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Autore: Ale san    10/12/2012    1 recensioni
Ottantesima edizione degli Hunger Games.
Tratto dal primo capitolo:
“Adesso è arrivato il momento di scegliere il tributo maschio. Vediamo un po' chi è il fortunato.” Ridacchiò.
Fortunato.
Certo, come no: te lo faccio vedere io il fortunato.
Pescò il foglietto e questa volta fui io a sussultare e a stringere con forza la mano della mia migliore amica, questa volta fu lei che dovette assicurarmi.
“Tranquillo, tesoro. Se è andata bene a me, andrà bene pure a te.”
“Sì, hai ragione.” Sussurrai.
La paura scese solo leggermente: nonostante Sally fosse una ragazza che aveva la capacità di rassicurare le persone con poche parole, quella volta proprio non ci riuscii.
Com'era possibile farlo, sapendo che potresti essere scelto per andare a morire?
“Il fortunato tributo maschio è Alwin Mellay.”
Tutto tacque.
Il mio cuore perse un battito e per un attimo crebbi di svenire.
Sally, la quale aveva gli occhi sgranati, e tutti gli altri ragazzi si voltarono verso di me.
Alwin Mellay, Alwin Mellay, Alwin Mellay.
Aveva detto proprio Alwin Mellay, non me l'ero sognato.
Sudai freddo: Alwin Mellay ero io.
(Fanfiction slash, la quale tratta di un rapporto omosessuale fra due ragazzi. Se non vi piace il genere, go away.)
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Until the end


Capitolo due, Capitol City



Ebbene, eccola lì.
Capitol City si rifletteva nei miei occhi azzurri in tutta la sua maestosa grandezza.
Capitol City era sinonimo di ricchezza, fama e potere.
Capitol City era sinonimo di morte per molti ed io ero uno tra questi sfortunatamente.
Gettai un'occhiata ad Alixias, la quale per tutto il tempo non aveva detto una parola e fissava ostintamente il passaggio che scorreva velocemente. 
Decisi di fare un po' di conversazione, tanto per vedere che tipo di ragazza era: a giudicare dal suo sguardo e dai suoi modi di fare, non doveva essere molto simpatica o socievole.
«Ehm, allora.. come va?» Le chiesi la prima cosa che mi viene in mente. 
La ragazza si voltò verso di me e mi rivolse uno sguardo duro e freddo che mi fece a dir poco rabbrividire.
Se fosse stato possibile uccidere con un solo sguardo, io sarei già all'altro mondo a quest'ora.
Che poi, cos'avevo chiesto di male?
Ero stato pure gentile!
Alixias si ostinò a non rispondere e riprese ad osservare la città con tutto il disprezzo che provava verso di essa. 
«Siamo arrivati!» Ci annunciò quella vecchia megera di Cathleen, che si affacciò dall'altro vagone in cui c'era anche il nostro mentore: Marcus Dale.
Quest'ultimo, oltre ad avere un grande coraggio, aveva avuto anche molta astuzia e fortuna: era riuscito a sopravvivere agli Hunger Games per un soffio.
Ormai era un eroe nel nostro Distretto e lo sarebbe sempre stato.
Tutti, compreso me, lo ammiravano, le ragazze cadevano ai suoi piedi manco fossero schiavi al servizio del proprio padrone -perché, sì: oltre ad essere forte, astudo e determinato, era anche bello- e i tutti i genitori avrebbero pagato oro per avere un figlio come lui.
Il treno si fermò bruscamente e per poco non andai a sbattere contro il vetro del finestrino.
Sbuffai irritato e, senza degnare di uno sguardo Alixias, mi alzai dalla poltroncina comoda e uscii dal treno insieme agli altri.
«Mi raccomando: salutate e mostratevi sempre sorridenti. Al pubblico, soprattutto agli sponsor, piace.» Ci consigliò Marcus, mettendosi subito all'opera ed esibendo il suo bellissimo sorriso con tanto di mano che salutava ogni presente.
«E a che serve? Tanto moriremo comunque.» Commentò gelida Alixias. 
Io, Marcus e Cathleen ci girammo verso di lei e la fulminammo con lo sguardo: era anche pessimista, oltre che fredda e antipatica.
«Non devi mai dire una cosa del genere, chiaro?! Specialmente in loro presenza! Voi non immaginate quanto possano essere cattivi. Più vi mostrate sorridenti e determinati e più avrete possibilità di vincere. Più mostrate ostilità e freddezza come la qui presente," indicò la ragazza accanto a me che sbuffò scocciata e incrociò le braccia al petto. «E più avrete meno possibilità.» Concluse il discorso il nostro mentore, mentre intanto ci avviavamo verso l'albergo in cui avremmo alloggiato fino all'inizio dei "giochi".
«Prima di andare in albergo dobbiamo prima andare in un altro posto.» Disse Cathleen.
Deglutii: ero spaventato, ma cercavo di non farlo vedere.
Odiavo mostrare le miei paure e i miei timori agli altri, soprattutto se quest'ultimi erano estranei.
«Dove dobbiamo andare?» Chiese Alixias. 
«Adesso lo vedrete.»
Qualche minuto dopo eravamo in una specie di ospedale, con tanto di pareti bianche -che tristezza-, stesi su dei lettini e ci stavano facendo la ceretta, che era molto dolorosa.
Mi misi una mano sulla bocca e cercai di non urlare, mentre qualche lacrimuccia di dolore mi scese sul viso.
«Che sensibile che sei, ragazzino.» Commentò un'estetica sarcastica e tirando ancora più forte di prima per farmi provare più dolore: che bastarda.
Non resistetti a tutto quel fastidio e mi uscii fuori un urlo strozzato, che fece molto divertire la donna. 



La stilista, Johanna, una donna grassotella sulla quarantina, fissava me e Alixias con sguardo attento, squadrandoci dalla testa ai piedi.
Mi sentivo umiliato e ridicolo con addosso quei vestiti. 
Io e Alixias indossavamo un lungo abito ricoperto di diamanti puri -veri al cento percento-, mentre al lato della testa spiccava brillante una stella oro. 
Alixias era davvero bella con quegli abiti, ma io... mi sentivo tanto un fenomeno da baraccone. 
«Siete perfetti!» Schioccò le dita eccitata e per poco non si mise a piangere da quanto era commossa.
Io e la ragazza ci guardammo come per dire «questa è matta» ed effettivamente lo era davvero.
Magari ci aveva messo tanto impegno a fare questi vestiti e okay, ma almeno poteva cercare di non farli così... appariscenti, ecco.
Troppo appariscenti.
Il mentore e Cathleen entrarono nella stanza e ci osservarono soddisfatti: ma che gusti avevano fra tutti?
«Non mi dite che piace pure a voi... » Ruppe il silenzio Alixias con il suo solito tono di voce distaccato: mi chiedevo perché si comportasse così.
Va bene che non era una bella cosa -non lo era affatto, effettivamente- sapere che presto potresti morire, ma almeno un po' di ottimismo ce lo dovrebbe avere e cercare almeno di "godersi" questi ultimi giorni di libertà.
«State bene e niente opposizioni, chiaro? Farete furore! Adesso andiamo, su.» Cathleen ci prese per il braccio e ci trascinò verso i carri, sui quali avremmo dovuto esporci al pubblico. 
Non mi piaceva dover attirare tutta quell'attenzione, ma se era per una buona causa -come quella di dover fare colpo sugli sponsor, ad esempio- sì.
Salimmo sul carro -sentivo il mio cuore battere così forte che da un momento all'altro sarebbe uscito dal petto, me lo sentivo- e andammo incontro al nostro destino.
I carri andavano in ordine di Distretto, perciò noi eravamo gli ultimi della fila.



Il giorno dopo aprii gli occhi molto lentamente e di controvoglia ed osservai l'ora sulla sveglia digitale: segnava le sei del mattino.
Era presto -fin troppo presto per i miei gusti-, ma dovevo svegliarmi per andare agli allenamenti.
Gli sponsor e i cittadini fortunatamente erano rimasti molto stupiti dai nostri vestiti e dal nostro comportamento: avevamo -sì, stranamente anche Alixias- sorriso tutto il tempo e salutato orgogliamente tutti i presenti con la mano.
Dovevo continuare così.
Perciò mi lavai velocemente e mi misi la tuta apposta per gli allenamenti.
Era fastidiosa, ma efficace.
Mangiai solo metà croissant vuoto: non avevo molta fame.
Ero molto nervoso e lo stomaco mi si era chiuso per l'ansia e la preoccupazione: avrei fatto la conoscenza degli altri tributi.
Chissà che tipetti erano, ero davvero curioso di conoscerli.
Arrivai nel centro addestramento in orario e vidi già alcuni tributi -non tutti, ovviamente- intenti ad allenarsi duramente.
Fra questi, ovviamente, c'era anche Alixias, la quale mostrava fieramente il suo arco e svolgeva esercizi di ogni tipo: dalla corsa al tiro con l'arco.
Aveva uno sguardo molto determinato e si vedeva da subito che era una tipa tosta e con tanta forza di volontà.
I tributi presenti, alla mia entrata, si voltarono verso di me e mi squadrarono dalla testa ai piedi.
Io, d'altro canto, mi sentii terribilmente a disagio: non mi piaceva quando le persone mi fissavano in quel modo.
Mi mettevano soggezione e mi facevano sentire in imbarazzo.
Sospirai e camminai verso di loro con un sorriso stampato sulle labbra.
«Buongiorno a tutti. Io mi chiamo Alwin Mellay e provengo dal Distretto dodici. So che a voi forse non interesserà più di tanto, ma ci tengo a farvi sapere che farò del mio meglio pur di non perdere.» Feci quel discorso con tutti gli occhi puntati su di me e senza smettere di sorridere.
All'apparenza ero calmo, ma dentro ero pronto ad esplodere per l'agitazione.
Alcuni tributi, che stavano in gruppetto -evidentemente si erano alleati-, ridacchiarono e mi guardarono con disprezzo.
«Pff, novellino.» Commentò una sottospecie di armadio altro quasi due metri e con un corpo muscoloso da far paura: come avrei pensato lontanamente di poter competere con uno come lui?
Almeno che uno non lo faccia fuori al posto mio, ovviamente.
Non risposi alla sua provocazione e cominciai ad allenarmi con impegno: dovevo mettercela tutta.
Non dovevo arrendermi: quello era il mio destino e dovevo rassegnarmi all'idea.
Cominciai con una corsa veloce per riscaldarmi, feci un po' di stretching per riscaldare i muscoli e dopo arrivai alla mia specialità: il coltello. 
Presi l'oggetto fra le mani, stringedolo saldamente, mentre la lama fredda di esso luccicò.
Riuscivo a manovreggiarlo bene solo se riuscivo a concentrarmi, solo che l'unica pecca era che c'era molta confusione nel campo d'addestramento e facilmente sarei riuscito ad estraniarmi dai rumori che mi circondavano.
Guardai la ragazza -credo del Distretto otto- che mi sorrise incoraggiante.
Era come se volesse dirmi: «Mi è piaciuto il tuo discorso. Sei un tipo in gamba. Fai vedere loro chi sei.» 
Sembrai leggerla nel pensiero e annuii, ricambiando il suo sorriso.
Chiusi gli occhi, perciò, e cercai di concentrarmi al massimo: dovevo solo pensare che in quel momento c'ero solo io, il coltello ed il bersaglio.
Nessun altro.
Non mi resi nemmeno conto di aver aperto di scatto i miei occhi azzurri e tirai l'oggetto, il quale non colpì il bersaglio per un pelo.
Sospirai deluso: avevo fatto la figura del deficiente.
Sarei diventato lo zimbello fra i tributi.
Strinsi i pugni fino a far diventare le nocche bianche e sentii alle mie spalle delle risatine che, ovviamente, erano rivolte a me -a chi, sennò?-.
«Visto? Ve l'ho detto io che è un novellino. Ci metteremo poco a farlo fuori, vedrete.» Disse sempre il solito armadio di prima, alzando la voce, intenzionato a farmi sentire le parole che stavano uscendo crudeli dalla sua bocca.
A quel punto la mia pazienza oltrepassò la soglia del limite: la rabbia mi acceccò e non ci vidi più.
Con uno sbalzo violento scattai verso di lui e, nel momento in cui stavo per colpirlo, un ragazzo si mise davanti a me.
Fermai il pugno per aria e sgranai gli occhi per quell'improvviso intervento che proprio non mi aspettavo.
«Non dar loro retta. Sono solo dei palloni gonfiati che si credono di essere chissà chi. Tu sei meglio di loro, fidati.» Mi rassicurò con le sue parole e con il suo sorriso -Dio, il suo sorriso- e mi consegnò il coltello: come diavolo aveva fatto?
Neanche mi ero accorto, da quanto ero accecato dalla rabbia, che aveva estratto l'oggetto per consegnarmelo.
Il ragazzo in questione apparteneva al Distretto uno: era alto di me di un paio di centimetri, i suoi capelli erano color pece ed i suoi occhi, così grandi, belli e lucenti, erano di un bellissimo color verde prato. 
Sembrava un Dio greco e non scherzavo: forse il più bel ragazzo che abbia mai visto.
«Grazie.» Sussurrai, abbassando lo sguardo imbarazzato.
«Figurati. Harry Judge, piacere.» Mi allungò la mano.
Ci stringemmo le mani, sorridendoci.
Si chiamava Harry, dunque.
Che bel nome.
Come avevo fatto a non notarlo prima?
«Io sono... »
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che Harry mi interruppe, sorridendo e scuotendo la testa.
«So già come ti chiami Alwin,» calcò sul mio nome. «Ho sentito prima la tua presentazione.»
«Ah.» Commentai solamente: il mio cervello era andato completamente in tilt davanti a lui.
Harry.





Bene, eccoci qua anche con il secondo capitolo!
Mi scuso infinitivamente per l'immenso ritardo nell'aggiornare, ma ho avuto degli impegni (scuola, amici, ecc ecc) e non ho avuto il tempo di aggiornare la storia! :)
Non c'è molto da dire, a dir la verità.
Anche questo capitolo è un po' cortino -non sono molto soddisfatta, a dir la verità-, ma che comunque, insieme al primo, serve per fare un po' da introduzione. 
Ringrazio di nuovo lottieeverdeen per aver recensito il primo capitolo e Aliensl e __Just__Me__ per aver messo la storia nei preferiti! <3
Mi fa davvero piacere ragazze, dico davvero! :')
Beh, che dire?
Non c'è più nient'altro da dire... xD
Al prossimo capitolo! 
Un bacio,
Ale san



  
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