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Autore: Waanzin    13/12/2012    3 recensioni
Una raccolta di momenti passati, presenti e futuri nella vita di Jake Muller/Wesker, tra riflessioni e rabbia, tristezza ed euforia. Uno sguardo da vicino a cosa significa essere il figlio del più enigmatico e complesso tra i personaggi di Resident Evil.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albert Wesker, Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Questo è un "tassello" del mosaico che ha richiesto molto studio. L'infanzia di Jake dev'essere stata molto dura, ma non sapevo esattamente quale sarebbe stato il tono giusto per approcciarla, perciò sono finito a scrivere e riscrivere questo capitolo molte volte. Spero il risultato finale sia soddisfacente! Piccola nota: sono dell'opinione che Jake non abbia realmente odiato suo padre (o sua madre per non averlo condannato) almeno fino all'adolescenza, quando si sa, gli spiriti si fanno bollenti molto più facilmente. Un bambino, per quanto "geneticamente superiore", ha solo bisogno di qualcuno.  

Bene, saltati i convenevoli, un gigantesco grazie ad astarte90 e fiammah_grace per le recensioni al primo Capitolo. Come fiammah_grace ricorderà, ho sempre la massima stima di chiunque si prenda la briga di scrivere una recensione e ritengo che siano una delle cose più preziose in assoluto per un "fanfictionist" in erba come ancora mi considero! Apprezzo ogni parola spesa e vi esorto a non risparmiarvi critiche e commenti anche in questo caso! E adesso, finalmente, vi lascio al capitolo vero e proprio! 

Contestualizzazione: una qualunque domenica invernale per un giovane Jake Muller che, a soli dieci anni, vive la sua vita ai margini della società in un degradato quartiere di periferia dell'Edonia. 



Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE



Freddo.

«Quel maledetto ratto ha rubato di nuovo dalla biblioteca!»
 
Le scarpe del poliziotto tichettavano incessantemente sull'asfalto ghiacciato, mentre nuvole di fumo bianco uscivano dalla sua bocca. Col fiato corto e lo sguardo attento, seguiva un'ombra che sgattaiolava su delle palazzine al margine del suo campo visivo. Corse fino a bordo del muro dall'aspetto trasandato, fissando verso l'alto e portò la mano alla fondina della pistola.
 
«Frank... FRANK!»
 
Un collega in divisa blu gli strinse forte la spalla gridando alle sue spalle, poi lo fece un lieve sospiro.
 
«Andiamo... è solo un ragazzino!»
«Di nuovo sul tetto... non lo prenderemo mai!»
«E cosa vorresti fare? Sparargli per un paio di libri?» 
 
Frank rimase immobile ancora per un secondo. Aveva una famiglia da sfamare, lui. Una moglie e due figli a carico. Se il guardiano della biblioteca si fosse lamentato ancora... scosse la testa. Non poteva fare di ogni ladruncolo la causa di tutte le sue sfortune. E certo non poteva sparare dietro a un ragazzino. Abbassando lo sguardo, si lasciò andare ad un sospiro e si allontanò... la vita non era facile per nessuno, in Edonia. 
 
...
 
Sul tetto, il piccolo Jake correva. Non sapeva che l'inseguitore aveva ormai abbandonato la caccia, e forse, non si sarebbe fermato neanche sapendolo. Saltava di tetto in tetto, i polmoni che bruciavano per lo sforzo, afferrando tutto ciò che potesse sorreggerlo: aste, vecchie scale antincendio arruginite, resti di balconi. Il degradato quartiere in cui era cresciuto era più che il suo parco giochi, era la sua giungla, e quei tetti il suo rifugio. 
 
Mentre correva per salvarsi la pelle, attento a ogni dettaglio che il paesaggio gli offriva, quando ogni distrazione poteva significare un collo spezzato, niente poteva toccarlo. Era come se tutto fosse rimasto indietro, come se la sua fuga seminasse ben più che poliziotti di periferia: lasciava dietro di se la casa a pezzi in cui era costretto a vivere, il freddo pungente delle notti d'Edonia, la guerra infinita dell'Est, la malattia di sua madre...
 
«Maledizione!»
 
La mano del ragazzino scivolò su di una vecchia asta per bandiere gelata dal freddo mattutino, e per un secondo Jake si ritrovò a fluttuare nell'aria a quattro metri da terra. Non ebbe però il momento di godersi quell'istante di vuoto, perché il grosso secchio dell'immondizia gli arrivò addosso come un proiettile.
 
«ARRGH!!»
 
Rotolò su se stesso e poi finì con un tonfo a terra, mentre una vampata di dolore gli avvolse la scapola e gliela strinse con gli artigli di un falco. Gemette sdraiato a terra in un vicolo sudicio, e per un poco lasciò che il freddo gli attenuasse le scosse provenienti dalla spalla. Quando riuscì a riavere il controllo di se, si mise a sedere guardandosi intorno. Come ogni volta che commetteva uno sbaglio, si stupì di quanto vicino fosse andato a farsi male sul serio: un pugno di centimetri a destra e avrebbe incontrato solo asfalto a fermare la sua caduta.
 
Quasi rise tra se e se: capiva benissimo che non fosse normale per un ragazzino di dieci anni ragionare sulla fragilità della vita. Beh, si ritrovò a pensare riacquistava una posizione eretta, tastando lo zainetto che portava sulle spalle per verificare che non ci fossero strappi, non credo che in questo paese ci si possa permettere la normalità. Controllò il vecchio orologio che portava al polso: poteva prendersela comoda, la sua meta non era distante e aveva tutto il tempo del mondo. 
 
Il condotto dell'aria era stretto, e sporco di grasso, ma Jake ormai sapeva a memoria tutta quella serie di scomodi movimenti e passaggi da prendere per arrivare tra le impalcature del tetto del Teatro dell'Opera. La, tra ferri di sostegno e legno marcio, Jake aveva una visuale dell'intera sala, modesta nelle dimensioni e piena di sedili ormai segnati dal tempo, ma con un bellissimo pianoforte scuro che brillava tra le luci offuscate sul palco. 
 
Non si trattava certo di qualcosa d'alta borghesia, ma quel pianoforte per Jake era il più bello del mondo... ogni settimana puntuale un pianista si ostinava a dare spettacolo di fronte a pochissime persone, quei pochi che non rinunciavano a pagare il biglietto nonostante la fame, per assaporare le note di Bach e Beethoven... mentre tutti ignoravano la presenza di quel ragazzino nascosto sopra di loro, come un passero solitario. 
 
Trovato il suo solito "posto preferito", aprì lo zaino e ne tirò fuori due libri di Letteratura e una grossa mela. Con un sorriso soddisfatto, sedette a gambe incrociate mentre la sala cominciava ad accogliere i primi spettatori, mangiando silenziosamente il pasto che si era "procurato" poco prima. Lesse distrattamente qualcosa, ma si fermò non appena scorse il pianista prendere posto.
 
Ben presto, le note della Moonlight Sonata riempirono la stanza, e il ragazzino chiuse gli occhi, seguendo con le dita una tastiera invisibile, sulla quale imitava con sorprendente maestria i gesti che aveva visto fare all'artista innumerevoli volte. Di nuovo si ritrovò a fuggire da tutto e da tutti, questa volta però le note lo portava ben più su dei tetti dei palazzi, oltre il cielo plumbeo della trasandata periferia, oltre i confini dell'Edonia, su... dove nessuno può arrivare.
 
...
 
Rientrò la sera tardi, com'era solito fare ogni domenica. Sua madre, troppo stanca per aspettarlo alzata, dormiva sul divano polveroso del salotto, tremando leggermente per il freddo che s'insninuava tra le pareti. Jake la osservò e le rimbocco un lembo della vecchia coperta che usava per coprirsi, poi notò il fazzoletto a terra poco distante: ancora una volta macchiato da piccole gocce di sangue. La tosse di sua madre continuava a peggiorare.
 
Sospirò e per un secondo volette lasciarsi andare al pianto, ma sapeva di non poterselo permettere. Che piangessero gli altri ragazzini, lui sarebbe rimasto in piedi. Ignorò il freddo e si diresse nell'unica camera separata della casa, che sua madre aveva insistito per fargli avere. Era la più calda, ma di certo non si sarebbe potuta definire accogliente: mobilia ridotta al minimo e un letto rigido come il marmo era tutto ciò che lo aspettava.
 
Sconsolato, gettò distrattamente lo zaino e rovistò tra i cassetti di un comodino maleodorante. Trovò quello che cercava: un paio di occhiali da sole, ben più grandi del suo piccolo volto... infilandosi sotto le coperte, li strinse a se e chiuse gli occhi.
 
Una sola lacrima, fredda come le lenti di quegli occhiali scuri, divenne il suo bacio della buonanotte. 
 
 

  
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