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Autore: marig28_libra    24/12/2012    2 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 “ Non è tutto ciò che vediamo,
o ciò che ci sembra di vedere,
soltanto un sogno dentro il sogno? “


( E. A. Poe )
 

 
 
 
 
 
 
 

Camus! “
 
Un’angoscia senza perimetro, superficie, volume…
I marosi  del Baltico si sventravano contro le sponde dei ghiacciai disperdendo le loro grida di saliva cristallina, salata e disperata.
Il cielo notturno era gremito da  nugoli che s’azzuffavano in una rissa tacita, sfrangiata ed evaporante.
 
Eirene non riusciva a distogliere il volto dall’orizzonte dell'oceano nordico.
Il vento affilato le s’infeltriva  tra i fili della chioma, sulle guancie , sotto la corazza che  folgorava tramortita da brividi.
 
Camus…perché il flusso della tua anima mi sembra disseccato nel nulla?! “
 
Si mise una mano sul ventre : sebbene fosse nascosto dall’armatura, lo avvertiva greve, come  se dovesse  colar sangue da un istante all’altro.
Era una sensazione orrida di svuotamento.
Era  una macchia surreale d’aborto invisibile e imprendibile.
 
Cosa ti sta succedendo? Cosa c’è ad Atene?! “
 
La Siberia ululava in tutta la sua vitale desolazione. La neve bar luccicava in un’inconsapevole e confortante  lassitudine. Le montagne restavano deificate nella loro maestosità verginale con il derma  irsuto d’eterno inverno.
L’unico gambo di calore era la bellezza di Eirene. La bellezza d’una quarantenne che resisteva nelle membra di muscoli slanciati, forti e soavi.
A ornare  il capo della donna un’insolita capigliatura  che baciava le spalle e  s’allungava in due spesse ciocche fino a metà busto. D’ una tonalità castano miele rilucevano quelle fronde di capelli, differenti dal marrone intenso e spesso di quelle di Dora.
D’una tonalità più mesta rilucevano gli occhi carbone, all’apparenza distanti da quelli grigio-lilla della sorella.
Sì… erano la Volpe Bianca e la Lince.
 
“ Dora, perdonami… talvolta mi capita ancora di confondere gli occhi di Camus con quelli del mio Nisa…Hanno lo stesso blu…il blu che vedo in questo mare e che non mi  porta nessuna notizia dalla Grecia…” 
 

- Maestra Eirene! Maestra Eirene!
 
La guerriera indossò la propria maschera grigio perla e si voltò dietro.
Due bambini di nove anni le stavano venendo in contro. Erano gli allievi di Camus che avevano cominciato  un programma di addestramenti  serali.
Il primo era un biondino russo dallo sguardo azzurro di splendente esitazione, il secondo era un finlandese vivace e indomito dalla chioma verde e dagli occhi magenta.
 
- Hyoga! Isaac!
 
Le si fermarono davanti con espressione ansiosa:
 
- Perché vi siete allontanata? – fece Isaac.

- Avete visto qualcosa di strano? – domandò l’altro.

 La donna non poteva rispondere che era preda delle nottole dei tormenti.
Non sapeva descrivere l’efferata empatia che stava avvertendo, da troppi minuti, verso il discepolo…
 
- Scusate – rispose con tono rassicurante e privo di sbavature – vi ho un attimo lasciato per trovare un terreno adatto  agli   allenamenti di domani …Dovremo un po’ allontanarci, mi sa…

- Non importa! – sorrise Isaac deciso -  il Maestro ci ha fatto abituare a qualsiasi cambiamento!

  • - Sì! – affermò il russo – lui è potente e dovremo diventare forti come lui!
  •  
    Certo…” meditò Eirene ma Camus è in grado  di risalire l’abisso che lo annienta? “ 
     
    - Ragazzi – disse, invece, guardando l’orologio che si era portata con sé- Sono le undici meno un quarto. Gli addestramenti di oggi finiscono qui. Iniziate ad avviarvi al villaggio… Vi raggiungerò a minuti . 

    Il  finlandese si allontanò, mentre l’amichetto si bloccò un istante.

     - Emh…Maestra?

    - Sì?

    - Sapete che… al Maestro  gli ho regalato un fiocco di neve d’acciaio?

    - Davvero , Hyoga?

     
    Il  sorriso della sacerdotessa restò tarpato nella maschera.
    Il bambino, dopo essersi ammutolito  intimidito, sollevò il visetto verso il cielo dove la luna tentava di disappannare le gote dai nugoli.
     
    -    Acquarius è il re del ghiaccio e  riesce a camminare nella tempesta senza cadere.
     
    Sbaragliò  la donna con  quegli occhi traboccanti d’affetto e fiducia.
     
    “ Camus, ti prego…sii forte come l’  Inverno ma non lasciare che la carne, il  sangue e la mente  gelino i loro atomi azzerando ogni luce…ogni  movimento di  lotta. “  
     
     
             
     
     
    Niente.
    Niente.
    Niente…
    La  sapidità del fallimento ingombrava la bocca pari ad un inquilino sudicio e funesto.
     
    Milo aveva lanciato più di cinquanta scarlett needle contro la bara di Camus:  era rimasta intatta. Solo la massa dei cadaveri mummificati ,  che l’ avvolgeva, giaceva in cocci d’ossa come sul pavimento d’una fatiscente e  maleodorante macelleria…
     
    La neve di quella dimensione d’incubo seguitava a galoppare nell’aria sogghignante.
     
    - S-scarlet…n-need-dle... 

    Scorpio stramazzò a terra con i muscoli e lo spirito morsicati dal gelo.
    La temperatura crollava al di sotto dello zero.
    Lui era a dorso nudo con le labbra violacee, la gola screpolata di secchezza, le dita della mano irrigidite, i capelli trinati e bagnati di brina letale.
    Si puntellò faticosamente sui gomiti…Guardò l’amico imbalsamato uguale ad un nostalgico e tetro trofeo di un cacciatore.
     
    Non poteva sopportare tale vista...
     
    Si rialzò di nuovo  ma una terribile nausea , che gli  fuoriuscì dallo stomaco, lo costrinse ad accasciarsi  al suolo.
     
    - Vorresti fracassare il feretro che custodisce il tuo amico dall’animo di depresso cristallo? Oh, credo veramente che  non farai che accelerare la tua demolizione… 

    Milo drizzò il torace e la testa.
    Vide giganteggiare , davanti a sé , un individuo avvolto in un chitone viola  dalle spalle aguzze e imponenti.
    Aveva due occhi scuoiatori e congestionanti e un sorriso di denti affilati.
    Il suo cosmo era troppo intenso e spaventoso per  potersi definire  umano.
     
    - Cos’è, miserrimo mortale?  Non hai la lingua per pronunciare un ragguardevole saluto a Icelo, sovrano delle fobie? 


     
     
     
    Una scalinata a chiocciola s’avvolgeva centripete , simile  ad un turpe armadillo.
    L’unica via per penetrare  nella dimensione di  Milo e Camus era quella. Saga, Mu ed  Aldebaran ne stavano percorrendo in fretta i gradini.
    Sion, che  aveva appena raggiunto la compagnia dopo il soccorrimento  di Aiolia, chiudeva la fila guardandosi attorno circospetto. 
    Un budello cavo, che s’apriva sul versante interno della rampa, uggiolava una corrente gelida…
    Non si percepiva altro suono se non quello…
    Non si percepiva altro odore se non quella  lamina ventosa  sorseggiante di vuoto…
     
    - Coraggio! Ci stiamo per avvicinare! – confortò Gemini. 

    Le gradinate scorrevano con i rumori dei passi…Sion non riusciva a stare tranquillo e sicuro.
    Un’imminente presenza s’accingeva ad affiancarsi all’aurea di Icelo…Una presenza immateriale che non lasciava sgorgare alcuna traccia…
     
    “  Nessun elemento sta parlando  in maniera sospetta…ma è questo l’alito di vacuità che precede gli incantesimi più striscianti e muti…Sì…malauguratamente  ne sono certo…non posso sperare di sbagliarmi….”  
     

    Mu, accorgendosi dell'espressione plumbea dell’uomo,  gli si affiancò rallentando  l’andatura:

     - Maestro,  avete percepito qualcosa di negativo?

    - Per adesso nulla di  evidente ma presagisco l’arrivo di un’altra entità…

     L’adolescente sapeva perfettamente che la Guida era capace di recepire  la discesa di un essere o di un evento senza che nell’aria vi si potessero ancora cogliere segnali  tangibili e irregolari.

     - Temete l’attacco di un’ennesima divinità?

    - Purtroppo sì.

     
    Saga e Aldebaran  si fermarono girandosi verso l’ex cavaliere dell'Ariete.

     - Sommo Sion , vi prego! – gemette allarmato il Toro – diteci che non si tratta di un altro  dei simpatici pargoletti  di Ipnos!

    - Mi dispiace – si rammaricò il guerriero- non sono in grado di rassicurarti.

    - Procediamo!  – incalzò Saga gravemente – manca poco all’uscita di questo passaggio! Dobbiamo innanzi  tutto  salvare Milo e Camus!

     
    Annuendo, Sion lasciò nuovamente avviare la corsa…Era meglio giungere il più in fretta possibile da Scorpio e Acquarius prima che la situazione si potesse evolvere di male in peggio.

     - Guardate il muro ! – esclamò improvvisamente Mu. 

    I tre cavalieri fissarono la parete esterna della scalinata.
    Sion sgranò gli occhi trattenendo ,dentro di sé, lo sdegno.
    Era stato colto davvero di sorpresa. Credeva di non aver intercettato nessuna immagine atipica e invece già erano  sbocciate da tempo quelle infauste tracce.  

     - Che ci fanno dei papaveri, lì ?! – gli domandò basito Aldebaran.

    - Sono le piante sacre a Morfeo, colui che amministra i sogni dei sovrani e degli eroi.

     
    Saga e Mu compresero cupamente.

     - No! Un momento! – insistette l’apprendista della Seconda Casa – cosa c’entrano quei fiori con Morfeo?

    - Dai papaveri – chiarì  l’amico tibetano – si ricava il composto della morfina  che viene usato come narcotico, sonnifero e analgesico.

    - Cavolo! – esclamò il brasiliano battendosi la fronte – che scemunito! Non ci avevo pensato!

    - I fiori  non hanno iniziato a propagare aromi soporiferi – osservò Sion –  siamo in tempo per sfuggire alla loro presa!

     
    Mossero le  gambe più veloci di prima.

     - Oh! Morfeo! – gridò il colosso – Non riuscirai a drogarci, pezzo di…

    - Aldebaran! – lo riprese duramente Saga – Tieni a freno la lingua!

     Arrossendo di vergogna,  il ragazzo sussurrò a Mu:
     
    -  Sai, vorrei sapere chi è la sgualdrina che si è accoppiata con Ipnos…
     
     
     
     
     Il  sangue irrigava la neve.
    Spruzzi rossi, scaturenti dall’innaffiatoio di un giardiniere  folle, si sfracellavano contro  aiuole  ibernate.
     
    Icelo , ridendo sadicamente , frustava con gli artigli delle  mani Milo che  veniva sbalzato , come un fantoccio di pezza,  dal suolo  all’aria, ormai svuotato da qualunque volontà d’urlare dolore.
     
    - Allora, cavaliere da strapazzo? Le tue carni sono talmente  corrotte da  ridurti  ad un molle lombrico? 

    Il dio calpestò le reni del giovane, riversato prono sul ghiaccio:

     - Non conservi più la forza di prima?Non desideri soffocarmi di veleno come hai fatto con tuo padre?
     
    Con il respiro imbottito d’anidride carbonica, il ragazzo sibilò:

     - Fottiti…

    - Cosa sta mugugnando la tua lurida bocca?

     
    Liberandosi dalla pressione di Icelo, Milo alzò la voce arrochita :

     - Fottiti!

    - Sorprendente . Finalmente  riesci un po’ a smuoverti.

     
    La divinità si chinò sull’adolescente abbrancandolo per i capelli e avvicinandosi al suo viso.

     - Voi umani siete patetici, ma è proprio per tale motivo che ci dilettate  dall’alto. Strisciate in un modo così  tragico che non possiamo fare a meno di ridere. 

    Ricevette uno sputo in faccia.

     - Bene, mucchio di letame. Te la sei cercata. 

    Sbatté  bestialmente il guerriero contro la bara ghiacciata di Acquarius.

     - Puoi tranquillizzarti, insetto. Tra non molto raggiungerai il tuo amichetto che si sta avvallando sempre di più.
     
    Seppur stordito , Scorpio si rimise in piedi  e proiettò il volto sulla superficie del feretro.
    Guardò Camus con una voglia inesaudibile di piangere. Il gelo non glielo consentiva.
    Spaccandosi il labbro inferiore con i denti, cominciò a prendere a pugni quel monolite disidratatore.
    Lo colpiva con  forza illogica, con le ossa che rischiavano  di spezzarsi, coi  muscoli inaciditi.

     - Idiota! – ghignò il dio  – Non riuscirai mai a fendere quella bara! 

    Rise . Era un nefando  agglomerato di animali  feroci : possedeva la voracità impietosa del coccodrillo, la velenosità del serpente, la sgradevolezza della iena, la dispotica violenza dello squalo. Milo,  con la lucidità capace di disgregarsi a momenti, lo fissò con odio.

     - Che hai da ridere, demone merdoso?! – urlò incancrenito. 

    Venne perforato con giocosa cattiveria:

     - Vedi, caro Scorpione, tutto dipende da Acquarius. Se lui…vorrà risvegliarsi potrà toccare di nuovo la superficie se no…s’immergerà direttamente nei flutti dello Stige. Non mi pare che desideri aprire lo sguardo…Povero sciagurato! La stoltezza e la piccolezza non riescono a far convivere l’uomo con gli incubi che lui stesso crea. Quale contraddizione, non trovi? E’ come se uno scultore temesse una propria statua. 

    Il ragazzo bisbigliò squamato dal terrore:

     -  No…no… 

    Camus aveva davanti e dentro di sé l’oscurità del sangue  che gli circolava sonnambula nei corridoi delle arterie.
    Cos’era quell’errare ebbro, quel ronzare d’ un moscerino orbo attorno ad una lucerna spenta?
    Cos’era quell’apnea comatosa che persuadeva  i sensi e la coscienza a non abbandonare i loro giacigli?
     
    Gli occhi volevano restare chiusi.
    La mente era un natante che si dilettava nell’affogare in fondali senza ritorno.

     - Camus… 

    Era pace restare sospesi in quel liquido amniotico , in quella sacca di rigide fiancate dimenticando i palpiti cardiaci. Palpiti che forse non sarebbero più serviti.

     - C-Camus… 

    Nessuna voce s’infiltrava nella spettrale  placenta di ghiaccio che alimentava la vittima.
    Milo  percosse il prisma imbrattandolo del sangue che gli usciva dalle nocche delle mani.

     - Cazzo! Camus! Svegliati! Svegliati! 

     
     
     
     
    Odette spalancò gli occhi sudati di terrore.
    Scattò a sedere sul letto con la mente convulsa d’angustia.
    Accese immediatamente la lampada sul comodino che le stava affianco …Un tiepido calore si versò sulle pareti arancio tenue della sua  stanzetta alienata dall’inverno…
    Era al sicuro. Era riparata nella propria dimora dalla notte sbuffante di fiati algidi… Un silenzio di confortanti cuscini ammorbidiva le pareti dell'edificio. Ogni mobile, tappeto , sedia, ogni suppellettile quotidiana,  sonnecchiava nel caldo buio. I genitori, nella loro camera,  perseveravano col riposo emanando  rigagnoli di respiro.
    Si…lei era al sicuro…ma…Camus?
     
    Camus…
     
    Non era la prima volta che Odette sognava d’affogare in un lago ghiacciato, coi polmoni strangolati, e di vedere comparire dalle profondità il cadavere livido dell' amico.
     
    Guardò il calendarietto appeso alla parete che cingeva il fianco sinistro del giaciglio.
    Sotto “ ottobre 1987 “ , i numeri inesorabili, veloci e lenti delle settimane…Un’infinita lista d’attesa che si propagava lungo un tunnel di ferro e vetro…
    Erano passati soltanto due giorni dalla partenza di Camus.
     
    L’adolescente si alzò lentamente.
    Sulla parte opposta della camera stava  un armadietto di pino. Una coppia di  specchi,  che ne lisciava le ante,  rifletteva  quella fanciulla dalle esili fattezze e di statura piuttosto minuta. Grandi e lisci occhi rosa, simili a  vino di uve delicate, le irroravano  il visetto pallido ma tornito. Una bocca di ciliegia le infiammava dolcemente la cute mite. Dei corti capelli biondo chiarissimo le  illuminavano il capo, lasciando dondolare due ciocche lungo le guancie.
     
    Odette rideva ogni volta che Camus, nei suoi brevi guizzi di scherzo, la chiamava “ bimba pulcino”  o “ folletto tascabile” .
    Odette amava quelle poche volte in cui l’amico sorrideva  nebulizzando un’effimera primavera sul volto.
     
    “ Forse sarebbe meglio tornare a  dormire, ma non posso proprio.”
     
    La ragazza trasse da dentro l’armadio un grande album di fotografie custodito in una scatola di cartone.
    Lo poggiò sulla sua scrivania di legno, aprendolo.
    Incredibile. Possedeva scene di un passato ormai inafferrabile Le aveva catturate con la magia della macchina fotografica. La sua immensa passione.
    Sfiorò con affettuosa deferenza la Zenit che le era stata donata dai genitori tre anni orsono. Era il suo primo strumento professionale dopo una piccola e vecchia macchinetta che le si ruppe tempo fa.
    Per fortuna conservava con dedizione le immagini che aveva scattato con  entrambe le sue care  amiche.
    Le pinne  bianche  e azzurre della Siberia, i corti e verdeggianti arpeggi delle estati, huski che correvano   con il  soffice pelo sospirante, qualche barbagianni, civetta o pernice bianca che sbucava   con sguardo scrutatore e curioso…Questi erano i dipinti naturalistici.
    Le persone del suo villaggio, il padre, la madre, i parenti…Questo era il mondo in cui camminava.
     Camus. Questo era il soggetto più arduo da incidere. Splendido e  armonioso, si lasciava inquadrare immobile ma fuggiva. Fuggiva coi suoi lineamenti algenti, col suo bellissimo sguardo blu che si disperdeva in chissà quale aurora boreale, in chissà quale tramonto di stalattiti.
    Odette conosceva lui ed  Eirene da cinque anni, poiché abitavano nel suo sobborgo. Grazie all’ubicazione del piccolo centro abitato, nei pressi della città di Salechard, si poteva raggiungere il golfo del fiume Ob sfociante nell’Artico.
    Il padre della ragazza forniva equipaggiamenti per esplorazioni nelle tundre. Eirene andava a procurarsi il necessario per gli addestramenti presso la sua grande bottega. In una di queste circostante Odette aveva conosciuto quel ragazzino francese schivo e scostante al primo impatto, gentile e seriamente sincero col navigarlo a fondo. Era entrata in confidenza  lentamente, imparando a conoscere la strana dimensione in cui viveva, il ruolo di guerriero che lo investiva…Pareva strano, eppure aveva varcato in modo quasi semplice e famigliare la sua sfera. Eirene si mostrava misteriosa ma dotata di  una garbata e trasparente sensibilità che non si poteva non adorare.  Che dire di Hyoga e di Isaac? Anche loro ormai appartenevano alla cerchia degli affetti.
     
    Se l’inverno disperdeva i solchi del sole, per Odette rappresentava anche  il ponte che congiungeva due mondi: l’enigmatico e remoto Grande Tempio e il suo paesello incastonato nella ciclopica  Russia.  
     
     
    “ Camus, ti ho ripreso a figura intera, a mezzo busto, in primo piano… Le tue fotografie sono nitide sulla carta  e comunque…continui a scappare. Guardi  il mio obiettivo ma in realtà ti copri. La mia passione è quella di immortalare  sul rullino riflessi che appaiono e scompaiono in pochi minuti. Ho molte tue immagini, illudendomi  di averti tra le mani, sbagliandomi di grosso. Il più bel ritratto di te non l’ho ancora fatto…Quand’è che torni? Voglio continuare a sfidarti…Voglio catturare veramente   il tuo sguardo e un tuo  sorriso nuovo e totale. “ 
     
     
     
     

    - Tesoro…tesoro…

     
    Il piccolo Camus non ne voleva sapere di alzarsi. Voltò il faccino dalla parte opposta rintanandosi  ancora di più sotto le coperte.
    Rosalie, guardandolo preoccupata, tornò a scuoterlo:
     

    - Tesoro, è meglio se cammini . Non puoi stare fermo così. 

    Il bambino si girò lentamente verso di lei socchiudendo gli occhi appesantiti:
     

    - Ma mamma – farfugliò- io ho sonno…tanto sonno…

    - Stai dormendo troppo. E’ tutta colpa di questa brutta e strana febbre che hai preso. Devi uscire dal letto…Su, piano, piano…

    - N-no…non ho voglia…

    - Camus, dai!
     

     
     
    Milo, con la fronte e la frangia sanguinanti, graffiava il parallelepipedo gelato  che incarcerava l’amico.
    Le sue unghie si rompevano contro quelle  pareti di geometrica e atona  empietà. I suoi occhi erano divenuti di un azzurro folle e tribolato. Parevano tagliare qualunque cosa con la vetrata esasperazione che ruggivano dalle pupille.
     
    Icelo seguitava a ridere senza ritegno, mostrando le sciabole assassine della dentatura.
    Era goloso di sapere fin dove   la disperazione poteva condurre un ragazzo. Un umano che adorava il migliore amico. Suo fratello. Il suo grande complice.
     
    Icelo seguitava a ridere senza comprendere, bramoso solo di strazi.
    Cos’era l’amicizia? Un elemento di trastullamento. Era il gaudio di vedere uomini morire nell’animo e nel corpo:  puro godimento di disboscare il cuore di gioia.
     
    Milo prese a singhiozzare con le lacrime che  restavano congelate negli occhi.
    Non aveva mai sentito l’affetto lapidarlo in quel modo feroce.

     - Merda! Merda!  Imbecille!  Apri quegli occhi!

    - Insisti? – lo provocò il dio – la tua stupidità è esilarante quanto la mancanza di spina dorsale del tuo collega.

     
    Con i bei lineamenti screziati dal furore e dall’angoscia, il giovane spolmonò:

     - Hai rotto i coglioni, grandissimo stronzo! 

    Avanzò minacciosamente.

     - Cretino! – lo insultò Icelo – vuoi  impaurire me,  re delle fobie?

    - Vai a fan’culo! Scarlet needle!!

     
    L’attacco venne reso inoffensivo con facilità. Il nemico  lo fece evaporare ponendo davanti a sé il palmo della mano.

     - Dovevo immaginarlo, insettaccio – appurò sbuffando – sei alquanto indebolito per poter sprigionare la tua energia a pieno. 

    Sferrò un calcio all’addome del ragazzo. 

     
     

    - Camus…ti farà bene camminare…avanti…

     Rosalie si chinò dolcemente sul figlio accarezzandogli i capelli e baciandolo sulle gote.
     

    - Passeggeremo ? – mormorò lui.

    - Sì. Andremo al porto che ti piace tanto.

     
    Camus tirò fuori lentamente le braccia da sotto il piumone e le mise attorno al collo della donna.
     

    - Mi farai vedere le barche e le navi?

    - Certo. Vedrai tutto quello che vorrai!

     
    Il piccolo si strinse ancora di più alla madre che lo solleticava coi capelli castani che le scivolavano dalle spalle.
     

    - Prepariamoci- sorrise lei sollevando le coperte. 

    Il bimbo, ancora un po’ assonnato ma contento, si alzò dal  letto e venne vestito.
    Fuori le mura della sua stanzetta azzurra, fuori le finestre di tiepido legno, s’intravedeva il mare di Marsiglia  col riso di salsuggine.

     
     
     
    Una pellicola eburnea si stendeva tra le mura d’uno spazio rettangolare.
    La scalinata a chiocciola si concludeva lì, al cospetto di quello strano tappeto d’un bianco lucente ma al contempo putrido.

     -Dietro questa barriera– rivelò Saga –  vi è la dimensione in cui sono imprigionati Milo e Camus. Dovremmo distruggerla.

    - Distruggerla? – fece il Maestro di Mu  perplesso – ho i miei forti dubbi.

    - Per quale ragione, Sommo Sion?

    - Valutando la sua particolare consistenza, ritengo sia impossibile frantumarla.

    - Come? Le altre barriere di Icelo sono state abbattute!

    - Sta volta è diverso. L’ostacolo che stiamo vedendo è estremamente solido se non addirittura  indistruttibile.

     
    Mu si spostò sul penultimo gradino della scala per studiare meglio la distesa-portale. Non sembrava dura e stabile. La sua superficie richiamava  gli intrecci sgualciti e vecchi d’un tessuto di lana o la poltiglia cremosa e bucherellata del latte rancido. 
     
     - Ma cos’è sto’ schifo? – si disgustò Aldebaran – sembra melassa! Davvero non si può spappolare questo flaccidume?

    - Guardate – disse Sion – Mu, esegui assieme a me lo star light extinction. Saga, Aldebaran: sferrate i vostri attacchi più potenti.

     
    I quattro cavalieri si misero in posizione.
    Lasciarono espandere i propri poteri:

     - Star light extinction!

    - Galaxian explosion!

    - Great horn!

     Gli spessi fusti d’energia aurea si schiantarono su quella  pavimentazione albina.
    Delle onde pastose e melate si sollevarono e si abbassarono borbottando gutturali e fiacche.

     - Questa barriera – confermò Sion – è costituita dall’essenza di non una, bensì due divinità. Icelo e Morfeo hanno unito  i loro poteri.

    - All’anima dei bastardi!! – eruppe il Toro – ora che si fa se rimaniamo impantanati qui dentro?!

     Mu squadrò attentamente lo strato che impediva l’accesso alla salvezza dei compagni.

     - Maestro Sion, Saga – domandò – non potremmo direttamente teletrasportarci oltre questa specie di portale?

    - In effetti…- rifletté Gemini – si potrebbe tentare. Se unissimo le nostre facoltà telecinetiche forse ce la faremmo.

    - L’energia di due dei è enorme – rilevò Sion – ci occorrerà uno sforzo immenso che potrebbe notevolmente indebolirci. D’altronde però questa sembra l’unica…

     
    Non riuscì a concludere il discorso che si udì all’improvviso un rumore stranissimo.
    Sembrava uno sfogliare scatenato  di pagine di carta. Sembrava il battito grezzo delle ali  dei pipistrelli.
    Divenne più rotolante, rimbombante, terrificante.
    Dall’estremità buia della rampa di scale, proruppe un enorme groviglio di edera costellata di papaveri.
    Sollevandosi, come un cobra, formò una spirale appuntita che aggredì i quattro cavalieri.

     
     
     
     
    Milo tentava  di percuotere  Icelo.
    Si scagliava invano contro di lui con  la poca forza bruta che gli era rimasta. Dimentico del sangue che gli cascava dalle gengive, dal mento, dalle membra ferite, voleva sbranare quel mostro e porre fine all’incubo.

     - Mi sto stufando – replicò beffeggiatore il dio – cambiamo un po’ musica, bambinetto. 

    Atterrò l’adolescente con un terribile pugno alle costole.

     - Vediamo cosa mi combinerai, adesso. 

    L’apprendista dell'Ottava Casa si mise in ginocchio, stringendo i denti dal dolore e dalla rabbia.
    Guardò quel diavolo sorridergli  repellente.

     - Dunque, Milo…saprai mostrarti un degno re degli Scorpioni? 

    Il ragazzo sgranò lo sguardo cogliendo il vero senso di quelle parole…Ripensò alla prova della Grotta della Cuspide Rossa…
    Era finito.
     
    Icelo spalancò le  mandibole da belva predatrice. Tirò fuori dalla bocca uno scorpione nero. Afferrandolo per la coda lo lasciò cadere a terra.
    L’aracnide s’infilò nella trama nevosa del suolo.
     
    L’adolescente rabbrividì terrificato.
     
    Piovve il silenzio.
    Niente si mosse.
    Soltanto i denti aguzzi del monarca delle fobie sfavillavano tiranni.
     
    Uno scalpitio. Silenzio.
    Un altro scalpitio. Silenzio.
     
    Delle vibrazioni.
    Dal terreno bianco emersero una moltitudine di piccoli crateri.
    Le loro fauci eruttarono eserciti di scorpioni. Eguali a masse purulente e lucide  corsero verso Milo che non sapeva in che modo espandere il  cosmo a brandelli.
     
     
     
    A sud del Porto Vecchio di Marsiglia si scorgeva  un grande colle sulla cui sommità sedeva   Notre Dame de la Guarde. Regina dai ricami d’ arabesco candore, la basilica  sfolgorava  la sua spigolosa magnificenza:  le abitazioni , arrampicate lungo i fianchi dell'eremo, le pellegrinavano attorno protendendola verso l’aureola solare.  Erano  chiassosi sacerdoti di mattoni che la  sollevavano quale  intoccabile reliquia.
    Camus, come se stesse passeggiando verso l’Elisio, prendeva la madre per mano credendola un angelo custode inviolabile.
    Camminava con ella, sull’asfalto del porto, rimirando la scacchiera molleggiata e dolcemente dimessa delle imbarcazioni che attendevano d’essere trainate dalle ciglia di Eolo e dai muscoli schiumeggianti di Poseidone.
     
    Il bambino coglieva con le narici tutto il polline di salsedine dilagante di conchiglie e ali di gabbiano…stringeva la mamma, luna intramontabile della stabilità.
    Era la completezza semplice e piana. La completezza che sminuzzava qualunque malattia.
     
    Rosalie baciava il figlio col blu degli occhi,  quel blu che gli aveva colato intorno alle pupille.
    Blu era l’amplesso casto tra cielo e mare. Era il capanno sotto il quale proteggersi.
     
    Blu erano le lacrime che stavano per accendersi.
     
    La volta dell'empireo venne recisa da un bisturi di ferro.
     
    Un aereo in fiamme tagliò qualunque respiro aprendo una voragine di nubi tossiche, gastriche, infernali.
     

    - Camus! – gridò Rosalie – corri! Vai di là! 

    Il bimbo,  colto alla sprovvista dal terrore,  non capiva.
     

    - Camus! Vai sul molo! 

    L’aeroplano era fuori controllo. Deragliava nell’aria isterico e brutale. Le case e la terra lo fissavano spaventate.
     

    - Mamma! Non vieni?! 

    Il veicolo alato stava silurando verso il suolo.
     

    - Camus! Muoviti! Corri! 

    Era questione di pochi minuti.
    Il bambino piangeva.
     

    - Mamma!

    - Devi andare!

    - Non voglio!

     
    Il piccolo si aggrappò alla donna, ma quest’ultima lo scostò bruscamente.
     

    - Camus! Smettila! Vai via!

    -Ma…ma…

    - Amore. Corri e non voltarti indietro.

     
    Rosalie, ferma in piedi, lacrimava e sorrideva.
    Camus tremante si allontanò.
     

    - Girati – lo rimbrottò dolcemente – non guardarmi più. Io ti abbraccerò sempre. Ovunque tu andrai. 

     Il figlio prese a correre singhiozzante, cercando di fissare dinanzi a sé .
    L’asfalto slittava sotto i suoi piccoli piedi.
    Il cuore distrutto slittava sotto il suo pianto.
     
    L’aereo si ruppe vulcanico e apocalittico a terra. Il fumo e le fiamme divorarono tutto.
     
    Camus fu tentato di vedere l’orribile fornace ma continuò a volare con le piume rotte.
    Sul ciglio del molo intravide una sagoma oscura.
     
    Un’immensa nave si stava avvicinando. Pareva che possedesse sui fianchi zampe da millepiedi che assolcavano  le acque annerite dall’esplosione appena avvenuta.
     

    - Camus! Camus! 

    A prua una piccola figura agitava le braccia…sembrava un ragazzino.
     

    - Camus! 

    Su quella trireme ateniese,  d’antico e glorioso legno, stava Milo.
     

    - Camus! Sali a bordo! 

    Il bastimento attraccò facendo posare una passerella.
     

    - D-dove andrò? – chiese esitante il francese.

    - Verrai con me in Grecia . Lì  c’è la Volpe Bianca che ti aspetta.

     
    L’altro  restò per alcuni secondi indeciso.
     

    - Datti una mossa! – esclamò l’amico tendendogli la mano – il molo crollerà! 

    Camus  salì in fretta sulla nave.

     

     
     
     
    Verde scuro. Rosso. Verde scuro. Rosso.
     I papaveri non parlavano. I papaveri non artigliavano.  Strozzavano gli occhi e il cuore con mani più tenere e levigate di quelle di una donna.
     
    Mu vedeva e sentiva tranci di macchie vegetali avviluppargli le membra.
    Quel delirio di liane e fiori cuciva un bozzolo attorno al corpo e al cervello iniettando , con siringhe fantomatiche,  odori  stralunanti  e carezzevoli.
    Figure di affetto iniziavano a materializzarsi nella testa del ragazzo che , frastornato come un bambù schiaffeggiato dal vento, si addentrava nel sonno.
     
    Una bella stradina soleggiata lo stava conducendo al villaggio del Sole di Giada.
    Alle porte un uomo dai capelli color fiamma e una donna dalla chioma lilla.
    I genitori.
     
    Niente era perduto. Niente era morto.
    Bisognava  avanzare in direzione di quella luce ,dimenticare, cessare di correre freneticamente, nutrirsi di ossigeno…
    Niente più  dolore. Solo  felice e sterminata anestesia. 

     - Stardust revolution!  

    La potenza di stelle,  devastatrice di sieri oscuri,  ruppe il diabolico incanto.
    Una valanga di bagliori stracciò, eguale ad uno stormo di fenici, quella cella arborea di papaveri e foglie.
    Mu precipitò sullo strato molle del pavimento- barriera che conduceva a Milo e Camus.
     
    Sion l’aveva liberato e gli stava dinanzi incrollabile e d’acciaio. La sua straordinaria forza era stata persino in grado di sciogliere Saga e Aldebaran dalle loro trappole.

     - Mu. Alzati.  Ti trasmetterò parte della mia energia di telecinesi. 

    L’allievo, capendo con agitazione il fine di quell’iniziativa , obiettò:

     - Avete intenzione di trasferirmi una metà dei vostri poteri?! Ma rimarrete quasi senza… - Pensa alla tua missione.

    - Non vorrete  affrontare un dio da solo!

    - Taci! Morfeo sta per giungere! 

    L’uomo posò l’indice e il medio sulla fronte dell'adolescente dislocandogli la potenza delle sue capacità  di teletrasporto. 

     - Tu , Saga e Aldebaran entrerete nella dimensione di Icelo. 

    Il cavaliere dei Gemelli espanse il proprio spirito.
    Mu, un po’ provato per la bruciante forza che gli aveva trasfuso Sion, ribatté:

     - Maestro, voi..

    - Mu – lo chiamò Saga – hai sentito cosa dobbiamo fare.

    - Non posso lasciare il Sommo Sion!

     L’insegnante era notevolmente impallidito…Stava iniziando a barcollare…
     
    - Mu- soggiunse a malincuore Aldebaran -   presto! Accendi anche tu  il  cosmo! Non posso aiutarvi!
     
    Il Toro era privo dell’innato talento della telecinesi. Doveva contare sull’amico tibetano e sul custode della Terza Casa.
     
    - Non perdere tempo! – esclamò Sion all’apprendista – aiuta Saga!
     
    Il cavaliere dell'Ariete, dominando con fatica  l’angoscia, alzò le fiamme dell'anima…
     
    Il Maestro fissò con severo amore il ragazzo.
    Il ragazzo lanciò un’ultima occhiata al Maestro…Nonostante la  carnagione avesse assunto una fragilità di carta e le gambe si fossero genuflesse, la Guida non si denudava di grandezza, di  nobiltà. Il capo non era piegato al suolo. Si levava contro il nemico imminente.
     
    Un arcolaio di splendore prese a diffondere i suoi raggi.
    Mu e Saga intersecarono le onde dei  cosmi.
    Facendo scaturire un boato di tempesta si dileguarono con Aldebaran al di là della barriera di pelle da anfibio.

     - Oniro e Fantaso  affermavano, dunque, la verità. Sei un uomo prodigioso, temibile, ammirevole. Una creatura odiosa…da obliare.
     
    Quella voce marciò stentorea, pietrosa e uncinata dalla scala a chiocciola.
     
    Sion si levò , adagio,  dal suolo. 
     
    Un essere dalle sembianze umane scese con  lieve lentezza i gradini  della rampa.
    Era altissimo e massiccio come una colonna dorica. Aveva il corpo velato pesantemente da un mantello verde petrolio.
    Il suo viso rivelava  una bellezza sassosa e un’ accigliata imperturbabilità: il naso era regolare ed amaro, la mascella inflessibile , gli occhi  erano rappresi in un’espressione  rovente e assiderata, scintillante e immobile, umida ed essiccata. Definire il colore di quegli iridi si mostrava difficile. Parevano di un grigio sbiancato o di un azzurro dissanguato.
    Parevano aver perso  il nero delle pupille e qualunque striatura di luce.
    Una lunga chioma, leggermente ondulata alle estremità, rendeva quella divinità ancora più regale e spietata. I fili dei capelli rilucevano di un’energia moribonda e pallida.  
     
    Morfeo, il maneggiatore del sonno, esternava  fermo ed esausto vigore.
     
    L’ex cavaliere dell'Ariete lo analizzava col rosso del proprio sguardo che non osava implorare preghiera, che non osava esibire  venerazione.
    Era altero e dannatamente audace.

     - Sono lieto che tu e i tuoi fratelli, possente Morfeo, apprezziate la mia umile indole – proferì il guerriero con gelido scherno – non credevo di aver colpito così nel profondo i vostri  animi. 
      
    Il dio lo contemplò con dispregiativa  e contenuta stizza:

     - Vedrai, Grande Sion, come farò dissolvere in te la tracotanza. Non conosci l’essenza del mio sconfinato universo? Non sei consapevole che il sonno sia  una catena di mortiferi anelli?  

    - Tu, invece,  sei consapevole delle mura che la ragione erige a difesa d’ogni letale torpore?

    - Persisti con la tua arroganza, vedo. Non volerai più troppo in alto quando ti ritroverai a dormire nell’infinta bassezza del buio. Trovo che sarai cagione di enorme dolore per il tuo discepolo…oh…il tuo discepolo…Quel ragazzo è una chiave…una preziosa chiave…

     
    Sion s’inquietò profondamente.
    Cosa significavano quelle parole? A cosa alludevano?
    Che oscuro disegno serpeggiava?

     - Sei angosciosamente confuso, Sion? D’ora in poi  potrai rasserenarti. Ti elargirò un’eterna quiete… con le tue felicità remote e affondate… con tutto ciò che il maledetto destino ti ha strappato via.
     
    Con un gesto della mano autoritario, Morfeo aprì una fenditura nera, rigata da linee rigorose,piane, ululanti…
    I gradini della scala a chiocciola finirono risucchiati da quelle ombre allo stesso modo del molle tappeto bianco.

     - Questo è il grande ingresso della Morfia – spiegò il dio – qui dentro re e guerrieri dormono. Qui dentro la schiavitù della volontà muore. Non avrai più bisogno di strade poiché non andrai in nessun posto. I viaggi diverranno inesistenti  come le porte d’uscita. La tua unica destinazione: il baratro che custodisci nel ventre, nella disperazione che t’illudi d’aver rimosso. 
     
     
     
     
     
     
     
    Note personali: Buona vigilia di Natale a tutti!! ^^ non è il massimo dell'allegria aggiornare con queste pagine di capitolo, però dovevo farlo XD avevo detto che avrei aggiornato a dicembre e sono stata di parola! Purtroppo non sono riuscita agli inizi…comunque l’importante è averlo fatto! Direi che tra una settimana, massimo dieci giorni, concludo il cap 11!! ^^ I prossimi aggiornamenti avverranno quasi a distanza ravvicinata! Spero di farvi avere i cap 12 e 13 entro la prima metà di gennaio! Scusate per la grande ilarità che vi dono XD ahimè questa parte di storia è un po’ drammatica -.- beh, L’occhio dell'ariete è drammatico XD
    Per concludere, di nuovo BUONE FESTE!! :D
     
    [ nota sul cap 10: mi è stato segnalato un errore di trama riguardante Lost Canvas che NON E’ dipeso da me ( ringrazio molto che mi sia stato rilevato ^^) . Nella parte in cui Kletias dice a Milo:  Ero destinato a finire così… vedi, io ,allo stesso modo del tuo antenato Cardia,  ho dimezzato la durata della mia esistenza.”A quanto pare ( io non lo sapevo davvero) nell’edizione della Panini hanno  tradotto, dal giapponese all’italiano, il verbo “ allungare” con “ dimezzare”. In realtà, il Saint dello Scorpione si era sottoposto a delle prove oltre i limiti dell’umano per allungare la propria vita, non accorciarla…( beh, in effetti è più logico XD )
    Alla luce di questo,  però,  non cambio nulla del capitolo 10 visto che non è colpa mia se i traduttori hanno sgarrato…Inoltre  il fatto che Kletias abbia sacrificato metà della sua esistenza ha un significato molto importante che non posso e non voglio modificare.. la mia fan-fic ( sottolineo) è tra l’altro  un Alternative Universe …]
     
     
     

       
     
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