Capitolo 10
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Wish I were with you but I couldn’t stay
Every direction leads me away
Pray for tomorrow but for today
And all I want is to be home
(Home, Foo Fighters)
« Sicuro
che Dorea sia d’accordo? » domandò Sirius per l’ennesima volta, e James annuì
distrattamente.
Il suo
sguardo era infatti fisso da alcuni minuti su una ragazza dai capelli rossi e
scarmigliati e gli occhi verdi e gonfi di sonno che mangiucchiava una fetta di
pane imburrato in compagnia di un’amica, che girava un cucchiaino nel caffè da
ormai circa dieci minuti.
A Lily
cadde il pane dalle mani, e questo si spiaccicò sul tavolo di legno.
L’imprecazione che seguì il ciaf! del
pane lo fece sorridere, divertito. Lo stesso fece Mary, perché scoppiò a ridere
sguaiatamente, e per poco non si rovesciò addosso la tazza di caffè.
Insieme
erano davvero un bel quadretto, pensò James con un sorriso, attirato però solo
da Lily.
Non era la
prima volta che la osservava – questo lo sapevano tutti –, ma vederla in quello
stato lo aveva distolto dai pensieri malinconici che aleggiavano nella sua
mente dalla sera prima.
Quella era
l’ultima volta che tornavano a casa per le vacanze, perché l’anno seguente loro
non avrebbero più frequentato la scuola. Lasciare Hogwarts, comunque, era
sempre un colpo al cuore, ma il pensiero di tornarci dopo nemmeno venti giorni
allietava un po’ il dispiacere e la malinconia. Un po’.
« James,
stavo parlando con te » sbuffò nuovamente Sirius, con la bocca piena di pane
tostato, guardandolo con aria scocciata. Quando seguì il suo sguardo e vide su
cos’era posato, poggiò il gomito destra sulla tavola e si batté la mano sulla
fronte. « Merlino, sei un fissato del cazzo, James! » esclamò.
La Evans
era tutto sommato carina – di certo, però, non era tipo di Sirius –, ma lui non
la poteva soffrire e non riusciva davvero a capire cosa il suo migliore amico
ci trovasse in lei. Non per altro, ma, secondo Sirius, per James ci voleva una
ragazza divertente, che giocava a Quidditch e sapeva stare agli scherzi. E Lily
Evans non aveva nessuna di questi requisiti – requisiti che, per inciso,
avevano avuto praticamente entrambe le ragazze con cui James era stato
seriamente. Le altre erano state semplici uscite, mentre Margareth Chace e
Hallie Davies erano state con lui rispettivamente per quattro e due mesi; e
Margareth giocava come Cacciatrice per Grifondoro, mentre Hallie era la
Battitrice di Tassorosso.
E in Lily
Evans, James cosa ci trovava? Sirius davvero non riusciva a vedere tutti i
pregi che l’amico tanto decantava. Bella? C’era di meglio, ad Hogwarts.
Simpatica? A Sirius veniva da ridere solo al pensiero. Intelligente? Okay,
quello sì.
« Aah » sospirò James, voltandosi verso di
lui, come se non avesse detto niente. « un giorno capirai, mio glaciale amico
».
Sirius lo
guardò con commiserazione, poi inarcò le sopracciglia in un’espressione di puro
scetticismo. « Capirò cosa, mio stupido amico? »
James
ghignò appena, poi rispose: « Capirai cosa si prova quando ti piace qualcuno »
con aria molto convinta.
Sirius
schioccò la lingua sul palato, impassibile. Il suo sguardo, intanto, si posò
per un attimo sulla ragazza di fronte a Lily Evans, Mary, che in quel momento
aveva gli occhi chiusi e il viso rivolto verso Miriam Parker, che continuava a
parlarle, nonostante fosse palese che quella non la stesse ascoltando
minimamente.
La sua
espressione lo fece ghignare: sembrava stesse per collassare sul tavolo.
Oh, questa non te la farò
scordare facilmente, carina.
« Che stai
guardando, Paddy? » gli chiese James, attirando la sua attenzione, chiaramente
sarcastico.
« Niente,
perché? » ribatté lui, perfettamente calmo.
« Poi sono
io il fissato? »
« Sì, sei
tu » rispose Sirius con tono ovvio. James sbuffò, dicendo che non era affatto
vero. Sirius, allora, domandò prontamente: « Quanto porta di scarpe? »
«
Trentasette » rispose subito, e quando vide l’amico sorridere vittorioso capì
di essersi fatto fregare in pieno.
Infatti
Sirius agitò l’indice della mano destra in aria, soddisfatto. Adorava mettere a
tacere la gente – cosa che aveva in comune con Lily Evans, sebbene non lo
sapesse ancora –, e riuscirci con James era dannatamente facile, specialmente
quando si parlava della sua mania per la Evans.
« Comunque
» riprese James – sta davvero cercando di
difendersi?, pensò Sirius –, che non voleva dargliela vinta così
facilmente. « Io sarò fissato con Lily, ma vogliamo parlare di te? Insomma -»
James
aveva la bocca aperta, pronto ad illustrare tutti i motivi che rendevano Sirius
fissato a sua volta, ma quest’ultimo lo bloccò, mettendogli in bocca del pane.
James quasi si strozzò, ma, una volta tornato ad una tonalità normale, sorrise
tutto denti.
« Coda di
paglia, Padfoot? »
« Taci,
coglione » bofonchiò, rude.
L’amico
scoppiò a ridere sonoramente, mentre Sirius lo guardava male e Remus e Peter
arrivavano con calma. Remus si sedette accanto a James, mentre Peter prese
posto vicino a Sirius.
« Che è
successo? » domandò Peter, notando il ghigno di James e il cipiglio arrabbiato
di Sirius.
« James
soffre di allucinazioni » rispose Sirius, conciso, lanciando un’altra
occhiataccia al suo presunto migliore amico – che in quel momento si stava
praticamente soffocando nel bicchiere di succo pur di non ridere. « Gravi
allucinazioni ».
« Cos’ha
fatto? » spiò quindi Remus, cercando di sorridere ma riuscendo solamente a
piegare le labbra in una smorfia. La luna piena di quel mese era vicina, ormai
mancavano pochi giorni.
« Dice di
non essere fissato con Lily Evans » disse Sirius, ilare.
Le
reazioni furono piuttosto differenti: Peter scoppiò a ridere, Remus guardò da un’altra
parte per non farsi vedere e James arrossì miseramente come una qualunque
ragazzina alle prese con la propria prima cotta.
« E dai,
però! Non fate quelle facce! » si lagnò James, sbattendo la fronte sul tavolo.
« Non sono fissato ».
« No »
gracchiò Remus con voce acuta, divertito. « Hai ragione, non lo sei. Per
niente, James ».
« Peter,
proteggimi tu! »
« Mi
dispiace, amico, ma io non posso farci niente » ridacchiò quello, mangiando del
bacon.
« Infedeli
».
Era appena passato la signora del carrello – Remus aveva preso delle
Cioccorane, Sirius delle Api Frizzole, Peter i Topoghiacci e James degli
zuccotti di zucca –, quando Peter, addentando un Topoghiaccio, chiese:
« Quand’è
che dovrebbe cadere, questo mese? »
Non ci fu
bisogno che aggiungesse altro: la domanda, almeno per loro, era chiara come
l’acqua. Sirius smise di muovere rumorosamente le dita dentro al pacchetto di
caramelle alla ricerca di quella più grossa, mentre Remus con voce atona
rispondeva:
« Il
venticinque ».
Remus finì
la frase in un sospiro appena accennato. Odiava quando la luna piena capitava
troppo vicina alle vacanze, perché in quella maniera lui non avrebbe potuto
vedersi con i propri amici. O meglio, l’avrebbe fatto, perché loro sarebbero
andati a trovarlo ogni giorno per tenergli sempre compagnia, ma non sarebbero
potuti uscire dalla sua casa a Marloes.
« Noi
saremo lì con te » disse prevedibilmente James, abbandonando a se stesso lo
Zuccotto di zucca che prima aveva iniziato a scartare avidamente.
« Non ce
n’è bisogno » ribatté Remus, ancor più prevedibilmente. « Davvero » aggiunse,
cogliendo al volo l’occhiata che i suoi amici si scambiarono. Sembravano dire
tutti e tre: sì, come no.
« Moony - » cominciò Sirius, ma Remus lo interruppe rapidamente.
« E poi
papà ha apportato tutte le modifiche necessarie alla grotta. Non farò male a
nessuno e aspetterò lì finché non arriverà l’alba ».
« E a te
non ci pensi? Lo sai benissimo che stando da solo ti farai del male, Remus »
gli ricordò Peter, seriamente preoccupato. Non aveva voglia di lasciare uno dei
suoi migliori amici in balia del lupo che abitava in lui e che usciva solo una
notte ogni ventotto giorni.
« Tu stai male, se pensi che non verremo comunque » disse James, scuotendo la
testa mentre gli occhiali gli scivolavano sul naso e se li risistemava. « Non
ce ne frega niente delle modifiche alla grotta o quel che ti pare, noi saremo
lì »
« Sono
perfettamente d’accordo con James » s’intromise Sirius, serissimo. « Ficcatelo
in quella testa, lupastro dei miei stivali ».
Remus – dimenticandosi anche di correre ai ripari e ricordare ai propri amici
di abbassare la voce – piegò debolmente le labbra sottili in un sorriso appena
accennato. Quei tre erano i suoi unici, primi, veri amici. Gli unici ad averlo
mai accettato per quello che era. Quando avevano scoperto del suo segreto,
Remus aveva avuto paura che lo allontanassero, mentre gli si erano fatti più
vicini. Tranne Sirius, che per due settimane l’aveva evitato, e James, per
difenderlo e proteggere al contempo la loro amicizia, aveva detto che aveva
problemi in famiglia. Era stato uno dei periodi peggiori, per Remus, secondo
solo alle prime lune piene e a quando i suoi amici di infanzia avevano
cominciato a trascurarlo. Ma Remus se l’era anche immaginato, perché Sirius,
per quanto potesse essere diverso dalla sua famiglia, era stato cresciuto con
certi princìpi ed era stato colto dal panico – gliel’aveva spiegato lui stesso
quando avevano fatto pace.
Remus
ricordava ancora benissimo quando l’avevano scoperto, quando lo avevano
completamente messo a nudo.
« Dovevi dircelo » disse
James, incrociando le braccia al petto. Gli occhi nocciola, solitamente allegri
e giocosi, erano tremendamente seri, troppo per un ragazzino di dodici anni e
mezzo. Quello sguardo lo faceva sembrare quasi più grande, più maturo –
probabilmente Lily Evans l’avrebbe apprezzato.
« Già » gli aveva dato man
forte Peter, accanto all’altro. « Siamo tuoi amici, nonostante tutto ».
Remus aveva chinato il
capo, notando perfettamente che Sirius non aveva detto assolutamente nulla. Non
osava alzare il viso su di lui, ma quando lo fece, gli sembrò di essere sul
punto di piangere.
Sirius era un passo dietro
James, con gli occhi sgranati, le labbra appena socchiuse e le mani, sebbene
fossero nascoste dentro le tasche, tremavano, Remus lo sentiva. Sembrava…
impaurito, smarrito, preso in contropiede. Non schifato – il ché lo tranquillò
un poco –, ma era talmente pallido che sembrava sul punto di svenire da un
momento all’altro.
James, quando seguì lo
sguardo di Remus, dovette accorgersene, perché poi posò la mano
sull’avambraccio più vicino di Sirius e lo trascinò fuori dall’Infermeria,
lanciando uno sguardo di scuse a Remus.
Quando la porta si chiuse
alle loro spalle, Remus sospirò e si rannicchiò sul letto dell’Infermeria.
Peter rimase lì, accanto a lui, finché non si svegliò di nuovo, due ore e mezzo
più tardi.
« Sì ».
« Bene »
sorrise James, cercando di calmarlo. « perché noi verremo. Possiamo aiutarti
meglio di qualche semplice incantesimo di difesa. Noi possiamo proteggere te ».
Peter
annuì alle parole dell’amico, lanciando a Remus uno sguardo carico di affetto.
« Ne sono
certo, Prongs, ma vedi: nessuno sa del vostro segreto, e se tornaste a casa
tutti graffiati e diceste di aver passato la notte con me, la cosa
risulterebbe… improbabile. Un lupo mannaro non si sa controllare con gli umani,
vi ricordo ».
Peter aprì
la bocca per ribattere, ma poi fu costretto a richiuderla, perché Remus aveva
perfettamente ragione. Dire di aver passato la luna piena con un lupo mannaro
non era credibile, perché teoricamente non sarebbero stati in grado di tornare
a casa, in quanto fatti probabilmente a pezzi. E l’unico modo per sopravvivere
era l’essere animali, nel loro caso Animagus. Non potevano rischiare così
tanto, visto che non si erano neanche registrati…
James
abbassò lo sguardo sulle cartine di Zuccotti che aveva in grembo, mentre Sirius
si allungò verso di lui e gli batté una pacca sulla spalla.
« Potremmo andare via subito dopo… » provò James, poco convinto, e Remus finse
di non sentirlo, chiedendo agli altri:
« Che
farete, quindi, durante le vacanze? »
James fece
per aprire di nuovo la bocca e protestare – ormai la sua testardaggine era
conosciuta anche in capo al mondo –, ma Sirius gli tirò casualmente un calcio
sullo stinco e gli lanciò uno sguardo che doveva significare: taci, idiota. James gli lanciò
un’occhiataccia, ma non disse nulla, limitandosi a scrollare le spalle e
liquidare la questione con un semplice: « Le solite cose ».
« Idem »
fece quindi Sirius, indicando poi James. « Vado da Prongs, e spero che Dory » -
gli altri tre sorrisero al soprannome che Sirius aveva affibbiato alla madre di
James, nonostante quando ce l’avesse davanti la chiamasse Signora Potter. «
prepari il suo meraviglioso arrosto di Natale ».
James
scoppiò finalmente a ridere e commentò: « Oh, quello sicuro. È una tradizione,
ormai ».
Sirius
fischiò e sollevò un pollice all’indirizzo del proprio migliore amico, prima di
afferrare un’altra Ape Frizzola, mettersela in bocca e distendere il viso in
un’espressione beata.
Peter,
dopo aver lanciato un’occhiata a divertita quasi nello stesso istante di Remus
e James, si strinse nelle spalle e si poggiò allo schienale del sedile.
« Starò a
casa con i miei » rispose, mentre un lieve sorriso gli increspava le labbra al
pensare a sua madre, la disponibile Annabeth Minus. « Probabilmente verranno
anche i nonni… Devo aiutare mamma a sistemare ».
« Tu,
invece, Moony? » domandò Sirius, e, quando Peter e James lo guardarono
shockati, aggiunse: « Oltre… quello ».
Remus
sorrise alla bell’e meglio, almeno per quanto gli era possibile.
« Rimarrò
a letto a leggere, probabile ».
« Tranne a
Capodanno! » esclamarono in coro James e Sirius, lanciandosi poi un’occhiata
complice. « Il Capodanno lo passiamo insieme! »
« E dove?
» chiese giustamente Peter, perplesso e raccomandandosi con se stesso di
ricordarselo e dirlo a sua madre una volta tornato a casa.
« Casa mia
» disse James.
« Abbiamo
già trovato dove prendere l’alcol » aggiunse Sirius, convinto che senza alcol
non si potevano organizzare feste grandiose. « Inviteremo qualche persona per
stare in compagnia e poi ci si scatena ».
« Esatto!
» esclamò James, raggiante, per poi bloccarsi e girarsi verso il proprio amico.
« Aspetta. Qualche persona? Non solo noi quattro? Scusa, ma chi vuoi invitare?
» domandò poi, preso in contropiede, gli occhi nocciola sgranati dietro le
lenti tonde degli occhiali da vista.
Sirius
rimase in silenzio qualche secondo di troppo e Remus seppe la risposta prima
che uscisse dalle sue labbra: « Be’, Mary, magari Frank… ». Si grattò un attimo
la testa, e gli altri ghignarono.
« A
proposito, Pad » ghignò infatti James, sporgendosi verso Sirius. « Cosa c’è tra
te e Mar? ». Doveva sembrare amichevole e gentile, ma Sirius vide perfettamente
il guizzo minaccioso che gli attraversò gli occhi. Dopotutto, James e Mary
erano amici da tanto tempo – era anche grazie a James che Sirius l’aveva
conosciuta, infatti –, e non era mai stato molto confidenziale con i ragazzi di
lei. La trattava come una sorella, come se nessuno dovesse toccare anche solo per
sbaglio la sua migliore amica.
Sirius
sbuffò, fingendosi seccato, mentre in realtà stava solamente cercando di
prendere tempo.
« Che
dovrebbe esserci? » ribatté.
« State
spesso assieme » gli fece notare Peter, con un tono del tutto casuale.
« Sembrate
molto, molto amici » continuò Remus, divertito da quella situazione. Sapevano
benissimo tutti e tre che quel momento sarebbe entrato tra i più imbarazzanti,
per Sirius.
« Molto
più che amici » rincarò James, sorridente ma serio.
« Siete
dei fottutissimi stalker » si lamentò Sirius, girando il viso verso lo
sportello dello scompartimento.
Remus
ridacchiò e lo avvisò: « Non è passata ».
« Chi? »
domandò Sirius per autodifesa.
« Come se
non lo sapessi » rise Peter. « E come se non ne stessimo già parlando, poi ».
James aprì
la bocca per l’ennesima volta, e Sirius pensò che stesse per prenderlo in giro
o cose del genere, ma l’amico lo spiazzò completamente dicendogli: « Tu le
piaci » - Sirius lo guardò inclinando impercettibilmente la testa di lato. « E
lei ti piace. Quindi ehi, non fare cazzate ».
Sirius
rimase in silenzio. Tu le piaci. Era
vero? Lui piaceva a Mary? Pensarlo era… bizzarro, ma lo faceva sentire
euforico. Lo faceva sentire in grado di sollevare tutti e quattro i suoi amici
fino a far toccare loro il cielo. Lo faceva sorridere.
Lei ti piace. Quello sì. Sirius lo
sapeva, che Mary non era come le altre. Perché Mary non aveva una mente
maliziosa, l’aveva avvicinato solo per avere un amico con cui scommettere, solo
perché era simpatico e non perché era Sirius Black, il ragazzo bello e
benvoluto da tutte. Perché Mary, come anche James e Remus e Peter, lo vedeva
per quello che era davvero, e gli voleva bene comunque. In quel suo modo
particolare, lei gli voleva bene. Con quei suoi sorrisi sghembi, pieni di
sottintesi. Con quei suoi occhi azzurri e grandi, che lo guardavano e a lui
pareva di non averne mai visti di così intensi e luminosi. Con quelle sue mani,
che muoveva freneticamente mentre parlava, fendendo velocemente e ripetutamente
l’aria e rischiando più volte di colpirlo senza neanche accorgersene.
Oh, sì,
Mary gli piaceva. Gli piaceva da matti. Lo faceva impazzire. E non perché fosse
bella – e lo era, Mary era bella e lo sapeva, ma non ne faceva poi un gran
vanto, se non per scherzare –, ma perché era così particolare, lo sapeva
cogliere di sorpresa anche con il più banale dei modi e non ci metteva molto a
farlo sorridere.
Mary, la
ragazzina che gli aveva tirato un calcio quando, al primo anno, lui aveva osato
rubarle il posto accanto a James durante la lezione di Trasfigurazione. Mary,
dalla fattura facile e la battuta sempre pronta. Mary, con
la sua folta chioma scura, il sorriso raggiante, allegro, la risata
cristallina. Mary, con
le braccia che sembravano tanto esili ma che quando lo abbracciavano ci
mettevano una forza che tu non avresti detto avrebbero potuto avere. Mary, che
senza neanche volerlo gli era entrata fottutamente dentro, dietro la pelle.
Quando
vedeva una chioma scura qualunque, Sirius non si girava a guardarla per
scoprire se era lei. No, lui i capelli castani di Mary li avrebbe saputi
riconoscere. Come avrebbe saputo riconoscere il collo magro, le spalle dritte,
i fianchi stretti, la vita sottile. Come avrebbe potuto anche solo pensare di
confonderla con qualcun’altra? Solo lei poteva fregarlo con la facilità con la
quale vinceva quasi sempre le loro scommesse.
Merlino. Sono fottuto.
Porca puttana.
I pensieri
gli accavallavano nella testa, ma poi tra le parole affiorava il viso di Mary,
e lui si perdeva tra la linea delle labbra piene, nelle screziature più scure dei
suoi occhi azzurri, sulle piccole e poche lentiggini sulle guance.
Fu James,
dopo quelle che a Sirius erano parse ore intere ma che in realtà erano solo
semplici e banali secondi, ad interrompere il flusso di tutte le sue
elucubrazioni.
« Okay? »
Sirius,
dopo un principale attimo di confusione, annuì. « Okay ».
Dopo aver visto l’amica salutare i suoi genitori e poi andare via, Mary afferrò ancora il proprio baule e si avviò verso l’uscita del binario per Smaterializzarsi.
Aveva fatto giusto qualche passo, quando qualcuno fermò il suo bagaglio, obbligandola a bloccarsi. Girandosi, vide Sirius che, sorridendo, aveva ancora una mano su una delle maniglie del baule.
« Che c’è? » gli domandò, soffocando una risata, allibita.
Sirius lasciò la presa sul baule e lo aggirò, facendo un passo avanti per potersi fermare proprio davanti a lei. Si strinse nelle spalle con nonchalance, e rispose semplicemente: « Volevo salutarti ».
« Oh » disse semplicemente Mary, sentendosi un’idiota subito dopo. Come mi è uscito ‘oh’? Molto intelligente, Mary, complimenti. « Be’, sono felice di non vederti per settimane anche io » aggiunse dopo, con la solita ironia.
Lui sorrise e posò la mano su quella di Mary, che ancora stringeva la cinghia del baule; con le dita, le fece mollare la presa. Mary lo guardò, insospettita.
« Penso che James ti stia aspettando » gli fece notare, vedendo che James, vicino al treno, cercava di attirare l’attenzione di Sirius in tutti i modi possibili, con scarsi risultati.
« Io penso che possa aspettare » ribatté il ragazzo, facendola sorridere.
Sirius, imprevedibilmente, mentre lei stava per dire qualcosa, posò una mano sul fianco coperto dal maglione color panna di Mary, che aveva le labbra socchiuse, e la avvicinò a sé. Poggiò l’altra mano sulla nuca della ragazza, catturandone poi le labbra con le proprie.
Non era come se il mondo intorno a loro si fosse fermato, affatto; sebbene avesse gli occhi chiusi, a Mary sembrò che quello avesse preso a girare ancor più velocemente.
Poggiò le mani sulle guance di Sirius, su cui avvertì un accenno di barba, e si sollevò sulle punte dei piedi più per avvicinarsi maggiormente a lui che per raggiungerlo in altezza.
Era piuttosto… strano. Era strano pensare che loro due erano i Sirius e Mary che solo fino all’anno prima scommettevano su Frank e Alice e altre coppie. Prima di quell’anno, Mary non aveva mai pensato a Sirius in quel modo. Era sempre stato particolarmente attraente e bello, e non si era mai fatta problemi a dirglielo, ma lo aveva visto solo come un amico. Non come… quello.
Sirius fece scorrere la mano dal suo fianco all’altro, circondandole così la vita. Quando si staccò e si raddrizzò, spostò la mano dalla nuca alla spalla di Mary.
Come se avesse sentito tutti i suoi pensieri, disse: « Forse avremmo dovuto scommettere anche su qualcos’altro ».
Mary scoppiò a ridere, allungando poi una mano dietro di sé per riafferrare il baule. Fatto ciò, sorrise ed esclamò: « Già, forse avremmo dovuto ».
Sirius fece per posare di nuovo le labbra su quelle di Mary, ma lei si scansò e lui fu costretto a lasciarla andare e far ricadere le braccia lungo i fianchi.
« Be’, Buon Natale, Sirius! ». Gli lanciò un ultimo sguardo – piuttosto carico di sottintesi –, poi l’ultima cosa che Sirius sentì fu la sua risata prima che la ragazza scomparisse dietro il muro del Binario.
Rimase fermo qualche istante, prima di rendersi conto di sembrare piuttosto sciocco a restare fermo lì a guardare la parete e tornare quindi indietro. Una volta raggiuntolo, James gli batté una mano sulla spalla, allegro.
« Così si fa! » si congratulò infatti, sistemandosi poi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. Ma non aveva finito di parlare – Sirius glielo leggeva negli occhi. « Però lasciati dire che alla fine è stato esilarante, quando tu ti sei avvicinato per baciarla di nuovo e lei se n’è andata ».
Remus, che era appena arrivato insieme a Peter da un punto imprecisato dietro Sirius, scoppiò a ridere, portandosi poi dietro gli altri due. Sirius esibì una smorfia che doveva essere scocciata ed allargò le braccia.
« Bravi, prendetevi gioco di me, traditori! » scherzò.
« Su, non te la prendere » lo rassicurò Peter, prima di aggiungere: « Però ricordami di farle i complimenti, quando la rivediamo ».
Qualcuno
bussò alla porta della sua stanza, e lui si rigirò sul letto per poterla vedere
aprirsi. Sua madre fece il proprio ingresso, con un piccolo, sottile pacchetto
incartato tra le mani.
« Ho una cosa per te, tesoro » disse Charlotte, chiudendosi poi la parte alle
spalle con un gomito. Poi si avvicinò al letto di Remus e si sedette sulle
coperte calde e pesanti.
Cercando di suonare in qualche modo scherzoso, lui rispose: « Non è ancora
Natale, mamma ».
Lei liquidò il discorso sferzando l’aria con la mano libera, prima di porgergli
il pacchetto. Remus quindi si tirò faticosamente a sedere e si tirò a sedere,
poggiando la schiena alla tastiera del letto e posandosi sul grembo il regalo.
Quando stracciò la carta che avvolgeva il pacchetto e vide cosa esso conteneva,
Remus sollevò il viso verso quello di sua madre e le sorrise. Se n’era
completamente dimenticato, ormai, della cioccolateria dove suo madre l’aveva
portato poco dopo che era stato morso. Il ricordo portava ancora un po’ di
dolore, di autocommiserazione, ma il nome del negozio sulla confezione delle
tre tavolette di cioccolata che aveva in grembo gli aveva fatto ricordare anche
come si era sentito bene quel giorno.
« Te lo ricordi, eh? » domandò Charlotte, ridacchiando appena.
« Come…? »
« Sono tua madre » rispose lei, enigmatica, facendolo, per quanto possibile,
sorridere. « Ma come si dice? »
Remus roteò appena gli occhi. « Grazie, mamma, però non ho più cinque anni ».
« E questo cosa vuol dire? » spiò la donna, serissima, prima di sciogliersi in
un sorriso. « Rimani comunque il mio Remus ».
Quando sua madre tirava fuori una di quelle frasi, Remus sentiva la bocca dello
stomaco che si chiudeva. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che, prima di
venir morso, sua madre gliele ripeteva sempre – non che dopo la sua
trasformazione avesse smesso, ma ognuna di quelle frasi era come tornare
indietro e questo a volte era peggio di uno schiaffo in pieno volto. Ad esempio
Remus ricordava perfettamente come sua madre, quando era piccolo, lo chiamasse
“il mio piccolo ometto” e come lui si lamentasse talmente tanto, dicendo di non
essere un piccolo ometto, che lei alla fine scoppiava a ridere e gli
accarezzava la testa e si correggeva con un semplice “il mio Remus”.
Dovette essersi adombrato almeno un po’, perché il volto della madre si fece
quasi immediatamente corrucciato – fronte aggrottata, labbra strette e il
sopracciglio destro leggermente più inarcato del sinistro: la tipica
espressione preoccupata di sua madre.
« Va tutto bene? » chiese infatti Charlotte dopo qualche secondo di
meditazione.
« Certo, perché? » si sentì rispondere quasi in automatico, e fu sicuro di aver
sbattuto le palpebre più velocemente del normale.
Diamine.
Dopo tutto, l’ultima cosa che voleva era mettere in agitazione sua madre.
Soprattutto visto che pochi giorni dopo ci sarebbe stata il plenilunio, il che
per lei era già un pesante fardello da portare sulle spalle magre.
« Hai fatto una faccia… » stava per insistere Charlotte, ma poi sembrò cambiare
idea. « Lascia stare, magari mi sono sbagliata » si bloccò – ma Remus sapeva
benissimo che non pensava di essersi sbagliata. « Preparo la cena. La vuoi
l’insalata? »
Remus, grato per il fatto che la madre non avesse insistito, nonostante tutto
finse un gemito sofferente.
« Sono grande, mamma… »
« Lo prendo per un sì » sorrise – anzi, ghignò – la madre, uscendo dalla stanza
e chiudendosi la porta alle spalle.
Sebbene gli fosse costato una piccola fitta all’addome, Remus le gridò dietro:
« Era un no! » prima di scartare la prima tavoletta di cioccolata.
*
Il buio era calato su Godric’s Hollow già da qualche ora ormai, e le luci babbane brillavano, dietro le finestre, nella notte.
James era sdraiato sul proprio letto, la testa che ciondolava fuori dal bordo e gli occhiali storti come al solito. Stava giocando con il boccino che qualche anno prima aveva preso dopo una partita, mentre Sirius, seduto a terra, insisteva sul fatto che dovevano andare comunque da Remus, indipendentemente da ciò che diceva quest’ultimo.
« Io speravo di andarci almeno il ventisei, per fargli compagnia e aiutare Charlotte, sai » stava ancora dicendo, quando Dorea lo chiamò dal piano di sotto.
« Sirius! C’è una visita per te! »
I due si scambiarono un’occhiata, perplessi: fatta eccezione per sua cugina Andromeda, nessuno aveva mai fatto visita a Sirius. Ma quella volta non poteva essere Andromeda: la ragazza – ormai madre di famiglia – era partita assieme al marito e alla figlia per passare le vacanze con i genitori i suoceri.
« Va be’, scendo, torno subito » disse Sirius, facendo leva sulle ginocchia per alzarsi. Poi squadrò l’altro dall’alto in basso. « Se devi fare pensieri sporchi sulla Evans, metti un calzino sulla maniglia » aggiunse, ghignando, correndo poi fuori dalla porta e chiudendosela alle spalle.
Mentre scendeva le spalle ridendo, sentì il rumore di un cuscino che andava a sbattere contro il legno della porta. Smise tuttavia di ridere quando, non appena mise piede sul pianerottolo, vide suo zio Alphard in piedi vicino alla porta.
Alphard dovette sentirsi osservato, perché dopo qualche secondo – o minuto, Sirius non lo sapeva: non aveva ancora metabolizzato la cosa – si girò verso di lui e gli sorrise. I suoi occhi erano grigi come li ricordava, ma erano contornati da sottili rughe, così come la bocca e la fronte; i capelli non erano più neri come la pece, ma alcuni capelli grigi gli rigavano la folta chioma scura.
« Zio? » gracchiò infine – naturalmente nessuno avrebbe mai saputo di quel suo versetto poco virile.
« Io vado in camera, ho alcune cose da sistemare » sorrise Dorea, avviandosi verso le scale. Prima di mettere piede sul primo gradino, si girò un’ultima volta verso gli altri due. « Buonanotte » disse, e cominciò a salire. Probabilmente James doveva essersi fermato in cima alle scale, perché si sentì la sua voce blaterare qualcosa che assomigliava vagamente ad un « Stavo solo andando in bagno, mamma! »
Sirius ridacchiò tra sé e sé, prima di tornare a prestare attenzione a suo zio – che, d’altro canto, aveva sogghignato per il suo stesso motivo.
« Cosa ci fai qui, zio? » gli domandò, ancora perplesso.
« Ho una proposta, Sirius » iniziò quello. « Mi sono perso molto. I miei viaggi per il mondo mi sono costati cari, e il poco tempo a mia disposizione mi ha impedito di venire a trovare te e tuo fratello spesso come vi avevo promesso. Ma ho intenzione di rimediare ».
Sirius inarcò le sopracciglia scure, ascoltando attentamente ciò che Alphard stava dicendo. Non capiva bene perché suo zio si stesse scusando: se fosse stato nella sua stessa posizione lui non sarebbe mai tornato indietro, probabilmente.
« Cosa vuoi dirmi, zio? » lo esortò a continuare.
« Quanta fretta, Sirius » scherzò Alphard, quasi ridendo e sistemandosi meglio il cappotto puntellato qua e là da qualche fiocco di neve. « Non ci vediamo da così tanto tempo, hai così poca voglia di parlare con me? »
Sirius piegò le labbra sottili in una smorfia al metà tra l’oltraggiato e il divertito. Sin da quand’era bambino, le visite di suo zio Alphard erano sempre state rare e non tropo lunghe – mancava spesso alle vacanze di Natale, e quando c’era non si fermava mai più di qualche giorno prima di ripartire –, e per questo motivo si era comportato come soleva fare anni addietro: cercando di sprecare meno tempo possibile.
« Pensavo avessi poco tempo » si giustificò infatti, scrollando le spalle.
Alphard sospirò e scosse la testa, ma gli angoli delle sue labbra screpolate erano rivolti verso l’alto.
« Ho sempre tempo per mio nipote » disse, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra per poi riposare lo sguardo su Sirius. « E il fatto che io sia qui, ora, ne è la prova » ammiccò. « Ma forse ora è meglio se vado al punto, d’altronde sei sempre stato un ragazzo curioso… »
L’ultima frase pronunciata da suo zio gli riportò alla mente la volta in cui sua madre, sentendo Alphard dire ciò, aveva ribattuto che la curiosità, prima o poi, uccideva tutti. A Sirius a volte, ripensando ai discorsi deliranti di sua madre, venivano ancora i brividi e la pelle d’oca.
« Quindi ecco le tue risposte » continuava intanto lo zio Alphard, facendo qualche passo davanti al caminetto scoppiettante. « Se sono qui, è per farti una proposta. So che ormai Grimmauld Place è… come dire… be’, non è più casa tua ».
« Lo è mai stata? » ribatté quasi rabbiosamente Sirius, senza neanche pensarci.
Alphard si soffermò su di lui qualche secondo più del solito, con quel suo sguardo pieno di sottintesi e un po’ di alterigia. Certamente non poteva negare che Sirius avesse sempre dimostrato un certo disprezzo per le mura in cui era stato tirato su da sua sorella e Orion, ma lui ricordava ancora bene quanto Sirius, da bambino, si fosse trovato bene in quel palazzo con suo fratello.
È davvero un peccato che si siano allontanati così. È una sciocchezza, scommetto che entrambi sentono la mancanza dell’altro ma non sanno come dirselo.
Nonostante ciò, Alphard ignorò il commento di Sirius e continuò il proprio discorso.
« Proprio per questo, volevo proporti di venire a vivere con me. Non ho mai venduto la mia casa qui in Inghilterra, e forse sarà un po’ da risistemare, ma in due sarà più facile rimetterla in sesto rapidamente ».
Quando finì e spostò nuovamente gli occhi su suo nipote, Alphard capì che se Sirius si fosse aspettato qualcosa, di sicuro a quella non ci aveva pensato. Aveva la bocca socchiusa e gli occhi leggermente sgranati – il tipico aspetto di chi è stato preso contropiede.
« Mi stai seriamente invitando a vivere a casa tua? » domandò infatti il ragazzo, sbalordito e perplesso. « Insomma, zio… non ti conviene. Hai idea di ciò che farà mia madre » - Alphard notò chiaramente la difficoltà con cui Sirius pronunciò le ultime due parole. « quando lo verrà a sapere? Ti cancellerebbe dall’arazzo, saresti un reietto… come me ».
« Personalmente » sorrise Alphard. « penso che lo farebbe anche se solo venisse a sapere di questa mia visita. Ma vedi, Sirius, a volte non bisogna pensare a cosa si perde, ma a cosa si guadagna. E io guadagnerei, anche se per poco tempo, della gradita compagnia, al di fuori di Milly ».
Sirius ci mise un po’ a ricordarsi di Milly: tornando indietro, l’immagine di un elfo domestico dall’espressione molto più dolce di quella di Kreacher gli balenò davanti agli occhi. Milly era ancora solo un’immagine confusa nella sua testa, ma a Sirius sembrava di ricordare di un giorno in cui lui e Regulus avevano fatto cadere un vaso e lei se n’era presa la colpa senza che lo chiedessero.
« Ne sei sicuro? » gli domandò ancora, titubante. Un po’ si sentiva anche in colpa a lasciare James e la Signora Potter, perché loro per lui ci erano sempre stati, ma dall’altra parte la cosa che più desiderava era ricongiungersi con qualcuno della propria famiglia, della propria infanzia. Sentirsi, almeno in parte, di nuovo il bambino di un tempo – e la casa di zio Alphard, dove lui aveva spesso trascorso qualche giorno durante le vacanze, era il luogo perfetto.
« Se non ne fossi sicuro non te lo chiederei, Sirius, mi conosci » sorrise Alphard, avvicinandosi di nuovo alla porta di casa e prendendo il proprio cappotto dall’appendiabiti. « Ora mettiti la giacca e seguimi fuori ».
« Non posso andarmene senza dire nulla! » protestò Sirius, allibito, guardando poi i suoi abiti e pensando che anche se avesse parlato con James e Dorea non sarebbe ugualmente uscito in pigiama.
« Non ce ne stiamo andando, ti devo solo far vedere una… » - Alphard parve soppesare le parole. « una sorpresa ».
« Un’altra? »
Alphard annuì, e, indossato il cappotto, uscì dalla porta. La lanterna sopra il portone illuminava parzialmente sia lui che il pianerottolo su cui si trovava. L’uomo scese i gradini e, una volta posati i piedi sui ciottoli del vialetto, si girò verso di lui, non senza lanciargli prima uno sguardo che voleva dire ‘seguimi subito’.
Sirius non se lo fece ripetere ancora e si scapicollò fuori dalla casa, indossando la giacca alla bell’e meglio. Quando lo ebbe raggiunto, lo zio gli parlò di nuovo.
« Dorea mi ha detto che hai una passione per i veicoli babbani, è vero? »
Lui annuì, non capendo dove lo zio volesse andare a parare. Nel frattempo, il sorriso sul volto di Alphard si allargò maggiormente.
« E che le motociclette sono le tue preferite, è vero anche questo? » - Sirius annuì ancora, mentre girava la strada insieme allo zio. « Allora ho fatto bene ».
« A fare cosa? » domandò ingenuamente Sirius, le sopracciglia inarcate.
« A prenderti questa » rispose Alphard, indicandogli il muretto fatto in pietra davanti a loro.
Quando Sirius vi posò lo sguardo, gli mancò l’aria per un paio di secondi. Davanti a lui c’era una delle motociclette più belle del suo catalogo – una Harley Davidson, quella di cui spesso aveva parlato con Frank. Si avvicinò al veicolo e ne accarezzò il metallo con i polpastrelli della mano destra; la carrozzeria era perfettamente lucida e pulita, non c’erano macchie d’olio e neanche graffi superficiali. Il sellino era lungo e nero, mentre dal manubrio partivano gli specchietti retrovisori laterali metallizzati e tondi come piacevano a lui – quelli rettangolari gli davano un po’ ai nervi, non sapeva bene perché.
« È bellissima, zio, grazie » esclamò, senza curarsi di mantenere un tono di voce basso.
« Con tutto il tempo che sono stato assente questo è il minimo, davvero » gli sorrise, per poi avvicinarsi alla moto ed indicargli un bottone luminescente vicino ai freni che lui prima non aveva notato. « Ho apportato qualche piccola modifica: ora può anche volare, basta che premi qui ».
« Sul serio? » chiese, estasiato.
Alphard, dopo essersi guardato attorno per essere certi che non ci fosse nessun altro a parte loro, annuì e disse: « Sì, ma devi stare attento. Devi volare alto, perché i Babbani non sono abituati a vedere delle moto che volano. Con il bottone rosso accanto a quello del volo puoi renderla invisibile, ma ti conviene usarlo solo per decollare o atterrare dato che consuma molto carburante ».
A Sirius venne quasi da ridere, ma poi si trattenne e si risolse ad abbracciare zio Alphard – l’unico che, in famiglia, l’avesse sempre capito.
Una moto che vola. Un’Harley che vola. E diventa invisibile. Oh, Merlino, lo devo dire a James!
Le piaceva quel posto, la faceva sentire protetta. Quando era in casa, difficilmente si sentiva molto in pericolo.
Sospirando, Mary posò le dita sui tasti e cominciò a suonare lentamente, cercando di riprendere la mano con il ritmo del brano che stava suonando – era il suo preferito, e ogni volta che tornava a casa dopo i mesi scolastici ricominciava a suonare con quello.
Le note, leggere e dolci, cominciarono a riempire il grande salotto, fino a poco prima colmato solo dallo scoppiettio del fuoco che ardeva nel camino. Ormai neanche guardava più lo spartito: dopo aver preso il via, le note le erano tornate alla mente senza neanche il minimo sforzo.
Mentre le sue dita si muovevano piano sulla tastiera, Mary cercava di rimettere un po’ in ordine i propri pensieri. Da una parte c’era la Lily migliore amica, quella forte e impavida; dall’altra la Lily sorellina, da dover proteggere e difendere. Poi c’era Sirius che prima era un semplice migliore amico e forse qualcosa di più. Poi suo padre che sembrava strano. Poi…
« Ti interrompo? »
Nonostante fosse abituata alle sue entrate ad effetto, Mary quasi sobbalzò sulla sedia. La risata, proveniente da dietro di lei, che ne conseguì la fece ridere a sua volta. Dimenticandosi del brano che stava suonando, si girò e sorrise a suo fratello maggiore Richard, che era appoggiato allo stipite della porta e continuava a ridere tranquillamente.
Si alzò in piedi e gli si avvicinò quasi di corsa per poterlo abbracciare; Richard non si fece pregare e la accolse tra le sue braccia senza neanche pensarci, scoccandole un bacio trai capelli e stringendola forte.
« Mi sei mancato » mormorò Mary, posando il mento nell’incavo del suo collo. « Perché ieri non c’eri? »
« Dovevo lavorare » rispose evasivamente Richard, ma Mary non ebbe il cuore di dirgli che tanto lei sapeva benissimo cosa facesse per lavoro.
« Sono sicura che sei stato bravissimo » disse quindi, staccandosi da lui e guardandolo negli occhi – azzurri come i suoi. « Dove siete andati? »
Richard allontanandosi dall’entrata e camminando fino al lungo divano di pelle, su cui si stese tranquillamente, rispose: « A sud. Ci avevano segnalato un gruppo di lupi mannari, ma non abbiamo trovato nulla, solo qualche impronta ».
Mary annuì e andò a sedersi su una poltrona a gambe incrociate, tentando di mascherare il sollievo – non poteva sapere cosa sarebbe successo se avessero trovato davvero il branco. Capì di aver aggrottato le sopracciglia – come faceva sempre quando era nervosa – quando vide suo fratello sospirare, a metà tra il divertito e il rassegnato.
« Che ho fatto? » gli chiese, facendo finta di nulla e allargando le braccia.
« So badare a me stesso » disse Richard, lanciandole un’occhiata eloquente e facendole incassare il colpo a testa bassa.
« Mi preoccupo solo per te » si difese Mary a voce bassa, leggermente contrariata.
Richard si tirò su a sedere sul divano, si sporse in avanti, verso di lei, e prese a parlare nuovamente, calmo e tranquillo come era sempre: « Lo so, ma non ce n’è bisogno. Sono un Auror, so cavarmela, tu devi stare tranquilla. Non mi capiterà niente. Okay? »
Mary avrebbe voluto dirgli che le sue parole non servivano a niente: se si fosse trovato nei guai, parole come quelle sarebbero state vane ed inutili. E lei si sarebbe preoccupata comunque, sempre. Come avrebbe potuto non farlo? Era suo fratello, una delle persone più importanti di tutta la sua vita; c’era sempre stato, pensare che un giorno avrebbe potuto non esserci era qualcosa che la terrorizzava enormemente.
Vedendolo lì, sul divano, con i capelli biondi spettinati e gli occhi accesi, Mary non poteva immaginare quella casa vuota. Perché senza Richard sarebbe stata effettivamente vuota. Se c’era casino, era per Richard. Se si rideva, era per Richard. Richard era… fondamentale. Per tutti, per lei.
« Se ti succede qualcosa, io cosa faccio? » sbottò, al limite. Non solo Lily doveva farle quei discorsi: ora anche suo fratello? Non ci stava. « Cosa faccio? »
« Ehi, ehi » mormorò Richard, andando a sedersi sul bracciolo destro della poltrona. « Sta’ calma. Non dire così, perché potrei offendermi » continuò, serissimo.
« Scusa? » sibilò Mary, gli occhi ridotti a due fessure. Lui si sarebbe dovuto offendere? Era sinceramente allibita, e le ipotesi erano due: o suo fratello era impazzito all’improvviso, o lei si era persa parte del discorso.
Sì, ma io non mi sono persa nessuna parte del discorso, quindi…
Richard raddrizzò la schiena, le posò una mano sulla spalla e la guardò fissa negli occhi. Dunque aprì la bocca e le diede fiato: « Stai dubitando di me. A me non può succede niente. Io sono invincibile, ricordi? »
Mary sgranò gli occhi e sentì salirle dentro una grande voglia di prenderlo a pugni su quel dannato petto che aveva, ma alla fine si sentì solo scoppiare a ridere e abbracciarlo stretto.
Dalla cucina arrivava il rumore metallico delle posate e dei piatti che venivano posati e sciacquati nel lavandino, segno che sua madre non lo aveva sentito aprire la porta di casa e che si stava ancora affaccendando in casa.
Proprio per questo, Peter chiuse la porta facendo appena un po’ di rumore – il giusto perché sua madre capisse che era arrivato – ed esclamò al vuoto del corridoio: « Sono a casa! »
Il tintinnio delle posate smise subito di riempirgli le orecchie e, al suo posto, si udirono dei passi veloci e leggeri che si muovevano; poco dopo comparve la figura minuta di Annabeth Minus sulla porta della cucina. La donna, non appena lo vide, gli sorrise dolcemente e corse ad abbracciarlo con affetto.
« Peter! » esclamò, scoccandogli due baci sulle guance. « Come stai? È andato bene il trimestre? »
Peter sorrise per l’interrogatorio di sua madre, e, quando questa lo lasciò andare, rispose: « Tutto bene, i primi mesi sono praticamente volati… »
Nel dirlo, si rese conto di quanto fosse effettivamente vero: quei quattro mesi erano davvero volati, e lui quasi se n’era accorto.
« Ora mi racconterai tutto, vieni in cucina che ti preparo un tè! » chiocciò Annabeth, precedendolo verso la cucina.
Quando Peter entrò in stanza, lei stava già mettendo su l’acqua per il tè. Sua madre tirò fuori due tazze – una rossa e una blu – dalla credenza e le posò sul tavolo; dentro ad ognuna infilò un filtro di tè alla cannella, il loro preferito.
« Allora » riprese il discorso Annabeth, ancora in piedi ad aspettare che l’acqua bollisse. « Novità? »
« Be’, insomma… » rispose Peter, grattandosi il collo con la mano sinistra. « Poche. Sai che sono migliorato in Incantesimi? Se mi impegno potrei prendere una O! »
« Sapevo che ce l’avresti fatta, sei un ragazzo intelligente, Peter » lo lodò sua madre, sorridendo. Peter pensava che sua madre avesse davvero un bel viso, e che quando sorrideva diventasse ancora più bello. Aveva il volto ancora lievemente paffuto, le labbra a cuore e il naso un po’ lungo; i capelli biondi le cadevano sulle spalle e le incorniciavano il volto con dolcezza. Non era molto alta, infatti lui la superava di quasi dieci centimetri.
« E i tuoi amici? Stanno bene? » gli chiese ancora Annabeth, prima di girarsi verso la teiera. Spense il fuoco, indossò un guanto e versò dell’acqua in entrambe le tazze; l’acqua cominciò immediatamente a colorarsi.
Peter si rabbuiò appena e abbassò il capo sulla tazza che sua madre gli mise tra le mani; dal filtro di tè uscivano sottili fili scuri in cui, per un momento, si perse. Subito dopo rialzò lo sguardo sua madre, che lo guardava in attesa di una risposta, e si strinse nelle spalle.
« Più o meno » rispose, poco convinto. Effettivamente per nessuno di loro era stato un bel periodo, soprattutto per James.
E ora tocca anche a Remus… Decisamente non è l’ultimo anno che ci aspettavamo.
« Come mai più o meno? » indagò ancora Annabeth – sua madre era sempre stata un po’ pettegola.
Peter tentennò un attimo: non sapeva bene se dirle del padre di James – di Remus non le avrebbe detto niente, dopotutto sua madre non sapeva nulla della sua natura licantropa. Alla fine pensò che forse era meglio dire la verità, piuttosto che farsi scappare qualcosa dopo e all’improvviso.
E almeno non farebbe le solite domande del tipo “come stanno i tuoi?” quando mi verranno a trovare… Sarebbe imbarazzante.
« Be’… » bofonchiò. « Il padre di James è… ecco, è morto… A novembre. Non è stato un periodo facile ».
Dall’espressione che comparve sul viso di sua madre, Peter capì che quella fosse una delle poche cose che non si aspettava. Poteva capirla, alla fine: anche lui era rimasto scioccato, quando aveva letto l’articolo sulla morte di Charlus Potter. Lui però poteva anche capire James: avendo perso suo padre anni addietro, Peter sapeva benissimo cosa si provava.
« Non dev’essere stato facile per lui » disse Annabeth a voce bassa e roca – probabilmente anche lei aveva pensato a suo padre Leonard.
Dopotutto Peter sapeva che sua madre non lo aveva mai dimenticato. Sulla mensola sopra al camino le cornici erano piene di foto, e nella maggior parte di queste uno dei soggetti era proprio suo padre. La preferita di sua madre era quella scattata in un mercatino di Liverpool dove lui, piccolo, era sulle spalle di suo padre e giocava con il suo cappello.
« Va tutto bene, mamma » le sorrise, bevendo un sorso di tè alla cannella. Pensò che la terza tazza era in quella credenza da anni, ormai, e la cosa lo rattristò un po’.
« Sì, lo so. Vuoi dei biscotti? »
I suoi stavano parlando al piano di sotto, e, dopo aver appoggiato il muro ai piedi del proprio letto, Lily si fermò un attimo ad osservare la stanza. Il rosa delle pareti si era sbiadito così tanto che in alcuni punti sembrava quasi bianco, ma alla fine non le dispiaceva così tanto, visto che il rosa erano uno dei colori che più odiava e che meno le donavano – come diceva sempre Miriam, faceva davvero a pugni con il suo colore di capelli.
Le foto attaccate al muro con lo scotch si erano ormai un po’ rovinate, a parte quelle magiche, che però erano quasi tutte nuove con i loro soggetti che si muovevano per la foto senza fermarsi e regalando sorrisi a tutti. I libri negli scaffali erano leggermente impolverati, ma a quello ci avrebbe pensato dopo, decise mentre usciva dalla stanza.
Al piano di sotto, suo padre era seduto sul divano e sua madre al tavolo della cucina ad impacchettare gli ultimi regali; si scambiavano di tanto in tanto qualche commento sul tempo o su “secondo te cosa devo scrivere nel biglietto per la cugina Lucy?”. Petunia, nel frattempo, era appoggiata al muro e parlava concitatamente al telefono, arrotolandosi il filo della cornetta intorno alle dita lunghe.
Per sbaglio pestò con il piede un rotolo di scotch – che doveva essere scivolato a sua madre dal tavolo – e automaticamente attirò lo sguardo dei presenti su di sé.
Mentre Petunia le fece un semplice cenno con il capo, sua madre le chiese:
« Hai finito di mettere tutto a posto? »
« Be’, non proprio tutto » minimizzò, toccandosi le punte dei capelli con le dita. « Quasi ».
Suo padre, che “io la conosco bene, la mia bambina!”, alzò gli occhi dal giornale per farle l’occhiolino e commentare tra una risata e un’altra: « Tutta suo padre! »
La madre roteò gli occhi e sbuffò, ma Lily era sicura di averle visto tremare appena gli angoli delle labbra – sin da piccola le era sempre piaciuto vedere come i propri genitori facessero di tutto pur di darsi contro, senza mai però fare sul serio. Se ci pensava bene, effettivamente, l’unico vero litigio dei suoi genitori risaliva a quando lei aveva undici anni ed erano addirittura finiti con il tirarsi l’insalata – all’inizio si era sentita in colpa, dato che avevano litigato perché non erano stati entrambi subito d’accordo con i lasciarla andare a studiare ad Hogwarts.
Pensando a tutto ciò, Lily si sedette sulla poltrona accanto al fuoco, e quando riposò lo sguardo sui propri genitori non poté fare a meno di pensarci: lei non aveva detto loro niente, loro non sapevano nulla. Della guerra, delle sparizioni, delle morti… Ma come poteva dirglielo? A Natale, poi? Non poteva farlo, ma non poteva neanche aspettare ancora per molto.
Devo trovare il momento giusto. Se c’è un momento giusto per dire certe cose.
Fu, stranamente, sua sorella a evitarle altri pensieri del genere. Quando attaccò il telefono e si avvicinò a sua madre, infatti, Lily catalizzò su di lei tutta la sua attenzione. Aveva i capelli in disordine e gli occhi di chi è palesemente innamorato di qualcuno.
« Mamma, posso invitare Vernon da noi per Natale? » domandò, la voce più trillante e allegra che Lily le avesse mai sentito e un sorriso raggiante.
Dovrebbe sorridere più spesso. L’aria da musona eternamente insoddisfatta non le dona per niente.
« Be’, certo » rispose flebilmente Susan, non del tutto convinta. Era palese che suo madre avesse ancora delle perplessità su Vernon – dopotutto Susan aveva sempre voluto il cosiddetto ragazzo perfetto, per le sue figlie, al contrario di Anthony, che invece le voleva semplicemente vedere felici.
E ora che si parla di ragazzi…
« E tu Lily? » interloquì infatti sua madre, curiosa, mentre Anthony lasciava perdere il giornale per ascoltare la conversazione appena iniziata. « Ragazzi? »
Lily si limitò a scrollare le spalle e a scuotere la testa – cosa che parve rincuorare notevolmente suo padre. Lui la vedeva ancora come la sua piccola bambina, sebbene avesse appena tre anni meno di Petunia.
« Ma come, nessuno? » insistette Susan, sorpresa. « Sei una così bella ragazza… » continuò, mentre Petunia sembrava piuttosto interessata all’argomento. Lily non avrebbe saputo dire se la questione le interessasse perché lei aveva qualcosa che a Lily mancava o perché le voleva bene.
« Sto bene così » rispose semplicemente Lily. « Non ho bisogno di un ragazzo ».
Non voglio un ragazzo.
Sarebbe stata una cosa troppo difficile da gestire: la scuola, le amiche, la guerra, gli attacchi, i doveri… Non poteva incasinarsi ancora di più facendo entrare un ragazzo nella propria vita. A che pro, poi? Avere un ragazzo comportava l’aprirsi a lui, rendersi più deboli e vicini alla rottura. Era l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento. Altri pensieri per la testa no, assolutamente no.
« Ma non bisogna mai dipendere da un ragazzo » disse Susan – che naturalmente non sapeva perché non volesse o non avesse bisogno di un ragazzo. « Sto solo dicendo che a volte avere qualcuno che ci sostiene può aiutare. Ci si sente… più amati, penso. Io ormai ho dimenticato come mi sentivo prima di incontrare vostro padre » concluse, e si perse nei ricordi della sua ormai passata gioventù.
« Che bei ricordi » commentò semplicemente Anthony, tornando poi al suo giornale con il sorriso sulle labbra.
*il pezzo
su Sirius che si allontana da Remus e i problemi in famiglia sono ispirati alla
“Twenty things James Potter knows about Sirius Black”, di guns_and_butter.
Okay, potete menarmi, non ve lo impedirò. Sono sparita per… insomma, non mi
faccio viva da luglio. Vi basti sapere che sto avendo un anno scolastico
orribile, ma che vi prometto – no, stavolta sono seria – che questa storia
continuerà e che presto aggiornerò di nuovo. Sicuramente durante le vacanze
avrete un capitolo, se riuscirò a fare un miracolo anche due, ora vedrò. Spero
di poter riprendere con il sistema ‘una settimana sì, una settimana no’, così
da rimettermi in pari anche con l’altra mia Long.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, fatemi sapere se c’è ancora qualcuno qui
o se ormai sto parlando da sola! Ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.
A presto,
Alessia