Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: jaybird    12/12/2012    2 recensioni
« … Arthur? Che stai facendo? »
« Assecondo il mio Karma. »
« … Non dirmi che non sai andare sull’altalena. »
« … »
« … NON CI CREDO AHAHAHAHA—!! »
« FUCK YOU. »
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pareva essere stato chiaro, no? In quello che sembrava essere un appuntamento, il /loro/ primo appuntamento, era stato chiaro che non avrebbe voluto, in alcun modo, avere a che fare con posti come i beneamati fast food dell’americano. Era stato chiaro. Peccato che non sembrava essere stato ascoltato, dato che, dopo la pessima figuraccia con l’altalena, America aveva decis—o  meglio, aveva importo all’inglese di dover andare al McDonald’s.  Un posto romantico, no? Tutta via, nonostante avesse provato a  ribattere quella proposta, sembrava solamente di parlare con un sasso. Tutto quello che Arthur poteva dire, che riguardassero le proprie disapprovazioni, sembravano essere totalmente ignorate dall’altro: entravano in un orecchio e uscivano dall’altro. Per tanto, il finale di quel dibattito, sembrava essere stato scontato, dato che ora, il nostro Arthur, sembrava essere in attesa della sua cena: un disgustoso panino ripieno di calorie e altri ingredienti che non voleva nemmeno provare a scoprire, proprio seduto su quel povero sgabello, tenendo il posto accanto per l’americano che nel frattempo era andato ad occuparsi delle ordinazioni, sul bancone, occupato anche da altre persone, ovviamente. Eh beh, dire che si aspettava un posto un poco più galante era poco… insomma, sembrava essere d’obbligo un posto come un bel ristorante in un appuntamento, giusto? Ma Arthur sembrava scordarsi praticamente sempre che con chi usciva: non usciva con una persona da aspettarsi esattamente quel che doveva succedere, no, affatto, usciva con Alfred Jones. Un sospiro, in quella temporanea solitudine rotta dal rumoraccio in sottofondo delle chiacchiere delle altre persone, prima di andare a perdere lo sguardo nel vuoto, con il mento appoggiato sul polso della mano destra che, a sua volta, era appoggiata al bancone bianco, ammettendo che /forse/ c’era rimasto un pochino male nel non essere andato a cenare in un posto dove nell’aria non ci fosse odore di fritto o schiamazzi troppo alti, ma era anche solo inutile provare a farglielo capire, ad Alfred, che questo giorno doveva essere un qualcosa di speciale. Ma forse si perdeva troppo nei particolari, era solo una cena, giusto? Nulla di irrilevante.  Un altro secondo, ed ecco che le iridi verdi andarono a spostarsi, guardando all’orizzonte della stanza, sperando di intravedere quella faccia da beota con la loro ‘’cena’’ e, di fatti, non dovette nemmeno aspettare un altro attimo che gli occhi notarono subito quegli occhioni azzurri e quel sorriso smagliante che arrivavano proprio nella sua direzione, con in mano il vassoio colmo di calorie e cose che, ovviamente, ad Arthur non facevano impazzire.
 
« L’eroe è qui.~ »
 
Cinguettò, con tono allegro, segno che, comunque, ovunque fosse, se era con il maggiore, sembrava essere tutto perfetto, anche se nel caso di Arthur, le cose sembravano essere parecchio diverse. E, emettendo un semplice mugolio, il vassoio gli venne piazzato davanti, con le ordinazioni che aveva fatto scegliere all’altro, cosa che lo fece pentire, come previsto, non sapendo con esattezza di che cosa si trattasse, giudicando il tutto dall’aspetto, guardando il tutto con aria quasi disgustata e perplessa—espressione che Alfred non perse tempo a notare non appena si sedette.
 
« Uhm. Ti ho preso un semplice toast, dato che so che non ne vai pazzo per queste cose e poi ci sono anche le patatine.~  Dato che ho pensato che ti piacessero anche quelle. »
 
Di certo, Alfred, sapeva perfettamente che quel fast food non era di gradimento del maggiore,  e sapeva anche perfettamente  che preferiva di gran lunga un qualche bel ristorante, classico ed elegante—ma per un  motivo o per l’altro, si trovava di più a suo agio in posti come questo, e poi lo aveva già detto: se era con Arthur, il resto non contava e persino un posto come il McDonald’s gli sembrava il posto più bello del mondo… ma non erano cose che doveva necessariamente dire, no? Sarebbe stato imbarazzante! Per tanto, dopo aver avvertito dell’ordine preso per l’altro, non perse tempo ad addentare il panino che tanto agognava di mangiare. Nonostante le parole seguenti del minore, Arthur non fece altro che emettere qualche mugolio, quasi apatico, continuando a dare occhiatacce a quei fritti e stra-fritti, non potendo non mangiare, comunque, dato che aveva fame e che America avesse anche pagato il tutto; andando a dare anche lui, i primi morsi a quel semplice toast, nel più totale silenzio, con lo sguardo rivolto davanti a se, perso nuovamente nel vuoto, ignaro che l’americano, accanto a se, andava a lanciarsi discrete occhiate, sapendo perfettamente che c’era qualcosa che non andava… e di certo non voleva pensare che fosse solamente per il fatto di non essere andati in un qualche ristorante tanto agognato di Arthur. L’ennesimo morso in quel silenzio, per poi decidere di indagare, andando a far domande con la bocca piena, ovviamente.
 
« Engwfuand, che fè? »
« Non parlare con la bocca piena, stupido. E’ maleducazione. »
 
Freddo e distaccato, tanto da far imbronciare il minore in una giornata che, lui, riteneva perfetta e che gli sembrasse di essersi comportando bene e di non aver fatto nulla di sciocco—ma si sa: con Arthur sembrava che le cose dovessero essere sempre fatte nei migliori dei modi.  Un mugolio, la masticazione che si fece più frettolosa, ed eccole deglutire rumorosamente, così da avere la bocca vuota, come chiesto ( indirettamente ) dall’altro.
 
« Allora, che c’è? »
« Niente. »
« Sei arrabbiato per qualcosa? Ho fatto qualcosa che non dovevo? »
« Mangia e ‘sta zitto. »
« … »
 
Sembrava inutile provare ad insistere, dato che avrebbe anche potuto peggiorare la situazione. Il fatto era—che ci teneva a questo giorno, e che andasse tutto nei migliori dei modi, anche se Arthur non si aspettava di certo di concludere in un posto del genere. Per tanto, silenzioso, il nostro inglese, offeso, andava ad addentare, con morsi lenti, quel toast, senza nemmeno degnare di uno sguardo il compagno accanto a se, facendo quasi finta di essere lì completamente da solo, e la cosa non poteva che mostrarsi poco carina nei confronti dell’americano che si era preso anche la premura di ordinare per lui e pagare il tutto, eh! Ma il fatto era che, per quello scorbutico biondino, tutto sembrava non essere mai abbastanza. E che non si accorgesse nemmeno di quegli sforzi che Alfred stava facendo in quei giorni, solo per lui. Un’altra manciata di secondi di quel silenzio insopportabile, per poi decidere di fare l’ennesima svolta che avrebbe fatto risolvere quella situazione. Il panino, lasciato a metà, venne posato su quel vassoio rosso, improvvisamente, andando a spulciare dalla confezione delle patatine fritte, iniziando a tirarne fuori una dopo l’altra, senza mangiarle, però—e il tutto che accadesse proprio sotto il naso di Arthur che, di fatti, dati quei gesti insensati, fece aggrottare le sopracciglia di quest’ultimo, mostrando un’aria perplessa e corrucciata, smettendo anche di dare quegli ultimi morsi al panino, più concentrato sul da farsi dell’altro. Sicuramente, il fatto di tirare un determinato numero di patatine fuori dalla propria confezione,  per America, sembrava avere un senso, ma per Arthur non sembrava così—anzi, aveva quasi il timore che potesse andare a fare una stupidaggine, quasi tentato di chiedergli che diavolo avesse in mente, fino a quando non notò che stava spostando quelle stecchette color dorato in modo perfettamente pianificato, mostrando, in conclusione, una specie di messaggio: ‘’ I ♡ ≡ ≡ ‘’. 
Le patatine usate per quelle stanghette che Arthur non riusciva a capire e quello che sembrava essere un cuore, fatto col ketchup. Una lunga occhiataccia, uno sguardo perplesso, a quel messaggio ‘’criptato’’, ed eccolo portare le iridi verdi verso la propria destra, a quel sorriso divertito, quasi come se sembrasse essere una cosa esilarante, ma si sa: se per America una cosa era divertente, sicuramente, per Inghilterra, era una cosa stupida e poco intelligente.
 
« … Che diavolo significa? »
« Ma come? Non ci arrivi? »
« … Dovrei capire le stupidaggini che fai? »
« Non è una stupidaggine! Guarda. »
 
Ed eccolo, il nostro America, prendere le parti di un temporaneo insegnate, a dover spiegare il proprio gesto. Quindi, restando col sorriso sulle labbra, lasciò che il proprio indice facesse da bacchetta immaginaria, spiegando il messaggio appena  lasciato, sicuro che Arthur non l’avrebbe presa bene, dopo la sua spiegazione.
 
« Guarda, questa è un ‘’Io’’, poi c’è il cuore… e poi quelle tre patatine messe accantonate dalle altre, sono le tue sopracciglia! Ahaha-! »
« … »
« Dai! E’ divertente, no? »
 
Ora, Arthur non sapeva se ritenersi ancora più offeso o meno, da quel gesto. Certo, non gli piaceva venir preso in giro a causa di quel suo solito, e piccolo, difetto alle sopracciglia, dato che dopo un po’, la cosa risultava anche abbastanza penosa e noiosa, dato che tutti non facevano che ripetere le solite e banali cose.  Un’altra occhiata, scettica, a quelle patatine, per poi rivolgere la stessa espressione all’americano, ancora sorridente che, quasi convinto, si aspettava una chissà quale risata da parte dell’inglese. Il sopracciglio che si inarca e la lingua che schiocca al palato come una frusta, secca.
 
« Lo trovi divertente? »
 
Domanda retorica, tono sarcastico. Di certo, non voleva affatto una risposta da uno che trovava qualsiasi cosa stupida, come una cosa esilarante, facendo che tornare al panino, allora, portando lo sguardo da tutt’altra parte rispetto allo sguardo azzurro di Alfred.  Le guance di quest’ultimo, nel sentirlo parlare in quel modo e nel vederlo reagire in modo totalmente diverso da come aveva immaginato, si gonfiarono—ed evidentemente Arthur si aspettasse che l’eroe si arrendesse, eh? Che lo lasciasse mangiare in santa pace senza ritornare a quel discorso, non è vero? Beh—si sbagliava di grosso! Essendo un Eroe, per l’appunto, aveva il compito di risolvere qualsiasi cosa tormentasse Arthur, o che lo infastidisse, quindi non era ancora deciso a mollare la spugna, nossignore.  Le iridi color cielo di portarono, come prima cosa, sulla zazzera dell’inglese, totalmente voltato di spalle, per poi scivolare sul vassoio, ove quel messaggio fatto con le patatine era ancora lì, in tatto, e poi eccolo appoggiare il gomito sinistro sul bancone, così che la destra potesse andare a spulciare nel pacchetto di patatine, deciso a non restare in quel silenzio che, no, non faceva proprio per lui.
 
« Volevi andare in un posto più bello, non è vero? »
 
Da che cosalo poteva dedurre? Dal fatto che glielo aveva sbraitato da tutta la giornata che non voleva andare in un fast food, o ci era arrivato tutto da solo, magari seguendo l’istinto, eh?  Bè, non sembrava una cattiva idea quella di mangiare una cosa veloce, per poi ritornare per i fatti loro… e forse quel piccolo dettaglio avrebbe potuto dirglielo al maggiore, ma sperava che non ve ne fosse il caso—ma ormai il danno sembrava essere fatto. Una domanda, nessuna risposta; il che,  non poteva che fargli veramente credere che Arthur  si fosse stizzito per una cosa come quella.  Ma, da una parte, significava anche che riteneva importante questa giornata, giusto? E che ci tenesse nel farla andare nei migliori dei modi, esattamente come voleva lo stesso Alfred.  Quasi non sorrise a quel pensiero, anche se il fatto che il maggiore avesse praticamente deciso di non rispondergli, era una cosa che gli smorzava l’entusiasmo del pensiero principale, facendogli rimettere il broncio sul viso.
 
 « … Hai intenzione di ignorarmi per tutto il resto della serata? »
 
Ed ecco che a quell’ennesima domanda, non vi fu nemmeno un’altra risposta. Bene, sappi che, caro Arthur, questa, il nostro Alfred, l’aveva bellamente presa come una sfida, il fatto di farti riprendere la parola con lui—e probabilmente sarebbe stato uno spasso… per lo meno, per America lo sarebbe stato, per l’altro, invece, poteva prevedersi una cosa parecchio snervante e, conoscendolo, anche un po’ imbarazzante. Sorrise, allora, al pensiero che lo illuminò, quasi, costringendolo ad alzarsi dallo sgabello e mettersi, così, in piedi: andando dritto dritto dalla parte opposta del bancone, proprio davanti all’inglese, così da non potergli sfuggire con lo sguardo, scrutandolo per una buona manciata di secondi.  E Arthur non potette che volgergli un’occhiata perplessa, giusto? Ma di certo c’era qualcosa che andava tramando, e non sapeva se era il caso di preoccuparsi o meno, tanto da volergli un’altra occhiata, scettica, perplessa e anche un po’ corrucciata, non avendo alcuna intenzione di fargli alcuna domanda, limitandosi a lanciargli occhiate di sfida, quasi. Ma nemmeno Alfred emesse una parola, limitandosi ai gesti: andando, con la mancina, a pizzicare tra il pollice e l’indice l’ennesima patatina, senza volersela mangiare, però. Nono, quella era per Arthur.
 
« Fai ‘’ahhh ~ ‘’ »
« … Sei stupido? »
 
Domanda retorica. Era ovvio che fosse uno stupido, così come quel gesto idiota. Insomma, si aspettava veramente che si sarebbe lasciato imboccare come se fosse un bambino? In pubblico, per di più. Dopo quel brontolo, ecco che l’inglese si decise di muoversi, facendo  gesti poco carini, come ad esempio, andare a scostare barbaricamente quella patatina a  pochi centimetri da se: cacciandola con un gesto secco, con la destra, rivolgendo un’occhiata  fulminea che, se potesse, avrebbe incenerito l’americano a seduta stante.
 
« Ah! Ti ho fatto parlare~ »
 
Come se fosse stato quello, il gesto che il nostro Eroe stava aspettando dal maggiore, anche se era pur sempre un gesto antipatico—ma la cosa non gli fece sparire il sorriso dalle labbra, nemmeno per mezzo secondo, andando a prendere un’altra patatina impuntandosi nell’imbroccarlo, ora.
 
« Mi hai parlato, quindi meriti un premio, su! »
« … Mi hai preso per un cane? »
 
Si poteva essere più stupidi? E, ad ogni gesto insensato che America faceva, Arthur non poteva che chiedersi  il perché e il come di fosse lasciato convincere nell’uscire, quel giorno.  Un sospiro esasperato, pesante, e il maggiore non perse tempo nell’andare ad alzarsi da quello sgabello, prendendo giacca e sciarpa, pronto a dirigersi verso l’uscita da quel posto, sicuro che si sarebbe portato l’odore di fritto fino a casa propria e no, la cosa non lo entusiasmava per niente.  Un’espressione  confusa, nel frattempo, si disegnò sul volto del minore, che andava a seguire con lo sguardo l’inglese che sembrava esse propenso nell’andarsene—e la cosa più logica, ovviamente, era quella di andare a seguirlo, prendendo le patatine che erano rimaste, ovviamente. Inutile dire che, una volta fuori, senza quel chiasso e quegli schiamazzi in sottofondo, vi si regnò il silenzio e gli sfruscii della giacca altrui. I passi che battevano sull’asfalto umidiccia e quella nuvoletta di condensa che andava a soffiare via dalle labbra secche e appena schiuse del londinese, deciso a volersene solamente tornare a casa… mentre accanto, c’era solo America che aveva deciso di prendere ad ingozzarsi anche una volta usciti da quel postaccio che,  di tanto in tanto, discretamente, andava a lanciare delle occhiate a quell’aria scorbutica, con la coda dell’occhio, andando a pizzicare l’ennesima patatina tra i denti. Ora ci sarebbe da dire qualcosa di intelligente e di appropriato, sai Alfred? Il pacchetto che viene svuotato e, subito dopo, buttato nel cestino di passaggio, infilando, poi, le mani nel proprio bomber, divertendosi a far uscire la condensa dalla propria bocca—e anche se sembrava che stesse facendo solo lo sciocco, in realtà, stava bene pensando a che cosa poter dire. Poteva chiedere di fare altro, ma era ovvio il fatto che Arthur se ne volesse tornare a casa.
 
« … Mi sono sentito teso, praticamente, per tutta la giornata—sai?  »
 
Così, conscio di dover risolvere quella situazione che aveva creato, aveva iniziato a prender parola, accompagnato dall’eco di quei passi, in quella nebbia che sfumava la strada davanti a loro.
 
« Sapevo che non volevi andare in fastfood, e che magari avresti preferito un posto più noioso… ma avevo bisogno di stare in un posto ‘’familiare’’, così da potermi tranquillizzare! Ho sbagliato, si. Solo che—pensavo che qualunque posto saremmo andati, non sarebbe importato, perché eravamo insieme…  E beh, pensavo che anche per te, fosse lo stesso. »
 
Quelle parole, sembravano essere uscite con estrema facilità, ah? Invece si era sforzato con tutto se stesso per non /dover/ balbettare o sentire, comunque, quell’imbarazzo che c’era per forza nel dire determinate cose, dato che poche volte riusciva ad ammettere quegli sbagli e che mai aveva parlato a qualcuno così, ma specialmente perché mai non si sentiva ‘’come a casa’’,  anche solo nel parlare con Arthur. Nel frattempo,  dopo aver concluso il tutto, il naso aveva deciso di affondare nel collo di quell’enorme felpone, con la speranza di nascondere quelle guance rosse, mentre resisteva alla curiosità nel chiedere a che pensasse il maggiore. Si, anche perché sarebbe stato totalmente inutile chiederglielo, specialmente perché non avrebbe mai detto nulla, figurarsi. Già il solo che, però, l’inglese, non avesse emesso nemmeno un mugolio o qualcosa del genere, come solitamente faceva, lo stava facendo annegare in una tremenda ansia—ma America non sapeva che quel silenzio, semplicemente, era  causato dall’imbarazzo. Un’enorme imbarazzo, tanto da sentirsi bollire! Era come aver avvertito una  marea di formichine che risalivano su tutto il torace, salendo come una scossa fino alle guance e anche alle stesse orecchie, mentre il cuore aveva preso a galoppare, svelto, quasi come se avesse deciso di andare a scoppiargli dalla cassa toracica. Era ovvio che si fosse sentito testo, lo era stato anche lui e per ogni minuto che avevano trascorso insieme, in quella giornata… e non avrebbe scambiato nessun minuto per niente al Mondo. Certo—probabilmente non erano andati in un posto di lusso, come si aspettava, oppure non avevano fatto niente che potesse entrare nell’ambito di una coppia, eppure, sembrava essere stato tutto stranamente speciale, piacevole e caldo. Dolce, ecco.  E, alla fine, da quelle labbra nascoste dalla sciarpa, vi uscì un mugolio, di disapprovazione per quell’imbarazzo e per quella strana sensazione che, giustamente, catturarono l’attenzione altrui, facendo volgere lo sguardo azzurro verso la figura accanto, nascosta da quella sciarpa che, in quel momento, stava fortemente odiando. 
 
« Arthur—?  »
« Shut up.  »
« … Uhm.  »
 
Forse quello che aveva detto, non era stato chiaro, o magari all’inglese non importava o, peggio ancora, non aveva provato quello che aveva provato l’americano e questo riuscì a dargli un attimo di delusione. Avrebbe dovuto impegnarsi di più, lo sapeva, ma non era nemmeno mai stato un vero e proprio appuntamento e aveva dovuto prendere svariati esempi dai film che guardava—ed evidentemente non avevano funzionato, ma la speranza era l’ultima a morire, no? E la serata non era ancora conclusa e, di sicuro, avrebbe risolto tutto fino alla fine.
 
« Se vuoi, possiamo andare in un posto che preferisc— »
« Voglio andare a casa.  »
 
Forse era troppo stupido. Forse era troppo ingenuo. Evidentemente ci sperava troppo che il maggiore ricambiasse quello che aveva provato lui nell’intera giornata. Ma da quel tono secco, non poteva che intuire che doveva arrendersi  e lasciarlo tornare a casa, mh.
 
« … Voglio…  
Voglio tornare a casa con te, Alfred. Voglio andare lì. »
 
E gli occhi azzurri, a quelle parole, quasi non si sbarrarono, improvvisamente, sconvolti da quelle parole che, no, non si aspettava per niente. Era convinto di aver sbagliato tutto, e che aver detto quelle parole, sarebbe stato inutile e nulla più, e invece… invece, sembrava proprio che Arthur avesse capito—e un sorriso, da vero ebete, non potette che andare a formarsi su quel viso arrossato, felice. Felice come non mai! Mentre Arthur, beh, lui sembrava non voler abbandonare quell’espressione corrucciata, riuscendo ad intravedere quel rossore che sembrava essersi espanso su tutto il viso. E la cosa più stupida, fu proprio provare a scambiarsi uno sguardo.
 
 « C-Che diavolo hai da sorridere, ah?  »
« MHN ~! »
 
E quasi, a seguire da quel mugolio soddisfatto e compiaciuto, un americano a caso, di settanta chili, andò letteralmente ad azzomparlo, saltandogli  addosso e attaccandosi solo come una cozza faceva con uno scoglio, senza avere alcune intenzione di  sfumare quell’espressione beota dalla faccia, andando anche a prenderlo per mano.
 
« W-WHAT—!? »
« Andiamo a casa, si. ~ »
 
E i rantoli furono tanti, fino all’arrivo della propria casa, così come anche il calore su quelle mani che, fino a prova contraria, erano rimaste sempre fredde.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: jaybird