposta sufficiente ed il ragazzo
si sentì travolgere dall’ira “Quella… !” e battè un pugno su bancone, facendo
oscillare il boccale semivuoto di fronte a lui.
Rebecca riprese a
parlare, appoggiando la schiena al retrobanco “ Quando Angela accettò la proposta di
matrimonio di Wakabayashi, Lena credette che, alla fine, si fosse innamorata di
lui. Ma circa due mesi fa le capitò, per puro caso e fortuna, di ascoltare una
conversazione tra lei e Lukas. Angela ha accettato solo perché in questi anni è
riuscita a dilapidare i soldi dei genitori. Peggio! Lena crede che la stupida se
li sia fatti fregare sotto al naso da quel bell’imbusto che se la rigira come
vuole! Wakabayashi è un ottimo partito: oltre ad essere un calciatore di
fama internazionale è pure ricco di famiglia, e ad Angela i suoi soldi
facevano comodo! Negli ultimi tempi aveva fatto la fidanzatina fedele per non
destare sospetti, ma appena sposati il tuo amico sarebbe stato fregato del tutto!
Quando Lena si rese conto della gravità della situazione, recuperò tutto il
materiale che aveva a disposizione e contattò Reiner, il quale, tra l’altro, aveva
già sguinzagliato un fotografo alle calcagna della ex perchè sospettava
qualcosa.”
Ad Hermann parve come se un peso gli si fosse levato dallo stomaco…
Lena aveva salvato il suo migliore amico da una brutta storia.
Un
dubbio assalì all’improvviso il giovane ad udire quelle parole “Reb… Lena
è ancora innamorata di Wakabayashi?”
Si guardarono.
Non gli
rispose, semplicemente gli tolse il boccale da davanti e glielo riempì
nuovamente, posandolo con un sospiro ed un sorriso mesto “Tu cosa ne
dici?”