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Autore: Leo    13/12/2012    2 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Restava seduto con la faccia tra le mani, su una sedia di legno. L’unico rumore erano i gemiti della bambina che se ne stava seduta in quel seggiolino, l’unico che erano riusciti a comprare. Era tanto che non scriveva ormai, non ci riusciva. Ogni volta che si metteva davanti a un foglio di carta la sua mente vagava e tornava li, in quella città che fu per lui la fine e l’inizio. E allora prendeva a guardare di nuovo la bambina, che restituiva lo sguardo con i suoi occhi chiari. Quanti giorni aveva? Non lo avrebbe potuto dire, ne erano passati più dieci da quando era comparsa nel mondo, ma forse nascita e comparsa non coincidevano, e forse era più grande, o più piccola…

Bah, forse gli occhi si sarebbero scuriti con il tempo…aveva sentito dire che i neonati hanno sempre gli occhi chiari, e il colore si definisce dopo un po’ di tempo.

Alzò anche quella volta lo sguardo, puntandolo sulla piccola. Come sempre la bambina lo guardò a sua volta, e così rimasero qualche secondo. I pensieri si accavallavano nella sua mente, in una danza pericolosa di ipotesi e macabre soluzioni, ma dall’esterno si vide solo un uomo che si alzava in piedi e diceva a sé stesso, più che alla bambina, che era ora di andare.

Aveva noleggiato un auto per arrivare a Portland, e con sé aveva pochi bagagli.

Cybil era uscita la mattina invece. Credeva che chiunque la stesse seguendo non era a conoscenza di Harry e della piccola Cheryl, e sembrava seguisse solo lei. Il piano quindi era semplice: lei usciva e attirava l’attenzione su di sé, mentre Harry si metteva al sicuro. In seguito li avrebbe raggiunti. Quando quella mattina Cybil era uscita di casa, sorrise dicendo “Mi dispiace non poterti dare una mano con i bagagli!”. Harry sorrise, ma con un’espressione amara in viso. Le disse di stare attenta.

Cybil era forse anche più preoccupata di Harry, ma non voleva darlo a vedere. Non poteva trasmettere altra angoscia a quell’uomo, così continuò a sorridere senza rispondere; poi si avviò verso la porta. Fuori nel corridoio del palazzo non c’era nessuno. Si guardò intorno più volte, prima di richiudere la porta alle spalle. Chiunque la stesse seguendo evidentemente non doveva avvicinarsi più di tanto. O non voleva. Così quando scese in strada, lo trovò ancora in quell’auto, parcheggiata poco distante, abbastanza da confondersi con le altre ma non tanto da impedire alla vista di fare il suo lavoro. Non c’era molta gente che camminava da quelle parti, era una zona residenziale, e la mattina quasi tutti erano a lavoro, o a dormire, e comunque anche chi usciva tendeva ad andare in altri posti, nei parchi, nelle zone commerciali, quelle più frequentate.

La ragazza montò la sella della sua moto. Sarebbe stato l’ultimo giro in moto. Meglio così, l’estate volgeva al termine, e lei odiava prendere l’autobus! Per cui avrebbero preso una macchina, insieme, lei ed Harry. Arrossì in volto a pensarci. Per cui si mise il casco velocemente, e sistemò meglio lo zaino che teneva sulle spalle, facendo attenzione che fosse ben chiuso.

Forse fu l’occasione, forse il fatto che era più facile destare sospetti, forse perché Portland era più vicina, o forse era solo un’altra enorme scusa, ma anche quella volta, si avviò verso Silent Hill. La seconda volta in pochi giorni. Aveva memorizzato quasi del tutto la strada, tanto da non aver più bisogno di guardare i cartelli per svoltare. Tutto il viaggio lo passò spostando gli occhi dalla strada allo specchietto, assicurandosi che l’auto fosse sempre dietro di lei. Addirittura qualche volta rallentò perché dopo una curva la macchina non compariva alle sue spalle.

Ben presto comparve il cartello che segnava l’ingresso in città. A quel punto Cybil proseguì incerta sul da farsi. In effetti non aveva assolutamente pensato a dove andare. C’era quell’edicola, certo. Ma non voleva che il suo inseguitore potesse collegarla a lei, e quell’uomo, quel David Hunter, sembrava molto interessato alle vicende di quel posto, e, soprattutto, molto informato. Quindi quello era il posto da evitare, e in fondo sarebbe stato meglio cercare un luogo pubblico, affollato, in cui poteva mischiarsi alle persone e sfuggire alla vista dell’inesperto inseguitore.

Fu un caso: passò di fronte a un enorme portone, con un’insegna in pietra davanti. Era la biblioteca principale.

“Perfetto!” si lasciò sfuggire la bionda mentre accostava la motocicletta al marciapiede. Mise il cavalletto e scese togliendosi il casco dalla testa. Lo fermò bene, incastrando il laccio nella chiusura del sellino, e bloccò lo sterzo prima di sfilare la chiave. Se qualcuno avesse fatto attenzione, avrebbe potuto vederla mentre carezzava la carrozzeria argentea prima di voltarsi…

L’auto l’aveva superata durante il parcheggio. Aveva svoltato il successivo angolo, e probabilmente era lì che si era fermato. Comunque sembrava che tutto andasse secondo i piani. E senza volerlo, avrebbe potuto continuare a indagare su quella setta, quell’Ordine, di cui aveva sentito parlare.

Entrò nella struttura. Il soffitto alto e gli scaffali zeppi di libri sembravano quasi metterla a disagio. Doveva ammettere che anche se era una persona che aveva sempre un libro sul comodino, entrava di rado nelle biblioteche, e ogni volta si sentiva minuscola di fronte all’enormità di parole che venivano mescolate, intrecciate in opere d’arte, in conoscenza pura o immaginazione sfrenata, alle miriadi di possibilità, e alle moltitudini di storie da ascoltare, da vivere attraverso quelle parole. L’architettura, poi, aumentava quel senso di imbarazzo, con quegli scaffali alti, ricolmi di pagine e copertine sporgenti, con le scale scorrevoli dal legno incerto, con la moquette che assorbiva ogni piccolo suono, amplificando il silenzio che si spandeva in tutte le sale. I tavoli ampi, poche sedie, distanti l’una dall’altra in modo da sviluppare un senso di solitudine e di fusione con le storie che i libri raccontavano. Anche l’odore aveva un che di caratteristico. Non avrebbe saputo spiegarlo, ma sentiva che non avrebbe potuto sentire odore simile in un luogo diverso da quello. Forse era l’odore della carta, o della polvere, o un misto, o anche del legno e dell’umidità…

Si guardò le spalle, ma nessuno entrò insieme a lei, e anche all’esterno la situazione era normale, almeno da quello che poteva vedere dall’anta ancora aperta. Poi la porta si richiuse, e le ultime voci provenienti dalla strada scomparvero. Il silenzio si impossessò della stanza, e nel voltarsi nuovamente incrociò lo sguardo di una donna di mezza età, vestita di rosso, con i capelli castani raccolti da un elastico e gli occhialetti appoggiati sul naso appuntito. Sorrise di un sorriso forzato, di circostanza, come se il suo lavoro fosse sorridere, e con voce bassa e composta chiese: “Posso aiutarla?!”

“C’è una sezione di storia locale?”

“Certamente. Le serve un libro in particolare?”

“Qualcosa sulla religione del posto”

A questo punto la donna si aggiustò gli occhiali con un dito, poi cominciò a battere i tasti di un computer, sicura, veloce, senza preoccuparsi del rumore prodotto o altro. Sembrava che ogni pressione fosse una martellata, ma Cybil decise di non immischiarsi, e restare in silenzio. Dopo aver premuto con maggior decisione il pulsante dell’invio, in breve il silenzio fu spezzato nuovamente dalla voce frettolosa della donna: “Sezione 7, terzo corridoio sulla sinistra, libro A709.”

“Molto bene, la ringrazio” disse Cybil congedandosi. Ma la donna non era dello stesso avviso…

“Mi scusi!” disse con disappunto quando Cybil fu di spalle. La ragazza si girò sorpresa.

“Le devo chiedere di lasciare lo zaino qui”

La donna indicò degli armadietti in ferro, proprio vicini alla suo postazione, o probabilmente indicò il cartello appeso ad essi:

“Vietato portare borse e zaini in sala

Depositare negli appositi armadietti”

Cybil nel leggere il cartello sorrise imbarazzata, e, scusandosi più volte, lasciò lo zainetto che teneva in spalla in uno di quegli armadietti, chiudendolo e portando con sé la chiave. Poi si incamminò seguendo le indicazioni di quella donna. Il libro che le aveva suggerito era sul settimo scaffale, partendo da terra, probabilmente perché si trattava di argomenti ignorati per lo più da tutti. Dovette perciò servirsi di una scala per raggiungerlo. Una volta tirato fuori ne lesse la copertina.

“Circa le religioni sincretiche”

Restò qualche secondo a osservare le lettere scritte con una perfetta calligrafia dorata. Poi sorrise nervosamente. “Ci credo che non lo legge nessuno…” sussurrò.

Scese piolo dopo piolo facendo attenzione a non inciampare dato l’ingombro che il libro rappresentava in quel momento, e si diresse verso uno dei tavoli più isolati della sala. Nessuno vi era seduto, e anche agli altri tavoli le persone erano poche.

Aprì le prime pagine, ne lesse l’introduzione, qualcosa che aveva a che fare con l’importanza della ricerca storica, e di come la donna che scrisse quel libro era riuscita a reperire quelle informazioni che altrimenti sarebbero andate perdute nel tempo. Poi, dopo l’indice dei capitoli e alcune pagine lasciate bianche, o meglio, ingiallite dal tempo, trovò una piccola iscrizione al centro di una pagina:

“Affido a te incondizionatamente il mio corpo e la mia anima eterna

Anche se dovessi sprofondare nelle tenebre, con te al mio fianco resisterò”

La ragazza strinse gli occhi, sospettosa, e girò pagina con calma, limitando i fruscii. Cominciò a leggere, e per ore continuò, senza una sosta, senza bere o mangiare, raramente sgranchendo il collo e le braccia. Lesse dei nativi, della loro capacità di parlare con i defunti attraverso quel luogo, delle due pietre, le Nahkeeona. Lesse di come gli indigeni assumessero allucinogeni prodotti da una pianta del luogo per i loro rituali, e come riuscissero a prevedere alcuni eventi, e, stando ai diari degli inglesi, sembrava avessero previsto anche il loro arrivo…due capitoli lesse sui nativi e sulla religione indiana basata su questo “luogo degli spiriti silenziosi”, su come il suolo su cui ora sorgeva la città era ritenuto sacro. Sembrava quasi che fosse una porta dimensionale, un modo per accedere a un luogo privo di ordine spazio-temporale, in cui i defunti potevano essere contattati passando dal passato al futuro e in ogni dove. Si parlava di strane creature che veneravano come divinità, con una specifica gerarchia, in cui la punta massima era un essere con caratteristiche ermafrodite, a cui venivano dedicate strutture dalla forma piramidale che furono trovate nei boschi poco distanti dalla città. La particolarità di queste “piramidi” era che, a differenza delle strutture azteche o egiziane, queste erano a base triangolare, e formavano dei tetraedri perfetti, geometrie molto difficili da ottenere con la muratura antica. Difatti la resistenza di questi edifici non era comparabile a quella delle piramidi classiche, e rimanevano pochi ruderi e l’assoluta incertezza di quello che potevano contenere.

Questa divinità massima era descritta come un essere con poteri particolari, che fermò per sempre l’eternità creando il tempo e lo spazio, donandolo agli esseri umani, costretti in un mondo infinito privo di luce e morte. Aveva seni abbondanti, a sottolineare la fertilità, e allo stesso tempo possedeva entrambi gli organi genitali, unione di virilità e maternità, e in ogni immagine rinvenuta il sesso maschile era raffigurato eretto e questo, si suppose, per due motivi: il primo puramente estetico, in modo da rendere possibile la raffigurazione contemporanea del sesso femminile, il secondo per rendere la figura potente e donarle la forza tipicamente maschile. Come molte religioni antiche, infine, la testa apparteneva ad un animale, in questo caso ad una capra, animale considerato per questo motivo sacro.

Il terzo capitolo cominciava in questo modo:

“Nessuna religione è mai rimasta immutata dal momento della sua creazione. E questa non fa eccezione.

Quando di questa religione si appropriarono gli immigrati, essa venne profondamente influenzata dalle loro credenze cristiane. Ad esempio i nomi e le descrizioni dei rappresentanti tradizionali di queste divinità primarie potrebbero essere quelle degli angeli cristiani.

Il cambiamento maggiore lo subì proprio la divinità massima, che assunse a poco a poco dei tratti sempre più femminili fino agli inizi dell’ottocento, quando nelle preghiere e nei testi sacri si cominciò a riferirsi a questo essere con l’appellativo “Lei”. Nelle immagini appariva vestita spesso di rosso, più di rado in bianco o in nero, coprendo in questo modo le nudità, e rendendo quindi più evidenti le forme femminili, e sparirono le sembianze caprine, dapprima nel viso – alcune immagini infatti presentano una creatura con un viso femminile ricoperta di pitture facciali che ne marcavano lo sguardo rendendola più temibile, con delle corna che spuntavano dai capelli vermigli – poi in tutta la sua figura, fino ad arrivare a raffigurarla come una donna a tutti gli effetti, dallo sguardo rassicurante, vestita rigorosamente di rosso con capelli neri.”

Cybil deglutì. Si accorse di avere sete, ma non voleva interrompere assolutamente la lettura. Continuò, leggendo le descrizioni degli altri angeli, e le trasformazioni subite all’arrivo dei coloni. La religione sembrò prendere veste ufficiale solo nel 1621 quando Jennifer Carrol, anglosassone nativa, e protestante, chiamò per la prima volta il culto, a cui lei stessa aderì, L’Ordine.

Era sorprendente scoprire come quello fu uno dei pochissimi culti in cui le donne venivano tenute in considerazione più degli uomini, e le figure gerarchiche prevedevano quasi sempre una donna al vertice.

Erano passate delle ore, Cybil aveva un orario da rispettare. E poi cominciava anche ad avere fame. Così chiuse il libro, e si arrampicò nuovamente sulla libreria per posarlo. Poi come destata da un sogno cominciò a guardarsi intorno. Si era completamente dimenticata di controllare l’entrata, e adesso sarebbe stato quasi impossibile riconoscere il suo inseguitore. Si maledisse per non aver prestato attenzione, ma senza perdersi d’animo si avviò all’ingresso, recuperando lo zaino. La donna era ancora la, intenta a fissare lo schermo del computer e a colpire con decisione i tasti.

“Chiedo scusa”

Il suono della voce di Cybil sembrò arrecarle fastidio, ma, con falsa cortesia, si voltò a fissarla negli occhi, aspettando di sentire il resto.

“Potrei usare un bagno?”

“Certamente, è all’ingresso, sulla destra!” e si immerse nuovamente nella luce artificiale del computer.

Cybil salutò cortesemente, ma senza ricevere risposta. Così entrò nel bagno guardandosi ben attorno prima di chiudere la porta. Aprì lo zaino, svelandone il contenuto. Ben piegato c’era un giubbino di Jeans e un cappellino, e un contenitore per occhiali da sole. Indossò ogni cosa, con un po’ di riluttanza dato l’alta temperatura che l’aspettava all’esterno dell’edificio. Quando uscì dal bagno diede un’ultima occhiata alla signora. La trovò intenta a parlare a telefono, a bassa voce. Probabilmente per non disturbare. Comunque era un sollievo, visto che era l’unica che avrebbe potuto riconoscerla all’istante, perciò sgattaiolò all’esterno senza esitazione.

Il caldo era asfissiante con quel giubbino addosso, ma cercò di stringere i denti e sopportare. Notò che l’auto blu era a pochi metri da lei, ma dentro non c’era nessuno. Puntò lo sguardo verso la moto poco lontana, ma neanche nei pressi del veicolo c’era qualcuno di sospetto. Molti passanti data l’ora, ma nessuno d’interesse. Forse era meglio così…

Si allontanò a piedi. Per arrivare alla fermata del pullman ci sarebbe voluta una mezz’oretta buona di cammino. Ripensò a quanto aveva appreso…non molto in realtà. Era strano, nel leggere sapeva bene che le informazioni che stava apprendendo non erano utili per le sue ricerche, eppure non era riuscita a passare avanti. Sentiva quasi il bisogno di avere quella descrizione così dettagliata del loro dio, come se fosse un’attrazione irrefrenabile verso quella figura. Però aveva un nome: Jennifer Carrol, fondatrice effettiva dell’Ordine. Sarebbe stata di sicuro molto utile.

 

In perfetto orario, il pullman sarebbe partito a breve. Ce n’erano molti che passavano per Portland, qualcuno anche più conveniente in termini di tempo, ma quello lo aveva scelto perché faceva stazionamento li. Per cui non avrebbe dovuto chiedere niente a nessuno, nessun contatto con l’autista per sapere quando sarebbe dovuta scendere, nulla di nulla. Una volta a bordo si sarebbe seduta su uno dei sediolini in coda, e avrebbe mangiato il suo panino.

A bordo c’erano molte persone, ma nel tragitto il mezzo si sarebbe fermato più volte, perciò evidentemente non tutti andavano a Portland. Cybil sedette al penultimo posto, vicino al finestrino, anche se dopo poco tempo un uomo con una camicia a righe l’affiancò. Nessuno disse una parola, e anzi entrambi si posizionarono meglio per stare il più comodi possibili.

Il pullman partì

 

 

“…Mh…”

La testa le pesava e faceva fatica a respirare. Sentiva l’acqua bagnarla ovunque, entrare nel naso e in bocca, appiccicarle i vestiti addosso, facendoli aderire perfettamente alla pelle. Era pioggia, cadeva incessante. Cercò di muoversi, ma qualcosa la costringeva a tenere le braccia alzate, giunte sopra la testa, e le impediva di alzarsi in piedi o altro. Era legata, forse con una catena.

Prese a muoversi freneticamente, ma senza nessun risultato se non quello di produrre un rumore metallico che unito alla pioggia dava fastidio all’udito. Cominciò a gridare, a chiedere aiuto, ma sembrava essere sola. Guardandosi attorno si rese conto di essere su un pavimento liscio, come fossero mattonelle, o linoleum. L’oscurità che c’era tutt’attorno non le permetteva di riconoscere nulla, e l’acqua che colava negli occhi ostacolavano ancor più la sua vista.

Poi il bagliore.

Sembrava avvicinarsi con calma e garbo, e a provocarlo era una figura umana. Una donna. Si avvicinava sinuosa, e sembrava non accusare la pioggia.

“Ehi! Aiutami! Ti prego!”

La donna non rispose. Continuò il suo lento cammino, fino ad illuminare completamente il suo corpo bagnato. I drappi di stoffa ricadevano completamente asciutti, a dispetto del clima, e sembravano svolazzare attorno a quella figura. Si inginocchiò al suo fianco.

“Ti scongiuro! Liberami!”

Ma quella continuava a non parlare. In cambio però le sorrise. Oh, che sorriso che le rivolse! Poteva sentire le lacrime, distinte dalla pioggia per la temperatura. Il suo sorriso le scaldava il cuore, le dava anche un po’ di sicurezza, e cercava di mettere a tacere la sua ragione. Lentamente avvicinò una mano al suo volto, fino a sfiorarle una guancia. Il tocco era caldo, e sembrava quasi che li dove la stava accarezzando con quella dolcezza smisurata, lì l’acqua evaporasse all’istante, lasciando la pelle completamente asciutta e calda.

Si sporse ancora di più, scese verso di lei, avvicinandosi al suo volto. Le loro labbra si sfiorarono, e un brivido percorse tutta la schiena, dal collo fino a giù, verso le gambe che persero ogni tensione muscolare. Sentì il petto gonfiarsi per un sospiro, l’aria invaderle i polmoni gonfiandoli, e poi passare di nuovo per la bocca schiusa e accaldata.

“…Ai…aiu…ta…a…mi…”

Le parole si spezzettavano anche nella sua mente, che lentamente andava perdendosi. Gli occhi socchiusi ora le permisero di vedere la donna posizionarsi su entrambe le ginocchia, di fianco a lei. Il vestito in quella posizione prendeva una strana piega. Allora la donna lo scostò lentamente, fino a mostrare un enorme membro eretto e pulsante. Ce l’aveva davanti agli occhi, e in un attimo ogni suo stato d’animo cambiò. Il battito cardiaco accelerò vertiginosamente, la pressione aumentò, e poteva sentire il pulsare nelle tempie, cercò di scostarsi come poteva, ma a nulla valevano gli sforzi.

Tutto ciò che poté fare fu urlare…

 

 

“Ah!”

Con uno sforzo del collo mise la testa diritta, e spalancò gli occhi. La vista annebbiata non le impedì di riconoscere il sellino del pullman in cui era. Voltò la testa verso l’interno. L’uomo che si era seduto  al suo fianco era sparito. Fissò un punto indefinito.

“Era solo un…sogno…”

Tirò un sospiro di sollievo. Poi si accorse che il pullman era fermo. Forse erano arrivati.

Non solo erano arrivati, ma non c’era più nessuno sul pullman a parte lei. Se ne accorse quando si affacciò nel corridoio.

Le girava la testa, e sentiva ancora i brividi sulla pelle per il sogno fatto. Di solito non era mai stata così impressionabile, eppure sapeva che si trattava di quella descrizione che aveva letto sul libro nella biblioteca. Sentiva emozioni contrastanti fra di loro, e perciò uscì velocemente con l’istinto di respirare aria fresca. Purtroppo fuori l’aspettava invece l’arsura del primo pomeriggio estivo, il che rese ancor più difficile l’ulteriore camminata che l’avrebbe portata finalmente nel suo nuovo appartamento.

 

 

 

La centrale era quasi deserta, e comunque il silenzio regnava sovrano.

L’unica luce accesa sul piano era quella di un ufficio. Dentro un uomo teneva la cornetta di un telefono ben aderente al suo orecchio. Parlava piano, per non turbare la pace che raramente si poteva avere in quel posto, o più probabilmente per non essere sentito da nessuno.

“Si, sono io.

È scappata. Evidentemente si era accorta di essere seguita.

No, non so dove possa essere andata, ma le garantisco che riuscirò a ritrovarla.

Si…è stata a Silent Hill. L’ultimo posto dove è stata vista è la biblioteca. Poi è scappata, lasciando anche la moto lì.

No, da casa sua non è mai uscito nessuno in questi giorni.

No, non si è mai avvicinato. Temevo potesse scoprirlo…

Le ho già detto, non ho idea di dove possa essere andata! Ovviamente ho minacciato quell’idiota; la ritroverà, e quando lo farà troverà anche quell’altro…

Come?

Che significa che non servono più i miei servizi?

Noi avevamo un accordo…le ho detto che riuscirò a trovarla!

Va bene…

Ma vi prego…non fatele del male…

Sono pronto a tutto per lei…”

 

 

Bene, finalmente sono riuscito a scrivere il quinto capitolo. Chiedo scusa per i tempi così dilatati, ma come tutti sono molto impegnato, soprattutto in questo periodo, e per di più i capitoli che scrivo sono sempre abbastanza lunghi. E a questo proposito vi domando: credete sia il caso di renderli più corti?

Ringrazio ancora chi legge, a presto.

 

  
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